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NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN Q.UA
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NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
Secolo 111. e IV. dal 1400. al 1540.
Difh'nto in Decennali
OPERA POSTUMA
DI FILIPPO BALDINUCCI FIORENTINO
ACCADEMICO DELLA CRUSCA.
&H?
IN FIRENZE, MDCCXXVIII.
Nella Stamperia di S. A,R. Per li Tartini, e Franchi.
Con Licenza de' Superiori.
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L gradimento, e la ftìma grande, che per
ogni dove hanno Tempre meritamente in-
contrata preflò gì' Intendenti le opere lo-
devoliffime del Signor Filippo Baldinucci,
o vivente eflo di per fé date alla luce, o
finito, eh-egli ebbe di vivere a quella vita
mortale, per opera di più Cavalieri, amatori di sì belle
arti, pubblicate, è'ftata a noi di poflente {limolo per
iftampare il refto , che ci rimaneva de' fuoi fcritti era-
ditiflìmi,Tulli certafperanza, che anch'effi,come parto
dello fteflo perfpicace ingegno, follerò per rifquotere
quel plaufo, che ognun fa avere ottenuto i primi. Non
iftiamo qui ora a parlare ne dello ftudio delle Lettere,
alle quali fiiio dagli anni più teneri applicò l'animo tuo;
né di quello, che 4 dilegno , e pittura concerne , in cui,
oltre ogni credere, cotanto s'avanzò la intelligenza di
lui, che non di puro dilettante, ma d'intendentiiiimo
al paridichiccheflia di sì bella, e nobile facoltà può con
tutta giullizia attribuiriegli il nome; ne finalmente di
quell'autorevoliffima protezione, ch'egli godè fempre,
mentre
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mentre ei vilfe , appreflb la Gloriofa Memoria del
Sereniffirno Principe Cardinale Leopoldo di Tofcana,
amatore al fommo, e fautore della Pittura, Scultura,
ed Architettura; e che gli die comodo d' aggiugnere
alle molte cognizioni, che e' poffedeva delle manie-
re, ed opere de'più rinomati Profeflbri, 1' altre infi-
nite, eh' egli acquiftò per la Lombardia, a quefto fine
dal medefimo inviatovi; onde agevol cofa gli fu poi,
tornato alla Patria , il d^r cominciamento all' opera,
eh'ei s'era preferitta, con quella felicità, eloquenza,
e purità di lingua , clfè forono fempre lue proprie .
Bafta a noi folamente il ridire, che fé morte invidiofa
non avelie fui più belio troncato il filo al viver fuo,
ed in tempo appunto, in cui avea fra mano le belle
vite del Brunellefchi, del Buonarruoti, e d'altri, pri-
mi lumi della Pittura, ed Architettura, a folo oggetto
dai medefimo lafciate addietro , perchè bifognofo in
effe di maggior foddisfacimento, avrebbe egli ancor di
più arricchito il mondo coi diftelo loro, e tolto via il
rammarico, che provò fenfibiliflìmo la dolente fua Pa-
tria per la perdita di sì buono, e virtuofo Cittadino ;
e per quella altresì , che fi temeva di queft' opera, ri-
mala dopo fua morte non interamente ultimata per la
mancanza d'alcune poche notizie, le quali, come che
ricercavano un ben' accurato, e diligente rifeontro ,
non avea potuto regiftrare . Se non che volendo '1 Cie-
lo , che memorie sì pregevoli non reftafflero preda del-
l' oblivione, pofe in cuore al Signor Avvocato France-
filo Saverio Baldinucci, degniflimo Figliuolo d' un tan-
to Padre, ed intendente quanto altri di quelle nobili
arti, il dare ad elfa 1' ultima mano ; perchè ricordevo-
le egli di quanto gli avea il medefimo, pria che tra-
paflafle , intorno a ciò impofto , e premurofo al pari
di efeguirlo, diedefi di buon propofito a finir di difporla,
togliendola con fomma-, ed indicibile fatica da quella
inordinanza, in che era per colpa di morte rimala; tal-
mente chèrefa ella per così fatta cofa in ifiato da poter-
la ve-
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la vedere unita alle altre, portate già dalla fama in più
parti del mondo , faggiamente operò, che col zelo, e pof-
fente favore del Sig.Cavalier Francefco Maria Niccolò
Gabburri, ardentiffimo fautore di qucfte belle arti, ne
fofle promoffa colla pubblica ftampa la ficurezza. Quindi
è , che eflendo a noi toccato in forte V effettuarlo, e
volendo , che in perfezione foffe fimile alle altre , re-
putammo noftro dovere il commetter la cura della re-
vifione di efla a> Signori, eruditiflimo Anton Maria Sal-
vini, le di cui lodi, per tema di dir poco dicendo ai**
che molto , meglio è qui ora tacerle, al Dottore An-
ton Maria Bifcioni, e Marco Antonio Mariti, de'quali
•non fi può mai a baftanza efprimere quanta, e quale fra
ftata l'applicazione, la diligenza, e la fatica, sì nel ri-
ncontrare, e nel porre a'fuoi luoghi le fuddette tràlàfcia'*
te notizie, sì anche nel corredarla di alcune poftille,
neceflarie per render di tutto pienamente informato il
Lettore. Sicché è rìufcito finalmente a noi il darla fuo-
ra, non che inferiore alle altre , che già ufcirono alle
ftampe , talmente compiuta, da poterfi fperare, che
incontrar pofla gradimento , e ftima uguale alle prece-
denti, fé non anche maggiore, àttefòl'Indice ben co-
piofo, di cui ftata è arricchita dal mentovato Sig. Av-
vocato Francefco Saverio Baldinucci •
NOI
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<Adì ri. Settembre 1727.
01 appiè fottofcrittiCenfori e Deputati, riveduta
a forma della legge, prefcritta dalla generale adu-
nanza dell' anno 1705. la feguente opera del Luftrato
noftro Accademico, non abbiamo in effa oflfervati errori
di lingua. ,!.!;•;.;> .; r                                          .. :> ,:. -vr:^ ■;>
X* Innominato Accademico eAnton Mafia )
Salvini                                            ) Cenfori dell* accademia
11 Divagato in luogo deW Innominato ) della Crufca
Sig. Don. Giufeppe Aver ani           )
V Innominato Canonico Marco ^Antonio de' Mozzi ) 7\emm:
V Innominato Canonico Salvino Salvini                  ) ■ *
L'Innominato Andrea Francefebi Arciconfoh
V Innominato Pandolfo Pandolfini Vice Segretaria
Attefa la fopraddetta relazione, fida facoltà agli Stampatori
dell' Opera del Luftrato Filippo Baldinucci di nominarlo
«ella pubblicazione della medeiìma Accademico della Crufca.
/,
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O T I Z
DE' PROFESSORI
DEL D l S E GNO
DACIMABUE IN Q.VA
«JL» ^
DECENNALE I.
DELLA PARTE I. DEL SECOLO III.
VAL MCCCa <Al MCCCCX.
LORENZO GHIBERTI
PITTORE E SCULTORE FIORENTINO
Nato mi 1378. ^ circa il 1455. ':i            :
^nOvendo io ora parlare di Lorenzo Ghiberti (<0»unai
7 de'più fingulari artefici, che forgefTero al Mondo fino
l3^jiS55Srsv_ . JSd
li
in que' primi tempi, ne' quali la città di Firenze,
*K
mediante il valore dei celebre Mafaccio, cominciò a
1 dare i primi faggi dell' ottima maniera del difegna-
H re e colorire, che poi nella medefima città e al-
(S-^
trove fece sì gran progredì; econfiderando, che il
jl^.3S^^iy Vafari, il quale di quefto eccellente maeftro tefsè
......'.....r.....!""'^------' un lungo racconto, non folo sbagliò in molte cole,
dicendone una per un altra ; ma ancora, forfè ingannato da chi gli diede
A                                   no-
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■UwliW
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[a] Si trova in antiche Scritture dell'Opera di Si Maria del Fiore, che fra* ProfeJ/ori (4 j
renzo fi chiamava talora Nencio diBar tolticelo »
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z Decenni, della Par. LdelSec. llhdal 1400.0/1410.
notizie, molte ne portò, che'1 tempo e P antiche fcritture hanno fat-
to fcoprire non vere; io mi farò lecito in quello luogo (oltre a quanto
appartiene al mio allumo, che è di parlar degli artefici e dell'opere
loro) 1' andar "discoprendo gli equivochi del nominato Autore, partico-
larmente in quella parte, che s' afpetta alla nobiltà della famiglia di Lo-
renzo, fuo profeguimento e durata lino a' noftri tempi : cofe tutte, che
dal Vafari non fono fiate dette fenza gravi errori; e pure fono il più bel
pregio, che accompagnar pofla un uomo di gran virtù, come fu il no-
mo Lorenzo. E' dunque da faperfi, come una tal quale famiglia de'
Ghiberti potè fenza dubbio annoverarli fralle antiche della noftra cit-
l;à;|come quella, che fecondo il Verino {a) traile fua origine da Fielole s
f"È
             genere>mfertur>Fefulma ex arce'Ghiberti.                  , ]/
iDicmeila fa menzione il V'illani(é) contandola fralle poche di fazion Guel-
fa, che dopo la rotta di Montapertidel 1260. noncedettono al nemico vin-
citore Ghibellino, e non fé n'andarono a Lucca. E fé degli uomini dì quel-
la favelliamo » fino del 1270. fi trova un Mefler Rinieri Ghiberti Canonico
Fiorentino;, e di lui, enei nominato ànnqri 270. e nel 1293. fi fa menzione
in alcune Scritture , efifienti nell'ArchiviodiCelleIlo; e dipoi dell'anno
1319. fi vede aver goduto de' primi onori della; città Gerì di Guccio pel
Sello di Por S.Piero, benché poi il medefimo palTafle pel Quartiere S. Gio-
vanni, afillo al ijyi.eflere fiato fei volte Priore, e due Gonfaloniere di
Ijiuftizia; Jacopo di Rimeri di Gerì efier fimiìmente flato Priore del 1308?
e Jacopo di Guccio diGeri del X435. e così trovàhfi fino al numero d'otto
volte Priori* e due volte Gonfalonieri diGiullizia. Ma fé di quella tal
famiglia fuite veramente Lorenzo Ghiberti, non è cos\ facile a me 1' affer-
marlo, per non averne trovata l'attaccatura ; fonope.ro affai forti lecon-
ghjetture per 1' affermative; ed io per far noto ad altri ciò, che è potuto
venire fin qui a mia cognizione, Melando che ciafcheduno determini fe-
condo il più probabile, e creda quel più che a lui piace, ne porterò
qui alcune. Primieramente none chi dubiti, che oltre allo fteffo cogno-
me, tanto a quelli che ora per più chiarezza del dire mi piace chiamar
col nome d' antichi, quanto a quelli di Lorenzo, a' quali io darò nome
di moderni, non fieno anche comuni le armi; cofe che unite inficine
pare che diano qualche probabilità. Aggiungali la molto antica Sepoltura
de'Ghiberti in S. Croce, della quale trovo fatta menzione nelTeftamen-
to dì Buonaccorfo di Vittorio del noftro Lorenzo del 1516. (e) nel quale
ordina efièi lepolto nella chiefa di S Croce nella Sepoltura degli antichi
di elio tentatore ; d'onde fi vede chiaro, che ancora in que'tempi, cioè
170. anni fono in circa, effa Sepoltura era antica in cafa i Ghiberti; anzi-
ché* fino dell'anno 1496. della medeiima Sepoltura ii fa menzione nel te-
flamentodi Vettorio, padre dello ftefib Buonaccorfo , Più gagliarda con-
gni et tura mi pare che fi pofla dedurre, dal trovarli, che Jacopo, Guccio,
Dolfo, e Giovanni, fratelli, e figliuoli di Rinieri ài Geri di Guccio, che
lenza
£a] de Illuftr. Urb. iib, 3. [b] t illuni libi 6, £*/>• 31. Le] 8. M<tg$. 1 > i6, rogk Ser Niccolò
di far ente Parenti
.
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/ • \ LORENZO GHIBERTI. 1 |
fenza dubbio fono de* Ghiberti antichi, per teftamento di detto Gerì
(a) rogato nella cafa, folita abitazione di detto Gerì, polla nel Popolo di
S. Michele delle Trombe, che è quella, della quale apprelFo fi parlerà, eie
fu poi poffeduta da Vittorio di Lorenzo di Cione Ghiberti; redarori©
alcune cafe,pofte nel Popolo di S. Michele in Palchetto. Or nel 1496^io
trovo,che Vettorio, figliuolo del noftro Lorenzo, aveva una cafa nei Pò-
polo di S. Michel delle Trombe, ovvero in Palchetto: ed è quella, che
è prefTo alla cantonata, rimpetto allo Speziai della Croce, e rifpondè in
fu la piazza di detta Chiefa di S. Michele in Palchetto, oggi detta di Sali*
ta EHfabetta, dalla Congrega che vi rifiede ; e fopra la1 porta di efla cala*
che rifponde nel corfo, fi vede in pietra molto antica l'arme de'Ghiber*
ti:e dì quefla cafa fi fa menzione in uno firumentd di Manceppazione(#)*
fatta dal nominato Vettorio di Lorenzo del fuo figliuolo Cione: e altresì
in un Lodo (e)tra detto Vettorio da una, e Buonaccorfo,Fràncefco, Ghi*
berto, e Cione fuoi figliuoli dall'altra, dato del 1496. da Antonio Co-*
voni, e Cofimo di Lorenzo Rolìelli il Pittore.» la qual cafa, come mo-r
Arano i confini, è quella ftefTa, che redarono i nominati fratelli Ghiberti
dell'antica famiglia. Ora non pare inverifimile, che eflendo quefti de!
medefimi beni, che pofTedevano gli antichi, e tenendo le medefime ar*
mi di cafa Ghiberti, tutti foriero degli antichi. Si potrebbe aggiugnerem
quanto s'è detto, che il ramo di quelli, che noi chiamiamo Ghiberti
antichi, fi fpegneffe nella perfona d'una tale Agnoletta, figliuola di Papi
Ghiberti, e Moglie d'Ottaviano Altoviti, della quale io trovo fatta men-
zione ne* due finimenti fudcletti, e ne'libri domeftici di Lorenzo Ghi:*
berti ,* perchè le cafe antiche de' Ghiberti filili piazza di Si Michele ir*
Palchetto, eccetto quella che fu di Vettorio, come fopra fon paflTaré
negli Altoviti, e in efii fi confervano al prefente, Favorifce anche quella
opinione, che quel ramo rimanerle fpento in Agnoletta, il'vederi! che'
quello Papi fu de' Priori nel 143 5. {fi* e dopo detto tempo non fi vede piti
alcuno di loro aver goduto tale ufieio . Quefto però non toglie né punto-
ne poco la probabilità e quali evidenza,che refulta dalle fcritture fopra
citate, che eflèndofi anche fpento quel ramo, non ne furono renati aK
tri, de' quali follecontinovata la famiglia, che produrle ÌI noftro Lorenzo,
e i defeendenti da elfo: la quale partitali dalla città, fi;furie condotta a Pe7<1
lago dove avendo in tempo fmarrito V antico cafato de' Ghiberti, fi fujfle
ridotta in quel Cione, che noi inoltreremo a fuo luogo, che fu il Padre
di Lorenzo. Favorifce anche non poco quefla proipoiìzione, cioè quanto
io leggo nell' accurathTuno. Priorifta originale di Giufiano: de' Ricci, i|
quale nel tomo vi n. che contiene il Quartiere S, Gio.- a e. 1ió\ dopo.
aver fatta menzione della famiglia de' Ghiberti, quella di cui fa menzione
il Villani, e poi il Verino, che reftò in Firenze fenza volerfene partire
dopo la rotta dell'Arbia; e dopo aver notati tutti gli uomini che in ef-.
[a] 9. Luglio 1376. rogò Ser Francesco di Ser Gio: Cini in Cab. E 29.294. [b] 5. Ott. 149&
Ser Agnolo d'Alefjandro d'Agnolo da Cafcefi. [e] 29. Qttob, 1496. Ser Agnolo [addetto.
[d] Priorifi a delle Rifor magioni .
/
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4 Decenni, della Par. L delStc.UL dal 1400. al 141 o.
fa ditta di Firenze daliyiov al 1398. avevano goduti I primi onori, fa
inazione di Lorenzo Ghiberti con quefte parole: Lorenzo di Clone 0 di
Burtoluccto Ghiberti tnefie fu una delle Porte di metallo della chiefu di S, Gioì
Battfia adì
23. d'Aprile 1424.-:JW* faccia difficoltà quello» che fcrijfe il
Va/ari pittore Aretino nella vita di Lorenzo Ghibertì predetto
» circa alla
dìverfità del tempo e d* altri particolari, perchè sì in quella come in tutte
V altre vite, ec E qui fegue il Ricci a diffonderli molto in altri errori del
Vafari, de'quali per ora noli è luogo per me a parlare, per non apparte-
nere alle notizie del Ghibertì.- e tanto badi intorno a tal queflione .Di-
ce poi il Vafari, che Buonaccorfo fu figliuolo di Lorenzo; in che pure s'in-
ganna i perchè di Lorenzo di Cione [a] nacque Vettorio, e di Vettorio
quefìo Buonaccorfo. Dice, che Vettorio[#] figliuolo di Buonaccorfo fu l'ul-
timo della famiglia, là quale in eflb rimafe eftinta: che pure è grave er-
rore; perchè Vettorio padre di Buonaccorfo, è figliuolo di Lorenzo di
Cione,ebbe altri ti* figliuoli, cioè Giliberto, Cione, e Francefilo; e que-
llo Francefco fu padre di Vettorio, del quale nacque Giliberto, Gio-, e
Felice, di Ghiberto Vettorio, Gio: Francefco, e Lorenzo; e di Felice ,
Francefco, e Lorenzo,padre a" Anna Maria, e Beatrice, oggi maritate
nelle nobili cafe de'Ricci, e Berardi, come più largamente moftreremo
colf Albero di quefta famiglia in fine di quefte notizie, cavato da antiche
e autentiche Scritture, E quello ancora bafti aver detto in propofito de-
gli errori, prefi dal Vafari, nel parlare di quefta nobil cafa, alla quale
per certo non abbifogna il cercare altri onori per gì' antichi tempi ,per
renderli più illuftre» di quelli, che le diede lo fteflb Lorenzo con la fua virtù,
«Ingiunti all' efierii ella abilitata a godere de' primi onori della città fino
«Si 1375. goduti poi dallo (tefib Lorenzo, come a fuo luogo diremo. Or
fedendo a parlare della perfona di lui, dice il Vafari, che LorenzoGhi-
feerti fu figliuolo di Bartoluccio Ghibertì , o di Cione , altrimenti detto
Battolacelo Ghiberti: iVuna e 1' altra delle quali cole è detta con erro*
re ; perchè il padre di Lorenzo fu Cione Ghibertì, che non mai fa chia-
mato Bartoluccio .* e Bartoluccio non fu padre di Lorenzo, il che più
eJprefTamente fi moftrerà avanti. Bartoluccio dunque putativo, e non ve-
le padre dì Lorenzo fu, un orefice, che difegnò ragionevolmente, e in
grado di molta eccellenza efercitò 1' arte fua. A eoftui ajutò Lorenzo in
fua fanciullezza per qualche tempo in quel meftiere, non lafciando però,
pét l'affetto ch'egli aveva alla ("cultura ,d' efercitarli fovente in modellare
e gettare piccole figurine di bronzo. Poi invaghitoli fopra modo della
Pittura i ad eflk fi diede .- ne io dubito punto, che ciò non foffe fottol'in-
dirizzo dì Gherardo dello Stamina, notizia, che fra gli Autori non fi
trova .Eia ragione del mio credere è; perchè avendo elfo Lorenzo potu-
to poco imparare da Bartoluccio in materia di difegno: e conofcendo-
chiaramente la fua prima maniera del panneggiare , e attitudini
delle figure elfer le medefime appunto di Mafolino da Panicale, e d* al-
„^-.,,                                                               tri
1..... 11 1.....1 umili             mi ir-           .....ih ilnfr———■ l ■■inalili H||...... i i n .Minili i i ■ » irninii imi ■ in i«——«■«——<
{^Tefi amento, dì Lorenzo di Qone.. * Noliemb, 1455» Ser Santi di Domenico Naldi.
[b] Lodo detto de* zg. Ottobre 1496.
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w \ ^LORENZO GHIBERTL             #
tri dìicepoU del medefimo Gherardoi e non avendo ào fapuco: trovale^
che altri allóra in Tofcana teneflèro tal manierainsertìpo 4i poterglbeft
fer maeftri, toltone Lorenzo di Bicci, cheoperavade!<j3fó»làu4m»n§iife
il Valari lo dicefTe nato del 1400^1 e benché queftf ancora per ragionj&dei
tempo, e dì qualche fomiglianza dì maniera gli ia.v.effe.; potuto infejfliark
egli, ficcome aveva fatto Donatello di lui coetaneo; io però ftimo più ve-»
rifìmile eh' egli ufcMTe dalla fquola di Gherardo; Lafciato dunque alla
benignità del Lettore il predar quella fedeìche gli piace a taLom a(Ièr>
zione, dico, che Lorenzo dopo aver fatto molto profitto nella Pitturagli
portò infieme con un altro Pittore a Rimini,dóve a Landolfo MalateMdi»
pinfe una Tavpla. Tórnoffene .poi dopo la pefte del 1400, a FirenzeViper
aver fentito, che l'Arte de Mercatanti dilegnava di far gettar di Bronza
le rimanenti porte del Tempio di 3. Giova un, ii*?in conformità di quello,
che era flato fatto d' un altra fwnil,porta tanto tempo avanti, con
difegno di Giotto, da Niccola PifanoV e cM,perciò,,aveva inandato a
chiamare,oltre a' Fiorentini* i$$k»i'j maefek4h tóUfrf aneiò .£ rtifokè»
{limolato da Bartoluccio^e per defiderio &Jie; W%v% di ■ cimentarli mmt
eflb con loro a fare un modeljo>,\ *ltoq^ì?fi^^
in termine d'un.anno, in conformità deiì;iqi;éine\avuto, feceroi wfe
li, il Brunellefco, Donatello, Jacopo: della,,Quercìa^ piccolo' d': A?4$%ù
tuo difcepolo, Francefco di Valdambrina, Simone da Colle, detto dtó
Bronzi, ed eflb Lorenzo : e queftorfi portò così bene, che Donato e 'I
Brunellefco, i migliori di tutti, fi:dichiararono di non aver luogo,:in
quell* opera, ma che folo-a^. Lorenzo elfo fiàdoveCTe dare^no.noftan*
te che appena • avefle egli compito il xxn» anno .dell'eia fua> Nèitìl
gran fatto, che '1 modello di Lorenzo, al parere di quefii grandi uominii
e di 34. cittadini, flati chiamaci, rMcifie tanto fijperiore in,bontà a quelli
degli altrijperchè Bartoluccio, uomo di buon gufto, e Lorenzo medefimo»
fenza fidarli della propria abilità dello ftudìo e delle fatiche durate per far
bene, ufarono , nel tempo che e' lo lavorava, d'introdurre, a vederlo e a
dire lor parere, quanti e foreftieri e Fiorentini gli davano alle mani, che
di tal profeffione punto intendeflero; arte, che rare volte è ufata anche
da coloro, che pure per ifearfezza di lor giudizio più d' ogiV altro farlo
dovrebbero: e quindi addiviene, che tanti pochi pervengono agli ultimi
legni d'eccellenza nelle profeflioni loro. Aveva io già fcritto fin cjuì,
quando mi venne fatto occhio il bel frammento di Manofcritto antico,
elìdente nella tanto rinomata Libreria del già Senator Carlo Strozzi, in cui
moke notizie fi danno di Filippo di Ser Brunellefco dal compilato!" di elfo»
che afferma aver Veduto e parlato al Brunellefco medefimo: e dove de i
modelli fattifi per le porte di San Giovanni egli ragiona, porta alcune
particolaritadi minute intorno al medefimo fuggetto , fiate notate 4a mfe
nella vita di eflTo Filippo: alle quali, oltre a quanto io ho detto qui, rimetto
per brevità e per maggiore informazione il mio Lettore. Fece dunque
Lorenzo la prima di effe porte, che fu pofta rincontro alla Canonica, che
coftòia.mila Fiorini, e pesò il metallo 34.mila libbre. Ineffa rapprefentò
in numero venti fpazj, dieci pe? parte, venti ftorìe del nuovo Teftamento»
A 3                                        dal-
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f Decenne della ParJdelSecJIL dal 1400.0/1410.
dail'iÀnnunziazione di Maria Vergine fino alla venuta dello Spirito Santo j
Hvotto vani fece i quattro Evangélifti» e i quattro Dottori della Chiefa .
^ei te%jo dell'ornamento*riquadrato fece una fregiatura di foglie d'ellera»
èd&Icre tramezzate di cornici, e fopra ogni cantonata accomodò una tetta
di mafchio o femmina, in figura di Profeti o Sibille. Finita quefta opera»
che gli diede gran fama, gli fu dagli uomini della medefiraa Arte derMer-
catanti fatttì? gettare di bronzo la figura del S- Gio: Badila, per uno de'pì-
h$H d'Or San Michele, di che io trovo un ricordo originale di fuamano
inimn fóbr^lifttitolatoposì;Giornale di Lorenzo di Cione di Ser Buonaccorfo
ita Firenzehref hi nei'quale ifiriverb ogni mia faccenda di giorno in giorno
, e
tpsiinfù effo farò ricordo d'ugni mia cofa, cominciando a dì primo di Maggio
^^ì«fegrimifA.
& >* .'?'}■■■ jb ^i*.;;—u^, •-.-
                    t>>U:^H<
t.on* ?^ fi)               ry^j4dìprimo £ Dicèmbre 1414* 1: ' n             :;; nr: -,i
Qui apprefio farò ricordo* dijciò, che io /penderò in gettare la figura di
8. Gio: Batìfla
. Tolfi a gettarla alle mie Jpefet fé effa non venife bene io mi
dovejji perder kjpefi : io la geitafftr e venìffe bene, mi rìmafi mll\Arte di Ca-
iìmalaìc§èi Confoli e gli Operai, che in quel tempo /uffòno, ùfaffòno in*
vèrfo di me quella difcrelione t che effi ufajfono in $an> altro maeilro
, per
cui effi mandavano
, che la getiajhriò .Adì d. comincerò a far ricordo; di tutte
le fpefe fi faranno nel getto. '
jÓal che ir compre fide, che trattandoli di gèt-
tare una {tatua di firaordinaria;grandezza, vollero i Fiorentini accertarli
di far bene; che però fecero Chiamare diverlì maeftri, come già avevan
fatto per lo lavoro della porta. GettolLa Lorenzo con gran felicità, e
già incominciò a ieoprire1 in eu% qualche fegno dell' ottima maniera mo-
dèrna, come quegli, che fu de' primi yche ufafTe ftudiare dalle fcultur®
Grechete Romane antiche, delle quali fece procaccio a buon gulto; tan-
to che alla Tua mòrte, ficcome noi abbiamo veduto da una nota origi-
nale di quei tempi, ne renarono agli eredi tante, e di bronzo e di mar-
mo, che furono allora filmate fopra 1500. fiorini d' oro. Trovano* le an-
tiche (crìtture, delle quali abbiamola parlato, iniìeme con quelle che ci-
teremo più avanti, appreflò a Criftofano Berardi, Avvocato del Collegio
de' Nobili, Gentiluomo, che al valor nell'arte fua ha congiunta varia e-
rudizione e rare altre qualità. Venne poi voglia a Lorenzo di provarla
operar di Mufaico, e nella ftefia loggia d'Or San Michele, fopra il luogo
appunto, dove era fiata collocata la ftatua del S. Gio: Batifta, fece la mez-
za figura dell' Apoftolo, che fino a oggi vi fi vede. Dipoi per Y Arte de'
Cambiatori gettò la betta fiatua del S. Matteo per 1' altro pilaftro d' Or
San Michele, incontro all'Arte della Lana, il quale pi lauro, come mottre-
leroo appreflb era fiato conceffo per avanti all' Arte de' Fornai, che ave-
vanlo domandato, per farvi collocare la figura, eh', e'difegnavano di fare
del Martire S. Lorenzo loro protettore. Ma perchè io non iftimo, che i
fatti, che occorfero al principio, ed accompagnarono poi il profegui-
mento di queir'opera, che in vero riufci bella oltre ogni credere ,liana
in tutto indegni di efìer faputi, rifolvo di notargli in quello luogo, tali
appunto» quali io medefimo gli ho riconofeiuti in un libro de' Confoli
di effa Arte dVCambiatori, fatto tenere appofta, il quale beniflimo con>
■:Ji                                               /.                                                     fer-
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;oi.|..YLORENZO GHWERTIi a*® f
fervato trovali oggi fra le antiche loro fqritture; tììà intitolato ilMbìm
nella efterior parte: Libro del Pilafiro della Figura di & *Mmeode/I'\ Ami
te:
e per entro nella prima carta è {eritto .• Ih queffo libro fi fcrìvèranm
tutte e ciafcuna dUìberagtoni, /?anzìamenti,>è<y'ctafbìòiè-'àlf#e co fé
» le quali
fi faranno intorno a fatti del Pilafiro,
Cominciò detto libro in tempo de-
gli apprefiò Confoli dell'Arte del Cambio per quattro mefi, cominciati^
dì primo di Maggio, XII. Indizione, 1419. Niccolò di SerFrefco>[#] Borghi,
Gherardo di France fico des Medici
> Giovanni di Carduccio di Cherichino ^Gio-
vanni di CMef. Lutei Guicciardini
; efifteme Camarlingo della detta Arpe pcp
lo tempo dì quattro mefi Fiero di Mef. Guido Tornimi*
> v
Aa% 19.Giugno deliberazione.                             ■<yv«&k
Che con tutti gli opportuni rimedj fi procacci dinanzi a\ Capitani d'Or tè
S» Michele, ovvero dinanzi da7 Signori e'Colleghi, d' avere il pilafiro i céè\
fu giudicato all' Arte de' Fornai, e che fia e pervenghi alla detta
\Arte>., ite
in cafo che s'abbi detto pila/lro, che per la detta cArte, fi faccia la figura
di 8* Matteo ApoBolo ed Evangeli'fia
, vero campione (b) della detta Arte,* è
faccifi dì "Bronzo, ovvero d' Ottone bellìffìma quanto pia fi puòfare
v ttsà-
E che fi chiamino quattro Artefici ed Arruoti della detta Arte in Operata
per Operai, i quali quattro infieme co' Confili della detta evèrte preferiti e
futuri
, e le due parte di loro abbino quella balìa , che tutta la detta Arte
in allogare la detta figura di S. Matteo al più valente mae/lro ci fia, efpen*
der quella quantità di danaro della detta Arte
, che occorreranno per detta
figura, e fuo ornamento
. / quattro Operai furono Niccolò di Giovanni del
^Sellacelo, Niccolò d'Agnolo Serragli, Giovanni di Mko Capponi
, Cofìmo #<
Giovanni de'Medici [cj*
                                  > ^ v^m - . ;
Fecer poi 19. Arruoti, che per brevità non fi notano:, e fpofero loro
inffanza alla Signoria nel tempo del Gonfaloniere Niccolò di Franca
Sacchetti, e de'Priori, Parigi di Tommafo Corbinelli, Lorenzo di Gio-
vanni Graffò, Giovanni di Filippo di Ghefe Legnajuolo, Domenico di
Jacopo Pieri Guidi Magnano, Dionifìo di Giovanni di Ser Nigi, Anto-
nio di Davanzato de' Davanzati, Frariceico di Domenico 1SIaldini, Lo»-
renzo di Mef. Ugo della Stufa; i quali a'22. di Giugno 1419. deliberaro^
no, che ftanrechè la detta Arte de' Fornai, alla quale;era ftato dato il"
Pilafìro, per farvi un S. Lorenzo Martire, Campione della detta Arte *
erapoveriflìma, ed i fuoi artefici pochi di numero e poveri affai , e che
né di prefente neper l'avvenire avrebber potuta far quella fpefa; quello lì
dovette concedere, e di confenfo de' medefimi Fornai conceflero ali' Uni-
verfità de' Cambiatori, per farvi Ja figura del S. Matteo.
A 21. di Luglio del eletto anno P Arte.-.de? Cambiatoriy cioè i Confoli
e Operai ragunati infieme fecero il partito, che doveflb procederfi alla,
allegagione della ffatua, con doverfene fare Scrittura, di lor mano fotto*.
fcritta.- ed alli 26. del fuffeguente mefe d'Agofto allogarono a Loren-
zo di Bartoluecio del Popolo di S. Ambrogio, e ne fecero la Scrittura
•■;» 'i>.'<rh '/?-:: -Mb ■v:
              A4 ;- *•■'!ti>\ii';*:\ V«t\i%*vv "•, deL \
[a] Frefcò , abbreviato di Prapcefco, donde il cafato de* Frefcobaldi* cioè da Frefco dì Baldo*
03 Gampione voce tifata già da" Duellìjlifper dìfenfore epatrino. [e] fu detto Pater rat*»
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% DecemJ.'dèlb'Pi^\hdélSecillLdal 1400. 0/1410.
Ilei tenore cKe fegue, tratto a parola a parola dal fuo originale, che pure
neifoprannotato libro appadfee• .
         »         /. I Li.:.            •:= sihn
i «&* ': ■ « v'», MCCCCXVÙll. Ind.xit.adizó Jg> *r *»W ì *.>'.\
_ ■-^■.- dqsB*i ili crtdìi '■;:.;-"fr> uj»i'ameJ»^^W^''' Vv-M.'-.tV'.'>.\-^ sn.'v :-?v vuoiti C ì\
Slaìmmìfefto a qualunque per fona vedrà o leggerà la pre/ente Scrittura
come ì è)bili uomini Niccolò di Ser Frefco Borghi, Averardo di Frati™
cefio* de' Medici, Giovanni de* Cherubini
> Giovanni di Mef, Luigi Guicciar-
dini Confoli della detta tArte del Cambio della Città di Firenze, &• i fa-
vi uomini Niccolò di Gioì del Bell'accio 9 Niccolòd'Agnolo Serragli'. G'm di
Marco Capponi, Cofimo dì Giovanni de' Medici, vu. Artefici, & Arroti, &_
Operai
,della.detta ìArte >. & li quali nobili, e quattro Artefici tArruoti
due Operài, e le parti di loro intorno atte infraferitte cofe anno quella àajìai
che tutta la d> Arie per vigore della deliberazione fatta pe' preferiti nobì lì
,
e dodici Artefici, $* Arroti della detta Arte Bati alcuna volta dell' Vficio
del Confilato della detta zArte fervale le dovute folennitadi, e mezzo fra
loro diligente e fécr et ofer minio, & ottenuto il partito a fava nera e bian~
€4, Signori miti ratinati .nella e afa della detta Ar te pe'fatti, e intorno a' fatti
del Tìlafira., e deUa\ nuova figura di S. Matteo, che vogliono fi faccia d'ot-
toni 0 bronzo neL'Pilafiro dì nuovo avuto e acquiflato per la detta Arte, ed
ogni' cofa, chedependeffe, da effi o da qualunque di laro feciono Ptnfrafcrit*
tu allegagione del detto PilaBra, e della detta figura di S. Matteo mezzo
ira loro diligente e Jegreto fquittìno , & ottenuto il partito a fava nera-&
Manca, alFinfrajcrino Lorenzo di Bartoiuccio del Popolo di S. ^Ambrogio
qui prefeme, volente, ricevente, e Stipulante per fé per gli fuoi eredi, e
con efio Lorenzo contraffondi, e formarono gì' infraferìtti patti modi <&*c. e
concordarono
                :;,/',.
- Jk prima il detto Lorenzo dì Bartoiuccio promefk, e per folenne fiipula.
zione convenne, a detti Confoli, e quattro Arruoli, & Operai fare la d~
figura di S. Matteo d' Ottone fine alla grandezza il meno, che è la figura
alprefente dì S. Gio',tBatifla dell' Arte de' Mercatanti, o maggiore quello
piàV'ìhe pareffi alla diferizione dì effo Lorenzo, che megli (lare debbi. Et
M détta figura fare d'un pezzo o~ di due, cioè per infido in due pezzi , in
qUeflo modo* cioè la teBa un pezzo, e tutto il re fio un altro pezzo, e che il
prezzo di tutta la detta figura colla bafa non pajjerà libbre
2500. compiuta
fitti pi la fi ro \
Et promette ne detti modi, e forma a detti Confoli, &* quattro Operai ,
& Arruoti dare dorata detta figura in tutto & in parte-, come par fa a
Confili, della-detta Arte prefentì, ie che peri lo tempo faranno, c& a detti
quattro Àrrotit, $* Operai , & alle due parti dì loro in concordia, & fi e
come per loro y^i per le due parti di loro farà provveduto, ordinato, $*
deliberato,
fiLioiago'.:;: ■
Ancora promeffè la detta figura lavorare, e lavorare fare per buoni » e
/ufficienti Mae/lri intendenti delle dette co fé, che del detto lavorio, & effo
proprio Lorenzo promìfe lavorare detta figura continuamente durante il tem-
po infitto eziandio in certo intervallo di tempo» e come parrà, e piacerà a
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LORENZO GHIBEUTI.             9
'Gonfili della detta Arte prefenù e futuri) e a detti quattro Arroti* o Ope*
raì, e alle due parti di loro, e detta figura promette dare, e aver dato com-
piuta, e poflaful pilafìro della detta Arte per di qui a tre anni cominciati a
di 16. di Lug. profi. paffatì , e fra
V detto tempo, e termine fulvo giujlo im-
pedimento, il quale chiarire fi debbi > e poffi pé1 Confoli della detta Arte, che
faranno, e pe'dd. Operai, e per le due parti di loro.
Ancora difie, e promife il d. Lorenzo a detti Confoli, e à detti quattro
Arroti* e Operai* fé volere* e avere, e ricevere per fuo falaro, e rimane*
razione, e mercedi della fuà fatica t e di detti maefiri della detta figura
/>o-
/lafuipilajlro, quello il quale, come e in quel modofia deliberato pe Confolk
della detta Arte prefenti > e che per lo tempo faranno, e detti quattro Arruo-
ti , e Operai
, e per le due parti di loro una volta, e più, e promife non
pure in fuo beneficio quello che abbi avuto Fanno dell'Arte de1 Mercatanti
per fuo Jalaro, rimunerazione, e fatica della figura di S. Giovanni per lui
fatta alla detta cArte, ne ninna altra coja aveffe avaro da per fona nìuna;
ma folamente fono contento per mio fàlaro, e de* detti maefiri avere foto-
mente quella quantità di danari, e quella prezzo, come e in che modo farà
una volta, e pia
, proveduto, deliberato pe Confoli della detta Arte pref enti, e
che per lo tempo faranno
» e per li detti quattro Operai, e per le due par*
ti de*, detti Confoli, e quattro Operai,
Dall'altra parte i detti Confoli e Operai in nome della detta Arte prò-
mifono al detto Lorenzo qui prefente dare a tempi debiti, quando detto Lo-
renzo ne farà cbìetfa, terra, ferramenti per armare la detta figura, cera,
ottone, carboni, legne, <&• altre co/e occorrenti, e ne e e (far ie alla detta figv^
ra, e dargli eziandio fral detto tempo dì per dì quella quantità di danari
alla diferizione de* prefenù o futuri Confoli della detta Arte, e di quattro
Operai o alle due pani di loro.
Che fopra dette cofe promife fruna parte all' altra ne' detti modi e formfc
avere ferme, e rate
, e non contraffare o vero venire fiotto la pena di fiorini
500. d'oro con rifacimento di danno, e fpefa, la quale pena commejfa o no,nh
emedìmeno tutte le predette cofe fieno ferme > e rate, e rinunziorono ad
ogni beneficio in qualunque modo fi chiami, che per loro facejfi E per ciò ofi-
fervare i detti Confoli, e Proveditori obrigorom al detto Lorenzo la detta
Arte
, e i fuoi beni prefentì, e futuri, e il detto Lorenzo la detta ^Arte* e
ifuoi beni pref enti, e futuri, e il detto Lorenzo obrigo a detti Con/olì, e quat-
tro Arroti, e Operai qui prefentì, e per la detta Arte ricevati, fé e fuoi ere-
dì e beni prefemi e futuri, e eziandio il detto Lorenzo fi' fot t omette alla det-
ta Arte
, e ad ogni multa, condannatone, deliheragìone, e fentenza fi faranno^
una volta, e più pe* Confoli della detta Arte prefinti o futuri, e per detti
quattro Operai, e per le due parti di loro del detto Lorenzo per non ofierva-
re, e mandare ad execuzìone le cofe fopraddette in tutto o in parte
fo Gìq: di Calduccio di Chericbino uno de* fopra detti Confoli allogatore
predetto fon contento alla detta Scrittura, e prometto, e obligomi come di fo-
pra fi contiene, e per chiarezza di ciò ho fatta queffa foferizione di mìa pro-
pria mano foprad. dì, anno e me fé.
Jo Niccolò di $er Frefco Borghi uno de* foprad. Confoli ahgatore predetta
fono
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io Decenti.L della ParJ. del Sec. 111. dal 1400. aitato]
fono contento alla detta Scritturai e prometto» e obiigomi come dì. foprò fi Con-
tiene, e per chiarezza di ciò ho fatta queBa fofcrizìone di mìa propria mano
foprad. dì, e anno, e mefe.
                K
$o Giovanni dì Mefi Litigi Guicciardini fui prefente              afopradetti
patti come di fopra fi contiene, e però mi fono fitto feri tso di mia propria
mano anno, e mefe, e dì detto,
fa Averardo di Francefco M ^Medici uno de' detti Confoli alogatore predet*
io fon contento alla detta Scrittura di fopra fritta, e prometto, e obiigomi co»
Pie di fopra fi contiene, e per chiarezza di ciò mi fono fofcritto dì mia prò-
pria mano anno, e di, e mefe fopr•addetti.
Jo Niccolò di Gioì del 2eBaccio uno de'detti Operai fono contento alla detta
Scrittura, e obiigomi, e prometto come di fopra fi contiene, e però mi fono fo-
fcritto di mia propria mano, e dì detto dì fopra.
Jo Gioì dì rftiico Capponi uno dt detti Operai fono contento alla fopra Scrit-
tura, e obrigomì, e prometto come di fopra fi contiene, e però mi fono fofcrit-
to di mia propria mano anno, e dì detto di fopra.
Jo Cofimo di Gio: de' Medici uno de* detti Operai fono contento alla detta
Scrittura, e obrigomì, e prometto come di fopra fi contiene, e però mi fono fo-
fcritto di mia propria mano anno, e dì come di fopra*
Jo Niccolò d' Angniolo Serragli uno de' detti fono contemo alla detta Scrit-
tura, e obrigomì, e prometto come dì fopra fi contiene, e operò mi fono fo-
fcritto di mia propria mano anno e dì detto di fopra.
Jo Lorenzo di Bartuluccio orafo condottore foprad. fon contento alla detta
ifcritura, e prometto, e obiigomi come di fopra fi contiene, e per chiarezza
di ciò mi fono fofcritto di mia propria mano anno, e mefe
, e dì detto di fopra,
fn Stefano di Ser Naldo Notajo della detta e^Arte feci la detta Scriptura
di volontà de' detti Confoli, e de' detti quattro Operai, e del detto Lorenzo
di Bartoluccio, e per chiarezza di ciò mi fono fofcritto di mia mano detto dì »
anno, e mefe,
Jo Michele dì francefco Notajo Fiorentino fu'prefente alia detta allegagio-
ne, e ciò che in effafi contiene, e a fede di ciò dì volontà delle dette partì
mi fono fofcritto dì mia propria mano, anno,me fé, e dì fopr addetto.
Jo 'Piero di Gio: Vajajo fu prefente alla detta allogagìone> e acciò che in
effafi contiene > e a fede di ciò di volontà delle parti mi fono fofcritto di mia
propria mano, anno, e mefe, e dì detto di fopra.
Ma prima di tornare a parlare dell' altre opere di Lorenzo, è da fa-
perfi,come avendo la detta Arte fomminiftrato a Lorenzo più fomme per
Io neceffario ammannimento di legname, ferro, terra, cimatura, cera, e:
opere d'uomini per bifognodel modello, e fatto pagare dal camarlingo
Lapo di Biagio Vefpnggi a Gio: di Bicci de'MediciJiorini d'oro dugento
novantafei per libbre tremila di rame fatto condurre da Venezia, corren-
do l'anno 1421. ed il giorno i6\ di Luglio comparve il Ghibertì, e dille,
che effondo il getto della figura riufcito difettolb, faceva di meftieri tor-
nare a gettarla, offerendoci il tutto fare a proprie fpefe :e a tale effetto
furongli accomodati 30. fiorini. Fu poi importo un dazio di 200. fiorini,
Che fervir doveffero per dare fpaccio, come fu detto nella deliberazione,
t                                                                                         a detta
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LORENZO GHIZERTI.          u
a detta figura, cioè nettarla, pulirla, governarla, e metterla fui pilaftro ,"
eziandio per adornare il Tabernacolo di dentro e di fuori di marmi. "Nel
mefe di Maggio 1422. deliberarono, che Jacopo di Corfo»e Gio; di Nic-
colò, compagni laitrajuoli,faceilero il Tabernacolo, col dileguo di Lo^
renzo, e con premerla di 75. fiorini d'oro, e più d' una lapida di marmo
di grandezza di braccia 4. in circa: e trovali notato effer feguita tale deli-?
berazione nella Cafa della detta Arte, pofta in Firenze nel Popolo di
S. Andrea Finalmente il giorno de' 17. Dicembre dello ftefib anno ftan-
ziarono a Lorenzo di Bartoluccio fiorini 650. d'oro, come diflero per fuo
falario della figura di Bronzo per lui fatta, con quello eh'e' doverle ad
ogni fue fpefe rifare di nuovo la bafe, in modo che fterle bene, e gover-
nare detta figura in maniera, che non poterle eflere gittata in terra dalle
manovelle, e che rifedefie bene nel Tabernacolo.
Ma tempo è ormai di ripigliare il filo dell'Iftoria, e parlare delle altre
opere di quello grande artefice, colle quali egli abbellì non poco la
patria noftra, ed accrebbe a le fieno gloria immortale. Fece egli dun-
que anche 1' altra bella figura di Bronzo del S. Stefano per P Arte
della Lana, che fu collocato nell'ultimo Filali ro .- e altre beUiflìme
cole condurle circa a quelli medefimi tempi , d' oro e d' argento *
ed orificeria , nella quale fu fingolariffimo, come appreffò diremo,
feguendo in ciò quanto ne lafciò icntto il Vafari co' feguenti periodi.
Mentre che t opere di Lorenzo ogni giorno accrefeevan fama al nome
fuo
, lavorando e fervendo infinite perfine, cosi in lavori di metallo, fo-
fne a" argento e oro ; capitò nelle mani a Giovanni , figliuolo di Co/imo
de' Medici
, una cornjuola affai grande, dentrovi lavorato d' intaglio in ca-
vo
, quando Apollo fa feorticare t'Marfia', la quale fecondochè fi dice > Jervis
va già a Nerone Imperatore per fuggeìlo
. Ed efendo pe H pezzo della pie'
tra
, eti era pur grande , e per la maraviglia dell' intaglio in cavo > cofa
rara ; Giovanni la diede a Lorenzo, che gli facejje intorno d' oro un orna*
mento intagliato
: ed efio penatovi molti me/i, lo finì del tutto ; facendo
un opera non men bella $ intaglio a torno a quella
» che fi fuffe la bontà
e perfezione del cavo in quella pietra : la quale opera ju cagione
, cV e-
gli a" oro e d* argento lavoraffe molte altre cofe, che oggi non fi ritrova*
no : Fece d'oro medefimamente a Papa Martino un bottone, che egli tene"
va nel piviale
, con figure tonde di rilievo: e fra effe, gioje di grandijfima
prezzo; cofa molto eccellente: e così una Miiera maravigliofijfima di foglia-
mi d' oro flraforati , e fra e(fi molte figure piccole, tutte tonde
, che furon
tenute belliffime: e ne acquieto, oltre al nome, utilità grande dalla liberalità di
quel Pontefice
.
Era 1* anno 1436 quando al noftro virtuofo Artefice fi prefentò occa-
fione, non pure d'efercitare fuo talento, fempre curiofo d'inveftigare nuo-
ve e utilifiìme cofe, appartenenti alle noftre arti; ma eziandio nelcrefee-
re a fé ftelTo,ed all' ingegno fuo fempre maggiore rinomanza e fama : e fu
quella d'un nobile penfiero, venuto già da qualche tempo avanti agli Ope-
rai della Metropolitana Bafilica,di procurare (giacché la maravigliofa fabbri-
ca della Cupola eia già, condotta al fuo fine) che con nobile magiiterodi
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12 - Decem.L della Par.l. del Sedila al 1400. olialo,
quella Corta di pittura» che dicefi Mufaico di vetri colorati, con più facre
ìitorie, da uomini di primo fapere, gli occhi dei tamburo della medefima
fi iavorafFero, ficcarne altre fineftrepure dell* iftefla Chiefa : e rifletten-
do all' eccedente quantità de' vetri, che d' ottima maeftranza lavorati,
richiedevanfi per opera sì valla, avendo avuto feritore d* un tale uomo
di quelle noftre parti.abitante nella città di Lubeco nell'Alemagna baf-
fa, il pili (ingoiare maeftro, che in ù fatta facoltà fìfapefle effere ak m'on-
do-, nel giorno de' 15. di Ottobre di detto anno deliberarono di richia-
marlo a quefta fua patria, con tutta fua famiglia , per qua efercitare fua
profeflione in fervizio della medefima.- il che fatto, e dopo avere avuto
qua il maeftro, furono al noftro Lorenzo Ghiberti allogate tutte l'iftorie
in vetro degli occhi di efib tamburo, un folo meno, che volle fare Dona-
tello.- e fu quello, dove fi vede l'incoronazione di Maria tèmpre Vergi-
ne Signora noftra. Fu anche allo fteflb Lorenzo data l'incumbenza di fa-
re li tré occhi, che fono (opra le tre porte principali della Chiela, con
tutti quegli delle cappelle e delle tribune; ficco me ebbe anche a farei
il grande occhio della facciata dinanzi della chiefa di S. Croce: e per la
cappella maggiore della Pieve d'Arezzo ebbe a far pure una bella e gran-?
de fineftra, lìccome per altri luoghi ancora» opere di sì fatto magiftero
ebbe a condurre. IlVafari, che non ebbe cognizione delia venuta qua,
per ordine degli Operai di S, Maria del Fiore, del foprannominato mae-
ftro di vetri, {blamente per l'effetto di farfi i detti lavori, sbagliò, .menw
tre dirle, ch'e'fulìer fatti di vetri di Venezia, e che però riuscirono al-
quanto fcuri. Ma perchè ci conviene far conftare con chiarezza di tale
errore; e anche perchè tale notizia ci è coftata molto di fatica, prima dì
ritrovarla, con ricerca de' più antichi libri dell' Opera.- e perchè ella non
lafcia di dare lumi di noftre nobili famiglie, e di bellifhme avvertenze
avutefi in tale affare da i noftri padri, le quali poflbno in ogni tempo fer-
vire di efemplo per limili cali,- non ho voluto che mi rìncrefca il co-
piarla in quello luogo, ed è la feguente.
Dal Libro di Deliberazioni de* Signori Operai B. 1436. a e. 8.
[1] In 'Dei Nomine*Amen» Anno Domìni abejia fulutifera Incar. 1436. Ind,
xv. in die i<>, Menfis Qftobris a&um in civuate Fiorenti^ in Opera S. M. del
Fiore, prusfentib, tefiib. ad injrafcritta omnia & fingala vocatis ,habitist fy*
rogatis, Gualterotto facobi de Riccialbanis
, & Ser Filippo Niccolai Naccii ci-
vibus Florentinis. Nobiles ae prudemes viri Niccolaus Vghonis de Alexandria,
Donatus Mkbaeìis de VelltttJs, Franafeus 'Benedici Caroccii de Strozis, Be-
nedì&ùs J$i de Cicciaporcis, & Nicolatts Caroli de Macignis
, Operarti Opene
S* M. del Fiore de Florenzia exifientes coUegialiter congregati in Opera pr<£»
di ola in loco eorum foli t a Refluenti <£
, prò fa£Hs ditìae Opera ut ili ter pera-
gendis tajfente tamen Alamanno Michaelis de Albizis eorum in dt Offizìo collega,
Confiderantes eqiiidem prefati Operarli novum edifizium Qattedralis Eccle-
Jttf Fiorentina adoptatumfinemfu<e babitationis fore deduclum, &' ob id fore
■              '                         '             ......!»'                " 1 '» I «        111 .IlllJIII. "——^—* Il 1 ■            I li li 1' 1                .....-— |        1                      , _-|------                                 ' -
[a] In margine del libro il IzggQiGotiduiIio Francìfci Dominici Livi de Gambajfo^qui habi-
tat ìnCivitateLnbìcht^adfaQiendum vitreos profen?ftrÌs & qcuIìs^j aliis laboreriìs Opera.
-ocr page 20-
LORENZO GHISERT1.           i3
vecefiàrium oculos & feneflras ìpfius Ecclefìa decoravi variis vitreis , variti
Boriis piclurarum, ut decet tam inclita Matrici Ecclefia, ob quam rem pre-
fatant magnìficam Ecclefiam indigere maxima ac infinita copia ipforum vi-
treorum, qua fine longevo tempore, ac innumerabili fumptu pecunia vix ha~
beri pofiet * & attendentes quod eorum in ojfich precejjhres jamfunt tres an-
ni & ultra fcrlpfijfe in partlbus Alamanla flaffà in Civitate nominata Lubi-
cbi cuidam famofiffimo viro nomine FraneIJco Dominici Livi de Gambajfo co*
vii tatuiFlorentla, màgiflroinomni $• quocumque genere vi tr eorum de Mu-
falco, & de quodamalio colore vitr eorum qui in d. civitate , a tempore fìié
pueritia cìtra familiari ter habìtavlt ac habitat, et in dlclo loco d, artem addi-
dicit , exercuit , & exercet, eundem Francifcum deprecando ad Civita tem Ffà*
renila accedere deberet, ad habitandum familiariter, $* in ea artem prafa-
tam j'adendo, e idem pollìcendo, quod [ibi expenfas itineris per eum fiendas re*
farcirent, & in dicla civitate Fio renila in laboreriis diBa Opera toto tempo-
re fua vita eidem continuum tic firmum ìnviamentum exhlberene, ita, <&ta-
l'iter quod ipfe una ami ftta familia vlttum & veslìtum In pr afata civitate
erogare pofiet
, ér intelletto, quod dfólus Franclfcus talìbus promiffionlbus mo-
tus accefjit ad civìtatem Florentla ad intendendum, é* examinandum cum èo-
rum offitio pradlBas promiffiones
, $* ad alia faclendum in pradiBis oportuna»
prò mandando executioni intentionem eorum offitii,acetiamfde babita a quam*
plurlbus perfonis fide dlgnls, prafatum Francifcum in pradiclis artibus fon
peritiffimum, & e fami nato, quod pradi eia omnia non folum re/ultant diBa
Opera, fed etiam toti e ivi tati Florentla honorem, utile, ac famam perpe-
tuavi, voi e ntefq uè igltur pvadi&i Operarli, ut pradlBa omnia forttantur ef-
feclum prò evidenti militate & honore dlcla Opera, & totius civitatis Flo-
rentla, fervatis in pradiclis omnibus Ut, qua requlrumur
» fecundum for-
mam jìatutorum
, & ordinamentorum Comunis Florentla» & dicla Opera,
dato
, mifjo, fallo, & celebrato inter ipfos omnes fecreto fcrutìneo adfaba:
nlgras & alias
» & ottento partii nemine eorum dlfcr epanie, de cmfenfu &
voiuntate ditti Francifci prafentis, &* infrafcrìptis omnibus Confenfutn dan-
tis & praBantls, ddiberaverunt
, jhtuerunt , firmaverunt, ac creaverunt
tnfrafcrtpta patla <fe* capi tuia, cum conditionìbus & modificationihus infra-
fcrìptis , vi de ile et
.
In primis advertentes diali Operarli dicium Francifcum in itinere per eum
fiiclo de crollate Lubicbi ad Civita tem Florentia, prò trattando cum eorum of-
fitio pradi eia omnia fuperius narrata, a latronlbus & ruBorlbus firatàmm
jtiljje omnibus fuis bonls fpollatum ac privaium qua fecum ferebat, prò de-
monflrando fuam artem d. eorum offitio ; quod pr afati Operarti teneantut &
bbligatifint de pecunia dlcla Opera prò omni damno eidem illato, & prò qui-
bufeumque expenfis per eum faclis &fiendì$ in d. itinere, & prò condu-
cendo IHorentiam fuam famlliam, & omniaJuà bona io dlcla Civitate Lubicbi
fid prefens exislentla, dare, polvere, ac enumerare eidem Francifco in totum
fflorenos ami
j oo. infrafcrìptis terminis vid. ad prefens fl.auri 20. & refiduum
ufque in dlclam quanthatem fi. attri
loo. slatim posi quam diclus Francifcus
cum tota fua familìa, & omnibus fuis bonìs fuertt Florentiam reverfus, &*
dederit principium in d. cimate Fiorenti^ dlcla fua arti, de qua quidem
quan~
-ocr page 21-
14 DecennJJeltaParJ.delSec.lll dal ! 400.*?/141 ò.
quanti tate fi. io. primo, & ante omnia quam fiat folmio dittus Francifcuì
teneatur & debeat dare & prafiare ditta Opera idoneum fidejujjbrem de
redelindo Floremiam cum tota fua familia, & cum omnibus fuis bonis, &*
dare principini ditta fu^ arti falvo, & excepto , quod fi cafus mortis eidem
accideret, quod abfit, ditta Opera amlttat , <&* perdat ,& perdere teneatur,
& debeat dittam quanti totem fi. io. & fidejuffòr a ditta fideju/fione fi. io.
fit llberatus, &c.
ltem teneantur & debeant ac oblìgatì fint prafati Operarli expenfis ditta
Opera toto tempore fua vita, &* fuoruni filiorum dare, & confignare eidem
Francifco in ditta cimate Florentia in loco idoneo prò exercendo dittum fuam
artem unam domum, in qua dittus Francifcus poffit ipfe cum tota fua familia
idonee, ut decetfimili magiftro, habìtare & fi are > & in ea facere duas for>
tiaces attas & condecentes fua arti.
ltem teneantur &* debeant & oblìgatì fint praditti Operarli de pecunia
ditta Opera prò provvifione ipftus Francifci dare, &* folvere eidem Francifc$
de ceni anni s contìnui s, ìnitiandis die , qua fuerit Florentiam cum tot a fua
familia & omnibus fuis bonis reverfus, & ine e perì t in ditta civitate Fior,
laborare
, facere, & exercere in exercitiis ditta fua artis, & ad inftantiam
prafate Òpere, anno quolibet durante tempore dd.
X, annorum fi. attrì 40. fa*
ciendo eidem folutìonem prò rata ditta quantitatis fi.
40, de quadrìmeflri in
quadrìmefire
.
Itetn teneantur & oblìgatì fint ditti Operarli exptnfis ditta Opera in fu*
turum fé ficiuros, & curaturos, & facere,
$* curare ita & tali ter cum
effettu quod per confili a opportuna populì <&* ComunisFior'ernia d. Francifcus*
& ejus filìi, & eorum bona toto tempore eorum vitg impetraverìnt a populo
$* Comuni Florentia exentionem $* immunitatem ab omnibus & fingulis
onerlbus & fationibus Communi s Fltrentia,tam re al/bus, quam perfonalibus,
fò* mìxtìs, & tam ordinariìs, quam extraordinariis, & tam in civitate, quam
in comi tatù & diflrittu Fior entia,excepto quam a gabelli s ordinarli s Comu-
nis Fiorenti a, ac etìam impetraverint, quod dittus Francifcus, ac ejus familia
habtterh Civilitatem &* immunitatem faciendi unam $* plures fornaces
fua artis.
ltem teneantur <&* debeant fy* oblìgatì firn dd. Operarti fé fatturos $*
curaturos, & facere $* curare ita &* tali ter , quod nulla ars ex
21. Arti-
bus Civitatis Florentia ìnfeflabit, <&* dabit eidem Francifco aliquam noxìam,
vel moleftiam, prò /adendo & exercendo in ditta civitate Florentia d- Artem.
. Qua omnia, & lingula fupraferipta fecerunt» firmaverunt, dellberaverunt,
promiferunt, & obligaverunt prefati Operarli, cum bac efeetione & modifi-
cai ione vid. quod dióìus Francifcus, & ejus filli, <&* omnesfui dì/àpuli,

ovines cum ejus induHrìa laborantes tenantur , $* debeant , & ohligati fint
laborare, & laborari facere ad requifitìonem, & inflantiam ditta Opera, <fe*
eorum offiziì prò tempore exiftenti in ditta civitate Florentia omne genus Mis-
fatti
, e£° vi tr eorum coloratorum,quo, & quibus Opera, & ejus Operarli indi-
gerent prò edifit'tis Catte dralis Ecclefia Fiorentinaita cty tali ter, quodOpe'
ra pr aditta primo & ante omnia fuumfortiatur effe cium, <&* prò eopretio,
quod con/labtt, & veniet d. Francifco
,. & fuis laborantìlms in eo computando
indù-
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LORENZO GHIVERTI.           ic
induflriam ipforum, & pr•olilopluri & major iprettodeclarabiturper offitium
ipforum Operariorum prò tempore efìBentium in eorum difcretione prxdicla
remittendo, & b#c pacifcentes filemniter ditti Operarti pròfé, & fuìs fuc-
cefioribus, & diclus Francìfcm infimul & viciffim, in quantum di Bus Fran*
c/fcus & ejus fumilia in aliquo predi fior um difi&Operx non defecerint*
Venuto a Firenze Papa Eugenio IV. per caufa del Concilio, in cui fu
unica la Chiefa Greca colla Latina, ebbe a fare per elfo Pontefice molte
belle cole, delle quali fu riccamente ricompenfato . Intanto effendo fia-
te date gran lodi, in Italiae fuori, alla cjttà di Firenze per la*bella ope-
ra ch'ella aveva efpofto al pubblico della Porta di S. Giovanni, delibe-
rarono quelli della lleila Arte de'Mercatanti, che e'gettarle la terza Por-
ta. Quella fu da Lorenzo fpartita in dieci quadri, cinque per parte, ne'
quali rapprefencò Storie del Vecchio Testamento , la creazione d'Ada-
mo ed Eva, la tranfgredìone del precetto, la cacciata del Paradifo,con
altre, che io lafcio per brevità, per effere {late da altri deferitte. Ed in
vero, che quello Artefice crefeiuto e d' animo e di iludj, fi morirò in
quell'opera di gran lunga luperiore non folo a fé (leffo, ma a quanti mai
aveffero operato per molti fecali fino al fuo tempo: e dove le figure
della prima Porta, ed anche la flatua del S. Gio; Batifla dimoftravano di
ritenere un non fo che dell' antico modo d'operare Gottefco , quefta
riufrì della più maravigiiofa maniera , che mai immaginar fi polla,- onde
gli uomini dell' Arte fecero tor via la porta di mezzo, fatta già da An-
drea Pilano, ed in fuo luogo porre quella di Lorenzo, e quella d' An-
drea fecero lltuare rimpetto alla Mifericordia. Le lodi, che furono date
a Lorenzo per quefì' opera veramente maravigiiofa,non lì poffonorappre-
fentare: ballerà folo il dire, che fermatoli un giorno ad olìervare quelle
belle porte Michelagnolo Baonarruoti,nchiello del fuo parere, ebbe adi-
re: elle fon tanto belle, eh'elle IWebbon bene alle porte del Paradifo.
Impiegò il Ghiberti in tuttedue quelle porte lo fpazio di40,anni incir-
ca : e fu ajutato a rinettarle e pulirle da molti allora giovani, che tutti
poi fecero grandiffima riufeita nell' arte di Pittura e Scultura. Tali fu-
rono il BrunelIefco,Mafolino, che poi fotto lo Hello Gherardo Stamina»
flato maellro di Lorenzo, attefe alla Pittura, Niccolò Lamberti, Parri Spi-
nelli, Antonio Filareto, Paolo Uccello , e Antonio del Pollajuolo,allora
fauciulietto . Circa il luogo ,dove furono quelle porte lavorate, il Vafari
dice quelle parole: Dopo fatta e fé ce a la forma con ogni diligenza in una
Jianza, eòe aveva compero dirimpetto a S. Ilaria Nuova, dove e oggi lo Spe-
dale de\ Te [fuori
, che fi chiama V Aja, fece una fornace grandiffima, la quale
mi ricordo aver veduto, e gettò di metallo il d'etto telajo;
fin qui il Vafari.
Ma io mi perfuado, che non difpiacerà al Lettote 1' avere dello Hello luo-
go e fuoi annerii una più minuta detenzione, che trovo fatta in uno
finimento, rogato da Ser Matteo di Domenico Zafferani alli 12. di Mag-
gio 1445. cioè.- Domina JMaritana, filìa olim Tal dì Ricchi 'laidi , & uxor
Michasits Jacobi Vanni Cittadini Setaioli pp. S. Margherite vendidit ven. vi-
ro presbitero Andra de Simonis, Recioti & Hofpitalario Bofpìtalis S, Marie
ÌSovede Florentia ,umm Dovwm cum volta, terreno
, cucina, putco.falis, ca-
rne-
-ocr page 23-
16 Decenni, della Par. IdelStc. IIL dal 1400.0/1410.
meris, & alìis. edifici $ ad d. domum peninenf. pofit. inpp. S, Micb#elis Vice-
dominorum in via de Santo Egidio, cui a p. di eia vìa* a
2. bona dicli Bofpitalis,
a
3.C4, bonus & area, ubi fabbricantur $amtfi S. Jobannis %apt. de Fio-
rentia, prò pretto fior, ducentorum fexaginta ami, quamDomumd. Vendi trix
affermi emijje anno
1438. # Domina 'Piera Viduafiliaq. Lapi Francifci Cburfi,
<2§* ttxore olim Bartoli Laurentii Crejcì Tintoris , &c. E* anche fatta
menzione, di quello luogo neh' originale finimento di Lodo [a\ fra
Vettorio e i figli foprammentovato . Qttedam Domus , feu apotbeca,
Jìve quaduVi Cafolaria cum hortis, curiis ,' <& portiebis
', é* puteo , $*
[ala, &> cimmeris , & habitationìbus , & edificus, ad qua babetur in-
tfoitus, fy> aditus
, & exitus in via, & per viam & (Mari& Nova de
Fkrentia, fic vulganter denominata per ofiium , <& anditum ad diclam
».
<$$* in di eia via refpondentem, &c. cui, $* qui bus boriti pradìclis, a pri-
mo diclavia>a z. bona Bofpitalis S, Maria Nova de Fior ernia, a
3. Società*
tis S. Zenobii, <&* feu della Compagnia delle laudi, a
4. bona dicli Bofpitalis
S. Maria Nova de Florentia, infra pradiflos confims , vel alias fi quiforent
ffarei aut ^eriores, in quìbus apotbeca
, & porticis, c^ habitationìbus, $*
cippo bonorum prediclorum fiter uni
, ut vulgo dicitur olim in vita M> d*
Laurentii patris dicli Victorti* lavorate le porte di S. Gio: di Firenze*
Circa al tempo de i 40. anni, che impiegò il Ghiberti in far il lavoro
delle porte, dirle bene il Vafari, che ne diede tal notizia ; perchè s' è trova-
to in un libro di Ser Noferi di Ser Paolo Nemi Notajo de'Signori appo
agli eredi del già Stefano Nemi, che in dì. 7, di Gennajo 1407. fu con-
cefTa licenza a Lorenzo Ghiberti, maeftro, ed a Bandino di Stefano, Bar*
tolo di Michele» Antonio diTommalo, Mafo, Criftofano, Gota di Do-
menico di Gio: e Barnaba di Francefco tutti lavoranti nel lavoro delle,
porte di S. Gio? di potere andare per Firenze per tutte l'ore della not>
te,, ma però con lume aceefo e patente. E moftra 1' altro citato ftrumen*
to, che Tanno 1445. ancora fi fabbricavano le porte . NobìHiiìme furo-
no le ricorri penfe» che a Lorenzo diedero per tali opere i fuoi cittadi-
ni; bene è vero, che il Vafari anche in quello particulare piglia un er-
rore dì gran confiderazione» dicendo, che gli forfè dalla Signoria,oltre il
pagamento donato,un buon podere, vicino alla Badia di Settimo; per^
che quello podere non gli fu altrimenti donato dalla Signoria, malqcom*'
però egli co* proprj danari dalla famiglia de' Biliotti; e perchè la noti-*
zia, che a me di ciò è venuta, oltre alla verità de' tempi, ha in fé affai
belle memorie di nomi di quella e d'altre nobili caie, e per altre ragio-
ni, penfo, che non fia per efier del tutto inutile il portarla in quefto luo-.
go per appunto, come l'ho letta dalla fcrittura di mano dello fìedò Lo-
renzo Ghiberti in un fuo libro intitolato, come dirò appreflb, efiftente
pure in Cafa il nominato Criftofano Berardi : QueBo libro è di Lorenzo di
Ciane di Ser Buovaccorfà
, detto Lorenzo di *B artol uccio y maeBro delle
porte di S. Gio: In quefio libro ifcriverò tutte le Jpefe
, che io farò nel
Podere dì Settimo in muraret e inaccrefeere detta Poffeffìone, e comincerà dK
di
[a] $.Qtt. 149Ó. Ser Agnolo di Ser Alejfandro da Cafcefe,
-ocr page 24-
LORENZO GHIBERTl.             17
dì/opta %6- & Aprile in aumento-, e fortificazione, e bellezza di detta poffef
fave * al nome d* Iddio
» e chìamafi libro di Ricordanze fegnato A.
"T
                           MCCCCXXXXL a dì \%. di Genn.
Adì ti * di Genn. al nome d1 Iddio portò Dom. di Frane, di Simone da San
Cafciano
» chiamato Capello fenfiale, fior. i. largo per lo danajo di.... .per at-
ra di detta pojfeffione, e detto dì ficonchiufe d. mercato. Ebbe detto lìr* l.foldi $*
La carta di d. pojj'ejjtone fi fece adì
5- di Genn. per Ser Jacopo ùalveflri Notajo
Fiorentino* del Popolo di San Procolo di Firenze
.
Adi7. di Dicembre 1441.fi pofe in fui "Banco di Bono per detta cagione, a
petizione di BiUottoe di Sandro 'Biliotti fuo conforto, sì veramente che l detta
BMotto di detto denajo non movefie ftnza la volontà dì detto Sandro di Gio-
vanni 'Biliotti* e fé ne facefie la volontà di Madonna Lotta, Donna che fu di
Mefs. Bandino Panciatichi : la quale juddetta pojjejjione per ^Biliotto Biliotti
ancora obbligo el detto Biliotto* come fi contiene nella cartola detta della ma-
dre , la quale non ri tra fé mai de' beni che Inficiò Sandro Juo Padre
, la qual
madre di Biliotto fu figlia di Me fi Tommaso Soder ini, come ere da della madre*
foÀ detta poffèffione inJaddetta dota* che fu fiorini
1000. e fu la prima don-
na, che ebbe Sandro dì Biliotto fuo Padre* il quale ebbe due donne: la fecon-
da fu donna di Gentile Bifdomini, e riebbe la dota fua, e rima/è di d. don-
na un figliuolo del detto Sandro, il quale quello che gli toccava non trofie prima
,
Seguono in effo libro parti te di pagamenti in fui banco di Bono diGio.Boai.
'Pofefi Adì 5. ovvero adi 7. di Dicembre1441 .fiorini 120, — fior. 11 o.
E Adì 1$. Dicembre fior* 47. d. furono di piccioli di moneta— fior. 47.
E Adì %6. dì Gemi. fior. 76. e di          »-----------«-----           fior. 76:
E detti fiorini fi pagarono per detto Banco di Bono di Gioì Boni
banchiere al quaderno fegnato N. a
23.fior. 243,
Ebbe il detto Biliotto dal Camarlingo di S Liperata, il qual Ca-
marlingo fu Lorenzo di Crefci, e da d. Camarlingo fior- So. d. t
quali ebbe adì primo di Gennajo 1441. ~~------------— fior. $o»
Ebbe per me in più partite da Cappello Senfale fior. 6 d. —fior. 6.
Ebbe da me d. Biliotto di Sandro di Biliotto Biliotti fior.
5. in
grojfi a di 8. Genn. pagai tutta la gabella di mio --------- fior.
Anno avuto per retto dì detto pagamento da Niccolai Camarlingo
dell'Opera di S. Liperata adi
20. a" Aprile 1441. fior. 5$. d.i
quali apparifeono al Quad, di Niccolajo Biliotti a 54-----fior. $5.
Somma fior. 3 60.
Fé cene carta, come è d. di fopra Ser Jacopo Salvefiri adì
5, Gen. 1441.
il quale podere è nel Popolo della Pieve di S. Giuliano a Settimo, e fofli
intorno intorno a cafa da Signore, e due e afe da lavoratori, e una torre in
mezzo ..
Adì 24. d* Qttob.fipagò Vettorio la gabella fior. 20. in quefto a 46. come Bi-
liotto Biliotti compera detta pojjèfiione
.
E nel nominato libro a 46. fi trova fcritto pure di mano di Lorenzo.
MCCCCXXXXL adì <>. dì Gennaro.
Levato d* dal libro di Sandro di Biliotto Biliotti da e.
97. Un podere con
una torre da mettere in fortezza, e abitazione da Signore, con foffi intorno* e cir-
B                                         culto
-ocr page 25-
1$ Decenn.hdella P#rtLdelSec.Uh dai1400.alialo.
mito di mura» e ponte levatojo» con due e afe da lavoratori fuori del circuite
di detta fortezza
, dove fono canali da vino e-'Strettoio» con ogni acconcimi
da vendemmiai con vigna, e terra lavoratimi» tutto /talora
04, a corda alla do
pojfeffione e fortezza
> terminato' fuoi confini dalle tre parti Via* e dalla quar-
ta V Arte di Calmala Francefca {a) col terreno, che fu di Piero Bocardi, è
poffa nel popolo della Pieve a S. Giuliano a Settimo
, in mezzo tra la detta
Pieve » e la Badia a Settimo
.
Co fio d. 'Pojfejfionedi primo coflofior.ottocento trentacinque e fot. 1 o. d. f 83 5. * o".
Comprojficon incarico d'avere a dare ogni anno, mentre viveffe Suora Goftanza
Vx
.... de'Mazzetti,monaca nel Muniftero di Monticelli fuori della porta
& S. Piero Gattolinitfior.
10. per anno, e viffè detta Suora Goftanza anni 18.
poiché *BMotto comperò detta pojfefftone, venne a coftaretantopiù, quanto ebbed*
Suora, furono fior.
180. d. Suora Goftanza mori/fi Adì... di Sett. 1414. e libere
detto lafcìo.
E'I detto Bìliotto, avolo di detto Sandro, racconciò una torre, e ì canti di
à. fortezza, e mttrovvi una fola in volta per infino a quefto dì 26. di Marze
14.21. fpejè circa di fior. 400. 0 più, Fin qui il notato negli antichi libri.
Furono a Lorenzo, oltre al pagamento , date molte onorevolezze, e di
più rifolverono gli Operai dì S. Liperata di metterlo a parte degli ono-
ri, che fi procacciava V eccellentiffimo Brunellefco nella fua maravigliofa
fabbrica della Cupola, con darglielo per compagno; mentre io trovo a
un libro di Deliberazioni dell'Opera del 1419. che Filippo di Ser Bru-
nellefco, Lorenzo di Barcoluccioje Batifta d'Antonio tono eletti in Prov-
veditori deli'Opera delia Cupola a farla fabbricare e finire con fior. 3 di
provvifione per ciafeuno, per quanto durerà a fabbricarli, e finché non
lìa finita; ed al primo di loro , che mancarle dì vita, fu foftituito Giulia-
no di Arrigo Pittore, vocato Pifeìlo: ed al fecondo di loro, che morule,
Mei* Giovanni di Gherardo da Prato. Ma perchè tal Deliberazione appor-
tò al Brunellefco gran difpiacere, non andò la cofa molto avanti. E giac-
ché intorno a' particolari più minuti di tale rifoluzione degli Operai il
Vafari affai ci Iafciò fcritto, e con sì bei modo , che ogn' altra efpreflìo-
ne che io volerli fare, doverebbe riputarli men bella; io a quanto egli
ne raccontò, rimetto il mio Lettore. Ora, ficcome è proprio de' più Ca-
blimi e nobili ingegni, V e fiere da coloro, che tali non fono, fotto-
polli Alla maldicenza , la quale però , in luogo della procacciata
t>ppreilione , bene fpefib onore e grandezza loro cagiona; così a Lo-
renzo, il quale con fi rare virtù s' era nella fua patria guadagnata gloria
immortale, non fu pofiìbile il fotcrarfi dalla livorola rabbia dell' Invidia;
il che,quando non mai da altro, fi riconofee da una falfa imputazione,
che per toglierlo a quegli onori, che e per nafeita e per le fue rare
qualità perfonaliTe gli convenivano, gli fu data nel modo, che più a baf-
fo diremo; ma è prima da faperfi quanto appreflb. Ebbe per coftume
V antica Repubblica Fiorentina, come abbiamo dal vecchio Statuto al trat-
tato
[a] Calmala Francefca, avvero de* panni Francefcbi, così detta perchè vi fi fabbrica^,
vano panni alla Fran$efe
, 0 di lana Franztjè,
-ocr page 26-
LORENZO GHIBE'RTl           19
tato terzo del libro terzo, intitolato gli Ordinamenti della Giuftizia ali*
Rubrica $6. e 97. citati da Giovanni Villani, di fare le ìntaraburazioni*
che erano alcune fegrete notificazioni, le quali facevano nel Palazzo di
un mìnidro, chiamato l'Efecutore degli Ordinamenti della Giustizia, cho
era uno de7 tre Rettori foreftieri, dopo il Poteftà e '1 Capitano del Popo-
lo, fola mente fatto per difendere i Popolani contro a i Grandi; ed abita*
va daS. Piero Scheraggio; e quelle notificazioni gettavanfi in certe caf»
fé ferrate 3 chiave, che chiamavano tamburi. E perchè elfa antica Re-
pubblica reggevafi a governo Democratico o Popolare, che dir voglia-
mo: e però avendo avuti fempre a fofpetto i Grandi e potenti, voleva in
tal modo attutarne l'orgoglio, e così renderfipiù ficura; quafi in quella
guifa che 1'Ateniefe, limile in governo alla Fiorentina, inventò il vio-
lente rimedio dell'efilio di coloro, che pure non altra colpa avevano ,
che l'aver qualitadi eminenti fopra '1 Popolo: e quello chiamavano O-
ftracifmo (1); onde è, che efia Fiorentina Republica aggìunfe alla fla-
tutaria difpofizione, che le nel tamburo fi fuflfe trovata qualche cedola
contro a qualche Popolare, fubito dovea {tracciarli fenza leggerla, con do-
verli anche di tale atto rogare pubblico Inftrumentos e colui, che avelie
tale notificazione fatta fare, do veflèfom ma riamente e de plano effer con-
dannato. Ma giacché parliamo di tale ftatutaria difpofìzione, non voglio
lafciar di dire, a benefizio degli eruditi, come dalla medefima, per mio
avvifo, viene illuftrato un bel luogo del(2)Dittamondodi Fazio degli Li-
berti, noftro antichiffimo poeta, contemporaneo di Dante, ove dice:
£)uì non temeva la gente comuna (intende de' Popolari)
*~Trovarfi nel tambur ( efler tamburato ), nedeffer prefe
(3) Per lo "Bargello fenza colpa alcuna.
Collo fcorrere de'tempi mutaronfi altresì l'ufanze, ed ufaronll pure dalla
Fiorentina Republica altre maniere d'intamburazioni: e furon quelle di
certi tamburi di legno, che fi tenevano appefi in alcune Chiefe princi-
pali, e particolarmente in S. Maria del Fiore, dove (lavano appiccati al-
le colonne: e avevano dalla parte dinanzi fcritto il nome di quell'Ufizio
o Magiftrato a cui elle fervi vano, e di fopra un apertura, nella quale fi
poteva da chiunque volerle mettere, ma non già meda cavare, alcuna no-
tificazione o fcrittura: e quello fi diceva intamburare, cioè accufare, e
querelare. Quello facevano, acciocché fotte lecito a ciafcheduno, fenza
manifeftarfi, iicoprire a pubblico benefizio le mancanze di qualunque
cittadino ; ed è coftume praticato nelle Repubbliche, ficcome anche in
B 2                        qual-
ità] Oftracifmo, tolto dalla voce Greca oìtt^kcv, che vuol dire vafo 0 pezzo di ter-
r-a cotta, del quale fi fervivano per ifcrivervi fopra i decreti
. [b] Dittamondo di
Fazio degìi V ber ti
, così detto, perchè finge, che Solino, antico Geografo » gli detti
la notizia del Mondo e de1 Paefi.
[e] Per lo Bargello, forfè intende V Esecutore de-
gli Ordinamenti della Giuftizìa
, la cui carica era tutta a dìfeja del Popolo, ed in
qualche modo corri fp ondente al Tribuno delle plebe in Roma ; perchè neW antico non
era queflo Miniftro, cioè Bargello
, prefo per quello , the s' intende oggi, di Capi-
tano de* Birri,
                                                                       , ,
-ocr page 27-
%o Decenni, detta PurldelStC. Iti. dal 1400. al 1410.
qualche altro luogo, fino a oggi continuato. Avvenne dunque, chieden-
do il noftro Lorenzo (lato tratto l'anno 1443. dell'ufizio dVdodici Buo-
nUomini, uno de'tre maggiori, che oggi fi dice il Collegio; vi fu cài
procurò d' offufcare la fua fama, ed opporli all'ingrandimento di fuacafa,
con una notificazione, data per lo Magiftrato de' Confervadori di Legge,
dei tenore, che fegue: Lorenzo di Bai tohCfale porte dì S.Giovanni, di movo trat-
to aW ufii'io de' Dodeci ,è inabile & tale ufizio, perchè non è nato di legittimo
matrimonio
, perchè d. Lorenzo ftt figliuolo di Bartolo e Mona Fiore tla qua-
le fu fua femmina, ovvero fante, e fu figliuola d'un lavoratore di Val diSieve,
$ maritoUa a Pelago a una chiamato Clone Paltami, uomo della per fina molto
difittiie, e qua fi/memorato,
/"/ quale non piacque alla detta Fiore: fuggiffi da
luì, e venne'fine a Firenze, capitò alle mani di Bartolo predetto deWanno
1374.
0 circa, e in quattro 0 cinque anni ne ebbe due figliuoli, una prima femmi-
na, poi q uè fio Lorenzo dell' anno circa il
13 78. e quello allevò, e infegnolli Parm
te fua dell' Orafo: dipoi circa l'armo
1406. morì il detto Cione ,e\l detto Bar-
tolo trovato da certi amici, i quali montaronglì
» che male era a vìvere in adul-
terio, lafposo, come di quefio è pubblica voce e fama, e come per li frumen-
ti .di. matrimoni. E s'egli dice fé ejfer figliuolo di Clone, e non di Bartolo \ tro-
verete, che Clone mai ebbe figliuoli della Fiore
; e che Lorenzo prefe e usò i
beni di Bartolo, e quelli ha venduti e tifati come figliuolo e legittimo erede:
eperchè e\s* è finti to imabile ,maì ha accettato l' ufizio del Confo lato dell'Ar-
te > al quale più volte è fiuto tratto
; mafempre per piccola cofa è fiato allofpec*
chio, alafiiatofifiracciare.
Fin qu\ fon parole proprie della intamburazione.
Inoltre fa detto,eh' egli era inabile a tale ufizio, per non aver pagato le
gravezze per lo tempo, che comandava la legge, ma da poco tempo, e
fotto nome dello ueflò Barcollicelo: e che Cione non aveva mai pagato,
e però né come figliuolo dell* altro poteva effere ammeilb ad efercitafe i
Magiftrati della Città ; che però avvertivano i Confervadori a volerne tro-
vare il vero per Ponor loro e del Comune: e facevano iftanza condan«
nàrtì Lorenzo come trafgreflbre della legge. Fu egli Cubito chiamato a di-
fendere la caufa fua: e giuftificò concludentiiumamente per publici {fru-
menti del 1374. la Fiore effere (rata legittima moglie di Cione: e lui e£-
fer nato nel 1378. cortame il detto Matrimonio .-e che di poi, morto Cio-
ne fuo padre , la Fiore fi rimaritò a Bartoluccio , il quale ricevuto Lo-
renzo affai piccolo, lo educò come proprio figliuolo, e 1' inltruì nell' arte
fua d'Orafo, non avendo avuto altri figliuoli: e che di qui nacque, eiTe-
re flato efìo Bartoluccio reputato padre di Lorenzo, e per tale eflere fla-
to da tutti creduto; onde a Lorenzo era flato dato fempre il nome di Lo-
renzo di Bartoluccio. E in confermazione di tal verità, morirò che dopo
là morte di Cione, cioè nel 1413. egli, come fuo figlio, aveva convinto
e recuperato da alcuni fuoi confanguinei alcuni beni, che furono di det-
tò Cione fuo padre, per lodo (a) dato da Mafo degli Albizi, cittadino al-
lora molto accreditato: e dirle d' aver pagato, fotto nome però del detto
Bartoluccio, le preftanze al Comune deiranno 1422. fino allora, Ma per-
chè
[a] 5. Aprile 1413. Set Piero di Ser Michele Guidoni.
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o           LORENZO a HIVERTI         zt
che la legge ordinava, che chi non aveva pagato per 30. anni le gravezze
al Comune non foflè abile a godere degli ufizj delia città, perciò Loren*
zo fui fondamento della inedeiima fua enunciativa, fu da* Confervadoricl*
Legge condannato in lire 500. come trafgreflore : e quanto all' altro ca-
pò della legittimità, fu aflòluto, e dichiarato l'accufe o intamburazione§
ealunniofe, e lui efler figliuolo legittimo di Cione [VJdiSer Buonaccorfo da
Pelago. Dopo quefta. fentenza ricorfe Lorenzo alla Signoria, cioè al Gon*
faloniere e Priori, Gonfalonieri di Compagnia, e Dodici Buonuominj e
rapprefentò d'aver, dopo tal condennazione de'Confervadori di Legge»
ritrovato, come Cione tuo Padre, fino dell'anno 1375. fu deferitto alle
preftanze de'Cittadini fiorentini, e tarlato in foldi cinque, al libro di ef?
fé preftanze a e. ai. che però faceva iftanza efler dalla detta condenna-
zione di lire 500. aflbluto e liberato. E la Signoria, riconofeiuta quefta
verità, l'aflblvè, e dichiarò lui efler figliuolo di Cione di Ser Buonaccor-
fo, maintefo volgarmente per Lorenzo di Bartoluccio,- che però quan-
do egli accadeflè, che fotto quello nome e* fufle tratto a tale ufizio, s'in*
tenderle efler'eflo, e fufle accettato in qualunque Magiftrato della città,
non ottante tale denominazione : e ordinarono tal fatto, aflbluzione*
dichiarazione, o altro regjftrarh* allibro dell' altre leggi o provvifioni a
perpetua memoria: e fu parlato tal partito ne' foliti Configli del Popolo;
e del Comune, con tutte le lòlennità, confuete e folite ufarfi allora neU
l'ordinazioni del Popolo Fiorentino^]. Ma tempo è ormai di dar fine a que-
lla narrazione. Diciamo dunque per ultimo, che moltiflime furono l'o-
pere, che fece Lorenzo di metallo di ogni grandezza. Si gloria la città
di Siena di avere avuto di fuo getto, per ornamento del Battesimo , due
ftorie della vita di S. Gio: Batifta: cioè il battezzare di Crifto, e la pre-
fa del Santo per condurlo ad Erode, le quali fece a concorrenza di Ja*
copo della Fonte, del Vecchietto Sanefe, e di Donato. Con fuo model-
lo gettò per la Chiefa di S. Maria Novella la figura di bronzo di Lionar*
do di Stagio Dati, Generale de' Predicatori, che fi vede in atto di gia-
cere fopra il fepolcro di lui. Similmente la Cafla di bronzo, con alcuni
angeli dentro, nella quale ripofano le ofla de' SS. Martiri Proto, Jacinto^
e Nemefio, nella Chieladel monaftero de' Romiti degli Angeli : ficcome an-
che la Cafla, che contiene le facre ceneri di S. Zanobi Vefcovo di Firen-
ze, nella Chiefa di S, Maria del Fiore, ornata di belhtfìmeftorie della vi-
ta del Santo. Refterebbe a narrare il tempo, nel quale il noftro Lorenza
fece da quefta all' altra vita paflaggio; ma non eflendo a noi venuta firt
quì tal notizia, diremo fokmente, che il Vafari, che aflerì, eh' e' morif-
ie in età di 64. anni,anche in ciò prefe errore; perchè quando non vo-
leflimo credere per indubitato, ch'egli nafeefle nel 1378 farebbe forza ti
dire , che fufle feguita la fua morte del 1442. ed io ho trovata fra l'al-
tre volte nominate fcritture , fatta menzione del teftamento fatto da lui
del mele di Novembre 1455. onde viene indubitata conleguenza, che egli
non di 64. anni, ma forfè ancor di più di 77. finiftè di vivere. Il ritrat-
B 3                                    to
~-                        —'------«-------r—-------rrrrrr. r ,■.....■ .'—------^' '-■-'-■ i'-r , ■ ,,...,, ,,j.
[a] vnpldire Uguccione. [b] lib, di Prov. 1443. e 1444. nelle Riformag.feg. P. a z86*
-ocr page 29-
la Decem.LdellaParìLdelSecJlLdah^oo.al 1410.
tp di quellogrande artefice,fatta al naturale, fi vede nel mezzo della fua
belliffima porta di bronzo, che corrifponde alla Cattedrale, appreffb a
quello di Bartoluccio, fuo putativo padre, il quale è rapprefentato in fi-
gura d' un affai più vecchio di Lorenzo, nella banda dalla parte rìcftra»
e quello di Lorenzo dall' altra parte.
• Buonaccorfo Ghiberti, figliuolo di Lorenzo, e fuo difcepolo» fecondo
quello che ne lafciò fcritto il Vafari, rimale dopo di lui, applicato pure
alla ftatuaria e al getto: e fu quegli, a cui toccò a finire e gettare il
maravigliofo ornamento di bronzo di quella Porta del Tempio di S Gìo.
che è rimpetto alla Mifericordia: il modello di cui, infierne col fregio,
aveva il padre laiciatoin buoniflìmo termine. Nel quale lavoro elfo Buo-
naccorfo fi portò sì b^ne, che quando non mai pei" altro, per queft'o»
pera folamente egli fi meritò il nome d'uomo fingolarifiìme in queft'artù
e fece conofeere, che quantunque affai pretto egli finiffe di vivere, co-
me pure dice il Vafari, ben ii puote affermare, che coli' effere a lui man-
cata la vita in verde età, non gli fuffe però mancato il merito di dovere
fempre vivere nella memoria de'poderi. Soggiunge il Vafari» che Buo-
naccorfo ebbe un figliuolo, che fi chiamò Vittorio, e che egli attele al-
la fcultura : e in Napoli nel Palazzo del Duca di Gravina fece alcune te-
tte, che furon poco Iodate ; mercè che più attefe egli a godere e fpen-
deie prodigamente il ricco patrimonio lafciatogli da' fuoi antenati, che
alle fatiche di quell'arti; che attendendo anche all' architettura, fu nei
tempo di Paolo IH. condotto in Alcoli, per architetto d'alcune fabbriche;
e che una notte un fuo férvitore, affine di levargli il danaro, crudelmen-
te lo fcannò. La verità però fi crede eilére, che qui il Vafari pigli
errore, (cambiando Buonaccorfo da Vittorio: e che Vittorio fulle il
figliuolo di Lorenzo, che fece l'ornamento di bronzo- e Buonaccorfodi
quello, che andò a Napoli figliuolo di Vittorio ; effèndochè non fi tro-
va mai, per quanto porla effere venuto fin qui a mia notizia, che Loren-
zo Ghiberti lafciaffe alcun figliuolo con nome di Buonaccorfo; ma fi
trova bensì, che fuffe fuo figliuolo un Vettori©, il quale ebbe due mogli,
e fu padre di un Buonaccorfo. Primieramente in un libro di permute
del Monte di Firenze 14Ó3. fi trova Maddalena di Antonio di Ser Gio.
Buonajuri, moglie di Vittorio di Lorenzo Ghiberti: e da' Protocolli di
Ser Domenico d'Antonio da Figline 1464, Maria Smeralda di Meff Fran-
cefeo Marchi, moglie di Vettono di Lorenzo diCione Ghiberti. E quan-
to a Buonaccoifo nell'altre volte citato Diario di Neri di Lorenzo di
Bice), efiftente nella Libreria de' MS de'SS. Strozzi, fi trova un ricordo,
come Vectorio di Lorenzo di Bartolo, che fa le porte, dà a colorire e
difegnare un modello d' una fpalliera, che di nuovo s'ha a fare per la
ringhiera de' Signori, a effo Neri di Bicci. Del 1483. fi trova ne' Proto-
colli di Ser Domenico di Gio.- Guiducci Buonaccurfus Vi fiorii ■ Laurentii
Cionh Ghiberti:
e nel 1503. fi trova, che Buonaccoifo di Vittorio di Lo-
renzo Ghiberti, alias di Bartoluccio, fcultor di bronzo,fa teftamento, ro-
gato Ser Agnolo da Calcele , il che fi ha da' Repertorj de* fidecommifli
©Menti nell' Archivio Fiorentino . Trovafi poi, che di quello Buo-
■- * .                    -..                                                                                  • nac-
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■ ■ ..... ' ■■■ ;                                                                     ' --'■
LORENZO GHISERTI.
22
* ■
mccorfo nacque un altro Vettorio; onde par che fi potrebbe dire col
Vafari» che quello fune quel figliuolo di Buonaccorfo, che andò a Napo-
li: nel qual cafo però non farebbe mai vero, che Buonaccorfo fufse fi.
gliuolo di Lorenzo, ma di Vittorio: e fé l'ornamento della porta fu fi-
nito da un figliuolo di Lorenzo, quello fufse Vittorio Padre di Buonac-
corfo, e non Buonaccorfo, che fu figliuolo di Vittorio: fé non volefitoiQ
dire,che di Lorenzo nalcefle un altro Buonaccorfo, del che non fi ha
alcun rifcontro . Credefi dunque, che erri ilVafari: tanto più, che fog-
giuoge poi egli medefimo , che in Vittorio rimanerle eftinta la fami-
glia de' Ghiberti : il che non è vero ; perchè molti furono i defcendenti
del primo Vittorio, figliuolo di Lorenzo di Cione, come dimoftra la fe-
guente defcendenza. Ed anche errò lo fieno Vafari, in quanto dine del
Padre di Lorenzo, come s' è moftrato chiaramente nelle notizie della
vita,di lui.» ficchè non è, fé non cofa probabile, che in quanco appar-
tiene alle notizie di quella Cafa, il Vafari, come di cofa non appartenente
alla profeflìon fua ed al fuo principale intento, cercane poca informazione.
GHIBERTI
Ser Buonaccorfo
Cione
Lorenzo Ghiberti delle porte, detto di Bartoìuccìo o di Cione,
|
                   nato 1378. muore d'Anni 77- del 1455.
Vittorio/* testamento
<       | i> :-•: | ; J        ■ | -^ |             |       '. I■ ,■ \
Buonaccorfo Francefco Cione Ghiberto Giovanni Maddalena) Leflandn
Andrea)
vivente 1503
1
1
Vittorio
Vittorio
—^..—
1
•,,•*»!'■
■Ili
I
I                 
Ghiberto Felice Giovanni
r____j                 --------
\ . 1                1
Vittorio Lorenzo Gio: Francefco
1
1
1
Francefco Lorenzo
E da un antico.libro, de' Morti dell'Arte degli Speziali, fpogliato nel lif
bro RR. 1239. in Archivio Strozzi,apparifce Lorenzo di Vittorio di Barto»
luccio
16". Maggio 1484/0 S. Croce, Trovali, che Vettorio di Lorenzo
di Cione ebbe due mogli : la prima Maddalena d' Antonio di Ser Gio:
Bonajuti, della quale ebbe Buonaccorfo: la feconda fu la Smeralda di
Francefco Marchi, della quale ebbe un Francefco, e Ghiberto, che fu Mo-
B 4                                  naco,
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24 Decenni VdeltàPahkélSteMlJé^ al 1410.
Jiaco, è un Cione: e BuonaéèòHb ebbe un, figliuolo\ che fu Vittorio,
che non lappiamo, che avelie figliuoli,- e là ftirpe fi continuò in Fran-
etico, E tali notizie «'hanno da un Lodo, dato da Antonio di Luigi Co-
voni, e da Cofimo di Lorenzo di Filippo RolTellia* ■$. d' Ottobre 1400",
fta Buonàccorfo, Francelcoi e Cione, figliuoli di Vittorio di Lorenzo
di Ciò né, ne' quali da tre fratelli erano Hate compromelTc alcune diffe~
renzet e dì tal Lodo fi rogò Ser Agnolo di Ser Alefiandto daCafcefe*
A Buonaecotfo toccò là maggior parte degli {labili, i brónzi, i libri, è
gì' intagli, e per ufar le parole del Lodo.- omnes majferims, ut vulgo di*
tirarla andare in Ufizio, ovvero in Birreria y proitt Banderie, Sopravefìe,
Tttrgetìe, Spade
, Ckafpello t & alia fimiììa* atta ad txercttia predi&a qtic
fum adprefens d. Viflorij, con carico di preftarle a* fratelli all'occafione.
GIOVANNI e UBERTO
DI MAESEYCK
EYCH
FRATELLI.
Fiorivano dal i 40o* 4I 1410.
[HE i primi, che dopa t moderni Greci a ritrovare il nuo-
vo e miglior modo del dipignere, foflèroOmabue, e'I
famoiiiumo Giotto fuo diicepolo, lyuno e Y altro Fio-
rentini, come abbiamo altrove moftrato, non è chi fem-
za nota di troppa temerità, né punto ne poco polla dù*
bitare : e lafciato da parte il veridico teftimonìo dell'an-
tiche e moderne Itone, delle pubbliche e private (cric-
ture dì noftra città, quando mai altro non foffè, incori tra {labile argo-
mento ne fono (e il fanno anche patenti (lìmo al fenfo)molte ragioni.
La prima è, che non mai fi vide enere a notizia d'alcuno de'veri intel-
ligenti, che avefl'erofeorfe molte parti dei Mondo* che di quelli ultimi
fecoli, che precederono al 1300. fi veggano in alcun luogo pitture d'ai-
tra maniera , che lolamente Greca e Giottefca» La feconda, che que-
ll'ultima fi vegga poi per un intero fecolo, quali in ogni luogo conti-
nuata,; conolce ognuno, che ha occhio erudito, che iìccome ne'primi
albori del giorno non fi feorge del tutto sbandita la notte, e nel}' imbru-
nir della fera , che ila in tutto fvanito il giorno, per la participazione
degli eilremi ; così erTer verìflìmo, che il modo del fare di Cimabue e
di Giotto , co1 loro elrremi, dico di cominciamento e di fine» fanno
eonoiìcere per indubitata tal verità; perchè e* fi Icorge, che li maniera
di Cimabue, con eiTer di gran lunga migliore di quella de* moderni Gre-
ci, contuttociò partecipa tanto di quel fare, e tanto fé gli aflòmigha,
quaru
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cjùafttò balla per far ife^tó^^èi^^W^^^^^^èlIlilf^ principiò;
Similmente la manieradi Giotto, con quella di Cim3bue,e le maniere
<ii colóro* che vennero dòpo la Giottefca maniera, anch' elleno pei:
qualche tèmpo ritennero tanto quanto dì ideila dello fteflò Giotto, fio
come abbiamo veduto, riòd'fcarito- Heile^ittùre, quanto nelle fc&ìturè
de' più celebri artefici, che furono ilei fécolo del 1400. fra le quali rtòfk
hanno 1* ultimo luogo le prime opere dì Lorenzo Ghiberti, e di più
altri celebri Pittori e Scultori di quella età; finché poi còli' imi razione
«del vero, è del modo d* operare di coloro, che a paiTo a paflò fono an-
dati aggiugnendo a quelle arci alcun miglioramento, fon poi pervenuti
gli artefici al fommo d* ogni perfezione. Suppofta dunque quella verità»
non ha dubbio alcuno, che tal miglioramento, o immediatamentejpéìr
mezzo de* pròprj difcepoli di Giotto, o de* difcepoli degli ftèffiiéfkoz
d'Italia o nell'Italia medelima, fia flato agli Oltramontani comunica*"
co ; mentre abbiamo per certo, che non mai del tutto in alcuna pririe'r-
pal Provincia fia mancata quell'arte, come altrove dicemmo. "Non è già
potuto riufcire a me ne' prelènti tempi, ciò che più di cento anni ad^
dietro, quando erano piùfrefche le memorie, non potè venir fatto al
curidfìllìmo inveftigatore delle notìzie degli artefici Giorgio Vafari, né tam-
poco aì^Higente Carlo Vahmander, pittor Fiammingo, circa 8ò. anni
ibnO^dl rintrairciare, chi degli Oltramontani, dalle parti di Germania è
Fiandra veniffé in Italia, ad apprèndere tal miglioramento nell'arte da'
derivati da Giotto: o quale di quelli li portafle ad ihfegnarlo in quelle
parti. Difle però affai apertamente il nominato Vanmànder nella fua fto-
ria , feruta in quel fuo natio idiòma, laddove park di Ci ìiiabue, quelle
parole: Quando V Italia era travagliata dalle guerre», non filo mancarono le
pitturet ma gli flejfi pittori. Per ftfrtunà nàcqui P anno ii^p.per far rifìfL
gère la pittura* ulto chiamato Giovanni, cognominata Cimahtte, Fiorentino >evt
e finalmente dice in più luoghi, che il modo di dipignere con gom*-
ma e uova ne* Paefi baffi venne d' Italia, per aver tal modo avuto fuo
principio in Firenze l'anno 1250. Quindi è, che, quantunque io non pof-
la accertare chi fofie il maeftro di quelli due Oltramontani Pittori* de t
quali ora intendo dar notizia, noi polliamo dire, che follerò ì primi,
Che tal miglioramento prendèflero. Io non dubito contuttociò d'affer-
mare fopra tali fondamenti, che ficco me ad ogni nazione potettero tra-
panare gli artefici Italiani, a portar quello nuovo abbellimento, di cui il
Mondo fu fempremai sì curiofo, o d' ogni nazione poterono venire
uomini in Italia per quello prendere da' noftri artefici ; cosi fu facil co.
fa agl'ingegni elevati, e dell'arte ftudiofi , in ogni parte, dopo aver
quello apprefo, andar femprepiù migliorandoli modo dell'operare, fa-
cendoli una maniera fecondo il proprio gufto, ma diverfa da quella del-;
P altre lontane nazioni, ficcome hanno inoltrato per più fecoli V òpe*
re di elfi Oltramontani.
Furono dunque nella Fiandra poco avanti al 1400. all' ora appuntoHj
che i feguaci di Giotto avevano fommamente dilatata 1* arte della Pit-
tura, molto ilimatii due fratelli, Giovanni Eych,e Uberto EyehdiMae-
fey eh »
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I '
%6 mm$iMlà$W^$fyci Uha^^^al i^io.
feych; il primo^def quali fu Jliritrovatore delmodo di colorir© & olio >
di cui diflTe alcuna coli Giorgio Vafari, nella vita d' Antonello da Mef-
fìnai chiamandolo Giovanni da Bruggia. Ma perchè quefi? autore non
Iblameate ne dille, pocp>.ma anche fcararjjpj. tempi, ne' quali egli fio-
rì nell' operar fuoj ponendolo molti anni dppp il fuo vero tempo, iofo-
410 ora per portarne, quanto-iì nominato Vanmander Fiammingo, in
fua lingua ne ferirle 1' anno \6o$, con tuttoquel più,, che, a? altronde io
ne ho potuto di più certo ricavare.
Fu Giovanni nella fua gioventù verfato nelle lettere, di prontiflimo e
nobile ingegno, e da natura grandemente inclinato all' arte della pittu-
ra; quale poi fi mife a imparare da Uberto fuo maggior fratello, che pu-
re^fu bravq. e artificiofo pittore ; ma da chi quefìi impararle è al tutto
ignoto.Fu il natale d'Uberto,, per quanto il citato autore ferirle averne
potuto congetturare, circa al 1366. e di Giovanni qualche anno dopo.
Non fi fa che il Padre loro foife pittore ; ma sì bene, che i loro antena^
ti q tutta quella cafa fofle dotata d'ingegno non ordinario: ed ebbero
una forella maritata, la quale anch' erta efercitò l'arte della Pittura.
Quelli due fratelli fecero molte opere a tempera con colla e chiara d'uo-
vp.j perchè allora non avevano in quelle parti altro modo di lavorare 9
che quello v^n^o^O^^^lc^iALnpjn ertendovi la maeftranza df'tavpra^
re afrefeo. Èra in que'<primi lor: tempi la città di Bruggia abbondali-
tiflima di ricchezze, per la gran copia de' mercanti di divene nazioni
che vi fi trovavano, de' gran, nego?,j che vi fi facevano, e commercio
che aveva con tutte le parti del Mondo: maggiore ai certo di quelli di
qualsivoglia altra città di Fiandra. E perchè è proprio delle buone arti,
quivi piantar loro fortuna, ove più abbondano le ricchezze, a cagione
dell' efler quivi bene ricompepiape ; il noftro Giovanni Jafciata la patria,
fé, n'andò ad abitare in elsa città.di Bruggia, quivi efiendofi formata una
maniera afiai diligente,quantunque alquanto fecca, con,un modo di pan-
neggiare tagliente, foverchiamente occhiuto, con pieghe più artifizia-
te , che naturali, quella appunto, che in quelle parti è (tata tenuta
poi, benché con miglioramento, per qualche fecolo , che anche
fi riconobbe in Alberto Duro, Luca d' Qlanda, e altri celebri mae~
iìri. Si acquiftò gran fama, ed in ibmma fu il primo, che ne' Paefi baili
avefle grido d'eccellente Pittore., Fece in Bruggia moltifiime opere fo-
pra tavole con colla e chiara d'uovo, che portarono la fama del fuo no-
me, in diverfe parti, dove furono mandate. Aveva queft' artefice con-
giunta ali' altre fue abilità una ingegnofa maniera d'inveftigare modi
di colori diverti; e perciò molto s'efercìtava nelle cofe d'alchimia, finché
forti di trovare il bei modo e la nuova invenzione di colorire a olio; e
andò la cofa, come ora fiarno per raccontare. Era fuo coftume l'adoperar
fopra i quadri, dipinti a col;laTe chiara d'uovo , una certa vernice di fua
invenzione, che dava molto gufto, per lo fplendore, che ne ricevevano
le pitture; ma quanto,era bella dopo effer fecca , tanto era diffìcile e
pericolofa a leccarli*, Occorfe una volta, circa T anno 1410. (tanti anni
avanti al tempo notato dal Vafari), che Giovanni aveva fatta una tayo-
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,c ; i GIOVANNI è UBERTO EVCH. if
U con lungo ftudio e gran fatica: è avendole dato di vernice, la pofe a
feccare al fole; ma perchè le tavole di legname non erano bene appic-
cate inlìeme, e perchè iicalor del fole inquell' ora era troppo violente,
le tavole nelle commettiture fi aperfero in divedi luoghi. Allora Gio-
vanni prefo da gran collera, nel vedere in un punto B' aver perfa la fa-
tica e '1 lavoro» giurò di voler per l'avvenire cercar modo, che non gli
avelie più il fole a far quel giuoco: e prefa gran nimifìà con quella forte
di vernice, diedelì a cercarne una, che da per fé ftefla immantenente'fi
feccafle, fenza il fole, dentro alle proprie ftanze di eafa fua. Provò e
riprovò molti olj, rage, e altre naturali e artificiali cofe: e finalmente
venne in chiara cognizione, che Polio del lino, e quello delle noci »
eran quelli, che più d' ogn'altra cofa da per fé {tefll feccavano. Con ef*
fi faceva bollire altre materie, finche venne a ritrovare quefto bello e
util modo , refiltente all' acqua e a ogni colpo, che rende i colori af-
fai più vivi, e più facili a mefcolarfi fra di loro, e diftenderfi ; inven-
zione, che ha tanto abbellito il Mondo. Prefe Giovanni da ciò molta
allegrezza, e con gran ragione ; e dando poi fuori opere in tal maniera
lavorate, non fi può dire quanto fi facefle gloriofo in quelle parti, e
dovunque erano mandati i fuoi quadri. Fino dall' Italia andarono arte.
fici,fol amente per vedere effa nuova invenzione ; e dice il nominato Van-
mander,che di tal novità fecefi maggior rumore, che quando Tanno
1354. da Bertoldo Schivvartz, Monaco di Danimarca, fu trovata la pol-
vere da bombarda. Seguitò Giovanni a dipignere a olio , infieme con
Uberto fuo fratello, tenendo il fegreto molto occulto: né volle da quel
tempo in poi effer più veduto dipignere • e quantunque tanto in quelle
parti, quanto poi in Italia, ognuno poteife a fuo talento fentir l'odore delle
tele» da lui dipinte; in riguardo però d'un certo fortore, che mandan
fuori i colori mefcolati con quelP olio, non fu mai alcuno, che potè (Te
rìnvergare, che quella meftura fofle quello, eh' ella era; fintantoché, do-
po un gran corti» d' anni, Antonello da Medina', andando a Bruggi3>
ne imparò il modo, e lo portò in Italia, come diremo al luogo fuo.
Molte furono V opere de' due fratelli, quantunque il valore di Giovan-
ni quello d' Uberto di gran lunga eccederle; la maggior parte delle qua-
li furono nella città di Ghent, dove nella Chiefadi S. Giovanni fece-
ro ad iftanza del Conte di Fiandra Filippo di Charlois, figliuolo del
Conte Giovanni Digion, una gran tavola, nella quale rapprefentarono
una Vergine coronata dall'eterno Padre, con Giesù Crifto, che tiene
m braccio la Croce, e gran copia d'Angeli in atto di cantare: nello
fporteilo a mano delira fecero Adamo ed Eva, e nel volto d' Adamo
appariva aliai bene elpreflo un gran terrore,'per la ricordanza del tra*
fgreditò precetto: e nell'altro fporteilo fecero una Santa. Dipinfero
ancora in etti fportelli i rirratti de' due Conti foprannominati, a caval-
Jo , e i ritratti di loro medefimi; quello d' Uberto, il più vecchio, a ma-
no deftra , e quello di Giovanni a mano finiftra, ancora eflì a cavallo, vi-
cino al Conte Filippo , eh' era allora Conte di Borgogna: apprettò al
quJe erano, maffimatnente Giovanni, in grande affato e ftima, tanto
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chsfcrive il mentovato autore, e {Ter fama, che Giovanni per Io grande in-
gegno fuo fufle fatto fuo Configliere fegreto, fendo a tutti noto, ch'egli
ne foflè trattato con dimoftrazioni eguali a quelle, che fi leggono d'A-
leflàndro ad Apelle. Nella predella della tavola dipinfero a colla uri
Inferno con affai belle invenzioni; ma avendo quella dato alle mani di
alcuni ignoranti, che la vollero lavare, rimafe quafiin tutto guafta. La
favola venne in tal venerazione appreffo i popoli, che non mai fi apri-
vano gli fportelli» le non ne' giorni di gran Jefte, oa' foreftieri: e a tal
faccenda erano deputate perfone apporta, che in tale occafione fi guada*
gnavano gran mance: e quando fi raoftrava ad alcuno, vi fi affollavano
talmente le perfone, che talora feguivano difordini. Erano in eflà tavo-
la fopra 300. figure, tutti ritratti al naturale, niuno de] quali s'aflomw
gliava ali* altro; e in fomma fu queft opera in que' primi tempi il mi-
racolo di quelle parti. Finito che ebbero quella grand' opera di Ghent,
iene cornò Giovanni ad abitare in Bruggia: e nella chiefa Parrocchia-
le:4i\S. Martino, fece una tavola d* una Madonna, con un Santo Aba*
te in ginocchioni, gli fportelli della quale reftarono imperfetti: e in
quella pure fece molti ritratti al naturale , e in lontananza un vago
paefe* e molte altre cole fece in quella Città, dove 1' anno 1604. an-
cora fi confervava, avanzata all' infolenza degli eretici, fimilmente una
iua bella tavola. Altre molte fue pitture furon da que* mercanti man«
date in diverfe parti; e quantunque ne foflfero portate a diverfi poten-
tati,- contuttociò per le cagioni accennate, rimafe quella nuova inven-
zione per lungo tempo in Fiandra. Ma come è folito di chi con qual-
eh'eccellente virtù fi fa fuperiore a molti, infurfero contro a Giovanni
molte perfecuzioni, per le quali ebbe non poco da foftenere. Fra i
Potentati, che ebbero opere di lui in Italia, uno fu il Duca d* Urbino,
a cui toccò un Bagno, fatto con gran diligenza. Lorenzo de' Medici, il
Magnìfico, ebbe in Firenze un S, Girolamo, con altre molte cole : e
Alfonfo I. Re di Napoli, ebbe per mezzo di mercanti Fiorentini, che
allora abitavano in Bruggia, un quadro, con affai figure, belliiBmo.
Erano le bozze di quello artefice, aliai più finite di quello, eh* erano
1' opere terminate degli altri Pittori fuoi paefani. Vendevanfi a gran
prezzo; e dice il Vanmander , aver veduto a Ghent, in cafa di Luca
Bep£ler,(uo proprio maeftro nell'arte, in una tavola due ritratti a olio,,
marito e moglie, prefi per mano in legno di fedeltà, la qual opera era
ftata trovata in Bruggia, in cala 4' un Barbiere : che veduta da Donna
Maria, Zia di Filippo Redi Spagna, e Vedova del Re Lodovico d' Un-
gheria, che morì in guerra contro il Turco, ne ebbe tanto piacere,
che per averla donò aj Barbiere un uficio, di rendita, ogni anno cen-
to melloni di quella moneta. I dilegni di queft'artefice fon maneggiati
con franchezza, e diligenza infìeme. Pervenuto finalmente Giovanni
all' età decrepita, alcuni anni dopo Uberto fuo fratello, pafsò da que-'..
fta. all' altra vita nella città di Bruggia, dove nella chiefa di S, Donato?
gli fu? data fepoltura; e ad una colonna di quella chiefa fu accomoda-
ta una latina ifcrizione in lode di lui, Uberto il fratello, già era morto
t.Ui
                                                                                       l'anno
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■GIOVANNI e UBERTO EVCH. 29
I« anno 142<5. nella Città di Ghent, e fepolco in S, Giovanni; e nella
muraglia era fiata effigiata una morte, che teneva in mano un rame, per
entro il quale fi leggeva un epitaffio, iti antica lingua Fiamminga forie-
ro. Furono poi, circa al fine de! paffato fecolo, mandati fuori in iftampa
in rame, intagliati da Th. Galle, i ritratti de' celebri PittoriFiammin>
ghi, tra'quali a quefti due fu dato il primo luogo, comecché foffero
flati anche i primi, che per tale arte aveffero fatta rifplendere la patria
loro in tutta la Fiandra. Furono anche elfi ritratti abbelliti d'alcuni
verri latini, parto dell'erudita penna di Domenico Lampfonio di Brug-
già, Segretario dei Vefcovo di Liegi, che allo Audio delle buone arti ,
congiunfe ancora l'amore alla pittura. I difcepoli di Giovanni potette-
ro eiìer moki, Si ha cognizione d'un tal Ruggiero da Bruggia, e di Ugo
de Goes, del quale parleremo a fuo luogo.
Molridimi furono i Pittori, che dopo Gio: da Bruggia, e ne* tempi
d' Ugo de Goes, e di Ruggiero di lui difcepolo, furono in quelle par-
ti aliai rinomati,de'quaìi noi faremo a fuo luogo efatta menzione; ma
furono ancora molti, 1' opere de'quaìi, negli efterrninj della Criftiana
religione, ivi ancor effe perirono, nò altro rimafe, che il folo nome di
que'maeftri. Ma io contuteociò per foddisfare al mio intento , che è di
dar notizie univerfalial pofììbile,e per rendere al merito della virtù il fuo
dovere, ne farò in quello luogo quella memoria , che potrò. E qu) mi
concedali Lettore, che io faccia di tutti un cumulo, anche di quelli»
che alquanto s'avvicinarono 3' noftri tempi; con difeoftarmi aflai per
ora dall'ordine, che io mi prefiffi, che fu di notare in ciafehedun Decen-
nale que' folamente, che in elfo Decennale fiorirono; perchè non aveiv*
do io per lo più de' lor tempi certezza, ho creduto, che ogni altro ordì*
ne* che io tenellì in parlarne, fervirebbe piuttofto per ingannare quelli,,
che leggeranno, che per dar loro buone notizie.
E' dunque da faperfi, come nella Germania alta furono, dopo i nomi-
nati Giovanni e Uberto, molti nobili artefici, anziché tutti gli Scultori,
e Scrittori (che tali chiamano coloro,che dipingono i vetri) erano an-
che Pittori* e fi fon vedute qua e là alcune reliquie di loro arte e fa-
pere, nelle {rampe,- come per efempio di Sibaldo Bheen Suanio, Luca
di Cronach in Saffonia, Ifrael di Menttz,& Hifpe Martino, che molto
bene fanno conofeere il valore di ciafeuno dì coftoro nel fuo tempo»
ciò che non poflbno più fare le loro pitture. Similmente fu nella Fian-
dra un eccellente maefiro della città di Bruges, chiamato Giovanni Meni-
melink, che fiorì avanti a1 tempi di Pietro Purbus .* né altro fi fa di lui,
ie non che lo ftelTo Purbus ne' giorni fedivi andava fempre a vedere un
opera di mano di quello Giovanni, nella cafa o l'offe Confraternita di
S. Giovanni , e non fi poteva faziare di vederla e lodarla: dal che li
comprende, quanto quello Giovanni foffe eccellente nell'arte. A Ghent
fu poco dopo di lui Gio: Vanneik, un Pittore chiamato Geeraert Van-
dermerre, che aveva una maniera pulita : di mano di cui fu portata da
Ghent in Olanda, fino del 1600. una Lucrezia molto ben fatta. Simil-
mente un tal GheraertHorebaut, che poi fu Pittore del Re d* Inghil-
terra
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jo Decenni, delle ParJ. del SecJIUal14.00. al 141 o.
terra Enrigo Vili, di mano del quale erano nella fteua città di Ghent
lua patria , nella chiefa di S. Giovanni, a mano deftra deJP aitar mag-
giore» due fportelli d' una tavola fatta di rilievo; in uno era dipinta la
Flagellazione del Signore: nell'altro il portar della Croce, colla Ver-
gine addolorata e S. Giovanni, e in lontananza le tre Marie, che an-
davano al Sepolcro, con lanterne e lumi, che facevano in quella fpelon-
ca un bel vedere, a cagione de7 molto bene oflervati rifleffi, che per-
cuotevano i volti di quelle donne. Quelli fportelli fortirono effer difefi
dalla furia degli Ugonotti, che tentarono di disfarli, ficcome avevan
fatto dell' altre immagini mf effendochè da una pia perfona foffero com-
peri a poco prezzo [e fu quelli Marten Biermano, nato in Brofelles, che
era anche grande amatore dell* arte] e poi dallo fteffo foffero redimiti
alla chiefa per quel poco prezzo, che colarono a lui. Di quello {teff©
Gheraerc era ancora in Ghent del 1604. nei mercato del Venerdì, in
una cafa,dove li vendevano tele , un tondo doppio, dipinto da due
parti: da una Crifto fedente fopra una pietra, in atto di effer coronato
di fpine,e battuto fopra il capo con canne; nelP altra era Maria Ver-
gine col figliuolo, e una gran quantità d' Angeli. Nella fteffa Città di
Ghent fu un certo Lieven de VVitte, buon pittore, che intefe bene
1* Architettura eia Profpettiva* Eranvi di (uà mano un quadro iìngo-
lare deJP Adultera nella chiefa di S. Giovanni, e alcune fineftre di
vetro, fatte con fuo difegno. Fu a Bruges un tal Lansloott Blondeei,
che fempre nelle fus opere metteva per fegno una cazzuola da muratori.
Era Pittore molto intendente, e buono Architetto, è fu in que' tempi
iìngolare in dipignere anticaglie e rovine, e più che ogni altra eofa ,
fuochi e fplendori notturni, incendi, e limili : ebbe una figliuola ,, che
fu moglie di Pietro Purbus. Fu ancora in Bruges un tal Gio: Vereycke,
chiamato per foprannome Giovannino , che fu molto vago e gentile
ne* paefi, che gli faceva naturali, e molto ben finiti: e per ornamento
di quelli, era folito farvi alcune ftoriette di Maria Vergine in piccole fi-
gure: e fece anche ritratti al naturale affai bene. Era altresi molto lo-
dato da Pietro Purbus, eccellente Pittore, come di proprio udito attefta
il Vanmander, un certo Gherardo di Bruges, del quale non fi ha altra
notizia. In Haerlem fu un Giovanni Hemfen, cittadino di quella Cit-
tà, che lavorava d'antica maniera, in figure grandi, che fu molto pu-
lito e curiofo. Di fua mano l'anno 1604. vedevafi un quadro a Middel-
borgh, in cafa il Sig, Cornelio Moninex , grande amatore di quell'ar-
te; v'era un Grillo con gli Apoftoli quando vanno a Gerufalemme,
Fu ancora in ena città un tale Jan Mandyn, che faceva molto bene
fulla maniera di Girolamo Bos, cioè ftreghe e maleficj : quefti morì in
Anverfa, dove era provyilìonato dalla città. In Haerlem pure fu unec-
lente fpirito in difegno, pittura, e invenzione, che fu Volckert Claetz*
che vi fece di fua mano alcuni quadri in tela, nella camera del Magi-
ftrato, con buona franchezza, ma pendevano affai verfo l'antica maniera:
difegno moke invenzioni per gli fcrittori in vetro, e operava per pochi
danari. Fu ancora in Anyerfa un tal Giovanni de Duitlcher, ovvero
Sin-
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GIOVANNI e UBERTO EVGH. 3i
Singher. Era di "fua mano in efia città una fìanza intera a frefco, nella.
ftra£la dell'Imperadore, in caia un cai Carel Cockecl, con alberi grandi
in paefi, e fi conofceva la differenza d'una forte d' albero ad un altra»
molto chiaramente. Difegnò aliai per gli Arazzieri; ma ebbe un man-
camento, che non potè mai dipignéte a lume mancino; fioriva quello
artefice l'anno 1543. Nel 1535. fi trova entrarle nella compagnia de* pit-
tori d* Anverfa Giovannino di Vander Elburcht, vicino a Campen,deci-
to Niccolò Piccino; di mano del quale era nella chiefa della Madonna
di Campen fua patria la tavola dell* Altare de' Pefciajuoli, colla ftoria^
quando S. Pietro pefcava; era vi la figura di Crifto, che veniva innanzi
pretto a un beli' albero, e la tempefta del mare bene imitata. Fu anche
in efl"a Città d' Anversa della Compagnia de' Pittori V anno 1529, Aere
de Beer , che dileguava aliai per gli Scrittori in verro : e un tale Jan
Granfie, e di fua mano era nella chiefa della Madonna, nella cappella
del Sacramento, la ftoria quando Crifto" lava i piedi agli Apoftoli, {ri-
mata alìài bella. Altresì l'anno 1547. un tale Arners Ffoort chiamato
Lambrecht Vanoort, Pittore e Architetto valente; un Michele de Gaft
V anno 155&. che dipigneva mine, e colori dal vero la città di Roma .
Difegnò affai bene, e fu capricciofo nelle fue invenzioni, e non mandò
mai fuori fua pittura, ch'ei non figi Halle con un certo fuo figillo • Nel 1560.
fu di efia Compagnia Pieter Bortn : e fino del 1556. un tal Cornell*
Vandale,buon Pittore di fcogli marittimi*
1 1 1 1              11 1. •                            ' —                                       '■------------------------~—'— 1 ■■■                     ..... 1                 .......—.....—--------------mnrij-
LIPPO CALMASI
PITTOR BOLOGNESE,
*Difcepolo M Vitale Bolognefe,fioriva delibo'},
On fenza particolarillmo concorfo della divina provviden-
za, trovarono fempremai, nonfolo pittori e pitture, per
la confervazione e augumento della criftiana pietà e di-
vino culto; ma quello che è più, furono feropre ai
Mondo alcuni artefici, i quali adornaron la medeuma, e
di genio e di abilità Angolare», per dipignere le facre
immagini di Gesù Crocififfo, di Maria Vergine, e de'
Santi ? il che fenza che io in* affatichi a provare con efempj, potraiH
chiaramente riconofeere in molte parti della prefente opera. Uno di co-
loro, a cui fu liberale il cielo di quello dono, fu Lippo Dal mali, Pittor
Bolognefe, difcepolo di Vitale., della ueffa città, il quale colorì infiniti
immagini di Maria Vergine, onde acquiftò il nome di Filippo delle Ma-
donne , Di quelle parlando il Malvafia,, Scrittore delle Vite de' Pittori
Bo-
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1% DecetmAJelk ParJ. MSic MI dali^oo* alialo.
Bologne^ » dice^ que$$:,pajt*jp!#r i. $m nputandafi uom di g^rh e campita*
chi la Madonna del JO^f^mafi; ai pafedetct nqn fo£è giunta * Oicom $€ quella,
che di [uà marna ma iei%p® v&deyqfi nella Rojottda di Roma, [offe quella
privata, che per [uà far tienimi devoniane, tennefempre infitta camera pref<*
fa Ùfam Gregorio
47Ì/. éiu£(&- ném. Pregiava/i Mtnfig. Di[egna,già
Maggiordomo £ lnnoM$£ÌQ X ptjfederne una di Lippo, che fu già la priva*
tpmeme enfio dita e venerata mSf f\n&d* hmeenzio IX.fino quando era
\Car-
Mnafa\ ed e vulgata apche pr e fogli Astori, che Clemente VllU che [colare
muova nella farnica l^niverfità 4kMokgm,n' era fempre fiato dìvoto, tra-
mndafinellafiefia città» quando mfi trai tenne, dopo il ritorno da Ferrara
riacquìjlata alla Chìefa, pafiando avanti a quella, che fifa dipinta [opra la porta
di S, Procolo
',, fermato/èie davanti, dopo averla devotamente fa lutata, e con.
£'efiale
, non fo quale indulgimi* pubblicamente foggi'ungeffe » non aver mai ve-
duto immagini pia divote
, e che più lo inteneriffero, quanto le dipinte da qttc-
Ji'uomo.
Fin qui il Malvagia.: e poi foggiugne, che l'eccellente Pittore
Guido Reni era folito dice ,u che ne' volti delle Madonne di mano di
lippo feorgeva un certo che difovrumano,che gli faceva credere piutto-
sto da un non fo qua! divino impulfo, che da arte umanamente acqui*
{lata, fi moveffe il di lui pennello,* perchè fpiravano una purità, una
modeflia, un decoro e fantità grandiflima : le quali cofe mai neffun
moderno pittore aveva faputo tutte in un fol volto fare apparire. Ma
non è maraviglia, dirò io, fé così divine fembrano le di lui immagini;
mentre trovo, eiler egli (tato così di voto della gran Madre d' Iddio ,
che non mai fi pofe a colorirne i ritratti, che non avelie per un giorno
avanti con fevero digiuno caftigato il corpo fuo-. e la mattina ftefla, me-
diante una devota confeflione e comunione, arricchita l'anima di ceielìi
doni: a confufione di tanti, non fo s'io mi dica trascurati ò poco re.I.i-
gioiì pittori, i quali nulla curando il fine, per cui fannofi le facre im-
magini, folo a i mezzi, che a finir P opere loro con guadagno e lode
conducono, applicandoli, e più all' arte e a loro fteflì di fervire affati-
candoli, che al decoro criftiano e al bifogno de' popoli, che altro non
è che d' avere immagini, che accendano loro nel cuore affetti, per li
tanto neceflarj ricorri a Dio nelle proprie neceffìtà, caricano le mede-
firoe di feoncertate bizzarrie» di feompofte attitudini, di vani, per non
dire indecenti abbigliamenti, con che rubano altrui le ricevute merce-
di, e fé fteffi ingannano. Ma tornando al noftro Lippo, conciofuflecofa^
che non mai fuife fcarfa la Regina de' Cieli nel ricompenfare i ricevuti
fervigj» in tempo occorfe, che tanto fi accrefeefle la devozione e lo fpi-
rito di quello buon uomo, che finalmente fi fentì chiamare a flato più
perfetto ; onde iafeiato il iecolo, fi refe religiofo nella Religione de' PP.
di S* Martino .* e in efla fi diede a tale oflervanza, che dal giorno eh' egli
v' entrò, fino alla tua morte, la quale fece fantamente inquell' abito, non
mai volle dipignere per interefle di danaro; trattenendoli nondimeno in
fare alcune immagini di effa Vergine, del Signore, e di altri Santi, per
propria devozione, e per donare a perfòne divoce;; e talvolta anche,per
ubbidire a'precetti del fuperiore, ne fece alcun' altra, come farebbe a
, ,,
                                                                                        dire,
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LIPPO T) A LM ASI.            3?
dire in una muraglia alcune ftorie a frefco, d'Elia Profeta, e fittili. Scri-
vono di quelt' artefice non punto più largamente il Bucci, il Zaute , il
Cavazzoni, il Baldi, il Bumaldo, e'1 Mafìni citati dal Malvada; e il Va-
fari ne fa menzione nella vita di Lippo Fiorentino, che fu coetano del
medefimo Lippo. Altre opere fcrivono che faeelTe il Dalmaii, e fra que-
fte una Madonna in un pilaftro, 1' anno 1407. un'altra immagine di Ma-
ria Vergine co'Santi Sifto e Benedetto, fopra la porta di San Procolo,
dalla parte di fuori; la Maddalena, clic lava i piedi al Signore nella cala
del Farifeo, dentro alla Chiefa di S. Domenico, che è fama che foiTe la
prima opera, ch'egli in pubblico faceiìb: una Madonna con Gesù Bam-
bino, dipinta in full'affé, fotto il portico de' Bolognini da S Stufano :
un altra dalla Chiefa Parrocchiale di S. Andrea nel muro della Cala de'
Bandini .* una Vergine di grandezza quanto ij naturale , nel muro dei
Collegio di Spagna, rincontro alla cafa de' Mareicotti, fotto la quale fi
leggono quefte paiole: Ave -^Maìer Dei, & Specioftjjwia Virgo: e quella (I
dice una di quelle, che avuto riguardo al fecolo in cui fu fatta, piaceva
a Guido Reni. Infinite altre, per cosi dire, ne dipinfe quello divoto, ar-
tefice nella medefima città di BoJogm, per !e cale de' privati cittadini,
perliMonafìerj e luoghi pubblici, e per diverfì villaggi, che ancora fi veg.
gono: e molte anche fono ftats diftrutte dal tempo, e rovinate in oc-
cafione di nuove fabbriche ; gran parte però di quelle che fi veggono og-
gi, fon da' popoli tenute in gran venerazione. 11 nominato Malvada fa
un catalogo d'alcuni, che dice fodero diicepoli di eflb Lippo; e fra
quelli, par che metta certi nomi di Pittori, che nel titolo di quella vita
fi vede aver diftinti da' Diicepoli, dicendo che fiorirono dal 1400. al 1500.
in che ci rimettiamo al vero. Tali fono un Antonio Leonello, detto da
Crevalcuore, Gio. Antonio, Cefare, Claudio, Bettino, Anchife Baro-
nio, Antonio PifFaro, Guardino, Pietro de' Lianori, Giacomo Danzi ,
de'quali, perchè foggiugneP autore, che attefero ad imitare la goffa ma-
niera greca, none luogo a parlare. Soggmgne ancora, altri effervene
flati di miglior maniera, de'quali alcuna cola diremo a fuo tempo. Fa
anche menzione nel nominato catalogo, d' un Michel di Matteo, d' un
Bombologno, d'un Severo, d' un Ercole da Bologna, d' un Aleflaniro
Orazj, d'un Benedetto Boccadilupo, d'un Beltramino Bolognefe, da'
quali porta egli poche notizie, per lo più alquanto dubbie, e quanto al-
le perfone, quanto al tempo di loro operare, e d' altro, che però non.
mi è d'uopo 1' affaticarne il lettore. Ancora fa menzione d'un Orazio
di Jacopo, che dice operalìe del 1445.» e che faceffe il ritratto di S. Ber-
nardino nel Convento de' PP. dell' Offervanza. A quelli aggiugne la
Beata Caterina da Bologna, che dipinfe, alcune devote immagini, a1 quali
tutti intende egli dar luogo fra' difcepoli di Lippo'„
C                                          PARRI
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3 4 Decenn. 1. della Pan. I. detSec. IIL dal 1400. al 1410.
PARRI SPINELLI
PITTORE ARETINO
Difcepolo di Lorenzo Ghìberti, nàto .... -Sjfc... •
Bbe quello Pittore i fuoi principj nell'arte da Spinello Spi-
nelli Tuo padre, che fu difcepolo di Jacopo di Cafentino;
poi condotto a Firenze, donde Luca tuo nonno fi era
partito per caulà di difcordie civili, dal famufo Lionardo
Bruni Aretino, fcrictore della Storia Fiorentina, s'accomo-
dò con Lorenzo Ghiberti, ove in compagnia di Mafolino
da Panicale, e d'altri valorofi giovani di quella fcuola, fece gran profit-
to nel difegno, dando alle fue figure molta fveltezza; e fu il primo, che
nel lavorare a frefco, lafciafte di dare fopra la calcina una certa tinta
verde, fopra la quale erano fiati foliti Giotto, con gli altri antichi pit-
tori , di velare le loro figure con alcune tinte a foggia d' acquerelli, e
con Toiletti di color di carne, e chiarifcuri. Fu buon coloritore a tem-
pera e a frefco, ponendo i chiari e gli fcuri a i Jor luoghi ; e piacendoli
niolto la maniera, che tenne poi il nominato Mafolino, quella fempre
procurò di feguitare. Dipinfe molto in Arezzo fua patria, e particolarmen-
te nel Duomo vecchio ; nella Chiefa e Spedale di San Criftofano, nella
quale lavorò una cappella a frefco: e in S.Bernardo de'Monaci di Mon-
tuiiveto, due cappelle da'lati della porta principale. Predicando in Arez-
zo San Bernardino da Siena a infianza del medesimo, e per i Religiofi del
fuo Ordine fece il modello della Chiefa di Sargiano, e nel]' Oratorio del-
le Grazie piefiò a detto luogo edificato, ove era una fontana , a cui fi fa-
cevano molte ribalderie , fatta perciò demolire dal Santo , dipinfe una
Vergine, che tiene lotto il fuo manto il popolo Aretino. Innumera-
bili altre opere fece in detta città, moiriflime delle quali più non fi veg-
gono in oggi. Dice il Vafari , che Patri avefiè un fratello chiamato
Forzare, orafa, che fece la Cafìa de'Santi Martiri Lamentino e Pergen-
tino, che fi confèrvano in detta città: ed io ho memoria, tratta da anti-
co Manofcritto della Libreria Strozzi, fegnato di numero 285. che detto
Forzore avev* un figliuolo, che per l'avolo ebbe nome Spinello, e che
d/pinfe la Sagreftia di San Miniaco al Monte predo a Firenze ; la qual
pittura 1' ideilo Valaii attribuifce al vecchio Spinello ; onde per faìvare
runa e Valtra autorità, è d'uopo dire, che ambedue gli Spinelli vi ab-»
biano operato, per effere fiati, per la lunga vita del vecchio, coeeani, e
lniieme profelìori e maeitri di pittura.
DONATO
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DONATO
D E T
DONA
S I O R E N T I N O
LO
Reftauratore della Scultura
■-                                                                                                                                                          ■'■,... ■                                                                                                                                                          f
Tìifiepoto di Lorenzo di Bicci, nàto 13$$. ^ i4«&
flccome nelle già fcritce notizie, e in quella (ingoiar*
mente, che il cominciamento fono di queftà Moria',
abbiamo abbaftanza parlato de* famofi ingegni di Cima-
bue e Giotto, per opera de'quali a nuova vita riforfe
l l'eftinta nebil*arte della Pittura, così ogni ragion vuo-
le, che dichiamo alcuna cofa fra le molte, che po*-
trebbero dirli, e che ottimamente ha detto il Va fari
di colui » che mercè il fuo nobile e fpiritofo talentò
reftituì il già perduto eflère alla bella arte della Scul^
tura: e quefti fu Donato, detto comunemente Do-^
natello , il quale in quefta noftra patria di Firenze nato da Niccolò di
Betto di Bardo P anno di noftra falute 1383. e fino -dalla Tua fanciullezza
fu allevato, comecché molto fpiritofo fofle, con molta cura> da Ruberto
Martelli Gentiluomo Fiorentino, e de*belli ingegni ottimo difcernitore
e Iiberaliflìmo Mecenate: appreflò al quale libero dal nojofo penderò, òhe
il bifogno di fovvenire alle proprie neceflità fuole apportare, potè darli
con gran fervore al difegno, nel quale s'approfittò con Lorenzo di Biccì
pittore, e adelfo ajutòadipignere» e/Tendo ancora di tenera età. Si diede
poi alla fcultura, alia quale era così portato dal genio, che fino ne*primi
anni fcolpì molte figure tanto belle, che Io fecero tenere per fingulare
in tal profeflìone; e fu il primo, che non fedamente ufeifle in tutto dal-
la maniera vecchia, che pure ave vanto fatto altri avanti a lui, ma eha
facefie opere perfette, e di efquifito valore, emulando mirabilmente
la perfezione degli antichiflìmi fcultori Greci > e dando alle fue figure
vivezza e verità mirabile. Fu ancora il primo, che -poneffe in buon Ufo
T invenzione delle ftorie ne'baflìrilievi, ne'quali fu impareggiabile , So-
no in Firenze di fua mano moltiflìme opere di fcultura : e fra quelle è
maravigliofa una (tatua, rapprefentante VEvangelica San Marco, che per
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j$ Decenti, L della Par. 1. del Sec. 111. dal 1400. al 141 o.
efìer calvay è-detta lo Zuccone, pofta in uno de*lati del campanile del
Duomo* dalla parte della piazza, con tre altre figure di braccia cinque,
molto belle. Sopra la porta del medefimo campanile, è un Abramo con
Ifac ; fotto la Loggia de* Lanzi è una Juditta di bronzo con Oloferno,
della quale elfo tanto fi compiacque, che vi pofe il fuo nome con quefte
parole ; 'Donatelli opus. Trovali fra le Scritture di cafa Strozzi, in un
Volume intitolato ^Memorie fpettante a Laici, a car. 457. che quell'ope-
ra della juditta flette in caia di Piero de' Medici fino all' anno 14P5. nel
qual tèmpo fu collocata filila Ringhiera (a) dei Palazzo de' Signori, e
nel 1504. eflèrne fiata levata e pofta in terra, e in fuo luogo edere flato
pollo il Gigante di Michelagnolo, che così chiamavali la figura del Da-
vid: e la ftatua della Juditta, in procedo di tempo, ebbe luogo nella fud-
detta Loggia. Fu anche opera delle mani di Donato la tanto rinomata
flatua del San Giorgio (b) » ficcome ancora quella del San Piero, e del
San Marco Evangelifta, tutte di marmo , che fi veggono nelle facciate
dell' Oratorio d'Orfanmichele , detto anticamente Orto San Michele.
Trovafi eflergH ftata allogata quella ftatua del San Marco da* Confoìi del-
l' Arte de* Linajuoli a' 3. di Aprile dell'anno 1411. e che coftafle il mar-
mo fiorini ventiotto. NelTempiodi San Giovanni fece la figura di bron-
zo ài Papa Giovanni XXIII. di Cafa Coicia, che rapprefenta elio Ponte-
fice: e vi lavorò due figure di marmo, cioè la Speranza e la Carità f eflèn-
dochè la figura terza, che èia Fede, ferie fcolpita da Michelozzo, Scul-
tore Fiorentino, e fuo difcepolo. Nello fteflb Tempio, intagliata di fua
mano fi vede la bellifììma ftatua in legno di Sanca Maria Maddalena Peni-
tente (e) . Scolpì in legno un bellifllmo CrocififlTo, jl quale fu poi collo-
cato nella Chìefa di Santa Croce nella Cappella de' Bardi, in tefta alk
Croce. Fu opera dello (carpello di Donato la bella ftatua rapprefentante
la Dovizia pofta fopra la Colonna di Mercato vecchio (d), la quale, era
j'J
                          :v,:;,,; /&jv* rfiùc ■                         opinione
*"~---------- iiiaiiiiil ihiiii......■mmi ■[. 11 .........1-min ni nr-irr—-Mirali t i ~ -'-fr1-----""' ' '"— "' m if n iiiééìii *km ■ i il i mmm itfii mi m »'i i li | mummmmto^mmma», ————<mé—*
{a) Che (fu e fifa fiat uà ftefiefalla Ringhiera, fi vede dipinto in quei quadri ne*
quulì vien rapprefentato il fupplizio del Savonarola e compagni
, EU* ha in-9
. temo un bel motto, alla/ivo alla Libertà Fiorentina ; Exemplum falutis
pubiicae Cives pofuere MCC CCXC V- ed è fatto ftrfe in memoria
?) iella cacciata di Firenze dì detto Fiero à\ ^Medici. (b) Quefia ftatua civ*
ca alt anno
1700* di nofira falate, fu levata dalla fua propria nicchia dalla
parte Jt Tramontana t e collocata in altra dalla parte di Mezzogiorno ajjai
■maggiore, in cui era anticamente una Madonna di marmo, che fu trafpor*
lieta fino deWanno 1628.. nel detto Oratorio. Quefto trafporto giovò alla
f confervazione della medefima ffatua # ma pregiudicò alla di lei bellezza »
mentre in quefia nicchia non fu a non fa quella bella veduta* che faceva
nella propria. (e) in oggi qùefia Jhtua è nelV Opera dì detta Chìefa»
levata in congiuntura dì porvi l} anno
1688. il Sacro Fonte, € la ftatua di
marmo di San Giovambatifia di mano di Giafeppe Piamont'mit (d) Ma la
Batua, the oggi fi ve de fona dì nuovo
, e del celebre Scultore e Architetto Gio-
. ' vambatìfta Fogginl, per ejferfì quella di Donato qwfi èisfaw $WK la qua*
Ut a delia filtra e ? internar U mf &ì#
4
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-,
T> 0 N A TEL LO.              37
opinione comune, che fotte una di quelle di Granito, che reggono l'or-
dine di dentro dell' antico Tempio di San Giovanni di Firenze, cavata
allora da' novelli Criftiani per collocarvi in luogo fuo l'altra belliffima
accanalata , che a tempo della Gentilità ferviva per bafe della (tatua di
Marte in mezzo a detto Tempio (a), il che però non va difgiunco da
molte contradizioni e inverifimili offèrvati dagl'Antiquari più rinomati
dell' età noftra. Scolpì ancora, coli' ajuto di Andrea del Verrocchio fuo
difcepolo, il lavamane di marmo , che nella Sagreftia di San Lorenzo li
vede : e ordinò i due Pergami di bronzo della medefima Chiefa, che poi
fini Bertoldo fuo difcepolo. Nel Libro di Deliberazioni deli'Opera del
Duomo, fegn. B. 1436. fi legge.* <Die 21. CMenfis Bebrttariì pr*fatì Operi*
rii commiferunt Nicco/ao Joatmotii de Bìliottis » $* Salito Jacobi de tRifafi"
tis, duoèus ex eorum offitio, locandi Donato
, Nicco/ai Betti Tardi Chi Fio*
rem. magtfiro intagli, faciendi duas portas de bronzo duabus novis Sacriftììs
Cattedr. Ecclefi Florent. prò pretto in totumflor-
1900. prò eo tempore, # cura
illis fiorii $, &prout e'ts videbitur onorati Hat &c.
Il fatto però fi fu, che Do-
nato non fece altrimenti le porte delle Sagreftie; trovandoli, che una per
la Sagreftia delle MefTe fu fatta da Luca della Robbia, e l'altra per la Sagre-
ftia de'Canonici non fi fece, ma rimane fino ad ora coli'antiche fue im-
porle di puro legname , In cafa il Cavaliere AlefTandro del Cavalier Fi-
C ì                _____          Hppo
{a) Tutta quefia Boria del Tempio di Marte, della fuaftatua, delle colonne ecc.
da i migliori Antiquari moderni è creduta apocrifa e favolo/a
. Costumarono gli
antichi Cri Stani di ereggere vicino alle Chiefe matrici alcuni Templi di forma
ottagono, ifilati, e di porre nel centro di e (fi certe fonti 0 vafche difimilfor*
ma, psr ufo del batte/imo; e quejìi luoghi, con voce competìdiofà, chiamavano
Batifierji così vtggìamo in Roma ilLateranenfe contiguo allagranUafìlìta
del Salvatore, Capo e Madre di tutte le Chiefe di Roma e del mondo Crijìiano,
così fi vede ejfere il Batiftero Ravennatenfe
, il Bolognefe% il Parmigiano, il
Pifano ,il Fiorentino, che aveva anticamente nel mezzo ilfagro fonte ottagono,
comedìmoSrano ancora le veSigia nel centro di ejfo, fatto, sì il Tempio che ti
Fonte, m tutto e per tutto, fecondo il modello, che ne diede il gran Dottore
S. Ambrogio in que fuoiverfi': Ocìachorum Sanctos Templum furrexit ia
ufus „ O&agonus Fons eft munere dignus eo „ Hoc numero decuic
Sacri Bapùsmatis aulam furgere&c. riferiti dalGrutero e da altrifcrinori.
B quei Batiflerj
, che variano in tutto 0 in parte dalla predetta foggia, e non
fono diftìmi dalle Chiefe matrici, tengafìper certo ejfer moderni» 0 pure aver
patito alterazione contra un rito così antico e così bello
. Ma perchè la fama
quaido è antica, e continuata per piùfecolì, rade volte e affatto vana, perciò fi
concede, anzi ficrede fermamente dagli Antiqaarj
, che queSo Bati/lero foffè
fatto col materiale più nobile, ofulle rovine di qualche Tempio di Marte,
abbattuto dal fervore di quei primi Fedeli, che talvolta ne ebbero dogi'Impera*
dori Criftiani la libertà; e quindi fa nata quefta voce- che egli fi a il Tempia
dì Marte, La colonna di Mercato è pia baffo e più fittile dell'altre di quefta
Tempio; onde anche per quello fi tende inverifimile e improprio il trafporto e
baratto dì dette colonne
.
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§8 Decenn.IdeUafaM. I 'Mìa. ìlljal 1400. 4/ r41 o,
lippo della nobìliffìma famiglia de' Valori, Gentiluomo dotato di ftraordi*
nana prudenza e bontà » degniffimo nipote di quel Baccio Valori Sena*
core Fiorentino, gran protettore di quelle arti, del quale tanto nobil*
mente fcrifle Raffaello Borghini nel Tuo Ripofo, è, nel tempo che io que*>
ftecófe vo icrivèndo, un quadro di pietra, poco maggiore di un braccio,
di una telìa dì femmina di baftòriiievo, ritratto al naturale* ed un altro di
marmò carrarefe, poco minore, pure anch'effo di baflbrilievo, fattovi un
Colone con ghirlanda in capo, forfè i più belli baflìrilievi, che (ì vegga-
no della mano di quel!1 artefice. Sono ancora di fua mano i Coloffi di
mattoni è ftucco intorno alla Cupola del Duomo di Firenze, dalla parte
idi fuori, che fervono per ornamento delle Cappelle. Scolpì il Pergamo
di marmo, nel quale fi moftra la Sacra Cintola di Maria Vergine nella città
di Prato in Tofcana. In Padova gettò il Cavallo di bronzo, colla ftatua
di Gattamelata, nella quale opera fuperò fé ftefloì e fece nella Chiefa de*
^rati Minori molte opere della Vita di Santo Antonio, ed altre; onde
|*ran fatica gli bollò il fòttrarfidagl'inviti de'Padovani, che volevano per
ogni modo fermarlo in ella città di Padova, e per tal*effetto aggregarlo
$ quella cittadinanza: acquali diceva, che lo itar quivi, dove era così lo-
dato, gli avrebbe prefto fatto dimenticare ogni fuo ìapere; laddove il tor-
nare alla patria, dóve era dagli emuli profeffori biàfimato, gli dava ca-
gione di ftudio, mediante il qtiale s* acquiftava egli gloria maggiore»
Lavorò in Roma, in Venezia, in Siena,"ih Montepulciano, in Faenza;
ed in fomma può dirli, che non pure la città di Firenze, ma il mondo
tutto, fia pieno delle fue òpere, tutte a maraviglia belle, Ed è fua gran
lode, che al fuo tempo non erano fopra la terra feoperte le più belle an*
fichitadi, faJvòche le colonne, i pili, e gli archi trionfali ; Onde potefle
portarli, coli' ajuto di quelli, a quel fegno di perfezione nell'arte, alla
quale fi portò col folo ottimo fuo gufto ; e dicono effere egli ftatà potiffi-
ma cagione, che a Cofimo de' Medici, fuo e di ogni altro virtuofo gran
protettore, fi fvegliafle il defiderio d'introdurre, coro' e' fece in Firenze,
l'antichità, che erano e fono in queirauguftiflimaGafa, le quali tutte dì
fua mano reftaurò. Fu Donatello Uomo allegro, modello, e niente inte-
fefiato, e de'guadagni che fece, poco a fé, e molto ad altri profittò ,
Teneva egli il fuo danaro in una fporta , per una corda al palco appicca-
fàS'}ed ognuno de'fuoi lavoranti, fenz' altro dire, né pigliava pel proprio
bifogno. Avevagli Piero, figliuolo di elfo Cofimo de'Medici, che alla fua
morte gli aveva molto effo Donatello raccomandato, fatta donazione di
Un bel podere in Cafaggiuolo, acciocché con eflb poteffe foftentarò la fua
già cadente età? ma appena fel tenne un anno, che fianco, com' è diceva,
dall' importunità del lavoratore, che del continuo, fecondo il coftume di
tal gente, con nuove odiofe fé gli faceva vedere, allo fteflo Piero, pei:
pubblico frumento, lo renunziò ; aderendo volerli anzi morir di fame,
che a tale inquietezza foggettarfi. Ma non potendo l'inclita liberalità di
quel Signore lafciarfi vincere dalla continenza di Donato, al medefirho
affegnò fopra i proprj effètti un'annua entrata maggióre ih contanti, la
quale egli poi quietamente godè fino alla morte. Fu ancora bizzarro e
yivace
'
m
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DONATELLO.                 39
vivace nelle rifoluzioni, e Tempre tenne V arte in gran pregio. Ad un
Mercante, che ftiracchiava a mal modo il prezzo di un opera, fattagli fare
appofta, difle efl'er'egli avvezzo a mercantar fagiuoli e non ftatue : e pre-
cipitata da alto la fua (tatua, e quella in mille parti fpezzata, non volle
pel doppio più del domandato, farne un' altra al Mercante ; tuttoché lo
ueflo Cofimo de' Medici molto in perfuaderlo a ciò fi adoperafle. Aveva
egli finito il San Marco per la facciata di Orfanmichele, del quale fopra
fi è parlato, figura, che ad alcuni guaftameftieri (di che fempre fu pieno
il mondo) piacque così poco, che a verun patto volevano, che fi ponefle
fu al fuo luogo ; onde fu neceflàrio, che Donatello gran preghi adoperafle
con promefle, che lavorandovi fopra qualche tempo altra cola, 1' avereb-
be condotta da quel ch'ella era; ottenne finalmente , che folle polla al fuo
luogo: e immantinente fattala coprire, e così tenutala quindici giorni»
e poi fenz'averla punto tocca, fcoprendola, fu da ognuno veduta, con
iftupore e maraviglia: e così fece conofcere a quegF intelligenti balordi,
quanto fia mal giudicare le opere grandi fuori del luogo Toro , da chi
gran maeftro non è. Giunto aU'eftremo di fua vita, lo vifitarono alcuni
fuoi parenti, di quella fotta, che mifurano il proprio affetto non altri-
menti, che a proporzione dell'utile, che ei fi promettono di trarre dalla
perfona amata; e sì pregaronlo, che loro lafciar volerle un podere, che
egli aveva vicino a Prato. A quelli rifpofe francamente, efler cofa di po-
co merito» per acquiftare un podere, una fola vìfita, fatta ad un parente
in tanti anni, a confronto di quello del povero lavoratore, che tutto il
tempo di fua vita fi era affaticato in lavorarlo e cuftodirlo ; parergli però
giufta cofa, che al lavoratore e non a loro fi doverle il podere : e con tali
parole cortefemente licenziatigli, allo fteflb fuo lavoratore con fuo tefta-
mento il podere Iafciò; e poco dopo, con dimoftrazioni di buon Crifìia-
no, alli 13. di Dicembre Pannofopraddetto, pafsò da quella all'altra vita.
Ebbe Donatello molti Difcepoli nell1 arte, che riufcirono eccellenti
maeftri, e tali furono :
ANTONIO DI MATTEO DI DOMENICO GAMBERELLI, detto
ANTONIO ROSSELLINO DAL PROCONSOLO Fiorentino, il qua-
le molto nell* arte della Scultura fi legnalo. Coftui fece ih Firenze nella
Chiefa di Santa Croce la fcpoltura di Francefco Non", e fopra a quella
una Vergine di baflòrilievo . In San Miniato al Monte, poco fuori della
città di Firenze, è di fua mano la fepoltura del Cardinale di Portogallo,
opera belliflìma e di maravigliofa invenzione, finita V anno 1459. ed io
trovo in antiche fcritture, effergU fiata data a fare detta fepoltura per
prezzo di Fiorini quattrocento venticinque, di lire quattro e foldi cin-
que il fiorino: e dalle medefime ho trovato il nome del padre e avo, ed
il cafato di eflo Antonio. La parola dal Proconfo/o, deriva dal porto ove
egli teneva fua bottega, vicino ad un luogo così in Firenze nominato;
perchè in eflb luogo era la Refidenza del Magiftrato de' Giudici e Notai,
ed altri Magiftrati del Proconfolo, che è quegli, che nel detto Magiftrato
C 4                                  tiene
0
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4* Decenti, t della Part. 1. delSec. Uh dal 1400. al 141 o.
tiene il primo pofto (a). Scolpi Antonio pel Duca Malfi una fimile fepol-
tura per la fua Donna; e in Napoli una tavola della Natività di Crifto. E
fi vede ancora nella Pieve di Empoli in Tofcana unSanBaftianodimarmo,
belliflìmo di proporzione» di mezzo naturale. Furono le opere di quello
maeftro lodate dal Buonarroto.* e fino al prefente fon tenute in gran pre-
gioì e ciò non tanto per la vaghezza e grazia, che diede alle tette, ma
per la delicatezza, con che fi vede lavorato il marmo : per la morbidezza
e leggiadria de'panni > e per ogni altro pili bel precetto dell'arte ftatuaria,
che li vede così bene oflervato nell'opere fue, che veramente arrecano
ftupore ; e fé alcuna fedepreftare fi doverle al proverbio volgare,cioè: Che
ogni Artefice fé Be§o ritrae,
non fapreì dire in chi più avverato egli fi foffe,
che nel RofleUino, il quale fu da natura dotato di un animo così ben com-
pofto, e all'eccellenza nell'arte fua ebbe aggiunte qualitadi tanto fingo-
lari di modeftia e di gentilezza» che fu da tutti, non che amato e riveri-
to» in certo modo adorato.
ANTONIO FILARETE, Scultore e Architetto Fiorentino , diceli
pure eflere ftato Difcepolo di Donatello, infieme con Simone fratello di
Donato medefimo; ma comunque fi fone la cofa, non pervenne queft' ar-
tefice di gran lunga a quel legno, a cui altri giunfero di quella (cuoia;
anzi erlendogli ftata data a fare ne' tempi di Eugenio IV. infieme con Si-
mone foprannominato, il getto della Porta di San Pietro in Roma ; egli
in quella fi portò così ordinariamente, ehe biafimo, anzi che lode guada-
gnò a fé fteflb. Furono fattura d'Antonio alcune fepolture di marmo nella
medefima Chiefa , dipoi ftate diftrutte. Scrive il Vafari, che il Fila-
rete, condotto a Milano dal Duca Francefco Sforza, vi delle il difegno
del bello Spedale de'Poveri, detto lo Spedale Maggiore, e di tutti gli
ediflcj, che lo accompagnano, perfervizio degl'Infermi e degl' Innocenti
fanciulli 9 fondato, come egli dice, del 1457. eaflèrifce cavarlo da ciò, che
ne ferirle lo fteflò Filarete in un fuo libro di materie di Architettura, che
ci fece in tempo,che tale opera fi conduceva, il qual libro poi l'anno 1464.
dedicò al Magnifico Piero di Cofimo de' Medici. E in vero parmi gran co-
fa, che in ciò abbia il Vafari perfo errore i e contuttociò, il Canonico
Carlo Torre nel fuo ritratto di Milano, dato alle (lampe nel 1674 attri-
buifce il difegno e invenzione di quella fabbrica a Bramantej fopsa la qua-
le contrarietà di pareri non fono ora io per dare giudizio. Fu anche la
Chiefa maggiore di Bergamo fatta con difegno di Antonio, il quale final-
mente portatoli a Roma, giunto che fu air età di anni cinquantaquattro
in detta città pagò il debito alla Natura,
BERTGL-
'Ti 1 1 iinni iik wiim "in*n tu ■ 1 l'i -r -- ■ ,-, timi- 1 «ihimbi ^ 11 ■!< mi ■■■■!■ 11 illuni 1 imniMiti 11 "i iHwWh^—ftMgii«iiii 1 11 é »■■»<■ in !■ it m im+*m*mmmmmttt
[a] La Rejidenza del Proconfolo, preffo alla quale faceva fua Banza 0bottega
il Rojkllino, trasferita che fu V Udienza dei Proconfolo fitto gli Uffizi
, ave è
al preferite, fu ridotta adufo di Stamperia da i Giunti di Firenze ; dipoi vi
fece fua Rejidenza il Magi (Irato della Sanità, come fi legge nei fregio della
porta da firada : prefentemonte ferve per liefidenza e Tribunale della Nun~
zi atara Fiorentina
.
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DESIDERIO SCULTORE. 4I
r BERTOLDO Fiorentino, pure (uo Difcepolo, imitò talmente la mar-
niera del maeftro, che dopo la morte di lui ebbe a finire tutti i lavori,
che di mano di quel grand' uomo eran rimati imperfetti in Firenze: e par-
ticolarmente finì e rinettò i due bellìflimi Pergami di metallp^ che fi veg-
gono nel!' Ambrofiana Bafilica,
DESIDERIO Scultore da Settenario, villa vicino a Firenze, ebbe
nella fua prima età da Donato i principi dell' arte , e dopo la morte di
lai, datofi, come era coftumè fuo, a ftudiare a tutto fuo potere le opere
del defunto maeftro, in breve fi portò ad un altiflìmo grado di perfezione.
Scolpì in marmo le bèlle figure di baflbrilievo, ed altresì tondo rilievo
della Cappella del Santiflimo Sacramento nella Chiefa di San Lorenzo di
Firenze, e fra quefte fece un Gesù Bambino, il quale, come cofa rariflì*
ma, fu poi levato di luogo, per pofarlo fopra all'Altare folamente nelle
Felle della Natività di Crifto; e in cambio di quello fu pofto fopra il Ta-
bernacolo del Santiflimo un fimile bambino, fatto da Baccio da Montelupo.
Lo ftupendo lavoro dei bafamento, che regge la ftatua di bronzo di Do*
nato, rapprefentante il giovanetto David , la quale fi conferva nella Real
Galleria, fu delle prime opere della mano di Desiderio. Vedono* in eflb
alcune arpìe concerti viticci, così bizzarri e sì bene interi, che fono co|a
di maraviglia, anche a'primi dell'arte. E' di fuo intaglio il belffepolcfp
della Beata Villana in Santa Maria Novella. Per le Monache delle Murate
intagliò una piccola Immagine di Maria Vergine fopra una Colonna* Fu
opera del fuo fcarpello, nella Chiefa di Santacroce, efimiliffimaa quelle
dì Donato fuo maeftro, il maravigliofo fepolcro di Carlo Marfuppini;
ed in terra appiè del detto fepolcro intagliò una gran lapida per Mef-
er Giorgio, famofo Dottore Segretario della, Signoria di Firenze, con
un belliifimo balTorilievo» ove elfo Mefler Giorgio è ritratto/al naturale;
e fu opera fua un'Arme, che fi vede nella facciata della cafa de* Gianfi-
gltazzi, dove è intagliato un Lione , cofa che in quel genere non può
eilere più bella. Veggonfi di qucfto grande uomo molti baflìrilievi per
le cafe de' noftri cittadini, e tutti di itraordinaria bellezza. > Morì final-
mente di età di anni vent'otto, lafeiando abbozzata una Santa Maria Mad-
dalena Penitente, che poi fu finita da Benedetto da Majano, e oggi ft
vede nella Chiefa ài Santa Trinità de' Padri Vallombrofani. Ebbe que-
ilo Scultore un dono fingolariffìmo dal cielo di condurre le opere lue,
e particolarmente le tefte, con tanta grazia e leggiadria, che non folo
non fi riconofee in effe alcuno (lento o difficoltà, ma veggonfi fatte con
tanta tenerezza, che maggiore non potrebbe eflere, s'elle follerò non dì
marmo, ma di cera; e l'arie fono tanto vezzofe, che r3pifcono gli oc-
chj de'riguardanti; e certo, che fé la morte non aveffe recito il filo della
vita di lui in età così immatura, averebbe egli fenza dubbio , al pari di
ogni altro grande uomo, arricchita la patria e il mondo di opere fmgula-
liffime, e quafi diflì divine,
DELLE
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4*
D E
E
N O T I ZIE
DB PROFESSORI
D E L D I SE G N O
, DA CIMABUE IN QUA
DEGENN ALE II
DELLA PARTE I. DEL SECOLO IV.
::Av.-,cì>al' \mccccx. al mccccxx.
B FR GIO DA FIESO
DELL' ORDINE DE' PREDICATORI
PITTORE E MINIATORE ECCELLENTISS.
Detto FRA GIOVANNI ANGELICO,
Nato 1387. ^ 1455.
Uefto celebre artefice, come diremo ne! profeguimento
di quefta narrazione, fi trova in alcune antiche carte
icrittocon quefto nome, cioè: Guido, vacato Giovanni.
Lice il Vafari, che egli fi fece valente pittore collo ftu-
diare le opere di Mafaccio, il che non è fé non molto
yerifimile ; ben' è vero, che il fuo dipignere a frefco lo
dimoftra pur troppo chiaramente allievo a! principio di
C herardo dello Stamina, che fioriva ne' tempi, che quefto venerabile
uomo, ancor giovanetto, e prima che Mafaccio comjnciafte a dipignere,
anzi
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IRA G10. ANGELICO.           43
anzi a vìvere, fi diede alla pittura: nella quale fece, quali nella fua puerile
età, e ne* medefimi tempi dello Stamina, gran profitto j poiché, per
quanto io raccolgo non tanto dagli feruti dei Vafari, quanto dall'originai
Cronaca del Convento de* Padri Predicatori di San Domenico di Fiefole v
dove egli di tenera età vedi abito Heligiofo f anno 1407. come fi dirà
appretto, egli allora era già valente pittore: la maniera del qual Gherardo,
megliorata però, quanto alla morbidezza e paftofità, col vedere le opere,
che poco dopo faceva di Mafolino da Manicale, tenne fempre. Ed io mi
perfuado, che le pitture, che egli fece a frefeo nel Capitolo di San Marco
di Firenze, il Crocifitto col San Domenico inginocchioni, in atto di ab-
bracciar la Croce: e le figure delle teliate nel Chioftro, con altre molte
iparfe pel medefimoConvento, e per quello di San Domenico di Fielble,
foffero le fue prime occupazioni; rieonofeendofi quefte alquanto più Cec-
che e lontane dalla bella e morbida maniera, che tenne poi fempre nel
molto operar che fece a tempera fopra le tavole , per avere ( come io
credo) ftudiato le opere di Mafolino, e poi di Mafaccio, Dipinfe egli psr
la Cappella della Santifiìma Nonziata di Firenze, che fece fare Colìmo
de'Medici, i portelli di un grande Armario nella facciata a man dritta
entrando in efra Cappella, dove (lavano anticamente le argenterie , chs
agli anni addietro fu levato, e pofto in quel luogo un molto devoto Cro-
cififlb di legno, fatto circa al 1500, da Antonio da San Gallo, celebre
Architetto e Scultore: il qua! Crocififlb era flato fino a quel tempo fo-
pra il gran Ciborio di legno dell'Aitar maggiore di quella Chiefa, leva-
to poi per collocarvi un altro Ciborio d' argento fodo , che vi è al pre-
dente . I detti portelli, tutti ftoriati di piccole figure , della Vita, Morte e
Refurrezione del Salvatore, furono da' Frati di quel Convento pofti nel
Chioftro piccolo, che è avanti alla Chiefa, credo io, affine di efporlo a
maggior venerazione de'popoli, e renderlo anche a' medelitni più godibi-
le; ma non fo già con quanta fperanza di maggior durata, per effer quel
luogo affai fottopofto all' ingiurie del tempo. Il che avendo oiìervato il
Sereniffimo Granduca Cofimo III. mio Signore, operò , che fodero tolti
via, e collocaci in più venerabile e più durevol pofto, che fu per entro
la Chiefa medefima, da uno de*lati della Cappella de' cinque Santi, dico
dalla parte di verfo il maggiore Altare [a]. Avendo l'anno 1 3 87. i Confoli
dell'Arte de'Linajuoli di Firenze comprata da Guido di Dante da Gattiglio-
ne, nobil famiglia Fiorentina, alcune abitazioni,dove fecero poi Refiden-
za di loroUficio: e dopo avere con grandi fpefe condotta la fabbrica a
buon ufo; venuto l'anno 14.3 3. allì 11. di Luglio, gli Operai di dett'A ne die-
dero a dipignere a Fra Giovanni un gran Tabernacolo di Maria Vergine ,
e ne i portelli alcuni Santi, ì quali conduife egli egregiamente. E le pa-
role, che fi leggono nel Partito di detei Cont'oli, elìcente in un libro di
memorie
[a] Per la magnìfica reHaurazìone dì quella Cappella fatta dal Senatore e Mar-
■ chefe Francefco Feroni l'anno 1692. qiizjll portelli 0 [portelli furono trasfe-
riti in altra Cappella vicina
.
-ocr page 51-
44 Decenti. Ih della Pan. 1. delSec. IV. dal i410. al 1420,
memorie di dett' Arte, in quanto appartiene al prezzo dell'opera, non
lafciano di porgere alcuno argomento del concetto, in che fi aveva la di
lui bontà. Dicono dunque così. zAllogorno a Frate Guido, meato Frate
Giovanni deli' Ordine di San Domenico di Fiefole, a dipignere un Tabernacolo
di no/tra Donna nella detta %Arte, dipinto di dentro e fuori con colori
, ora
e argento variato* de' migliori e più fini che fi trovino, con ogni fua arte e
itìduftria, per tutto e per fua fatica e manifattura, per Fiorini cento novanta
d' ofo, 0 quello meno, che parrà alla fua confeienza, e con quelle figure
, che
fono nel difegno . Fin qui il Partito. Non fo fé avanci o dopo di aver con-
dotta queft' opera, dipinfe il buono artefice tutta la facciata del Capitolo
del fuo Convento di San Marco, ove figurò il Calvario, col Signore, Cro-
cififlb fra i due Ladroni, Maria Vergine a pie della Croce, e Santa Maria
Maddalena: e vi fece ancora più figure intere di Santi, flati nella Chielà
Cattolica, valendoli di una certa licenza, ufata talvolta da'pittori, per di-
moftrare la continova memoria avutali a quel Sacrofanto Miftero di noflra
Redenzione dagli fteffi Santi, non già per far credere altrui, che i mede-
fimi ritrovati fi follerò in tal tempo ed in tal luogo a quel fatto. Sotto a
quella grande opera dipinfe, in un lungo fregio, diciaflette cede con
bullo, con cui volle rapprefentare Santi e Beati di fua Religione; talifono;
San Domenico Fondatore dell' Ordine , il Beato Buoninfegna Martire,
il Beato Remigio da Firenze, il Beato Niccola Provinciale, il Beato Gior-
dano fecondo Maeftro dell'Ordine , Santo Antonino Arciveicovo di Fi-
renze, il Beato Paolo, il Beato Ugo Cardinale, poftillatore della Bibbia,
il Beato InnocenzioV. Papa, il Beato Benedetto XI. Papa, il Beato Gio.
Domenico Fiorentino Cardinale, il Beato Pietro Parute Patriarca Jerofo-
limitano, il Beato Alberto Magno Alemanno, San Raimondo terzo Mae-
flro dell'Ordine, il Beato Claro di Firenze Provinciale Romano, SanVin-
cenzio Ferrerò di Valenza Predicatore , ed il Beato Bernardo Martire .
Ma io nel dar quella notizia mi lento tacciare dal mio lettore di poco
accurato, in ciò che a Cronologia appartiene, mentre io ho nominato
fra'Santi e Beati, ritratti in quel fregio dal nottro pittore, quello di Santo
Antonino Areivefcovo di Firenze, mentre noi fappiamo, che la morte di
quello legni al li 2. di Maggio del 1459. che è quanto dire circa a quattro
anni dopo che il Beato Fra Giovanni Angelico fé n'era andato al cielo:
e così era Hata fatta la pittura in tempo, che Antonino Santo sì» ma non
morto ne Canonizato, leggeva ancora la Chiefa Fiorentina. Orfappiafì,
che io pure nel mettere iniieme quelle notizie, nel riicontrare i tempi da
incliibite fcritture, come è mio folito, diedi d'occhio a sì fatta impìican-
za: ed a principio ne fui jn gran penfiero; onde mi poli ad oilervar di
nuovo la pittura tteiTa, la quale pure, e per ìa maniera e per gli antichi
ferini, fappiamo efièr di mano di tale artefice e non d'altri; e venni in
chiara cognizione , che la figura , che qui rapprefenta Santo Antonino
( benché a primo afpetto, iiccome fanno anche altre delle tette ivi dipinte
da quello pittore, per etter con barba rafa, di età grave, ed afeiutta in
volto, veduta così in attratto, tanto quanto arieggi quel Santo) non fu
però dipinta per Santo Antonino» ma per altro Santo di quell'Ordine.
t Scrini
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e FRA G10. lANGELICO.           45
Scriffi poi in tempo, che la medeilmà figura ( per mano di chi non ci è
noto, e fecondo quello che moftra l'antichità del colore, crediamo che
folle poco dopo la Ganonizazione del Santo) che quei Padri, defideroli
di aver fra quei grand'uomini anche la memoria di Santo Antonino, fecero
ricoprire a tempera il campo fatto a frefeo, ove era fcritto il nome dell'al-
tr* uomo di loro Religione, del quale antico nome trafpajono ancora fra,
ceni azzurretti alcune lettere : e (òpra 1' abito fecero accomodare il Pallio
Arcivefcovale , vi fecero aggiugnere gli fplendori e diadema e nuove let-
tere, che lo qualificaflero per elio Santo Antonino: e quefto affermiamo
efler vcriflimo, perchè oltre al vederli chiaro da chi attentamente confi-
derà la divertita de'due benché antichi coloriti, lo icoprimento del più
antico, a cagione della confumazione del più moderno, che come fatto a
tempera, è flato meno collante dello a frefeo; la divertiti del carattere
nuovo, benché fatto ad imitazione dei vecchio, che contengono le altre
figure: ed il comparire ancora che fanno alcune delle antiche lettere, ha
poi chiarito il tutto, quanto bada per poterfene da noi raccontare il vero.
Ed io ho voluto dare di tutto quella notizia, acciocché non rimangano a*
pofteri noftri, in quanto appartiene allaftoria» cofe che confonder poffano
la mente degli ftudiofì di antichità, maflimamente in ciò che tocca alle
noftre arti ed agli artefici.- lìccome quella di che ora parliamo, confufe,
anzi ingannò la mente del Vafari, il quale, fenz'aver fatto tale rifeontro,
fi lafciò portare a feri vere quanto appariva allora, e non quello che fu in
verità, cioè, che il ritratto non fu a principio fatto pel Santo Antonino,
ma di altro Santo o Prelato di quella Religione. Trovali ancora aver Fra
Gio. Angelico fatte nella Chiefa óqì Convento del fuo Ordine nella città
di Cortona, ove, come fi ha da più fcrittori, fece quivi il fuo Noviziato
Santo Antonino, più opere in pittura, cioè a dire la Vergine Santiffima
con Gesù in collo, Copra la porta principale delia Chiefa nella facciata cite-
riore: dall' uno e 1' altro lato della Vergine fi veggono San Domenico e
San Pier Martire, e nelP arco i quattro Evangelici. Nella Itefla Chiefa,
preflb all'Aitar maggiore dalla parte deli' Epiftola nella Cappella de' To-
mafi, è una tavola dì una Vergine con Gesù, e da'lati alcune Vergini,
San Giovambatifta, San Marco e Santa Maria Maddalena: e nella predella,
in piccole ligure, fono diverfi fatti dì quei Santi. In Sagreftia è la Vergine
Annunziata. Di tali piteure fatte in Corrona ferivo io per notizia avura
dal Padre Fra Giovanni Marini, Profeto di quell'Ordine, Sacerdote mol-
to ftudiofo e devoto , e mio amìcifiirno. Io fleffo confervo di mano di
quefto Beato una tavola in forma triangolare , dove in piccole figure ,
diligentemente lavorate , è una Pietà , cioè il Corpo di Crifto Signor
nofìro, fedente fopra il Sepolcro, colle mani ftefe verfo la fua Santa Madre
e San Giovanni Evangelica, che genufleffi, umilmente le prendono e ba-
ciano . Mi donò tale pittura, che io confervo come Reliquia di quefto
devotiflimo artefice, ultimamente in tempo di fuo Priorato del Convento
di San Marco di Firenze, il Padre Fra Giovambatifta, al fecolo Michele
Boccigli, ftretto parente de'miei ftretti parenti, che non è ancora un'anno
paflato, che in tal carica, coniumato dalle fatiche, durate a prò di fua
Religione,
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4<5 Deceun. Ih della Pajtt. L delSec. IK dal 141 o, al 142o.
Religione, morì in eflb Convento, non fenza univerfale concetto di mol-
ta bontà, degno fratello e feguace del Padre Timoteo di Santo Antonino
al fecolo Filippo, pure della ftefla Religione, che Panno iddi, dopo
aver gran tempo operato e patito nella propagazione di noftra Santa Fede,
nella edificazione di nuovi templi, enelP Ifole Filippine, pieno di meriti,
diede fine al fuo vivere. Della cui bontà e zelo, oltre a i grandi atteftati,
che ne diede chi il vide,conobbe e con eiTo operò, abbiamo quanto appreflb :
In Aélis Congregationis Provincialis, celebrata in Conventi* S. P.N. Dominici
Civitatis MaJJìlenfis in lnfulis Phìlippinis die
14. Aprilis Anno Domini 10*63.,
ha babetur. In ampliffimo Sinarum Regno ohm R. P. Fra Thimotheus de S. An~
tonino Florentinus
, Sacerdos & Pater antiquus » & Vicarius Tìomus noffra
S. Joannh Evangeli/fa Villa : Vir devotus & zelo ampliando fidei per ferendo
flagrans
, qui fere quamordecim onnos in comminijierio gloriofijjime laborans
confumpfit, &fic latus mortem afpexit
. Perdonimi il mio lettore 1' avere
io, coll'oecafione di parlare dell'opere del Beato Fra Gio. Angelico, fatta
quella breve digreflione intorno a'due fratelli Dottigli, giacche la memo-
ria di ior virtù fu e farà fempre a me giocondiflìma, comechè non pure
io ebbi nel mio parentado l'uno e l'altro di loro ; ma eziandio ebbigli per
compagni ài fcuola negli efercizj delie prime lettere. Tornando ora al
noflro pittore Fra Gio. Angelico, lafcio per brevità di far menzione di
moltiflìme altre fue pitture fatte a tempera, oltre a quelle, che lì trovano
in efla Cronaca defcrìtte: e dirò folamente, che egli fu anche Miniatore
eccellentiffimoi e di Tua mano fono nel Duomo di Firenze due grandini-
mi libri, con fue belliffime miniature, e riccamente adornati, i quali fon
tenuti in fomma venerazione e per l'eccellenza loro e per la memoria di
tant' uomo. Né meno ttarò a dire, quanto fcrivono intorno alla Santità di lui
Leandro Alberti De Virìs III Ord Prad lik$. pag.i$o. ed il medefimo Va-
farj nella feconda parte a car. 359. e feguenti, e Fra Serafino Razzi nella
fioria degli Uomini Illuflri del Sacro Ordine de'Predicatori a car. 353. e Jar-
ghiflìmamente exprofeiTo il medefimo Fra Serafino nelle Vite de' Santi e
Beati del medefimoOrdine ae 222. e 223. non eflendo al preferite mioaflun-
to io fcriver Vite di Santi. Dirò folamente, e crederò con poco di aver det-
to tutto , che egli fu ofièrvantiffimo di tutti gli Ordini della fua Religio-
ne, e forbito di tanta femplicità criftiana, che lavorando in Roma nei Pa-
lazzo Pontificio , con gran fatica di applicazione, per Papa Niccola V.
il Pontefice compatendo la di lui incomodità, gli ordinò, che per rifto-
rarfi alquanto , mangialTe carne: al che egli, che avvezzo era fempre ad
ubbidire a'fuoi ordini religiofi, rifpofe, non aver dì ciò fare altra licenza
dal Priore: e fu necelTario, che il Papa gli ricordarle, elTer la fua autorità,
come Vicario di Grillo, fuperiore a tutte l'altre infieme. Non volle mai
cavare altro utile dalle fue pitture , che il merito dell' obbedienza al fuo
Prelato, al quale, e non a lui fi domandavano le opere, Non mai altro
dipinfe, che immagini facre , ne fenz' aver fatta prima orazione; e nel,
farle fempre fpargeva devothììrne lacrime. Alle Immagini di Maria Ver-
gine e del Crocifitto, diede tal devozione , che in ciò fu fuperiore a fé
itelTo: e per quello e pel viver fuo innocentiffimo, fi guadagnò il nome di
Angelico.
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FRA GIO, ANGELICO*          w
Angelico . PotevaefTere Arciyefcovo di Firenze, eflèndone dal Papa ripu-
tato degno per la Tua bontà j ma recusò dieflerlo, proponendo in fua ve-
ce Frate Antonio Pierozzi da Firenze, che fu poi Santo Antonino, facendo
in un tempo fteffb, ricco di merito fé medefimo, e felice e gloriofa la patria
fua. Mori finalmente in Roma-agli 18, Febbrajo 1455. fopraccennató, e fu
fepolco nella Minerva, ChWa del fuo Ordine» in un iepolcro di Marmo
col feguente epitaffio ; , . A v - v:% ,*^»\
Non mibi Jtt hu ài» quod eram velùt alter ApelUs%
Sed quod lucra tttis omnia CbriBe dabam,
Altera nam terris opera extant, altera Casio
. Vrbs me Joannem Flos tulit Etruria.
Ebbe ancora il medefimo Padre un fratello della flefla Religione > uomo
di fingolar bontà, e fcrittore di libri da Coro ecèellentiflimo» come del-
l'uno e dell'altro moftrano le feguentì parole copiate dalla foprannomi-
nata Cronaca de' Padri Predicatori > Fogl. of. Ffater -Joannes Petri de Mu-
gello juxta Vidicum optitnus piclor, qui multas tabulas,<& parìe tes in dwerfis
locis pinxit > accepit babitum Clerkorum in hoc Conventi
1407. E al FogL 146".
Frater Joannes Vetri de Mugello obiit die .... bic fuit pracipuus piclor * $*
fìcut ipfe erat detiotus in corde* ita & figuras pingebat devotione piena s ex
effigie• : pinxit enim tóaltas tabulai Altariumin diverfis Ecelefiis, & CappeUis
& Confratemìtatibus
, quarum tres funi in hoc Coment u Fsfidano* una in
S. Marco Fiorentine
, da<e in Ecclefia S. Trinitatis , una in S. Maria de tAn-
gelis Oràtnis Carnai'Julenfium
, una in S, Egidio in loco Hofpìtalts S. Maria
Nov£. Quxdam Tabula minare* in Socìetatibus puerorum
, $* in aliis So-
vietaùbus. Pinxit Cellas Convemus S. Marci* $* Capii uhm
, & aliquas fi-
gurai in Claufiro. Simìliter pinxit aliquas figuras hic Fafulis in Refettorio
.
in Capitalo veteri, quod nmio eft Hofpitium fecularìumpinxit-, Cappellani D.
Pap£s & pattern Cappella in Ecclefia Catbedralts OrbisveteriSi & piar a alla
pinxit egregie & tandem /ìmplkiser vivens, /aneto fine quievit in pace
. Ed al
Fogl. 146. Pr. Benedicitis Petri de Mugello, germanus pmediBis pióforis, obiit
.... . . bic fuit egregius fcriptor, $* notavit, & aliquos libros, & bic
Fefulis. Fuit bic Pater devotus <&* fanétus, & bono fine qui evi t in Domino,
E al Fogl. 3, Poft feparùtionem S. Marci de Florentia, & Santfi Dominici de
Fefulis Anno Domini
1445. unufquìfquC Comentus babuit proprium Prìorem
Fra ter BenediBus Tetri de ^Mugello , germanus Fratris $oanms optimi piòlo-
vis, qui erat optimus fcriptor & fcripfit multos libros notatos prò cantu, tam
in Conventu S. Marci
, quam in Conventu Féfulano. Ma tornando a Fra Gio.
Angelico, Farà egli Tempre gloriofo, non folo per avere con grande Au-
dio e perfezione efercitata 1' arte della pittura , ma per 1' eccellenza di
quei maeftrì, che da lui ebbero derivazione ; conciofliacofaehè egli Pin-
fegnatfe a Gentile da Fabbrìano, e quelli a Jacopo Bellini, padre e mae-
Uro dì Giovanni Bellini, dal quale impararono Giorgione, il famofiffimo
Tiziano ed altri, da ì quali derivò poi la non mai abbaftanza celebrata
maniera Veneta.
Dicono
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48 Deeénn. IL della Part. L del Sec. IV, dal i$\o. aitalo.
Dicono alcuni t perfuafi dalla fòmiglianza della maniera, ejfer pariménte di
mano del Beato Fra Giovanni ^Angelico la pittura di un Tabernacolo:, che è
fuori della Porta a Tinti, vicino aUe mura di Firenze, in un campo già
de* Frati della Calza, oggi delle Monache di Santa Maria Maddalena, nel
quale è rapprefentato Gesù Criffo Crocififo , e a9 piedi di ejfo due Santi
de U* Ordine de' Frati Gefuati di San Girolamo della Calza, detti così da
una certa rivolta , che fur una fpalla faceva P abito laro fimi le ad una
ealza . Fu infiitutore di quefta Religione il Beato Giovanni Colombini no-
bile Sene fé, e fu fopprejfa da Clemente IX.
/'anno166B. infieme' con altre di
poco numero, in fra le quali quella degli Eremiti di San Girolamo
, diffe-
rente* benché in alcune cofe limile, da quella de* Gefuati ; Di effì era fiata
fondatore il Beato Antonio
» Conte di Montegranelli, nobile Fiorentino ».
nel Convento degli Eremiti di San Girolamo di Fiefile, luogo, che oggi
pofeggono i Signori Bardi Gentiluomini Fiorentini
» e quivi godefi una delle
più belle vedute, che fieno intorno a Firenze* ^Avevano quefii Gefuati un
Convento nel detto luogo di Tinti, preffi al detto Tabernacolo, che in con-
giuntura dell' afiedio di Firenze Panno
1528. fu demolito con altre molte
fabbriche e chiefe, infra le quali la tanto celebre di San Gallo, aggi acent i
per ogni parte alle mura della citta t ed ottennero in quella vece la Chic fa
di San Giovambatiffa, oggi detta la Calza, pofia dentri e preffò alla Porta
Romana, 0 di San Piero in Gattolino; onde lafciato l* amico luogo rovina-
io, refth però loro la padronanza del fmio e del predetto Tabernacolo ove e
dipinta la mentovata fiera Immagine
»
.} ù : )■ ; -1 , l*.
NANNI
.«'■■
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NANNI DI ANTONIO DI BANCO
SCULTORE FIORENTINO
Difeepoio di Donatello^ nato mi 1383. ■$■ 14Ì1V
'Affai riguardevoli natali, nacque in Firenze Giovanni, elet-
to Nanni d'Antonio, il quale, non per alcuna neceffità, che
avefle di guadagnarci il vivere; ma per folo amore della vir*
tu, e grande inclinazione naturale , meflefi ad imparar 1! arte
della Scultura da Donatello , il più eccellente, che allora
nel mondo maneggiale (carpello; e divenuto in breve
tempo buono artefice, gU fu data a fare nella noftra Città
la ftatua del San Filippo Apotlolo, che fu meda in un pilatiro di una delle
facciate di Orfanmìchele, Quella ftatua per avanti era {tatada i Confoli del-
l'Arte de'Calzolai allogata a Donato fuo maeftro; ma non avendo potuto
concordare nel prezzo , fu la medesima, quaiì per .d tipetto, data a fare a
Nanni, che fi era offerto di fkia* non folo per molto meno di quello*
che Donato chiedo ne aveva, ma eziandio per quello, (blamente, che agli
uomini di quell'Arte folle piaciuto, Finita V opera, fcordatofi Nanni in
tutto della promelTa, molto maggior prèzzo ne domandò, che Donato fatto
non avea ; onde nata fra lui e i detti Confoli gran controverfia, dopo le mol-
te, finalmente fu nello fieno Donato■rìme'fla la differenza, fperandofi dagli
«omini dell'Arte, che pel torto, ricevuto da Nanni, ài aver quello, pri-
ma a sé deftinato lavoro, prefo a fare, dovefle {limarla poco o nulla; ma
aliai diverfamente andò la bifogna; imperocché Donato la (limò di gran
lunga più di quel che egli medefimo ne aveva chiedo. Può ognuno facil-
mente immaginarli, quanta foffe l'ammirazione di quei dell' Arte, i quali
con lui molto fi dolfero di così fatta ftima, dicendo non parer loro cola
giuda il pagar la ftatua dei difeepoio, più di quello, che ne aveva doman-
dato il maeftro, e maeftro quale eflb era. A quelli rlfpofe francamente
Donato, eflèr* egli altra perfona che Nanni non era, ed avere altra faci-
lità, e molto più preflo sbrigarli dall'opere, di quello, che egli faceva;
voler però ogni giuftizia, che molto più a Nanni , che a fé medefimo
folle pagata quell'opera, per avervi durata più fatica, e fpefo più tempo,
che egli non sverebbe fatto . Coma ei diftè, cosi fu necefTario di fare; ed
a Nanni fu pagato il prezzo rigorofo in conformità del detto di Donato .
Bella invenzione, con cui feppe quel nobile ingegno, fenz' alcun torto
fare alla giuftizia, confondere il poco lodevol termine del fuo difeepoio,
ed infegnare a quei dell'Arte, che non il rifparmio, ma l'abilità e ') vaio-
re de'maeftri dee cercarli da coloro, che hanno incumbenza di far condurre
opere grandi per pubblico fplendore. Opera del fuo fcarpello furono an-
che i quattro Santi, che nella medefima facciata in un'altra nicchiali veg>
gono, i quali egli condurle con gran diligenza; ma avendogli già del tutto
I>                                         finiti,
;
\
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. 5° Decenn. IL della Part.L delSec. IV. dal 14.10. alialo.
finiti, li aceorfe, ch'eglino occupavano tanto luogo, che per modo veruno
non potevano entrare nella nicchia, la quale appena tre ne capiva. Onde
tutto confufo andartene a trovar Donato fuo maeftro, che ridend@lì della
fua inavvertenza, gli pomelle, che quando egli fi fbfie contentato di fare una
cena ad elfo e a tutti i fuoi giovani, averebbe egli rimediato di fua mano
a quel male. A quella prometta Nanni reipirò alquanto: e parendogli
avere uri buon mercato, {ubico fi obbligò a quanto domandava. Donato
allora fattolo partire dal luogo, li pofe per alcuni giorni, con tutta la fua
gente, atcorno a quelle ftatue, alle quali fcahtonò mani e braccia: e fo-
prapponendo 1? una allf altra figura con bella avvedutezza, fece sì, che
runa ali* altra, con una finta compreflìone nelle particopérce da' panni,
delle luogo, in modo tale, che non rimanefTej-o intaccate le membra;
e perchè una ve n'era, che aveva le ipallefbverchiamehté;alte, l'abbàfsò,
lanciando tanto di marmo, quanto fece di bifogrio, per fare in elfo appa-
rire una mano, che linfe che fofle palTata fopra la delira fpalla di ella fi-
gura dall'altra figura, che dietro ad elfa rimaneva:, e con quella bella ma-
niera avanzò tutto quello fpazio, che a¥erebbe; occupato il braccio di ella
figura, che aveva finto reftarle dietro ,e del quale non fece vedere altro
che ella mano. In ultimo, così bea coiìgiunfe 1'una aIR altra Itatua, che
niuno li accorgerebbe mai, che foriero fiate fcolpite con altra inten-
zione , che di farle (lare in quel modo. Non è poffibile a direi quanto di
ciò al fuo ritorno goderle il povero Nanni, il quale a Donato ed a' fuoi
giovani e garzoni adempì il promeffo. Sono di mano di Nanni i mezzi
rilievi, che lì veggono lotto alla detta nicchia di elfi Santi, dove ap-
parisce uno Scultore, in atto d' intagliare un bambino, ed un Murato-
re con altre figure. Il Santo Lo, che m altra facciata pure di Orfanmì-
chele , fece fare 1' Arte de* Manefcalchi, co' mezzi rilievi fotto ad ella
figura, tenne opinione il Vafari, che folle dì fua mano, e la maniera
ni conti adice, lo però mi fon fempre molto maravigliato, come po-
teile lo Hello Vafari ingannarli tanto, in dar giudizio di un'altra opera»
forfè la più bella ,che maifacefle quell'artefice . Quella è Vittoria di mezzo
rilievo, che rapprefental* All'unzione di Maria Vergine , che fi vede fo-
pra quella porta laterale del Duomo di Firenze, che guaida verfo la San-
tiilima Nunziata. Dille il Vafari efier quefta fcultura fiata fatta p^r mano
di Jacopo delia Quercia Scultore Seneie, come nella Vita del medefimo
Jacopo fi legge: e pure egli qui s?ingannò, come ora io fono per inoltra-
re. E prima piacemi lafciar da'parte, che la maniera, che fi lcorge in
queir opera , non tanto a giùd zio mio, che poco intendo , quanto de'
primi Maeflri di quella Città, co'quali di propolìto ho confultato, non è
punto lontana dal modo di operare di elfo Nanni: e dirò folo, che molto
dìvtrfamente da quello, che il Vafari i'cnfft, trovo io negli antichi libri
dell'Opera di quella Chiela, dove apparifcono negli anni 1418 e 1421.
più pagamenti fatti a elfo Nanni, per intagliare le figure quivi descritte
nelle proprie circoltanze, che le qualificano per quelle ftefie, fenza che
fé ne polla dubitare: e mentre io ferivo quelle cofe, ho ritrovato nella
tante volte nominata Libreria degli Strozzi, uq Manofcritto in un libro
■*                                              minor
:
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NANNI D*ANTONIO DI BANCO. §f
! ,.
minor di foglio, fegn. nuai. a«5- * car. 45: fra diverfe memorie di Pittori
e Scultori ed Architetti di quei tempi, la feguente nota. Nanni. dAmmio
di Banco Fiorentino
, ebbe lo flato nella città ài Firenze perle Jite virtù, morì
.                          -            ■ .               , ■      ' /T*              P____/- J?_______ J' O P.'/'j.j.rt Ji ni* n*!> IV) ft lift I ***-
a Marta uet rtore t eoe vu m*» xw»**»*»» •* ■» ìw^"^»» «»«..-. «.------- •*£;
m. &fetf* /taii» dinanzi di detta Chiefi, èUmMa porta di mezzo verfiì
Legnatoli> uno dequattro Evangeli®, ed altri accomoda
qui ton-.parole
dell' accennata memoria. lo mi pervado poif che chi foprintete a quella
invenzione, per quanto fi apparteneva alla (torta, dubitale, che ella^ non ti
confacefle così bene coll'anriche tradizioni, metcè deli effere flato figuralo
appretto alla Vergine, in quell' atto di Ialite al Cielo, un fole. Apoftolo ;
e però ììimafle bene accennarveìie almeno alcuni altri, giacche fi reggono
fotto la mandorla, la quale contiene in sé quella ftoria. Due iole tefte pu-
re di mezzo rilievo,- un vecchio e un giovane, squali appunto -foglio*
no nsurarfi San Pietro e San Giovanni;, loiftinMyifcfifcr* fatti per Apo-
itoli, non ofìantechè fófle per errore nella^ipartitavche appreflto f rw^ra^
ferino Profeti; e quefìi hanno un poco debutto* e -aniuofrreuegi petto',
in atto di adorare e riguardare efla Vergine, le qualu tefte furon fatte da
Donatello. i^At^alliiitettra^rt^^^^i!^11*^^ tt,\; va2Jla
quanto può valere 1? accannata mia opinane: hceorne ancora delleffere
Apoftoli o Profeti; ma quanto -air effere ftati fatti da-Donatello leccone
alcune redimo niarize fenza eccezione, che-ferv iranno- anche per pròva
concludènte, che P opejp* dell' AiTurita fu fatta per mano di Nanni d'An-
tonio di Banco, e #oi/di Jacopo della Quercia, come ferirle il Vafari,
feguitato in tale errore da chiunque dopo di lui ha fcritto. In un libro
dell'Opera di Santa Maria dei Fiore fopraccennato nell'anno 1418. a dì 28.
di Giugno leggerli'appreffo Partita: A Gio. Antodi Banc^laflrajolo e inta-
gliatore di marmo Fiorini 10, fopra le figure intagliate per lìti per tt)perd da
por/i[opra la porta di Santa filaria del Fiore verfi la via del Servi.
In altro
luogo fi trova: Dottato Nicolai getti Bardi Intagliatori, qàos recipere debet
prò duobus tefiis
, five capitibus 'Vrophetarum per eum facìis , & fculptis ,
<& pofitis in hiftoria faófa per Joannem evintomi Banchi fuper'janu* di-
cl£ Eclefijs (paria delia Chiefa di Santa Maria del Fiore) Fiorini 6, E poi
in altra carta; Die 11. tAprilis 1421. Joanni Amonii Banchi Intagliatori
prò re fio folutionis fibìfiendte de hifioria mormori s fiutpti & intagliati fub
figura Beata Virginis Mariée fupra januam AnnUntiat£Ìibb. Ì6y.fol.
17, don. 4.
Ma per ultimo confiderifi in ciò, che io fono ora per apportare, che
il Vafari, in quanto egli fcritTe in propofito di quefta opera, fi governò,
non già co' fondaménti dell' antiche fcritture ; ma con qualche relazione,
che dovette averne poco ficura, e contro a quello, che egli medefimo cre-
deva, e Jafciò fcritto di fua mano in tal particolare, che è quello appun-
to, che noi diciamo, che non da Jacopo della Quercia, ma da TSJanni di
Anton di Banco fu fatto quefto lavoro. Dico dunquei che in un libret-
to, grande quanto un fòglio comune, 'grotto circa a bri «dito, chiamato
Frammento di Vite di Pittori, che1 fi conferva nella'Libreria de' Caddi, no-
D %                              bil fa-
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If Decenti, IL della Pati. I delSecJKdati4i.o.al 142o.
òil famigliar della quale altrove abbiamo parlato» feritto di propria ma-
aio, che lì dice di Giorgio Vàfari, in cui egli incominciò a notare alcu-
ne cole appartenenti a'Pittori:, de? quali poi egli ferirle le Vite, incomin-
ciando da Cimabue, fi trovai! quefte parole ; Nanni d'Antonio di Banco bene-
jtziatofece la figura di S. Filippo di Marmo nel pilajiro di Or S. Michele ,e di $.
t quattro Santi, F AJ]unzione di noBra Donna Jopra la porta di S Maria del
Fiore
, ebeva a' Servii ed uno de'quattro Evangelifttnetta'-faccia di detta Cbiefi
dinanzi'Vérfò ì Legnatoli.
Sin qui il Vafarr, lo trovo, che fu eoftui ado-
perato anche in cofe di Architettura dagli Operai di Santa Maria del Fio-
re , * quali a Fil ippo di ser Brunellefco, a Gip; d'Antonio di Banco , e a Do-
nato di Niccolò (che è Donatello ) cittadini Fiorentini, fecero pagare
in una volta feudi 45. da dividerli fra di loro, come loro parrà, per un
modello delkJCupola di Santa Maria del Fiore, murata con mattoni e cal-
cina, fenz^armadura,; per efemplo» come per Deliberazione degli Ope-
rai dell'anno 141 o.s-Il Vafari fuddetro aflegnò al mancare;di coltui l'an-
no 1430, cioè molti anni avanti quello-del maeftro fuo Donatello; ma ia
quello ho» io cromato in antiche fcritture de' Manofcritti di cafa Strozzi, effe-
re egli morto non nel 1430. i ma nel 1421. Ma comunque fi fofle la cofa > egli
è certo > che la morte di quefto artefice feguì con non poco dolore de* fuoi
concittadini, per aver egli faputo congiugnere alla molta civiltà de'proprj
natali, un tratto amorevole e gentile, ad un vivere giuftò e ben coftumato,e
poiFiamo anche dire,che in Firenze mancarle un grande amico a quefte belle
arti;» dell* efercizio delle quali non oftàntechè e' fofle in ufizj e maneggi
pubblici molto adoperato, egli temprepiù di ognitóltra cofa usò di gloriarli*
NERI DI LORENZO DI B1CCI
PITTORE FIORENTINO
H Tììfcepoìo di Lorenzo fuo Padre, fioriva circa afillo,
ELL' antico libro degli uomini della Compagnia de7 Pittori
trovafi de feritto queft' artefice nel 1429. e fu fino da quei
tempi in quella fua patria non-poco adoperato, forfè
come, quelli, che avendo avuto per Padre Lorenzo di
LBicci, di cui correva gran fama per lo molto-operare,
eh'ei. fece pei la città e per lo Stato, potè anche avere
avuta da etto tale introduzione, che non ne fotte flato
d'fHcìIe poi il trovar modo di dar fama a'proprj pennelli in una quantità
grandjffima di pitture, cjie noi troviamo, ch'ei condufle, dico di quelle
foJamenter *fip, quali ha perdonato il tempo. Trovali avere quefto pittore,
dopi ì«>5Wr|fe4^^ri^Wr^^^%'K^Ìl^!ab^ iwi^ e quello di fé medefimo*
-a'                                                 nella
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i            NERIDI LORENZO DìB1CCI.           5?
nella Chiefa di Ogniffanti in" due tondi, nellaiCappella di Barfcolommeb>
Lenzi, colle parole attorno, che dicono i nomi loro: e avervi anche di-
pinte iftorie di Maria Vergine» nella quale fi Audio d'imitare al pofllbita
molti abiti, che fi ufavano in quei tempLdagli uomini e dalle don«e Fio-
rentine: fecevi anche la tavola a tempera, e il bollale dell'Altare (tf) .
Per lo fteflò Bartolommeo Lenzi dipinfe una tavola, alla quale fu dato luo*
go nella Chiefa dello Spedale degl' Innocenti. In quella di Santa Trinità,
per entro ia Cappella degli Spini, dipinfe a frefco iflorie delia Vita di
San Giovangualberco, e la tavola pure a tempera. Chiamato «in Arezzo ,«
fecevi una tavola per la Chiefa di San Michele e Santa Maria delle Grazie
fuori di quella città. Nella Chiefa di San Bernardino dipinfe una Immagine
di Maria Vergine, che morirà di tenere l'otto il facro ammanto il popolò
Aretino: e da uno de' lati fece vedere lo fìeflo San Bernardino inginoc-
chioni» con una croce di legno in mano , ficcome cofturnava il Santo dì
portare, quando andava predicando per quella città; dall'altro lato dipinfe
^an Niccolò e San Michele Arcangiiolo: e nella predella della tavola rap«
prefentò fatti di erTò Santo, e miracoli operati per lo più m quella città.
Ho io ancora ritrovato nella Libreria de' Manofcritti originali e lpogli*
oggi degli Eredi del Senator Carlo Strozzi i Antiquario rinonaatilfimo , in
un libro legnato I. i. 1231. a.car. 561, quanto fu per mano di quel Ca-
valiere eftratto da un Diario originale fegnato D. che fu dello fieno Ne-
ri di Bicci, fcritto dall' anno 1453. fino al 1473- il quale pure lì confer-
va nella raedefima Libreria 1 nel qual Diario, oltre a molti ricordi di cofe
famigliari di fu a cafa , e particolarmente de' giovani, che fotta la di lui
difciplina di tempo in tempo fi ponevano, egli fu .fatico di notare le opere
eh' e1 faceva ; avere egli fatto nota di un Tabernacolo, dipinto in Culla
ftrada maeftra, che va da Firenze a Pifa, al Ponte a Stagno in fui Via-,
gone, poco lungi dal Cartello della Ladra, ove per Luca d' Andrea da San
Colombano, dipinfe V anno 1453. una Vergine con più Santi da i lati,
e nella volta altre figure. Ancora vi è notata l'opera, che egli condurle
per la Chiefa di Santo Romolo di Firenze, Hata già data a fare a Lorenzo
tuo padre, che dopo averla ingeflàta, fi morì. Vi è anche il ricordo, co-
me detta tavola fu (limata da Zanobi, che fu della nobiliflima famiglia degli
Strozzi, e dipinfe in quei tempi con non ordinaria lode tavole da Al-
tare, che fi veggono fino al prefente indiverfeChiefe, e ancora altre ope-
re fece lodaciiììme. Fu compagno dello Strozzi in fare detta ftima Aleflb
Baldovinetti pittore celebre; e ciò fu nell'anno 1460". come altrove ab*
biamo detto . Effendomi poi, per molta bontà di Luigi Strozzi, figliuolo
del già nominato Senator Carlo » Arcidiacono della Metropolitana Fioren-
tina , riufeito d'avere per alcuni pochi giorni in mia cafa detto libro origU
naie del Bicci< ne ho fra l'altre cofe ellratte alcune note, che per ragione
D 3                                 di loro
( <? ) QueBa Cappella* verfo le cui pitture erafi mojlrato benigno il tempo, fa
tl' anno
1721. da gente poco intendente, e poco rifpettofa alla veneranda an^
tiebità* fenza giùfta cagione demolita» e fatta novweme dipignere da
Kìnieri del Pace
.
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54 DeceM liceitàPafi.Mdèìf'Sèc. IKMl 141 o. alialo,
di loro antichità ié; non itticoindegne dimemoria Ve*fono le feguentis
• Notai egli ave* e &udto di dota detta GoBanza di Bernardo di Lottino fua
moglie Fiòcini stwcentoq.wr.antM dì [aggetto, l'anno 1453» e /lettegli mattevado*:
realtagabetta Antonio Catafiinffùo Cognatm^ ài o; -\*1 * il »ib i-t* : ii?->?n
<■.: 1D ice faértf é &» Po dèe / /«ogd detto 4 Capotto di Gnngahndi. :
Dice avere a% }• di Luglio 1454* tf#/0 ori/tftf *fo Bernardo di Lupo Squar-
ciai upì > che Ma a Poggìbonzi, dì fargli una tamia di Maria Vergine* con Gìesìi
in cotto* con un S, Frantefco, S, Margherita ,S .Jacopo
eoi' Berttardimì'*jr
»«■//* predella almmftotiette'* e tutto queBó per prezzo dì'Fiarim cento s 3 poi
foggrugne dopo alquanto tempo: 'f^>ì i;> libili'. » <:f :j:k| iJn-^? sny-'vaavì
v! i Ricordo, come a?16. Aprile 1456. prefi a dìpignere per gli uomini della.
Compagnia della Dìfiìplina di San Niccoli? di? tPoggifonzi[ in ¥aldenfé, knè^ta*
vola dar Altare
, con una Vergine enofirùSignore in collo, e alcuni Santi allato,
e, di phì Borie di S Niccolò, due• battuti, un per parte, tutta meffa di oro,
I^Procuratori di detta Compagnia, che intervennono a farne il patto per Fiori"
ni ducentnfejjmta , furono i*Donato di Segna, Andrea dì Nanni fabbro, Gio-
vanni dì ser l.ucchefe Bindi >■■Giampiemifpezialei'Betnw'do di Lupo Ifquar*
«ito-psf, &tortti$ffvfr2$iiatàtfò4l£u&a&wtìy-
                                               H
in Neil' anno poi 14547 fa? il Tegnente ricordo, che fìccome dà materia a
noi di accompagnarlo cori qualche eonfiderazione profutevole agli ftudioli
di nollra antichità, così farà da noi copiato in quello,luogo da verbo a
verbo, e come egli lo fcrifFe.
Ricordo , come queBò dì 1 $<; Agvfto 1 lo Neri dì Bicci dipintore, tolfi a
metter d* oro; è dìpignere uno tabernacolo dì legname fatto all' antica, colonne
da lato, di/opra architrave, fregio, cornicione e frontone, di fitto uno ìmba-
Jamento mejfo tutto d'oro fine: enei quadro dì detto tabernacolo, feci un Mais e
e quattro animali de* Vangelisti, e nel frontone Santo Giovanni Batifia, e in'
tomo al detto Muisè e animali fece gigli d"oro, e drento il quadro dipinto>
il quale ha fiate $ attorno a uno arne/è, dove fianno le Pandette
, e uno altra
libro * il quale venne di Gefhntìnopoli, e certe altre folennifiime cofe di Firen-
ze, il quale debbo fare a tutta mia ifpefa, d7oro, d'azzurro, e ogn altra co-
fa , accetto legname, e fatto, e poBo in luogo dove ha fiate
, cioè nell'Udienza
de' Signori; e detti Signori, mi debbono dare per le fipraddette cofe, cioè oro,
azzurro, e mio mai fiero Fiorini cinquantafei dyaccordo co' detti Signori.
Era Gonfaloniere Tommafo di Lorenzo Soderini, e per Artefice Marco di Cri*
fiofano Brucolo legnujuolo, e Antonio Torrigiani, e altri, i quali non cono fio.
Rendei ti detto lavoio a dì
30, Agojlo 1454, e a dì 31. di Ago fio fu pagato, co-
me a entrata di a $. pofla allibrò di a
7. ; ( l '
Voi notarle, o mio lettore, che il Bicci in quefto fuo ricordo, con bre-
vità e fchiettezza incidentemente ci lafciò fcritti alcuni particolari, da'
quali facilmente s'induce un tal poco la cognizione della grande ftiina, in
che furono appreilo a i noftri padri quei venerabili volumi, chiamati le
Pandette t e le alcre cofe ancora, che dovevano aver luogo in quel fuo
tabernacolo, o altro arnefe, che noi dire vogliamo, fino a quei tempi,
Ma perchè poco fu quel ch? ei diflè-, non avendo egli prefo per afluntò il
parlare di tali cofe didimamente ; e perchè il fatto in fé fieno è degno
diriflef.
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NERI DI LORENZO DI BICCUc jj
di rifleffione-fiii memoria, vuole ogni dovere » chef io fupplirca al difet-
to» illuftranq'Q in un tempo fteflb ifr^cordOidel pittore , e alcuna cola
dicendo del molto, che di cosi pre.ziofi tefori : può, dirli a gloria della pa-
tria noftra, e di qualunque, cjie già per un corfo di più e più fecoli a no-
flro prò e a benefizio dei mondo tuttocegli ha confervati. Doveva dun-
que il tabernacolo coli' arnefe predetto, abbellito, con fattura di Neri di
Bicci, contenere in primo luogo il Libro delle Pandette, Quello Libro «
che è di grandezza di foglio, e diviio; in du!e; l^omi, fi chiama Pandette *
che come voi fapete, propriamente vuol dire, che,contiene tutto, e vie-*
ne dalla voce Greca Pan* che lignifica Tutto* re da decbome, che vuol dire
ricevo. Vii quello nome di pandette parla angelo Poliziano nel fuo Libro »,
delle MifceUànee, Gap, 78». e dice cosi. In PandeMis ifiis, quas tiiam ^r-
cbetypas opmamur ;
e più difFufamente nel Càp. 4U dicendo; Ch* egli è il
Volume.,
fiefio.de' Digeìtì „»; ovvero pandette dì\ GiuBimano : e che egli èfenza
dubbio originale
. Gli chiama Bigeftì* e in Latino diconfi Digita, che vale
cofe digerite per ordine :*e quefto è-il no'pe appunto, conlicm: chiama Ve«
gezlo i fuoi libri de* Re Militari, Diquefto nome di Pandette s'era valfo
Plinio nella Lèttera Dedicatoria, a Vefpafi ano Imperio re della fuà Storia
Naturale; allorachè, volendofi in. ella burlare de' titoli fpeciofi e curiofi de-
gli Autori Greci, melTe fragli altri quello di Pandette.- e Aulo Gelilo,
clic fcriiTe le Notti o le Veglie Attiche, in Latino dille; Sunt etiam qui Pan*
deBas ìnfcripferttm\h
Soggiugne poi il Poliziano, che quefto Libro era al*
lora nella Curia Fiorentina, che vuol dire nel Palagio de* Priori;, che dal
Sommo Magiftrato pubblicamente fi confervava: eifcon gran venerazione
( benché quefto di rado, e ancora al lume di torce ) fi inoltrava : e eh' è quefto
libro una ineftimabile porzione delle fpoglie e del botti no de1 Pifani, fpeftb
citato daVGiurifconfulti: eh*egli è fcritco flettere majufcole, fenza fpazj
veruni tra parola e parola; e fimilmentefenz'alcune abbreviature, e con certe
parole, almeno nella Prefazione., come dall'Autore certamente, e che penfi
<e che generi, piuttoftoche dallo fcrittoreocopìfta, fregate e cancellate, con
ifcrivervi fopra; che vi è una Epiftola Greca, e ancora un belliflimo Greco .
Epigramma nelfrontefpizio. Confefta anche il Poliziano, che di leggere
quefto Volume, e di maneggiarlo comodamente, a lui iolo era ftata fatta
copia, per opera e a cagione di Lorenzo de* Medici, il quale ( uomo princi-
pale della fua Repubblica) purché faccia, difteegli, cofa grata agli ftudiofj»
fino a quelli ofiicj fi abballa. Le chiama il Poliziano, non più per gli ag-
giunti nomi loro antichi, che furono cioè, prima Amalphitan<e, perchè a*
Pifani vennero di Amalfi nel Regno di Napoli, e poi Pifane; ma le chia-
ma Fiorentine: e afferma, che in loro fono le parole puree fchiette, : né come
ne li' altre piene di macchie e fcabbìofe. Fin qui dal Poliziano : Ed è da not
tarli, come nel fine delle medefime Pandette fi veggono fcritte due fedi, una
di Criftofano Landini ,e l'altra del Poliziano medefimo, che atteftano di re-
putarle originali. Quelli veramente ineftimabili Libri fono flati vifitati
da' primi Letterati, che abbia pe'tempi avuti il mondo: Lelio Torelli
da Fano, Auditore di Ruota, ne* tempi di Cofimo I. fece (lampare in Fi-
irenzedal Torrentino efie Pandette, cavate dal proprio originala; Antonio
K'i'Sto ?ì*?\
                                      D4                            Auguftino,
-ocr page 63-
jtf DecwnM. Mia ParkfcMSeùJV.Mi^ 10.0/1420.
AugurinoV famofo LèdilaSpagnuólió, è ^eldOvodLLèrida* nel Libro
delle Emendazioni' e Opinioni, impetrò dallo (leflb Còiimò I» di poter
fervìrfi dello fterTa libro pél bifogno de' fuor ftudj, eh" e'fece qua ; e vidde
anche lafaroòià Libreria di San Lorenzo, e aliai dole di propria mano notò.
Quello dòtto Autore chiama le Pandette Anticbijjìmo Monumento della Ra-
gione Civile,
Dice ancora, che la ilefla figura delle lettere apparifee per lo
più vicina alla Romana e Greca antica fcrittura: e foggiugne, che per fa-
re vqóefli fuoi libri, adoperò le Pandette d'Angelo Poliziano, confronta-
te Con qité {te Fiorentine. < Sopra quelle Pandette Teodoro GrOnovio»
quando fu: agli anni pailàti a Firenze* fece alcuni confronti, e ne Hampò
■• A' noflri un piccolo librò. Che poi quefti Volumi, col rimanente di quello che ac-
nuSvacof. cBntiHiil fóprannominato Neri di Bicci nel fuó Ricordo, veniflero di Co-
lazióne di frantiiiopoli, non è improprio, anzi neceiTario, col fuppofto, ch'elle iìano
StoEnncò originali, frante la reiìdenza,che vifeceGiufhniano, e gli altri lmperadori
Kreckman Romani, dopo la traslazione della fede dell' Imperio, che fece Collanti-
XfiemecoiM©V diRòmaa Bizzanziò, detta Coftantinopòlì, o nuova Roma. E que*
ab NiaJr Q 9,'uanto a^e Pandette, le quali fi confervano oggi, e fin da gran tem-
SaMnif^po, nella Guardaroba di Palazzo vecchio dei Sereniffimo Granduca, per
?°ttmia ens:r0 uno defeii Armadioni de/1'argenteria e oreria, chiule in una caffetta
fopparinata dt velluto, ricchiinmarnente adornata al di fuori.* né filafeia*
no vedere, per ordinario, fé non a degnilfirne perfone, e con afiìftenza
continova de'maggiori Miniftri, fra i molti che fono deputati al governo
della medefiina Guardaroba... re u'ì ii -i;■■.;•.* .:■-.■.> .«i5n.fiaToiUi.arJi.yvl bUsj* ^'hh
Fa ora anche di meitieri, che da nóvAi dia alquanto d'iìluftrazione al
rimanente di quello, che -accennò il Bicci nel fuo Ricordo, Dice egli:
£ nel quadro ài detto Tabernacolo feci un Muisè ve quattro Animali de' Vari"
gelijh
'; e nel frontone Santo Giovanni Bati&a': e intorno a detto Munì e Ani-
mali, feci gigli d'oro
, e drento il quadro dipinto, il quale ha Bare d'attorno a
uno atnefe, dove ji anno le Pandette
', e un altro libro, il quale venne S G&flan-
tinopolii e certe ahre Jolenniffime co/e di Firenze &c.
Or qui vede ogni
pedona, anche di mediocre intelligenza, che il Moisè, di'eidipinfe in
quel fuo tabernacolo, e il dovere Ilare nell'Audienza de* Signori, fu per
alludere alle Pandette, le quali, come antico monumento della Ragione
Civile, come bene le chiamò l'Auguftino, dovevano aver luogo ove ra-
gione fi teneva, cioè nell* A udienza de'Signori. L'Immagine del Precur-
iore fu dipinta in prima fronte, per lignificare la Protezione, che tiene
il Santo delia Città e Stato Fiorentino.- e '1 beli' ornato de'gigli d' oro ,
per moMrare, che il tutto apparteneva alla Fiorentina Repubblica e alla
città (tedia . Refta ora il dar notizia dell'altro Libro j che il Bicci dice che
doverle Ilare inlieme colle Pandette, e con altre folenniffime cofe di Firen-
ze. 'Dico dunque, come il Libro, di cui ei parlò, (non poteva elìere fé
non il Libro deli'Evangelio di San Giovanni, e quello fteflò, che apprelìb
ii dirà. Ed evvi forfè qualche apparenza di vero, che tale preziofifiìmo
Libro doverle Ilare nel luogo detto , per quello, che dirle .jl Bicci,
cioè, che nel tabernacolo rapprefèntò i quattro Animali, ne'quali fap-
piamo, che x Santi Evangelici vengono figurati. Se noi non yoleflimo
, invi v*
                            .4» U                                        però dire,
-ocr page 64-
;           : NERI' DI LORENZO DI BICCI, . 57
però dire, thè la figura del Moisè» con quella degli Animali, fotte fatta
per rapprefentare l'Antica e la Nuova Legge> e nulla più ; ma ciò non
pare, che abbia luogo, perchè, o vogliali tare Vallufione agli Evangelìfti
immediatamente y- o alla Nuova Legge, la quale ci fu divulgata dagli Evan-
gelifti , fempre noi ci portiamo' alla ricordanza degli fteili Evangelifti.
La verità però fi è, che oggi, e fino da tempo immemorabile, nella Cap-
pella dello ftefto Palazzo » già intitolata di San Bernardo degli Uberà
Vallombrofano: poi, e fino ad oggi, di San Bernardo di Chiaravalle, fra
le infigniflìme Reliquie di Santi , fi conferva un groflb Libro ; e quello
credeii fenza dubbio quello del quale fa menzione il Bicci. Egli è un groflb
Volume, di grandezza di foglio, fcritto in cartapecora, contenente tutto
l'Evangelio di San Giovanni, in lettera Greca tonda beìliffima, la quale
lettera è ftata tutta da capo a fondo coperta coli*oro, dante V opinione,
che fi ha della fomma antichità di quefto Libro; talché egli è (lato fempre
tenuto, e fino al prefente tempo fi tiene per lo vero e proprio originale
dello fteffò Santo Giovanni Evangelifta. Dico finalmente, che l'altre,
che chiama il Bicci folenniffime cofe dì Firenze, altro non erano, a mio
credere, che il proprio originale del Sacro Concilio Fiorentino, chiama-
to il Decreto dell'Unione fra la Chiefa Greca e la Latina , in Greco e in
Latino, colle fottoferizioni originali de* Padri dell'una e dell'altra Chiefa:
e l'altre Carte, che pure con elfo fi confervano, appartenenti agli Armeni
e a* Ruteni. E tanto ci bafti aver detto in quanto appartiene alle Notizie
di Neri di Bicci.
PAOLO UCCELLO
PITTORE FIORBNTINO
Difiepolo di Antonio Veneziano^ nato 1389. $fc 1472. :
Ara fempre degno di memoria Paolo Uccello Pittor Fiorenti-
no, fra gli amatori dell'arti noftre , come quegli, che a
pari di ogni altro fublimifiìmo ingegno del fuo tempo, con
incettante fatica e amore, feppe sì fattamente portarli per gli
afpri lentie ri, che ne conducono all'acquifto, dico fino a
quel fegno, che queir età comportava , che non folamente
ogni altro agguagliò, ma fi fece nelle varie facultadi, che ad effa appar-
tengono, dì gran lunga fuperiore. Fu quefti dunque nel)'operar fuo di-
ligente, quanto altri mai; ma-quello,-in che egli fi rendè più fegnalato,
fi fu il molto difeoftarfi eh'ei fece dalla vecchia maniera; e fu il primo,
che coli' efsmpio $ coir indirizzo di Filippo di set BruneUefco, pontile
. *, .                               ftudio
-ocr page 65-
58 Decerne IL della Pan. I delSec.IV.dal 14.10. aliato.
Jludio grande nella profpettiva, introducendo il modo di mettere le figure
fu'piani» dove effe pofar devono, diminuendole a proporzione: il che da'
inaeftri avanci a lui fi facevaa cafo, e fenz'alcuna conuderazione. Per cali
fueabiJitadi, fu egli in grandi© ftima in quellalua patria, e come profeflbre
primario riputato. Or prima di venire a dar notizia di alcune opere fue,
e particolarmente di una, la quale, e perla dignità del luogo, ove egli
ebbe a condurla, e per la nobiltà del fuggetto, che egli ebbe a rapprefen-
tare, e per altri titoli aflài ragguardevoli, fu delle più apprezzabili ; fa di
meflieri, che io porti qui, quanto io trovo in un libro di Deliberazioni
degli Operai di Santa Reparaca, cominciato al primo di Luglio dell'an-
no 1390. che è quella che fegue. Avendo riguardo gli Operai alla Provvifio*
ne fatta per lo Comune di Firewze circa alla Sepoltura. Incliti MMtis Domini
Joannis Aguti
'., olimGeneralis Capitani Guerra Com. Fior. & honoris, & Sta-
tus ipjius Com.jamdiu contimi fòlliciti defenforis:
circa alla fepoltura, Ex»
ceUentiJfimi Militis Domìni Pieri de Farne/e olim Capìtanj Guerra Com, prosa*.
qui in fervitium Qom, Fior enti a adeò animo frequenti Je habuit centra Pifanost
& in eodem diemfuumclaufit extremum
, la quale è già antica, e non appa-
rente,e porta in luogo non atto; e volendo le dette fepolture nella facciata
della Chieià di Santa Reparata, che è fra le due porte verfo la via de'Caf-
fettai, far fabbricare: bonoràbilius quantum decet; Deliberaverunt primo.
in ipfafaciet ipfas fepulturas defignariper picloresbonos
, ut omnibus civibus ad
ipfam Ecclefiam venientibus objìendantur
, & fuper e'ts maturius, & honorabi»
Uus
, <& cum deliber aiione omnium volentium confukre» poftea ad ipforum per»
feólionem procedatnr. E così allogano a dìfegnare a Angelo dì Taddeo Gaddi, e
Giuliano d'Arrigo Pittori
, per prezzo di Fiorini3 o. Da far fi quella di Mejfer
Piero da Farne/e più verfo l'Altare &c. (a)
Fin qui la Deliberazione• E nel-
lo fteflò tempo deliberarono farfi il fepolcro a Fra Luigi Marfìli Eremitano
defunto, con aggiunta di quelle parole : Ex cajus fanfiitate, feientia, <&*
unitate tota Civitas <&* Patria fuh $* eB illuminata fò* decorata dottrini*.
Venuto l'anno 1405. per una Deliberazione degli Operai medefimi,
nel libro cominciato al primo di Gerinajo, fi trova eflere flato ordinato
( per ufare le proprie parole) che Gio. Aguto ,già Capitano, deponga fi del luogo
dove è
, e pongafi abboffò fotto terra, in luogo debito e confueto. L'anno poi 143 óV
nelle deliberazioni de' medefimi nel mefe d' Aprile, fi ha: Che a Paolo
Uccello fi dia a dipignere Mejfer Gio. Aguto nella facciata della Chic fa Maggiore
Fiorentina
, dove era prima dipinto il detto Gio. dì Terra Verde. Da che fi vie-
ne in cognizione affai chiara , che la Deliberazione (lata fatta del 1390.
di doverfi dipignere Gio, Aguto, per eflere l'antica pittura, per cagione
della fteflà antichità non più godibile, non fu fatta efeguire, fé non do-
po 37. anni, cioè del 1436. per mano di Paolo Uccello; e fi conofee air
tresì, che, o per cagione degp invidiofi di fua gloria, o per qualfifofle al-
tra cagione, il povero artefice ebbe in tal pittura affai poca fortuna; con-
ciona* »
(a) La fepoltura 0 memoria dì Pier Farne fé non fu altrimenti fatta di pitturai
e nel luogo accennato dalla memoria; vta fu fatta di rilievo > e pofiafopra fa
porta laterale della Chiefa, che va al Campani/e.
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*PA 0 L 0 UCCELLO. -^ 59
cioflìacofachè, non mólttaìé^,fckÌ!iesi$]G^i»o«tó                fu dagli Selli
Operai deliberato quanto app re ilo k II Capo Ottaedro dell'Opera faccia disfare
certo Cavallo e Per fona di Mtffer Gio. Aguto, fatto per Paolo Uccello t perciò
non è dipinto come conviene* e lo JieJJb Paolo Uccello dipinga di nuovo dì tfrm
verde- Grò. Aguto e 7 Cavallo. Scuoprouo anche: quelle due Deliberazioni
un grotto errare del Vafari, laddove ei difle, che feguì la morte di Paolo
Uccello l'anno 1432. mentre veggiamo, che nel 1430'. egli vivevate
anche beniflimo operava , come moftra la (uà opera dell'Aguto e -del Ca-
vallo, che per pittura di quell' età è ftata fempre avuta in confiderazione
di cola perfetta. Né può dirli, che un poco di ricoprimento, o per ufaré
ridetto del volgo» di rifiorimento, ftàtóle dato l'anno 1688. coll'occa-
fio ne dell'; apparato fàttofi*én:Duomo per le feliciflìme Nozze del Gran
Principe Ferdinando di Tofcana, colia Serenillima Violante Beatrice di Ba-
viera, abbia punto variata la fuftanza della pittura Merla, perchè il pitto-
re, che ebbe l'incumbenza di rinvigorirla alquanto, lì diportò in si fatta
maniera, e così bene, che ella, toltone alcuna maggior vivacità di colori-
to , rimale quella fletta appunto, che noi medeiìmi'\ con tutta la città,
l'avevamo veduta e goduta gran tempo per avanti. Cola, che decoffe pu-
re a quella del Cavallo di Niccolò da Tolentino, dipinto a chiarofeuro
da Andrea dal Caftagno, che le è poco difèofto. Ma che diremo noi di
un gran biafimo, che da più fcrittori, veggiamo per quefta pittura effe-
re flato dato fempre a Paolo Uccello ; perchè volendo far vedere il
iuo Cavallo, nell'atto del paflb o del patteggio, che dir vogliamo (che
poco fon differenti fra di loro quelli moti) lo rapprefentò in un mo-
do, che efTi dicono effère del tutto improprio, non pure del cavallo, ma
eziandio di tutti gli altri quadrupedi ; cioè con fargli alzare il deftro
piede dinanzi, per quanto è l'alzata foìita del cavallo; e Con fargli altre-
sì alzare un poco anche il deftro piede di dietro, dico non interamen-
te, ma tanto quanto badi per fare, che lo fteflb deftro piede di dietro
fi polla dire alquanto foìlevato da terra; e con fargli toccare con etto pie-
de di dietro il terreno (blamente un tal poco colla fua punta,facendo vi-
abile la pianta del medefimo piede; e così dicono, che non può negarli,che
il polare del cavallo fia flato fatto ne' due piedi iìniftri, nel dinanzi e nel di
dietro : e conlèguentemente, che la figura dell'animale venga a tenere gli
due deliri il davanti e il di dietro più, o menofollevati da terra: cofa, torno
a dire, che non vollero mai -, né alcuni buoni fcrittori antichi, ne la gen-
te volgare, che poterle darli nel cavallo in un moto sì fatto. Or qui è
gran difficoltà,-perchè io fono d'opinione» che il pittore né punto né
poco errafle in tal pittura, appoggiandomi alle autoritadi de' grand' uo-
mini, le quali io fono ora per addurre. Ma prima prego il mio lettore a
tornare a riflettere a quanto io raccontai di fopra , cioè, che fu ordinato.
dagli Operai, che Paolo Uccello dipignefle il Cavallo: e poco dopo fu da*
medeiìmi deliberato, che folle mandata a terra la pittura per cagione di
alcun difetto, e poi folle rifatta pure dallo dello pittore di verde terra .
lo però non ho faputo trovare, che la cola del mandare a terra il cavallo
folle elegiaca; ne che Paolo eccello tale nuova pittura nfaceffei Non dico
già, che
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i
60 Decetm.lL dèlia Pari. L delSec, IV. dal 14. io. al 14.20,
già', che affolutamente Puna^e l'altracofafofle lafciata di fare ; ma chi fa,
dico io, che fin d'allora da'malevoli del pittore, oda i poco intelligenti
delia Geometria, non folTe flato giudicato per errore quello, che io ho ac-
cennato, e che a cagione di quello non ne foffe flato dato 1* ordine del
disfacimento; e che poi fi fofTe trovato pure alcuno erudito intelletto,
che colle ftefle ragioni, che è itatofattodipoiJ'avelTe talmente difefo, che
il cavallo fino ad oggi fofle quello fteffo,che egli fu a principio. E fé que-
llo folle, oh quanto bene fi adatterebbe al mio propofito il vederli e faperfi,
che parlati molt' anni, dopoché fu fatto il Cavallo di Gio. Aguto, ne fu
fatto quivi vicino un altro da Andrea dal Cafragno a chiarofcuro, colla fi-
gura di Niccolò da Tolentino .' il qual Cavallo fu dipinto nel modo e
nei moto Hello, che Paolo Uccello aveva dipinto il fuo ; e così per quella
fteffa ragione ancora non farebbe, a mio credere, punto impropria la di-
fefa, che io fon per fare ora del noftropittore. La queftione è ardua oltre
ogni credere; che però io ho penfato di darle principio con una morale
oifervazione,che il Conte Lorenzo Magalotti riporta nelle dottilTìme Let-
tere, che egli finge di fcrivere ad uno Ateifta, per convincerlo de'fuoi errori :
e quella è fopra il moto de' cavalli, mostrando di forte maravigliarli, che
in tante migliaja di anni, da che camminano i cavalli, e in tanti fecoli, ne',
quali fi è rìifputato del moto loro, non lì fia ancora arrivato a fapere, fé
eglino levino nel lor moto, in croce , o lateralmente. E in vero, che
dottillìmamente al fuo folito fcrilfe il Magalotti, mentre egli è chiaro, per
le varie opinioni, che fino ad oggi intorno a ciò fono (late fra gli Auto-
ri anche di primo grido, quanto egli affermò. Io però andrò brevemente
feorrendo la materia, per portarmi a fermare ciò che io penlo, che per
una giufta difefa del nofìro pittore fi renda più credibile e più proprio.
Girolamo Cardano, Medico Milanefe, infigne Mattematico e Allrologo,
nel libro xi. De Subtilitate, parlando degli Animali perfetti, viene a dire
de' Cavalli e loro movimento, e ne efamina otto fpezie di moti: tre per
la confiderazione del moto di ciafeun piede di per fé; e cinque per la
confiderazione del moto de' piedi a due a due. Il primo moto elaminato
dal Cardano, che è apprelTo ài luì il più confiderabile, è quello appunto,,
del quale a difefa dì Paolo Uccello dobbiamo ora parlare; ed è l'andare
di pailò, o il palleggio» che fra di loro, come io dilli, non fono differenti,
fé non in qualche poca maggiore o minore velocità; ed è quello altresì,
che volle Paolo rapprefentare nel fuo Cavallo: e dice il Cardano, che in
quel palio movendoli dal cavallo prima il pie deliro dinanzi, poi il lìniflro
pure dinanzi, e in terzo luogo il lìniflro di dietro, e finalmente il de-
liro , pure di dietro, e quali che dicellìmo in giro, muoverli egli con
quella agilità che fi vede. E quelt' ordine di moto vuole che lìa prò-,
prio quali di ogni altro quadrupede a differenza dell' andare di trotto,
che fuccede per via del moto de'piedi opporli, come dicono i Geometri,
diagonalmente nel medefimo tempo, cioè inlieme il deliro dinanzi, col
fjiiftro di dietro: e il lìniflro dinanzi col deliro di dietro, cheli fuol
chiamare ancora levare i piedi, ma in croce. E quello è quanto intorno
a tali due forti di moti fi può cavare dal Cardano, tralafciando gli altri-
moti da
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TAO LO UCCELLO... <J*
moti da, eflb deferi cri minutamente, che pel caio noftro non fanno.
Pietro Gaffe ndo Franzefe (a), celeberrimo Filofofo e Mattematico, vuole,
che quelli due moti del Cavallo, tanto il trotto, che l'andar dipaflb fi
facciano da quello animale, con levare i piedi, come fi è detto, ih croce,
il deliro dinanzi col finiftro di dietro, e'l finiftro dinanzi col deftro di
dietro: e foggiugne efiere errore grandilfimo de'pittori, che rapp refe nta-
no i cavalli co' piedi alzati in altra maniera, E quelle fono le fue parole.
Ex quo proinde intelliges, quàm fiteri t Pi fioriUe ineptus ; qui Parifiis ad al'
teramalam arganorum Sanfii Martini ita Equum pìnxit, ut tetris infiBens
, in
duobus finì Bri s pedibus > duo s dextros elato s in aerem habeat [b
]. G io.Al fon-
fo Borelli Meflìnefe , Mattematico infigne dell' Univerlità di Pifa, fotfU
l'Opera De motti Animalìum al Cap. 20. e nella Propofizione 16$. Edizions
di Roma tomo primo a car. 103. dice il contrario di quello, che feri ve il
Gailendo, dimoftrando in efia Propofizione 16$, Grejj'us quadrupedum no*
fari motis alternatimi dmbus pedibus diagonaliter oppofitis
, reliquis duobus
quiefeentìbus
; anziché egli dice nel principio di quefto Capitolo, edere
errore 1' affermare altrimenti ; nel qual' errore dice pure eflere incorfi
molti Filofon* e Anatomici: Egregie in bac parte allucinante, nedum vai*
gares homines
, fed etimi preclari Pbilofopbi & Anatomici : e foggi ugne an-
cora, nel dimoftrare la fopraddetta Propofizione , che i pittori e gli fcuU
tori hanno fempre feguitato il medefimo errore, dipignendo e fcolpendo
i cavalli co' due piedi alzati, non dalla medefima banda : Talis porro er~
ronea ima gin a ilo adeo invaiati, ut in flatuis Equeftribus
, aneis & marmi-
reis
, antiqui s & recentibus, femper duo pedes , è diametro oppofiti a terra
fufpenfi
, exculpti' & in tabulis depiftì firn, La dimoftrazione del Borelli
confitte nel eonfiderare il cavallo in tre piedi fermi, che neil' andar di
pafib facilmente (ìrifeontrano; ancorché ve ne fia uno , che appena tocchi
la terra nel principio del fuopofare, mentre gli altri due di quei tre pò-
fano interamente; e quefto affinchè la linea della direzione del corpo del
cavallo cada in uno fpazio, e non l'opra una linea o fpazio di tanta inet-
tezza, che come linea poffa confiderarfi. Onde in fentenza del Borelli,
non fu errore quello di Paolo Uccello, meutrechè egli rapprefentò il Ca-
vallo co'due piedi fermi laterali, e con gli altri due alzati, uno più e l'al-
tro meno, che è quello, che con gli altri due fermi formava il triangolo
voluto dallo fteflb Borelli. Il Padre Francefco Efchinardi della Compa-
gnia di Gesù, Mattematico in Roma, nelTuo Libro De Impetu & Fluidis,
parlando di quefto moto de'cavalli, è ancor egli dell' opinione del Bo-
relli, quanto al volere, che i piedi laterali e non diagonali, debbano pò-
fare interra; ma foggiugne, non effere neceflaria la confiderazionedel fo-
praceennato triangolo, potendo l'impeto medefimo, che porta il cavallo
nel moto del camminare, reggerlo fopra i due piedi laterali, in quelbre-
I
                                                                                            ■, viflfimo
( a ) Le opere di quefto infigne Filofofo efeono notamente alla luce corretti//-
me da i torchi delia nokra Stamperia quefr anno
1727. * s
{b) Pbyficéifefs. 3. membro pò forieri lib, #L cap, 5* de mot» Animali um > &
prima de GreJ/u.
In Lione.
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6i Decenti. II. della Pan. I. delSec. IV. dal 1410. al 14.10.
viflìmo intervallo, che paffa tra il moto de' pie deftri e de' finiftri. A que-
fto però del Padre Efchinardi, pare che fi potrebbe rifpondere, che quei
terzo piede, che confiderà il Borelli, è quello, che dà l'impeto fuppolfo
dal Padre Efchinardi fteffo; è però eonfiderabile infieme con gli altri due,
che formano il triangolo del Borelli; e così non pare, che Y Efchinardi
dimoftrativamente in quella parte il riprenda, Fermandoci dunque nella
confiderazione benifiimo dimoftrata dal Borelli, pare, chef! porla fermare,
che non fu degno di biafimo il Cavallo del noftro Paolo Uccello; ma fib-
bene ogni altro, che diverfamente da quello , e nell'antico tempo e nei
moderno, folle itato da altri rapprefentato. Né lafcierò di foggiugnere
in ultimo, che batta, per fermare a favore del noftro aflunto, la propofi-
zione del Borelli, che il terzo piede, che alza , tocchi colla punta la ter-
ra, e poi levi affatto, come gli altri, perchè fubito quello, che era ele-
vato, pofa, e uno di quelli, che pofavano, fi alzai e tocca colla punta:
e Paolo Uccello ha rapprefentati i due piedi fermi, quello che toccava,
e poi ieva , e quello che era elevato affatto: e allora averebbe errato, fé
egli avelie fatti due piedi elevati interamente, e due pofati affatto, il che
non fece egli mai. '.. „ : , ; _ . ■-
                          ;
Tornando ora alle notizie dell'opere dì tal maeftro, dico, come egli
ebbe ancora a dipignere nella fteffa Chiefa del Duomo lo fpazio, che nella
parte interiore fopra la porta principale contiene Ja inoltra dell'Orivolo, e
negli angoli del quadrato colorì quattro tefte a frefco. Nello SpedalediLel-
mo (oggi di S. Matteo ) fece pure a frefco in una nicchia bislunga, tirata in
profpetciva, un S, Antonio Abate co' Santi Cofimo e Damiano : e altre mol-
te opere fece pure a frefco, che oggi più non fi veggono ; fra le quali più ftórie.
di S. Francefco, nella Chiefa di S, Trinità fopra la porta di mezzo : e in San-
ta Maria Maggiore, in una Cappella, allato alla porta dei fianco verfoSan Gio-
vanni, ove era già una tavola e una predella di mano di Mafaccio, fece
una Nunziata, ove rapprefèntò beIJiflìmi cafamenti, che in quei tempi
apparvero cofa nuova affatto, a cagione della fua profpettiva- e nella me-
defima fece vedere una fua bella invenzione di fare alle colonne rompe-
re il canto vivo del muro, ripiegandoli in effo canto del muro, e in for-
za di profpettiva lo fanno apparire tondo, imitato poi a' dì noftri da Gio-
vanni da San Giovanni nella fua belliffima opera della Sala terrena del
Palazzo Sereniffimo. In San Miniato a Monte operò affai di verde terra
nel Chioftro, ove fece iftorie de'Santi Padri; ma non piacque l'aver di-
pinte figure verdi ne campi azzurri: le cittadi di roffo colore, e gli edifi*
cj d'altri colori a capriccio. Dipinte nel Carmine nella Cappella de'Pu-
gliefi un dofTale colle figure di San Cofimo e San Damiano; e perchè egli
iempre fi dilettò di ritrarre al vivo ogni forta di animali, ebbe a fare a
tempera molti quadri per Gafa Medici : anzi dice il Vafari, che per avere
egli, fra tutti gli altri animali, avuto genio a ritrarre gli uccelli, de'quali
cìjpinfe moltiftìmi, fu poi cognominato degli Uccelli, donde Paolo Uccelli »
e poi Paolo Uccello. Dopo aver fatte tutte quelle cofe , gli fu allogata
la grande opera del Chioftro di Santa Maria Novella, dove colorì a frefco
la creazione degli Animali, k creazione dell'Uomo, il Peccato d'Adamo ;
il Diluvio
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TAO LO UCCELLO.           63
il Diluvio Univerfale coli'Arca di Noè, I' inebriazione del medefimo, il
deteftabile atto di derilione fatto da Cam figliuolo dì lui, il Sacrifizio do-
po l'apertura dell'Arca» colla gran copia degli Animali. Efpreflè in que-
lle opere un altro fuo nuovo capriccio, che fu di rapprefentarvi alberi di-
vertì , coloriti di loro proprio colore, per entro paelì ben digradati in
profpettiva, cofa allora da altri poco e male ufata ; onde può dirli, che egli,
per avere tanto migliorata tal faeultà, meritila lode di eflerne flato fra noi
quali inventore, onde egli abbia a quei che fon venuti dopo di lui fcoper-
ta gran luce, per andarla conducendo appoco appoco a quel fegno, ove
ella è giunta . £ giacché parliamo dell' opere di Santa Maria Novella, non
lafcerò di notare in quello luogo cofa aliai curiofa, avuta già fono moki
anni dalla viva voce della lempre a me gioconda memoria di Franceico
Rondinelli, letteratillimo Gentiluomo Fiorentino, Bibliotecario del Sere-
niflìmo Granduca di Tofcana : e quello non pure, perchè ella mi piacque
molto, ma eziandio perchè io ebbi allora gran cagione di credere,che ella
poterle avere vita breve , e però fui follecito a notarla, per darla poi fuori
a tempo fuo, ed è quella. Palleggiava un giorno il celebre Angelo Poli-
ziano per quel Chiodro, ammirando quelle pitture del noftro Paolo, del-
le quali niuna migliore aveva veduta quel lècolo: e con tal congiuntura
dando d'occhio nel Sacrifizio d'Abelle e di Caino, dipinto però da altra
mano, di gran lunga inferiore : e fentendoli fvegliare da vago fpirito di biz-
zarro componimento poetico, trattoli di tafca unfuo ftile, o vogliamo dire
matitatojo con matita rolla, a lettere antiche Romane di piccola proporzione,
nel fodo dell' Altare del Sacrifizio fer-ilTe di propria mano V appretTo notato
verfo; bello non tanto per l'aggiuftatezzadel lignificato, appropriatiflimo a
quell'opera, quanto per la fpiricolaallulìone,che il medefimo verfo indiffe-
rentemente fa a 1 facrifizj dell'uno e dell'altro fratello, che fi veggono uno
a delira e l'altro a finiftra dell* Altare: e tale allulìone con diverlità di fen-
fo Ci fa con non più,che con leggere il verfo,prima a diritto, e poi a ro-
velcio. In quello modo nel leggerli da man delira, ove è rapprefentata la
perfona d' Abelle, dice cosi :
Sacrimi pingue dabo, non macrum facrìficabo .
eleggendoli dalla parte oppofta, ove fi fcorge la figura di Caino, dice:
Sacrificato macrum, non dabo pingue Sacrum.
Ho detto avere avuta cagione di credere, che tale bella memoria del Po-
liziano avelie potuto avere vita breve; concioffiacofachè fcorgendofi allo-
ra in quella parte di muraglia, colpa del tempo, e forfè anche della poca
cura, gonfiato forte l'intonaco, era facil cofa, che non vi fi porgendo ri-
medio, folle il tutto caduto a terra. Ma vaglia la verità)che io non averci
giammai immaginato, che folle occorfo tanto pretto si fatto accidente,
come feguì, ellendo caduto e V intonaco e 1' arricciatura poco dopo,
che io ne concepì' il timore. Fu anche cofa in quei tempi degna di ammi-
razione, l'avere Paolo Uccello nell'opera del Diluvio, che abbiamo di fo~
praaccennata, diminuite in profpettiva alcune figure diftcfe lopra l'acqua,
e difpolle in attitudini diverfe con bella invenzione. E non è da tralafciarfi,
che nella perfona di Cam figliuolo di Noè, egli rapprefentò ai vivo l' effi-
gie di
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1
<?4 Decenti. IL della Pan, L delSec. W. àafi 41 o.al 142 o,
gie di Dello Fiorentino» pittore ne'Cuoi tempi eccellente nel dipignere i
Caffoni, che fi tifavano fra la nobil gente, per riporre in eflì gli arredi e
abbigliamenti più nobili delle fpofé novelle : e fu anche rinomato fcuitore.
Molte altre furono le opere di quello artefice di pittura a frefco e a tempe-
ra, particolarmente in ciò che appartiene alla profpettiva, tanto in materia
di cafamenti, logge* colonnatie limili, quanto in figure, fatte vedere po-
fanti in fu'piani in varj fcorti e attitudini ; e fu il primo che metterle in
buona regola e ufo il girare delle crociere, degli archi e delle volte, ficcome
de* palchi colli sfondati, ed altre sì fatte cofe. Inventò ancora altri bei ca-
pricci di diverfe vedute di profpettiva, come palle di fettantadue faccie ,
e a punte di diamanti, e talora in ogni faccia brucioli avvolti fopra ba-
ffoni ; e finalmente tanto freneticò in così fatti ftudj, che rubando il tem-
po all'opere di pittura, nelle quali molto avrebbe guadagnato, povero ne
divenne. E per non lafciar cofa, che appartenga alla memoria di un tale
uomo, dirò, com'egli è fama, che egli pure forfè il primo inventore di
quelli, che i pittori chiamano fvolazzi de'panni polli addoflò alle figure ,
che fatti a tempo e a luogo , non iafeiano di apportare loro fpirito e va-
ghezza, e ai componimenti dell' iflorie, adornamento e bizzarria- Ciò
dicefi, che egli faceffe la prima volta in una loggia volta a Ponente, fo-
pra Torto del Monaftero degli Angeli, dove forco gli archi dipinte iftorio
della Vita di San Benedetto. Vifle Paolo Uccello fino all'età decrepita:
e finalmente neli* ottantatreefimo anno, non come fu fcrirto dal Vafari
nel 1432, nel qual tempo, e fino all'anno 1436. come fopra abbiamo ac-
cennato, egli era ancora tra'vivi, e operava bene» pagò il debito alla natura.
Fu quefto artefice perfona attratta e fempiice, anzi che nò, e che fuori che
le opere di Euclide, le quali fu folito fludiare affai, afìiftito da Giovanni
Manetti gran letterato e fuo amicifìimo , appena forfè vide mai libri;
conciofììacofachè fi fcorgano ne' fuoi componimenti in pittura notabili
errori d'ifloria,e altri sì fatti; e fra gli altri nell'opera lopraccennata del-
l' entrare che fecero nell'Arca Noè co'fuoi congiunti, fece vedere fra elfi
una veneranda donna, che genuflefTa in atto divoto, flafli colla corona in
mano. Né punto inferiore è quello, eh'ei fece, quando avendo avuto a
colorire in Firenze la volta de' Peruzzi, che tutta, pel fuo genio all'ope-
re di profpettiva, dipinfe a figure cube odadi, quando fu alle quadrature
delle cantonate ,. volie farci i quattro Elementi, ne' quali rapprefentò
quattro animali, cioè a dire: per la Terra una Talpa, per 1' Acqua un
Pefce, pel Fuoco la Salamandra, e per l'Aria volie figurare il Camaleonte;
e come quelli, che non aveva mai né letto né veduto quale folle la for-
ma di quello animale, portato forfè dal fuono ampollofo di quel nome di
Camaleonte, lo credè effere qualche groflìffima beftiaccia: e riflettendo
per avventura a quel poco poco di principio del nome di lui., che ha il
Cammello, eoll'aggiunta deli'effe re così grande egroffo, diedefi a crede-
re, che egli non poterle effere altri che elfo: e così di punto in bianco di-
pingevi un bel Cammello, che inginocchiato in terra, come è folito di
quegli animali, fta colla bocca aperta attraendo l'aria, quafìchè voglia di
quella empierli il ventre. E buona fortuna, dico io, è fiata la mia , che
affinchè
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mmmmm^mmmmmlmmmm
? AOL 0 UCCELLO.
affinchè non ila quello (limato un mio racconto fatto a capriccio, quefh
figura è rimafa fino a'prefenti tempi intera e illefa, come fé pure ora folle
{tata fatta; laddove e la Talpa e*l Peice e la Salamandra, delle quali io
pure cei fervo qualche memoria, appoco appoco l'una dopo l'altra infra^
diciate dall'acqua, trapelata per la volta fteffa, che perdi fopra è fcoparta,
fon tutte cadute a terra. E tanto batti di quefto artefice,
LUCA DELLA ROBBIA
SCULTORE FIORENTINO
INVENTORE DELLE FIGURE VETRIA.TE :
Fu della Scuola di Lorenzo Gh'èem., nato 1388. •§{+♦-* +.,f
CJ la prima applicazione di Luca di .Simone di Marco della
Robbia Fiorentino, $ arte dell' Orefice; e perchè in quei
tempi, e per qualche fecolo dopo., ognuno; che a quella
voleva applicare, fi faceva prima affai pratico netdi&gno e
nel modellare; gran fatto non fu, che egli appena giunto
all'età di quattordici anni, abbandonato quel meftiero, folle
già divenuto affai lodato fcultore, L'opere di quello maellro» per molte
offervazioni fatte da me in congreffo de' primi intendenti di noflra età,
fanno tener per fermo, che egli fi portane a tal perfezione forto la fcorta
e co' precetti di Lorenzo Ghiberti , che in que' tempi attendeva a tal
nobiliffima facoltà, con quella gloria, che al mondo è nota, Sono di mano
di Luca alcuni baffirilievi nel Campanile di Firenze, cioè cinque ftoriette
dalla parte di verfo la Chiefa, fattegli fare dagli Operai di Santa Maria del
Fiore, per riempiere tutti i voti, che rimanevano in quel luogo, fino da'
tempi di Giotto. Nella prima, per rapprefentare la Grammatica, fece
vedere Donato, che l'infegna : nella feconda Platone e Ariftotile per la
Filofofia; nella terza un Sonator di liuto per la Mufica; nella quarta To-
lomeo per T Aerologia*, e nella quinta Euclide per la Geometria. Poi in-
tagliò l'ornamento di marmo dell'Organo, che doveva ftare fopra la por-
ta della Sagreftia di quella Chiefa; nei bafamenro del quale fece i Cori
della Mufica, in varie attitudini cantando ; e fono di fua mano, fupra il
cornicione di queiV ornamento , due Angeli di metallo dorati, Gettò la
porta di bronzo di efia Sagreftia, la quale in dieci quadri divisò, con figu-
re di Crifto e Maria Vergine, i quattro Evangeiifti, i quattro Dottori
della Chiefa, e attorno alcune belle tede. Trovo poi la beiliffnna inven-
zione di lavorar di terra figure, con una certa coperta o vernice, e come
dicono volgarmente invetriato, coinpofto di ftagno, terra ghetta, anti-
£                                     monio,
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66 Decttw. IL della Park 1. delSec, IV. dal 1410. al 14.20.
irionio, ed altri minerali o meflure, cotte al fuoco di fornace, che le fa
refiftere all'aria e ali-acqua, quafi eternamente; lavoro, del quale, per
quanto io mi avvifo, non è fin quì chi fappia, che avellerò gli antichi
Romani cognizione. Le prime, che ufciftero di fua mano , arricchite di
tal nuova maestria, furono quelle figure della RefurrezionediCrifto, che
fì veggono neh' arco, che è fopra la porta di bronzo dà lui fatta, come
fi è detto, fotto i' Organo di ella Chiefa di Sanca Maria del Fiore Dopo
quefte fece egli fopra la porta dell' altra Sagreftia 1' altra ftoria del Crifto
Rifurgente. Abbellì poi così fatta invenzione con un nuovo modo di ver-
nici di colori divertì*,che fu di gran comodo, per poterfi que' luoghi ador*
nare, che, o per umidità a per altra cagione non pollano godere l'ornato
della pittura. Quefto nuovo modo di operar di rilievo, ebbe tanto ap»
plaufo, che in breve tempo convenne a Luca, infieme con Agoftino e
Ottavianofuoi fratelli, abbandonarci marmi, e altro non fare, che fimili
lavori, per fuppiire all'inceflanti riehiefte,che non pure da tutta la Tofca-
na, Francia e Spagna, ma da tutte le parti di Europa gnene venivano loro
fatte. Sono opere fue la volta della Cappella di Piero de' Medici nella Chie-
fa di San ML iato a Monte, preflb a Firenze: quella della Cappella di
S.Jacopo nella medefima Chiela, dove ripola il corpo del Cardinale di
Portogallo. Vedefi fopra la porta dì San Pier Buohconfiglio, in Mercato
vecchio, una Vergine con alcuni Angeli: vede/ì ancora di fua mano, ìft
via Tedefcà-, in tefta alla ftrada, detta via dell'Ariento, in una Cappella\
^nnefla ai muro dell' arto del Monaftero di Fùligno, una ftoria di Maria
Vergine, Géàù, e diverti* Santi, quanto il naturale, che è opera bellifE-
ma . Un'altra bella Vergine con Gesù Bambino ed altre figure, è fopra la
porta di una ftanza, che ferve al prefente per iièuola de'Cherici di San Pier
Maggiore, il qual luogo io trovo, che fofle già il Monaftero delle Mo-
nache, ovvero Eremtte di San Giovanni Laterano, e quelle fteffe, delle
quali fi parla negli apprerTo Strumenti da me originalmente veduti e rico-
'nofciuti, fa fuftanza de'quali penfo, che non difpiacerà al mio lettore di
vedere appreflo notata ; ed è la fegueme.
; 1476. 23. Decembris Convocata Cupitulariter in Monafterio feu Beremi-
torio S, Johannis Luterani de Fior ernia &c* Priora <fr Beremitis
, feu Moni®
libtts di3i Mona®, quartini nomina firn ijla> vi de lice?>
Venerab. Beremita Giulietta Neri Roberti de Cavalcantibus Priora.
Beremita Beatrix > filia Magnifici Tommafi Medici.
Beremita Lejftmdra &
) Sorores & fili a Guglielmi » Bernardi
Beremita Francifca
) de Ver razzano , $*
Beremita Belifabeth
) filia Neri Antoni de Segnis
Suhdìtée* m dixermtt, Monafierio & feu Beremi torio S.Jobannis Luterani de
Roma Ord. S. Bene di Si Fiorentina Di me fis &Je e fé duas parta & ultra &c„
fervat, fervand. Confiìtuerunt earum Sìndacum $* Procuratorem Venerabì-
lem Virum Ùominum Petrumde Angelinis de Penitio, in Romana Curia Cast»
farum Procuratorem
, Ucet abfentem fpecialiter & nominaiìm ad profe-
qucndam qttandam caufath , quam dd Conflituentes habent
, feu habituns
fmt cum Monafierio Sancii Petri Major hde Fiorenti a
, $* Capi tu lo ipftus
Mona*
-ocr page 74-
DELLA ROBBIA
Domenico                    Michele
Pag. 66. e 0*7.
Vanni.
Domenico
Balduccio.
Jacopo. Buonfìgliuolo,
Vanni,
fc rancelco
l
Stefano.
?354
Giovanni,
1350
panziera.
.A-____,
Agnolo.
«357
I
Giovanni.
Landò,
1312.
Francefco
!
Gio. in Veneri»
1307
Piero,
H43
Michele,
»343
Jacopo ,
14 1
Marco.
1343
_ rmm
B
Filippo.
138?
Simone ,
I <411
Affollino Ottaviano
/ 1
fecondo il
LUCA fcultor
celebre nato
1388.
Domenico 0
Giovanni.
Cane, del-
la Signoria
«4*3.
Marco.
Vafari un
Luca, che                       . .
fu lettera-                 Polilena
10*1481,                    H37.
Giano.1*
Filippo
>427
Jacopo.
1431
Andrea
leu Ito re
nato 1444.
-----.v^
Liia becca,
Simone.
1447
I
Filippo
Ifidoro
Abate
Paolo
Checca.
1447
ALTOVITI
-v4--
r ,
Maria
Luca di
Configlio
1519.
i
Lorenzo.
I 15*4
Giovanni.
I
Paolo.
1470
Girolamo.
Luca. Marco. Speranza
1527            1478
Tominafoc Filippo.
Marco. Luca A ne. Simone
Aleflandro •
Jacopo            Girolamo
1527. in Francia
fpofa Madama Lui-
fa de Mathè, come
nell'Albero di Fracia.
I
./—■
-v-----------
Pier Frane.
Luigi 1530
Ginevera
Popokfchi.
Laldomine.
a Luigi
Viviani
J
Andrea
Capit.in
trancia.
Pier Frane.
Scudier del
Re di Fran,
m^""
"V
•=v°*
Lorenzo Canonico
SilvtUro.poi
Luca. Luca, Caflandra. Cammilla. Fierfcranc. Lorenzo. Marco,poi
Fra G10.
Vefcovo
di Berti-
noro.
Don Ifidoro    dellaCatcedraleFio-
Abate,dipoi
    rent, poi Vefcovo di
Vefcovo di
   Cortona, poidiFie-
Bertinoro.      fole.
Girolamo
Scudiere
del Redi
Francia,
Carlo
GranConfigl.
del magg. Co-
figlio de Re di
Francia.
Del MAESTRO
Carlo Signore di Gran Campo.
—A.
Guido Francefca
.s*.
"carfoT^hiamato dal zio magno materno all'eredità, prefe l'arme, e il cafatodella Robbi».
-ocr page 75-
LUCA DELLA ROBBIA.         $j
Monafleriii qua confa, ut apritur vertìt, é* cft corani Utevemtd'rfsìmo
P. Domino Domino Domtmco Epifcopo Brixienfi, zAlma Urbis Vie, Getier.
& Commifs. Apoffalic fpecìaliter deputato cum facilitate fubflìtuendi &c.
Ser Benediàtts Nickolai de Romena Civis & Notar, pubi, tlorent. Hog*
1482. 20, Decembris Aftum Fiorenti* in Populo S. Petri Majoris in
Ecclejìa S. Jobannis Luterani adgratas fa parlatoriutn ditti Mo nati crii
.
Venerabile D. Sor or Romita Maria ,fHa olimjohannis Nofri de Alfanis Abbat*
d. Monaft. una &c. cedumfura &c. Item revocant & eligunt Procurai. &c.
Idem Ser BenedìBus de Romena dift. die & anno $*c.
Nel Capitolo di S. Croce» Cappella de* Pazzi, d'ordine di Filippo Brunelie-
fchUfece tutte le figure invetriate, che dentro e fuori fi veggono . Dopo gli
venne voglia di cercare di un modo di fare eterne le figure, col colorirle fui
piano della terra cotta col folito o altro fimile invetriato ? eia prima efpe-
rienza,che egli ne fece, fu un tondo, che fu pollo fopra il tabernacolo de*
quattro Santi intorno a Orfanmichele, con infegna e ftrumenti dell'Arte
de*Muratori, e Scarpellini, detta de' Maeftri. Per la ftefla Chiefa di Orfanmi-
chele fece due altri toftdi di rilievo, che furono pofti nelle facciate: che
in uno figurò Maria Vergine col Bambino Gesù per 1' Arte di Por Santa
Maria, oggi detta della Seta : ed in un altro un Giglio, e fotto di eflb
una Balia, infegna dell'Ufizioe Magifttato de i Sei di Mercanzia, con al-
cune frutte beiliflìrae. Infinite furono le Opere, che ei conduffe di piano e
di rilievo, coli' ajuto de' fratelli, per diverfi luoghi della città di Firenze e
per Io Stato, che per brevità fi tralafciano. Fu Lucaboniflìmo disegnatore,
e per ordinario conduceva i Tuoi dilegni lumeggiati di biacca. Dicefi, che
non averle lunga vita; ma quando feguifie la morte di lui, non è ancora a
noftra notizia pervenuto . Abbiamo però creduto e crediamo, che egli mo-
rifie fenza fuccefiìone, almeno non fi è trovata finquVcofa contraria: e che
la fua famiglia non rimanerle altrimenti fpenta nella perfona di Girolamo
fuo pronipote, come con evidente errore ferirle il Vafari, è certiffimo,
efler,do fiata di Marco fuo fratello, propagata con numerofa figliolanza;
e poi altresì dallo ftefio Girolamo e da Giovanni di lui fratello fi è con-
fervata fino a' noftri tempi, e in Tofcana e iti Francia è venuta in gran
polio di nobiltà, onori e dignità, come fi moftrerà nelle notizie della vita
di Andrea, nipote di elio Luca, dove porremo ancora, per maggior chiar
rezza, l'albero della medefima famiglia *
Fu Difcepolo di Luca Agoftino della Robbia Scultore Fiorentino, il
quale fu fratello delmedefimo Luca, e ad elfo fervi d'ajuto in buona parte
dell' opere , che ei condurle di terra cotta .• e poi dopo la morte di lui
l'anno 1461. fece in Perugia la facciata di San Bernardino, nella quale con-
duffe tre iftorie di baiTorilievo, e quattro figure tonde , che furono aflai
lodate. Di quello Agoftino nacque un altro Luca, che fu (limato unodef
migliori letterati del fuo tempo, e avendo noi ritrovato in un antico libro
de' Morti che fi trova nell'Arte degli Speziali,che a' 20. di Febbrajodel 1481.
fu nella Chiefa di San Piero data fepoltura ad un Luca della Robbia, ten-
ghiamo per certo, che fofle quello fteflb, del quale abbiam parlato.
E a                                   BICCI
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<J8
BICCI DI LORENZO DI BICCI
PITTORE FIORENTINO
Di/cepola dello Jiefio Lorenzo di Bicci fuo Padre f
Nato......•$• 1452.
g^^^^^SOCO ci occorrerà dire di Bicci di Lorenzo di Bicci, per-
WjjM É|§|\ ìjjjri cne avendo egli, per quanta fi ha di notizia, Tempre
jpl ìiS'Jaj ajutato il Padre nelle fue pitture , delle quali, come al-
fig pqfmjffi? trove dicemmo, l'eilò, per così dire, piena quella noftra
ftffl IsS^^I Città, e lo Stato, non potè per avventura far cala, che
Ilv jliirakfi!» *n temente fua potefle dirfi ; fé non voledimo afferma-
.^^ri^^^ re » che gran parte delle pitture del padre, non foriera
ftate parte del pennello di lui. Trovati effere (lato que-
£lo artefice decritto nell'antico Libro della Compagnia de' Pittori Tan-
no 1424. e che egli finifre di vivere quella mortai vita alli 6. di Maggia
del 1452, Ho io riconofciuto nell' antico Libro de' morti de' Reverendi
Padri del Carmine di Firenze, che il corpo fuo fofle in. quella Chiefa fé-
polto ..
"                mi ' li—1 iiiiidh 11 ,i 11 il»»——g—a iiii.ii 1 ■ ;.....1......in .imi         -ii.i «in».....             I il.....11 11 1 III ii...,»i mi 1 in mn 1 p
BARTOLOMMEO DI DONATO
PITTORE
Fiorì intorno\ alt anno 1420.
ISSE ner tempi di Bicci un altro Pittore chiamata Bartolom-
meo di Donato, il quale io travo pure defcritto nelfopran*
nominato Libro degli Uomini della Compagnia de' Pittori
nell'anno 1411. Dell' opere di queiV artefice non ho io al-
cuna notizia particolare : ne tampoco di chi foiTe il mae-
ftrodilui nell'arte-y ma contuitocio ne ho voluto qui fare
alcuna ricoidanza , colt'occafìone di aver letta cofa, che lènza dubbio non
potrà difpiacere al mio lettore; dico un CompromefTo, fatto nella perfo-
na di lui, per pubblico Iflrumento, rogato da ser Aleffo Pelli agli 8. di Lu-
glio 1427. efìftente nel pubblico Archivio Fiorentino, mediante la notizia
avutane dalla felice memoria del già Dottore Giovanni Renzi, Antiquaria
diligentilSmo» e mio grande amico .* ed ecco il tenore dell' Iltrumenta,
Stepbantts
-ocr page 77-
BARTOLOMMEO DT DONATO. %
Stephanus Spinelli Pop. S\ Lucia Omnium San&orum(de Fiorenti a > etatis,
ut dixit, nonagìnta /ex annorum
, ex parte una » $* Domina Lore, filìa olìm
BuonfignorUGeri etatis i ut dixit, otfuaginta ofio annorum, ex parte alia, ambo
Jtmul & inier fé per verba de prefitti, & anùli datìone, & teceptione^ ad
invicem , &* vicijfìm
» Confenfu legittimo xMatrimonium contraxerunt&c
hem poftea di Bus Stephanus Spinelli predi Bus ex parte una, é* ditta Domina
Lore, ex parte alia, omnes eorum lites &c. Compromiferunt <&* Compramif-
fum generale fecerunt, in Bartholomeum Donati PiBorem, tanquam in eorum
arbitrum & arbìtratorem &c. Fin qui V Inftrumento. Indovina ora tu,
lettore, giacché lo Strumenta più non elice, quali fonerò fra quefti no-
velli fpofi le cagioni di quefte liti, mentre io mi perfuadò, non altre pe*
certo aver potuto eflere, che fofpetto d'infedeltà e gelo/ìa.
DELLE
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*. <r.
>""? ";. v
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N G T I Z I E
DE PROFESSORI
D E L D I SEGNO
;:.:.v'p::fiA cìmabuein '&a■."'■■ ■-■'■'' '■'.•
DECENNALE III
DELLA PARTE I. DEL SECOLO V.
OMZ, J¥CCCCJX ^1 MCCCCXXX.
MASACCIO
PITTOR FIORENTINO
Di/cepola dì JMafolino da Tamcale, nato 1402, 0 H45-
Narrazione degP infortuni accaduti alta Pittura, Scultura e Architettura > a&
quel tempo t mi quale quefie arti» apprejjò i Tofcanì e Romani, erano
giunte alfimmo di lor perfezione
, fino alla loro qua fi totale diflruzione
€ rovina; colle notizie di CMafo di Ser Giovanni da Cajiel San Giovanni
di Vai damo in Tofca na
, detto Ma face io, discepolo di Ma/olino da Pani e ale »
ti primo t che tolta via la maniera di Cimabue e dì Giotto ,JcopriJfè il buon
modo dì operare in Difegno e m Pittura.
SaSElUanto di venerazione e di lode era appreflb di tutte le
^f| nazioni guadagnata la Grecia, pe'tanti e sì grandi uomini >
che nelle belle arti e nelle feienze tutte aveva fatto vedere
ne" fuoi famofì Atenei (a); altrettanto riportò di biafimo,
e poco meno ch'io non ditìì d'infamia, pel numerofì (Timo
gregge degl' infiniti Poeti , che ella al mondo produrle.
Tutta quella gloria , che per mezzo o delle Filofofiche
fpeculazioni o delle dimoiìrazioni Matematiche fi erano acquattate e Je Stoe
ed|i Licei, retto ben tolto fepolta in quey chimerici vaneggiamenti, che
fopra
[a]■ 4tenei, luoghi, ove leggevanoiprofejforì deliefeienze.
-ocr page 79-
: - /:::.;... ■ aM A SACCI 0. m-r/d ft
fopra di Cirra e di Pindo fognoffi laPoeik, ir} modo tale £mht mere&delle
favole da lei inventate ^perduta ella appreflb gli uomini li reputazione, ari*
dò poi in comunalproyerJbio, con gran difcredito.di effa, còme vana e bu-
giarda, la Greca fede. Ma fé Arane furono in ogni tempo di quei poeti le Aldus Ms-
fantafie, ftrartifTim^ in vero fu quella, quando con mal penfato ardimento: JJJ^fJde*
congiunfero in una medefìma Deità le.lettere e l'armi, cioè a dire , i*mVgjìTeiei
rono in PalladeyJ^ea. della Sapienza:c delle buonearti; anche gli ftrepi-*iusin
ti ed i furori della guerra : accoppiamento, per ceno tósp flraVagante, che
in comparazione ài elfo tiufcirono verità irrefragabili i>rinòma!ti moftrt
de' Fauni e de' Centauri ;jimperciocchè, fé con ingegnoso avvedimento
avevan dimoftrato effer' ella (lata prodotta dalla ménte feconda di Giove »
e perciò come nume tutelare,delle fcienze tutte T avevano adorata ; fé
.con ghirlanda d'ulivo le avevan coronata la fronte, perchè di quel buon
frutto elP avefle apprefo agli ,uomin'rJ';ufo« ife d'Operarla le avevan datò'
ilnome* perchè non folò il filare*e1 tdTere,' ma le buone arti tutte avéflV
©4 jnventate; o ridotte a perfezionejiipeiiehè poi con&lmodi bronzoco-
prirle la fronte ? con giaco triplicato veftirleài petto ? -e con lancia formi- vir iib
dabile armarle la. |Bia«3Bi?jfi3come a divina preiìdente della guerra ofFerirle
e voti e? vittime per k vittoria ? E come poteva introdurre fra gli uomini
le buone arti, chi tra elfi accendeva la guerra ? Come motorfi amica delle
fetenze* quella , che delle armi, giurate nemiche delie lettere, eracosV
parziale ? quauchèr efperienza non facefle giornalménte provare', che le
arti e le fcienze fiorirono fempre, ove non regnarono le armi •. quivi1 tro-
vano il loro euerminio, dove hanno principio le guerre. Onde ebbe ra-
gione il Padre della: Romana eloquenza, che i danni eie; rOv4nef; oili*
i' armi alle buone arti cagionate, ottimamente comprendevaj ben'ebbe
ragione, .dico, a concepir con.giulto fdegrio quel fentinientor Che mèri*
tava di effer levato dal numero degli uomini, efeacciato da' confini del-
l' umana natura quel tale, che inimico del pubblico bener&veffe atfuto
ardire di bramare la guerra. Che fé non folle alieno dalla materia da me
inrraprefa, ed anche fuperiore alle mie forze, potrei io qui largamente
narrare, quanti deplorabili naufragi nelle tempelte dell' armi abbiali patiti
ne; fecoli trafeorfi e le lettere e le buone arti. Ma giacché fu mia inten-
sione, fin dal principio di quell'operartdi far vedere al mondo e l'occafo
e.'l rinafeimenro di una, la più vaga e la più bella di tutte le arti, dico della
Pittura; mi fia cancellò, che in parlando di queuVartefice, dico di Ma-
faccio, primo ritrovatore della buona maniera, io noli mi fermi in quelle
cole dir folamente, che a'fatti di elfo appartengono; ma vada infiememente,
anzi prima di ogni altra cofa dimoltrando le proprie cagioni, onde arte
sì bella., dopo di effe re afeefa al, colmo di fua perfezione, rettane fin ne-
gli antichi tempi'così ini fera mente fammerfaj onde ella, nonché di bella;,
non che di dilettevole, ma anche di pittura perderle il nome, cln tak>in-
felicitàpe^moltffeQoli^. mantenerle; che però , appena, poterono5 poi Gf*
mabue e Giptto richiamarli alla vitap eìqiiindi mi porti a far vedere» che
al no£lro Mafaccio toccò la gloria di avelia incamminava per-quella v4àrper
cjii ella, pòteffe. d^
                                                                          *■ I
& kì                                            E 4                               Era
-ocr page 80-
7% Decenti. J1L della fan. 1.delSec>V. dal i420. #/143o.
Era dunque la pittura [che"appretta agli Orientali ed a'Greci fu in
gran pregio] fino a' tempi di Porfena, venuta a tal perfezione in Tofca-
na, e poi in Roma, e tanto crefeiuta d'eccellenza e di ftima in quella
città, che Fabio non fi fdegnò di fottofcriverfi nelle pitture da lui fatte
nel Tempio della Salute, col nome di Pittore. E nelle fpoglie de' trionfi
erano le pitture e fcuiture fra le cole più rare a Roma mandate: e non
fòlo fi dava la libertà a que' fervi, che tale arte eccellentemente profeta-
vano, ma con larghiflitni doni erano remunerati. Manténnefi ella, non è
dubbio, per tutto il tempo, che regnarono i dodici defari; ma però con
andar facendo alla giornata alcuno fcapito dalla prima eccellenza, come
le opere di Scultura e d'Architettura, che 1? uno dopo l'altro andavano
facendo, hanno dimoftrato. Anzi , fin da'tempi del gran Cofiantino,
trovati ella aver declinato tanto, che volendo il Popolo Romano alzare
ad elfo Cofiantino l'Arco trionfale al Colofleo, ebbe a valerli per orna-
mento, di ftatue di marmo , fatte fino ne' tempi di Traiano: ne l'immagini
del medeiìmo Collàntino, e le fue medaglie lafciano di mofirare grande
icemamento dì bontà , in riguardo di quelle, che ne* tempi degli altri
di Crifto Inlperadori erano fiate fatte. Accrebbefi notabilmente quella difgrazia
3J4, per la partenza di quello Imperatore, nel trafportar che fece 1' Imperio
eia Roma a Bizanzio, per aver' egli fpogliata Roma de'buoni artefici, che
in effa erano rimali, e di un numero infinito odia più belle ftatue e pit-
ture,; che quivi li vedefiero in quella età; onde avvenne, che quelle ar-
tir^fìnb- al tempo di Cofiantino II. e di Giuliano A pollata , andarono
di Crìf tuttav^a fcapitando, e fi ridufiero in pollo sì umile: e li buoni artefici ri-
S6S, nn0 malèro in sì piccol numero, fé pure alcuno ve ne refiò, che fu d' uopo
al primo Regnante il fare una legge, che fé alcuno, per adornamento di
j f uis Ville, avelie cavato dalla città marmi o colonne, immantenente rimanerle
còddel' privo di quelle poffeflioni, che egli averle sì fattamente ornate: ed al fe-
vit^i.s?" C0nÌ9 ftabiliine un'altra, che proibiva il muovere eziandio e trafpor-
tk.io. tare flatue di qualfifofle materiato colonne, da una provincia all'altra,
leg.nemi- Ma Poco ° nulla farebbero fiati limili infortuni a quefte belle arti, fé la
3x5 sColcmd nia^vaS'ta ^lle barbare nazioni, m offe fi con tra Roma, e contra 1' Italia
Se ffidific' tutta,non avefie con guerre crudelillime data l'ultima mano al loro totale
t*"'™*'1,8 efierminio e rovina, come ora fiamo per narrare.
; Erano dunque gli anni di nofira falute al numero pervenuti di tre-
cento novant'otto, quando mancò di quella vita mortale il buono Impe-
radore Teodofio, lanciando dopo di le due piccoli figliuoli Arcadio ed
Onorio,- il primo nell' Imperio di Levante in Coftantinopoìi, fotto la tu-
tela di Ruffino: ed il fecondo nell'Imperio di Ponente > comprefo fotto
l'antica Roma, alla cuftodìa di Stilicone. Quello Stilicene, al parer de-
gli fioricij affine di efaltare un proprio figliuolo a queir Imperio, polla
prima ^differenza fra'due Regnanti : poi col negare certe paghe r che fi da-
vano a'doti* Popoli Settentrionali, venuti da quella parte, che era det-
ta Gozia, cioè quella Provincia, la quale oggi è divifa parte nella Da-
nimarca, e parte nella Svezia: i quali, fin ne' tempi-di Teodofio fi erano
più volte, benché con perdita, molli contro Ja grandezza di lui; pensò
■ri*
                                   f 3                                               . fra le
-ocr page 81-
.
; te           Si A S A C C l 0. , 73
fra fé fteflbdi quegli irritare ed attizzare per modo, che coli'accenderà* fra lck. Geo-
di loro una guerra crudele, o foflero in quella morti gì' Imperadori, o fra fa*fh,ter*
quelle gran turbolenze, 1'armi da fé governate avelie potuto voltare al
fervizio de' proprj difegni. E così bene effettuòfuo malvagio penfiero, che
molla da grand'ira quella barbara gente, lì fece eiezione in un tempo fteflo
di due Re, Radagafo il primo , e 1' altro Alarico , con obbligo a quefti di
portarli con gran gente a' danni di Roma e dell' Italia. Toccò a Radagafo
a far la prima moflà: il quale partitoli con dugentomila Goti, come Idola-
tra che egli era, e che d' uomo non aveva altro che il nome, giurò di facri-
ficare a' luoi Dei col fangue de*Romani, dando di fé terrore e fpavento
infinito, per la parte di Venezia fé n' entrò in Italia ; ma volle Iddio, eh©
ridottoli fu' Monti di Fiefole, con animo di diftruggere la città di Firen-
ze, egli fi trovarle in breve in sì gran penuria di vivere, e fin dell'acqua
medefima, che mancò in tutto e per tutto d'animo e di forze ; laonde oltre
alla ftrage, che di fua gente fecero i Fiorentini, giurtfe la cola a tal le-
gno, che erano i faldati Goti predati a branchi, e quivi per prezzo non
più di uno feudo di oro per ciaicheduno venduti. Radagafo vedutofi a tal
partito, volle fuggire; ma fopraggiunto da'Romani, fu poi da' medefimi
tolto di vita. Non andò già così la bifogna nella feconda invafionede'me-
defimi Goti, perchè dopo cinque anni, cioè l'anno 413, al parer di buoni
autori, Alarico, il fecondo Re, con numero di gente non punto minore fé
ne venne anch' eflb in Italia : e melfa a facco la città di Roma, tanto in-
debolì quell* Imperio, che agevol cofa fu poi a' Goti il tornare e mante-
nerli in Italia a loro fodisfazione , ed anco lo flabilirvila propria grandezza.
Allora feguì la dannevole inondazione de'Barbari, per gualtare tutte le
Romane proviricie; concioflìacolàchè i Franconi entraflero nella Gallia,
donde ebbero fuo principio que'Re? e i Vandali nella Spagna, donde co-
minciarono i Re di Spagna . Stilicone però, che fu autore di tanta difeor-
dia, fu in quelli tempi, per ordine d' Onorio, inlìeme col figliuolo Eu-
cherio, quello ftelìb, che egli difegnava innalzare all'Imperiai dignità, mi-
feramente uccifo. Per così urani avvenimenti, andarono poi le cole de'
Romani tuttavia di male in peggio ; finché dopo un curbolentiiUmo regna-
re di dodici Imperadori, feguita la cacciata di Momillo, detto Àuguftulo,
1' ultimo di loro, e la morte d' Orerìe fuo padre , per opera di Odoacre
Re degli Ertili, rimafe eftinto nell'Italia il Romano Imperio. Ne andò
molto, che da Teodorico Re de'Goti, anche Odoacre fu cacciato ; e così
cadde la bella Italia, ed altre Provincie ad efla foggette, fotto il tirannico
governo de' Barbari, Può ognuno facilmente conofcere fino a qual legno di Grifo
arrivafle in quefti tempi infelici l'efterminio di quelle arti,chedanull'altro 47<J*
riconofeono la propria vita ed accrefcimento,che dalla pace. Ma non ebbe-
ro qui fine le loro difavventure ; perchè Teodofio il giovane, dopo aver coU
I*impietà dell'Erefia Ariana, alla quale aderì, macchiata la fama dell'anti-
che fuebuone azioni, fece, dopo molte crudeltà, lo fteflo Giovanni morir
prigione in Ravenna : e qui nacque il fecondo Scifma fra Bonifazio II.
e Diofcoro. Quindi a cagione dell'ingiuria morte di. Amalafunta, figliuo-
la di Teodorico, e moglie di Teodato di lui fucceflbre; accefo di giufto
idegno
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74 Decenn. Uhdella Pan. hdelSec. V. dalr420.al 143o.
fdégno Giuftiniano Imperadore, mandò da Coftantinopoli l'invitto Beli-
farioia Italia, per quella allo'mperio recuperare, Ed ecco incominciata
un* altra fieriflìma guerra fra'Romani e Goti, in cui Vitige Re de'Goti,
m Crifto fu da quel gran Capitano fatto prigione, e condotto in Coftantinopoli.
n$> Non erano appena pafTati quattro anni, quando a Idovaldo, e poi ad Alari-
co fuceerTe nel Regno il crudeliflìmo Totila, che più acerbamente trava-
gliò, fé non diftrufìe del tutto, la città di Firenze, come fcriflè un buo-
no iltorico: diede gran rotta pretto a Verona; in Terra di Lavoro prefe
Benevento e Napoli,con gran paefe attorno; e tutta la Tofcanaconquiitò,
àrdendo, uccìdendo, e tutto ad una mifura, e facro e profano, clisfacen-
do, fi fece finalmente padrone della fte(Ta Roma: e non contento di fpo-,
gliarla delle fue mura, ed ucciderne gli abitanti, la dette in preda ai fuo-
co, e ìi\ diciotto giorni tutte le belle memorie e di (fatue e di pitture*:
e di mufaici e di fabbriche rovinò e quali diftrulfe; e fece sì, che efia Ro^
ma, co*fuoi disfatti edifici, fotte fepoltura di Roma; concioiriacofachè le
abitazioni terrene , che erario le più ricche di limili ornamenti, reftafiercf
coperte dalle rovine , Furono poi fopra le medefìme rovine piantate le
vigne [a]. Le fot terra te abitazioni, in parte ritrovateli ne* moderni terru
pi„ fono poi ftate dal volgo chiamate grotte : e quelle poche pitture, che
ad onta del tempo vi hanno potuto vedere i noftri fecoii, hanno dato!il»
nome a quella forte di pitture , che noi chiamiamo Grottefche. Così fatte*
crudeltà di Totila fecero sì » che lo 'mperadore di nuovo mandarle in
Italia Belifario, che rintuzzò l'orgoglio dei crudeliflìmo Re, e tornoffene
in Coftantinopoli, lafciato in fuo luogo quel Narfete, che recuperate le;
Cnfto CQ£e pertjl1te jn battaglia, lo (iettò Totila uccife ; e fimilmente uccife Teja, di
lui fuccefTore, e tornò lo'mperio de'Romani (otto il Reggimento di Nar-
fete , Quelli poi, per diigufti ricevuti da Sofia, Ja moglie di Giuftino mino-
re Imperadore, chiamò in Italia, fino dalla balla Germania, e dal paefe
pofto fra il fiume Oderà, e il fiume Elba, altre barbare nazioni, ("opra i no-
mi delle quali difeordano fra di loro gli fcrittori, e che poi giunti in Italia
fi chia-
[a] Non folammte i Palazzi pia fam&fi e ricchi rejlatì fono dalla terra rìco*\
perii ejbmmerfi, come ultimamente
, cioè tanno 17^5» fi è veduto nello Sco-
primento del magnìfico Salone del Palazzo de i Ce fari, trovato fitto il ter-
J reno degli Orti Farnefiani
, e del stagno di Nerone, ivi pur ritrovati i ma
molti ancora affai magnifici e nobili Sepolcri
, tra i quali deve ancora ram-
memovufi quello nel principio dell'anno 1726./coperto fatto il pi/mo della Via
Appia, che dall'infcrìzfani fiyè veduto efiere fervilo principalmente per li Li~
Wftì di Livia Aitgufla
, e de i Cejìiri, ornato di molti Sarcofagi con bùjjìr't-
lievi' belliffimì
, e di mólte altre /culture antiche t che moftrano la perizia
e T eccellenza degli artefici di quél buon fecola, lì qual Sepolcro, 0 Coiom^
bérlo, degno di e fere ìlluBrato da varj dottiingegni
, ufcirh quanto prima alla
luce da quefli me definii Torchi
, fpiegato con molte ofiervazioni, e ornato
di XX. Tavole intagliate in rame* nelle quali farò rapprefemato detto bely
li (fimo edificio ■> e tuttiquei monumenti mnkhifigmmh che in ejjo firn fiati -
ritrovati <
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*              MA S A C CI 0,        v u
fi chiamarono Longobardi: e fu quefto quell'infelice tempo* nel quale*
per quanto gravifTimi autori lafciarono fcritto, fi viddono nell'aria quegli
eferciti di armati, quelle taglienti fpade e lance, che dalle parti Aqui-
lonari , verfo le parti noftre a tutto volo correvano. Sotto la crudeltà
di quefte fiere, fu luogo alla mifera Italia di ripenfar con gufto piuttp»-
fto, che di ricordarfi con orrore, delle crudeltà fofferte per un cor,-;
fo di fettantafette anni dalla barbarie de'Goti, dalla quale pure fediei an~
ni avanti fi era fottratta ; poiché fpogliati i campi delle biade , e de*,
frutti, Smantellate le città, atterrate le fortezze, abbruciate le chiefe e i
monafterj, e uccifa ogni gente, fu per ogni parte fatto correre l'umano
iangue . Eflendo poi Alboino, il quarto anno del lue Regno in Italia , per
opera della moglie, flato (cannaio : e Clefo fuo fuccellòre, pure anch'elfo
flato uccifo col ferro da un fuo fervo; e creati poi da' Longobardi, in
luogo di Re, diverfi Duchi: e tornati a creare nuovi Re, fenza però de-
porre la nativa iniblenza e barbarie verfo la mifera Italia ; era già arrivata
la cofa a tal fegno, che quei pochi Italiani, a cui fu poffibile il farlo , fi
erano quafi tutti rifuggiti nell'Elba, ed altri luoghi e lfole de' vicini ma-
ri [#] > con che provarono il loro ultimo efterminio le buone arti, ed^oGrifto
infieme coloro [fé pure alcuno ve n'era rimalo ] che quelle profetar pò»
teffero: ed in ogni parte, in cambio di effe, ebbe luogo la crudeltà, la
tirannide, ed ogni altro malvagio coftume. Spenti dunque in tutto e
per tutto gli artefici, reftava folo, che perifiero quafi tutte le pochiffime
Opere loro, alle quali aveva perdonato il fuoco; quando non erano ap^
pena parlati cento anni, da che l'infelice Roma aveva fofferte l'infolenze
de'Goti, e poi dell'altra barbara gente, che venne Coftanzio , o vegliamo Regnò finn
dire Colante IL Imperatore di Collanti n-opoli. Quelli fpo-gliò R-oma diJ?r-J[Jn^
tutto quel poco di buono e di bello, che in materia di pitture, feulmre
e baflrilievi a eafo erarimafo fopra terra, avanzato a tanti mali e rovine;
e tutto portò in Sicilia t e perchè l'Italia perderle ogni fperanza di più ri-
vederle, furono erte, infieme con quante fé ne trovavano allora in quel-
T Ifola, da un efercito di Sai-acini rapite, ed in Alexandria tra portate ; dima-
nierache, tolto via ogni vcftigio di'buonfare» incominciarono quegli Scul-
tori, che vennero dipoi, a. fare quelle brutte e fproporzionate figure, ©
come volgarmente fi dice, fantocci, diche per l'Italia tutta, e fuori, lòri
pieni tanti edificj e fepolcri di quei tempi- egli Architetti feguendo Tufo
e'1 gufto della loro barbara nazione, continuarono a fabbricare con ordine
Gotico,'come inoltrano, fra 1' altre infinite , la Chiefa di San Martino»
di San Giovanni, e di San Vitale in Ravenna, ed altre fabbriche in tran-
cia e in tutta l'Europa, fatte poco avanti o dopo a quei tempi. L'Archi-
tettura però una volta, fra tante tenebre, diede fegno di qualche miglio-
ramento, cofa, che la Pittura e la Scultura non fece: e quello a cagione
della facilità, che è affai maggiore nel!'imitare colla mifura le colonne,
i capitelli e le cornici dell'anrichiffima buona maniera, purché l'artefice
1 ■ •              -• * -'- ........-, ■. » ...-..■./ . .\:                                                        abbia
la] Cioè il Tirreno, alttim-^tì Mar^ dì fitto 4 Mmdi Tofcatta, e Adriatico ,
altrimenti Mare di/opra, o Golfo dì Venezia-*
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7 6 Decenti. Ili della Pan. L delSec. V. dal 142o. al 143 0.
fibbia buon gufto, di quella; che fia nell'imitar le buone £tatue,che pure»
come lì è detto, già eran quafi del tutto o perdute o fepolte, cofa, che agli
edificj, tuttoché disfatti e guadi foflero, non era addivenuto, che però
fra gli anni di Criflo 770. e 800. in circa, fecondo quello, che ne lafciò
fcritto il nortro diligentiflìmo ed eruditismo in ogni forta di antichità,
Don Vincenzio Borghini, fu fabbricata in Firenze la Chiefa de'Santi Apo-
floli: e fuori di ella città, nel colie predo alle mura, fu riedificata da'
fondamenti nel 1010. la Chiefa di San Miniato al Monte; nell'una e nel-
l'altra delle quali vedefi eifere ftata imitata la buona maniera dell' anti-
Nei 7a«. chiflìmo Tempio di S. GiovambatilU di Firenze (a) . Quello miglioramen-
PTcono- co ^ de Pero poche volte, ed in pochilìime fabbriche, e per ordinario
ciafmo , fempre (1 tenne quel barbaro modo • Ma qual guerra più perniciofa pro-
noxiuo- v-arono le belle arti della Pittura e Scultura, poco avanti » e fino a quelli
«.
        tempi, a cagione della barbara impietà di Leone Ifaunco e di altri Icono-
machi Imperadori[£] aluifucceduti, i quali, oltre all'avere abbruciate tut-
te le facre immagini in Coftantinopoli, perfeguitarono a morte gli artefi-
ci, e tanti ne fecero morire, che finalmente li erano quelle arti quali d^L
per tutto fuggitivamente ridotte nelle mani di alcuni Monaci; onde parla-
ti alcuni pochi fecoli, già fi era giunto al termine di non trovarli altre pit-
ture , che quelle, che lì facevano per mano di un miferabiìe avanzo di
pochi maeflri Greci, e di alcuni di loro imitatori, che ella pittura ed ilmu-
làico ufarono in Italia, con quella brutta e cattiva maniera, che altrove
è accennata, e tale in fomma, che pare, che fi polla dire, in un cer-,
to modo, che altro non avellerò in fé quelle pitture, che un crudo din-
torno, ripieno di un fol colore.
Non è ancora indegno dì refleffione , ciocche alla povera Pittura,
Scultura e Architettura, in tutti i tempi foprannominati accadde: prima
a cagione delia pietà e zelo della Santa e vera Religione Criftiana, nella
total deduzione e rovina de'molti templi e lìmulacri de'falli Dei, dove
ella Religione in tempo fu portata? e poi dall'infame Setta di Maometto»
la quale, lìccome ha pel miglior pregio dell' eflèr fuo, V ignoranza e di-
fprezzo
...,rr---------                ( ■.— ._.. T_ .jf...... |n                ||- t ||M||n| i a,,,, i, i| jipiiiniM ibh........imi in, inni iiwiiiil aujiiiilinin!. l I............L I II KIWI I ..._ ]>■.....Il il mn               ——m* I —1 iil. ■
(a) V Architettura di queffo Tempio , ancorché non fia opera del miglior
fecolo
, che fu quello d'AuguBo : e che egli molto dopo, non per lo Iddio Marte »
fàlfo Nume della Gentilità
, come credette il Villani, ma per lo Battefimo edi*
ficatofoffe ne' tempi di Valenti ni ano Imperadore, 0 di S. Ambrogio
, quando
quefi'arte e ragià in declinazione, e camminava a queW efirema tu ina, a cui
giunfe per la venuta de' Barbari, come avverte l'Autore di qùeffe notizie \ né
fia per conjegmnza della perfezione di quell'età felicifflma, ella nondimeno
, tol-
tone un certo variare da queII' ottimo e perfetto gujlo di quel buon ,jecolo, ella
è buona, e degna d'efière iviìtata, come fece il flrunellefco, a cui fervi di re-
gola per rimettere in ufo la buona maniera ^architettare
[ b] Iconomacho
dalla voce greca icon» che vuol dire Imagi ne, e da Machefthse, chefignifica
Combattere, quafi'combattitore delle immagini, e dicevanfi anche Icona-,
slatti, dalla fieffa voce greca Icon e Clan, chefignifica Romperenquafifi^i
cavatore delle /magmi
.
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MASACCIO.                 tj
fprezzo di ogni buona facoltà; così fu a quelle belle arti, In ogni luogo;,
che efla tirannicamente occupò, di un totale efterminio . Per ultimo fu
loro di non ordinario danno la malvagità di un uomo, quanto abbondante
di forze e di ardire, altrettanto sfornito di fede e di umanità, o vogliamo
dire un moftro de'più crudeli, che mai fi portafle a'danni della pove-
ra Italia. Quefti fu l'empio Federigo Barbarofla, il quale co'fuoi peffìmi
ufizj, fomentate prima intrigate difcordie e crudeliflìme guerre fra le
due Repubbliche di Genova e Venezia> fra Ferrara e Bologna, moffi at-
tentati fra'Guelfi e Ghibellini ; finalmente con gran numero di Tedeschi
e di Barbari, che a' danni della Chicfa avea condotti, pofe tutto in rivolta
e confufione.
Ne'termini dunque foprannarrati, e con pochìffimo, e quafì infenfi-
bile miglioramento, fi trattennero le condizioni di quelle arti fino al 1260.
nel qua! tempo eflèndo comparfc alla luce, fopra quelle di ogni alrro pit-
tore de*fuoi tempi, e della noilra città, le opere di Cimabue re dipoi quelle
del famoliflìmo Giotto di lui difcepolo: e (copertoli da e(ìi alcun modo,
onde potette migliorare il difegno, cominciò ella a rivivere, come a fuo
luogo abbiamo moftrato* Ma finalmente non poterono quefti artefici con
ogni loro induftria altro operare, che farla di morta viva; e concioftlaeo-
fachè meno godibile fi renda la vita, ogni qual volta ella manchi dì quel-
le aggiunte, chela rendono anche gioconda (cali fono vivacità di fpiriti,
fanità robufta, ed altre a quelle fimiglianti cofe) è neceflario il confettare,
che non poteva la pittura, benché fatta viva dalle mani di que' maeftri,
far gran pompa di fé fletta, perchè molto le mancava di difegno, di colo-
rito, di morbidezza, di fcorti, di movenze, di attitudini, di rilievo e di
altre finezze e vivacità, onde ella potette in tutto e per tutto attòmigiiar-
fi al vero; che però dovrà fempre vivere al mondo il nome di Mafaccio,
di cui ora fiamo per parlare, il quale co'fuoi profondiflimi ftudj, tali dilli-
cultà fcoperfe, ed in gran parte anche fuperò.* e così bene aperfe la ftrada
a quanti dopo di lui operarono, che non era ancora pattato un fecolo da
che egli finVdi vivere, che già quell'arte nobiliffima, fi vide effer giunta
al colmo di fua perfezione.
Nacque dunque quello celebrati filmo Pittore di un molto onorato
uomo, Notajo di profefiìone, la quale in quel tempo era in Firenze mol-
to riputata; onde coloro, chela progettavano potevano effère abilitati per
la Maggiore a tutti i principali ufizj della città. il nome di lui fu ser Gio-
vanni di Mone della famiglia de'Guidi, detti altrimenti dello Scheggia,
che traeva fua origine, ed avea fue potteflìoni nel Gattello di San Giovanni
nel Vaidarno di (opra, Contado di Firenze, Il Vafari, che alcune poche
cofe fcritte di Malaccio, con evidente sbaglio affermò, che il natale di lui,
che Tommafo fu chiamato al Battefimo, feguiflè Tanno 1417^ ma perchè
troppo fconcerto refuserebbe da tale atterzione a'noftri ferirti, in ordine
all'affermare, chi gli fu maeftro nelT arte, e chi da etto immediatamente
P apprefe , il lafcìar la fentenza del Vafari fenza la dovuta correzione;
perciò è necettario , che altre a quanto abbiamo accennato nelle notizie
della vita di Mafolino diluì maeftfo, e fiarao per dire in quella di Fra Fi-
;
                                                                                                  lippo
*
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78 Decenn. IH. delta Part. I. detSec. Kdal 1420. <*/143 o.
lippo Lippi difcepolo, procuriamo ancora con accurato efame d'invefti-
gare prima gì' inverifimili e Je repugnanze, che inibrgono dal detto Vafari,
feguitato poi da Francefco Bocchi nel Tuo libro delle Bellezze di Firenze,
e da quanti altri hanno prefo da lui: e poi col teftimonio indubitato di
antiche e fedeliflìme fcritture, venghiamo a dimoftrarne il vero. Dice dun-
que il Vafari, che Mafaccio nacque del 1417. il che per più ragioni non
è né verifimiie ne vero. Primieramente ha fatto conofcer la maniera di
Fra Filippo Lippi» e vien confermato ancora dal Vafari medefimo, che
egli da giovanetto ftudiafle, e fi facefle valente pittore fopra le opere del
noftro Mafaccio; e fi è provato chiariflìmarnente, che il natale di Fra Fi-
lippo fu circa al 1400. e non del 13 71. o del 13 81. come dalla prima e fe-
conda edizione delia ftoria del medefimo Vafari variatamente fi deduce.
Come dunque avrebbe potuto Fra Filippo da giovanetto circa al 141 7. che
è quanto dire di ledici in diciaflette anni, avere Mudiate le opere di Ma-*
faccio, fé quelli a quel tempo non aveife ancora incominciato a vivere al
mondo, non che ad operare ? Di più, io ho trovato nell'antico Libro de-
gli Uomini della Compagnia de' Pittori, cominciato Panno 1350. che
Tommafo di ser Giovanni da Caftel San Giovanni fu delcritto in ella Com-
pagnia del 1423. onde, fecondo il detto del Vafari, farebbe egli flato de-
lcritto nel numero de' Pittori in età di fette anni, cofa al certo troppo im-
probabile, ed in un Libro di Matricole fegn. G. enfiente nel Magistrato
dell' Arte de'Medici e Speziali di quella città di Firenze, vedefi eflerfi Ma-
faccio Matricolato come Pittore [coftume dique* tempi, oggi non più ufa-
to.] con nome di Mafo di ser Giovanni di Simone a' 7, di Gennajo 1421,
che fono appunto quattro anni dopo a quel tempo, che il Vafari aflegna
alla nafcita del medefimo ; quando egli allora, come fi dimoftrerà, era in età
di diciannove anni. Ma per venire alle dimoftrazioni delia verità di quello
fatto, è da faperfi, come nel Libro dell' Bftimo di Camera Fifcale del 1427.
Quartiere S. Croce, Piviere di Cavriglia, Comune di Caftel San Giovanni
di Valdarno di fopra» fra gli abitanti in Firenze, elfo Tommafodiede fua
portata,e diflè di efière in età di anni venticinque, e Giovanni fuo fratello
di anni venti. Sicché fu il natale del noftro Tommafo Panno 1402. e non
il 141.7. come il Vafari affermò. Ma tempo è ornai di venire ad altri par-
ticolari della vita di lui. Le moke e belli Mime opere, che fece quefto, in
quei tempi fingolariflimo artefice, in un corfo non più che di quarant'uno
anno di vita: ed il vederi! approvato alla Matricola in età di diciannove
anni, fanno credere, che egli fin dalla puerizia fi efercitafTe nell'arte: il
che fu folto ladifciplina di Mafoiino da Panicale, nel tempo che il mede-
fimo con fua grandi/lima .lode dipigne va la Volta e Cappella de* Brancacci
nel Carmine,: ed in quel tempo appunto, che la Scultura, per le mani
de'tre vaientiflìmi giovani Donatello, Filippo Brunellefchi, e Lorenzo
Ghiberti Fiorentini, e con efla P Architettura aveva cominciato a ridurli
all'antica buona maniera. Procurava Tommafo, nel tempo che egli ftu-
diava l'arte fotro Mafoiino, d'imitar tuttavia il buon modo, che que'raae-
lìri nell'opere loro di .(culture tenevano; onde cali' ottimo gufto, che egli
ebbe Tempre nel dilegno enei colorire, non fu maraviglia, che egli con-
ducete
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rrr;v ;\^.-,:v^V.;.J/..J SACCI 0.                 
dtieefTe ad egual perfezione T arte della Pitturacene femprefu infeparabilé
compagna della Scultura, e camminarle con efTa di un medefimo paflb, I fo-
li dìfegni, che ne'miei tempi, cioè dopo un corfo di 250. anni in circa,
da che mancò quell'artefice, fi fon veduti di fua mano in Firenze, fenza
la quantità, che in tanto tempo fé ne può e/Ter perduta, fon tanti in nu*
mero, che ben fanno coriofcere quali e quanti fofTero gliftudj di Tom-
mafo nell'arte fua, alla quale s'applicò così fervoròfaniente, che non vol-
le mai dar luogo ad altro penlìero, trafcurandofeftèfTo, ed ogni cofa» {let-
ti per dire, all' umana convenzione neceflària; tantoché quantunque e'
folle dotato di un ottima natura, fenz* alcun vizio, e come dir fi fuole,
la bontà ftefla; contuttociò daL viver che e'faceva tanto attratto da tutte
quelle cure, che all'arte non appartenevano, rendendo ancora talvolta
infoittuofe le proprie fatiche, per non perdere il tempo a rifcuotere le
lefue mercedi, fu, in luogo di Tommaló, che era il fuo vero nome,
chiamato Mafaecìo. Il fuo principale intento nell' operare fu il dare alle
figure fue una gran vivacità e prontezza, fé fofle flato poffibile, ne più ne
meno, quanto che fé vere ftate foriero. Procurò più dì ogni altro maeftro
flato avanti a lui, di far gì' ignudi in ifeorti molto difficili, e particolarmen-
te il polare de'piedi veduti in faccia, e delle braccia e gambe; e cercan-
do'tuttavia nell'operar fuo delle maggiori difficultà, acquiftò quella gran
pratica e facilità,che li vede nelle fue pitture, particolarmente ne' panni,
con un colorito sì bello, e con sì buon rilievo, che è (lata in ogni tempo
opinione degli ottimi artefici, che alcune opere fue, e per colorito e per
difegno,. portano ftare al paragone con ogni difegno e colorito moderno.
Così bella e nuova maniera di dipignere fece si, che in un fu b ito molti Hi*
me opere gli furono date a fare in Firenze , gran parte delle quali oggi
più non fi vede; e fra quelle ebbe a dipignere per la Chiefa di Santo Am-
brogio una tavola a tempera, in cui figurò una Vergine in grembo a San-
t'Anna. Volle egli divenire eccellente in tutte quelle facoitadi, che al*
V arte della pittura appartengono, una delle quali, e delle più neceflarie,
non v'ha dubbio alcuno efière la Profpettiva. In queflaiece egligrandiifi-
mi tludj, avendone avuto per maeftro il gran Filippo Brunellefchi, Ar-
chitetto della Cupola di Firenze: e fattoli molco pratico, colorì per la
{Teda Chiefa di Santo Ambrogio una bella tavola di Maria Vergine An-
nunziata, nella quale fin fé un cafamento pieno di colonne, che fu (limata
in quel tempo opera di tutta maraviglia. Per la Chiefa di Santa Maria
Maggiore fece una tavola di Maria Vergine, Santa Caterina, e San Giu-
liano, e nella predella alcune figure piccole, che rappréfentavano itone
de' medefimi Santi, e nel mezzo la Natività di GesùCrifto. 11.Cavaliere
AlefTando della; nobil famiglia de* Valori, ha in cafa di fua mano un pie*
colo quadro, dove a tempera è figurato il parto di una Santa, che in vero,
per eflèr dopo tanto tempo così ben cojifervdtOt è cofa molto degna da
veder/i.- Di quello quadretto fa menzione ancora Farncefco Bocchi nel fuo
Libro delle Bellezze.di Firenze. Pipi ole a frefeo nella Badia un S. Ivo
della Brettagna minore^ Vefcovo di Sciartres, con molte.figure, ftate poi
disfatte a cagione detenuova iibbnea:; ficcOrae altre, ancoia, che fece
o 1 vi
                                                                            nella
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8 o Decerne III. della Part. I delSec. V. dal 1420^/1430.
nella Chiefa di Santa Maria Novella. Colorì per la Chiefa del Carmine di
Pifa un'altra tavola colla Vergine e Gesù, ed alcuni Angeletti, che fuo»
nano: uno de'quali fonando un liuto, porge l'occhio con vivacità ed
efpreflione maravighofa, qqafiguttando dell'armonia di.-quello (frumento.
Vi rapprefentò i Santi Pietro, Qiovambatifta, Giuliano, e Niccolò, e
nella predella ftorie della vita de' medefimi,' e nel mezzo della tavola fece
vedere la ftoria della Vifita de'tre Magi, dove fece alcuni cavalli viviflìmi,
ed i Cortigiani dì que'Re veftiti d'abiti belli e di varia invenzione.* {opra
il finimento della medesima figurò in più quadri intorno ad un Crocifitto
divertì Santi. Fu anche opinione di molti, che nella mecleiìma Chiefa,
accanto alia porta, che metteva in Convento, folfe di mano di Tommafo
la figura a frefco dì un Santo in abito di Vefcovo. Ma il Vafari tenne
opinione, che ella fofiè di mano di Fra Filippo fuo difcepolo, Molte al-
tre opere fece Tommafo, finché dimoiato da desiderio di vedere le pittu-
re degli altri artefici de» fuoi tempi,e parte per provvedere colla mutazio-
ne dell'aria a qualche imminente pericolo di fua fanità, fé ne andò a Ro-
ma, dove fubito che fu guftata la fua bella e nuova maniera di operare,
fu adoperato in diverfi lavori di tavole per molte Chiefe, le quali poi nel-
le turbolenze fopravvenute a quella città, per lo più fi fmarrirono.. Ad
iftanza del Cardinale di San Clemente nella Chiefa di effò Santo, che ani
ticamente fu abitazione de'Frati di Santo Ambrogio ad Nemusj Ordine,
che ebbe fuo principio in una bofcaglia poco lontana da Milano, e dipoi
eftinto ne fu data la Chiefa da Urbano Vili, a' Frati Domenicani ; di-
pinfe Mafaccio , fecondo quello che ne lafciò fcritto il Vafari, feguito
dall'Abate Filippo Titi, in una Cappella, la Morte in Croce di Crifto
Signor noftro fra due Ladroni, ed alcune ftorie di Santa Caterina Vergi-
ne e Martire. Ma Giulio Mancini in un fuo Trattato di Pittura, che va
attorno manofcritto, attribuifce tale opera a Giotto; e dice cavarlo, non
meno dalla maniera, che dal tempo, il quale fi riconofce in alcuni verfi,
che aflèrifce aver letto egli medefimo, feruti a lettere d'oro, a mano fi*
niftra della tribuna, del tenore che fegue :
Ex annis Domini elap/ts milk ducmtis
Nonaginta novem Jacobus Collega mino ruta
V Hujus Bafilica titolò pars cardtnis alti
■ Butc julfitfieri, quo placuit Roma Nepote
Papa Bonifatius Vili.......... pfoles.
Fra le tavole, che Mafaccio dipinfe in Roma, una fu in Santa Maria Mag-
giore, per una Cappelletti vicino alla Sagreftia, nella quale figurò la fto-
ria di Santa Maria della Neve con quattro Santi. In qUefta ritraile al na-
turale Papa Martino con una zappa in mano,' colla quale difegna i fonda-
menti di quella Chiefa: ed appretto a lui Sigifmpndo Imperadore, fecon*
db di quefto nome. A rtefta il mentovato Vafari,; che Miehelagno Buonar.
moti fi fermaffe un giorno a confiderare quefta tavola con attenzione, e
che molto la lodarle... Afferma in oltre, aver avuta daJJo fteflo Michelagnolo
quefta notizia, cioè, che quel Pontefice, che regnava ne'tempi di Mafac-
cio, mentre che e* faceva dlpignere a lifanello, e a Gentile da Eabbriano
le fac-
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M ASACCIO               X §1
Je facciate della Chiefa 4i San 'Giovanni.,, m allogaiTe una £areé ancora a
lui ; ma queftu prima di por mano all'opera, avendo avuto di J?irenzek
nuova, che Cofimo de'Medici fuo grande amica e protettore, era flato
richiamato dall'efilio, qua fé ne tornò: dove già era panato all' altra vita
Mafolino da PanicaJe fuo maeftre, che aveva dato principio a dipignere
nellaChiefadel Carmine la Cappella de'Brancacei{a): nella volt^a della qua-
le aveva figurato! quattro Evangelici, e damati la vocazione di Santo An,
drea 4 di San Pietro* ali* Apolloiato: la Negazione $ Predicazione del me-
defimo : e quando egli tafana Petronilla fua figliuola; ÌL Naufragio degli
Apoftoli.- e quando lo fteflb Pietro, infienie con San Giovanni, fé ne va
al Tempio ^ e vi libera V Infermo » che gli chiede limofina. Rimafa dunque,
per morte di quel!'artefice, imperfetta queil' opera., fu effa fubito alloga*
ta a Mafaccìo: il quale, prima di cominciare a dipignetla, volle dare alla
fua patria alcun fegno del fuo. miglioramento., eh' egli aveva fatto neli* ar<-
te, nel tempo, «ch'egli aveva operato in Roma; onde in effi Chiefa del
Carmine, in faccia ad un pilaftro della gran Cappella,timpetco alla già no^-
minata de' Brancacei, dipinfe a frefco una figura di un San Paolo,la teli*
del quale xkrafie, al vivo di un rale Bartolo d'Angioino Àngiolini, con
tale fpirito nel vobo., che altro non gii mancava,. che la favella. Quella
figura, che [avuto riguardo al tempo Jriufcì maravigliofà,. infieme con
un'altra di un San Pietro Apoilolo, (tata dipinta rper avanti in feccia alr
l'altro pilaftrn da Mafolino, fi è eonfervata molto bene fino all'anno 167$.
in circa, nel qual tempo , tanto 1* una che l'altra, furon mandate a terra,
a cagione del nobile abbellimento di marmi, ftat-ue e pitture flato fatto ad
eiìa Cappella da'Marehefi Corfini. per dar luogo in effa al Corpo del glorio-
io Santo Andrea Carmelitano, di loro famiglia, Vefeovot éi Fiefole, cra-
£ portato in effa con maeftofa pompa l'anno. fc&&3- Quella figura adunque
del San Paolo Apofiolofu quella, la quale fece conofeere apertamente,che
Mafaccìo aveva feoperte e fuperate a benefizio di coloro, che dopo di lui
dovevano operare, duegrandiffime diflicultà, che poco o nulla erano (late
fino allora oflèrvate,. non che intefe da chi aveva dipinto innanzi a lui.
Tali furono lo feortare, che fanno le vedute di fotte in su, e quefto par-
ticolarmente inoltrò ne' piedi di queir Apofìolo : ed il modo di difegnare
il piede in ifcortoin atto di pofare, a differenza de' paflati pittori, che fa-
cevano le figure ritte, tutte apparire in punta di piedi, lenza che mai nef-
funo, per ifiudiofo che folle (lato fino da'tempi di Cimabue, avefle o fa-
puto conofeer quell'errore,o faputovi rimediare: il che fola fece il noftro
Mafaccìo. Ciò fatto, fi pofe a dipignere la detta Cappella de' Brancacei, e vi
conclude di fua mano la ftoria della Cattedra.* la liberazione degl'infermi:
il rifufeitare de'morti; l'andare ai tempio con San Giovanni; il fanaro
» l:.,            V: ":,</; «¥.■••;;*:.;                        , gl'in- ì
{a) In quella Cappella Brancacei fi conferva uri amica Miracolo fa Immagine
di Maria Vergine. <> che fi porte a procefltwte ogni anno per la folermìta della
. Madonna del Carmine, donata a quella Chiefa dagli afeendemi dì Ai, A. M.
uno degli autori di quefte note.
1
■^HM
-ocr page 90-
8 z Decenti. 111. della Pari* l ttelSecV. */#/142 o. # /143 ©,
gP inférmi coli* ombra: il cavare il danaro dal pefce, per pagare il tributo*
e l'atto (teffo del pagamento,' dove in un Apóflolo,!che è 1' ultimo in
quella (toria, vedefi il ritratto dello fteffo Malaccio; Fecevi anche la fio-
ria, quando San Pietro e San Paolo rifufcitano il figliuolo del Re ; quella
però alla morte di Tommalo redo non finita. Dipinfe anche la Clona del
San Pietro, che battezza, nella quale fu fempre itimata per una bellililma
figura unignudo, che fra gJi altri battezzati fa arco di tremare pel freddo.
Nel tempo, che il noftro pittore conduceva quelVopera, fi dice, che oc-
correre la Sagrai della iteifa Chiéfa dei Carmine, in memoria di che Ma-
laccio fi poneiìé a dipignere idi Verde terra a chiatoicuro lòpra la porta
di dentro il Clìiofìro, che va in Convento, la canto celebre fioria di tut-
ta quella funzione , figurando lui piano di quella piazza,1 a cinque o fei
per fila, un gran numero di cittadini, in atto di camminare in ordinan-
za con maravigHofadidinzione,ecosì ben pofàti fui piano, e ctonun dimi-
xiuire, fecondo la veduta dell'occhio, così proporzionato, che fu cofa di
maraviglia. Fra quefti dipinfe al naturale, in mantello e in cappuccio9
dietro alle proceffioni, Filippo Bruneìlefchi, Donatello, Mafolino, An-
tonio Brancacci, che gli fece fare la Cappella, Niccolò do. Uzzano,
Giovanni di Bicci de' Medicir Bartolommeo Valori, e Lorenzo Ridoifi»
allora Ambafciadore di Firenze a Venezia. Ed io non penfo mai a que«
ftJ opera, che io non mi dolga in eftremo, non foie io dica deLtempo»
.Che 7 tutto gtuifta e confumavo dell'ignoranza e,poco amore che hanno be-
ne fpcfib gli uomini alle antiche memorie, che abbiano permeilo, che ri-
cordanza si bella {m affatto perita » per qualfifia anche urgentifììtno bifo-
gno, che ne abbiadata occafìone. Diilì affatto perita, perchè non farebbe
quella Hata la prima volta, né farebbe (lata per efier 1' ultima, che do.»
vendofi.demolire mura per occafìone di nuove fabbriche, o ne fiano prima
irate tolte le pitture, e con meftimabile difpendio fiaao (late collocate al-
trove; o pure almeno ne fiano ftate fatte copie, ad effetto di lafeiar fem-
pre viva a' fecoh avvenire la memoria dell'effigie de' grandi uomini, degli
abiti » de' lìti delle fabbriche , de*riti, e d'altre fimili cofe, che in un tempo
fono di non poco diletto, ammaeftramento e utilità eziandio agli uomini
fon fati;, e che debbono gli akri uomini reggere e governare. Dopo tutto
ciò fece Malaccio ritorno al lavoro della fua Cappella, nella quale trai!' al-
tre cofe maravigiiofe, fi veggono i ritratti di divertì cittadini, fatti al vivo»
che più non fi può dire. In queft' opera s'inoltrò egli tanto verfo l'otti-
ma maniera moderna, che da tali pitture ftudiarono poi coloro, che fon
diventati valenti uomini ne' tempi a lui più vicini r e quelli, che nel fe-
cole pallato ebbero fama de'primi pittori del mondo. Tali furono il Beato
Fra Giovanni Angelico Domenicano t Fra Filippo Lippì del Carmine,
Filippino, Andrea dal Cadagli©, AleiTo Baldovinetti, Andrea del Ver*
rocchio, Sandro Botricclli, Domenico delGriliandajo, Lionardoda Vin-
ci, Mariotto Albertineili, Pietro Perugino, Fra Bartolommeo di San Mar-
co , Lorenzo di Credi, il Granacelo, Ridolfo del Griliandajo, il Roifo,
il Franciabigio, Alfonfo Spagnuolo, BaccioBandinelli, Jacopo daPontor-
m?, Toto del Nunziata, Pierin del Vaga, e nel poco tempo, eh'e'fi
trattenne
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M AS A C C I 0.           ' 83
trattenne in Firenze, anche Raffaello da Urbino, e finalmente il Divino
M chelagnòlo C„!rr«où, fenza V infinito numero di P'«°r. F.orentm,
e foreftieri , che in ogni tempo fon venuti a ftudiare^da tali piume,
«taentechi arraffone poPtè il dottiffimo Am^afo, cento ann,
dopo il patteggio del noftro artefice, lodarlo co feguenci verfi:
'P'tnfi, e la mia pittura al ver fu pan:
V atteggili' C avvivai, le diedi ti miti,
Le diedi affetto : infegni il Buonarruoto
<A tutti gli altri, e da me folo impari., »■
Pervenuto finalmente Tommafo air età non di vent.fe. ann. ( come, 1Va-
iati afferma, feguìtato da altri molti] ma di quarant uno, come abbiamo
dimottrato, trovandoli in quel pofto d; eccellenza nel arte che fi e deuo :
promettendo anche di fé avanzamenti affai maggiori, aflahto àìimptov-
vifo accidente, fu tolto al mondo tanto in un fobico, che fu e educo da
più, che alcun malvagio profefiòre di pittura od' altro, per in v da lo ave -
Fé avvelenato. In tfl modo dunque rimafe eftinto un così bel lume della
ottura la quale in vero non è meno obbligata a Tommafo, che folo e
Fènza^er cqhTimitate fra gli artefici di que'fuoi tempi, ne tampoco fra
quegli fiati avanti a fé, incesi bel pofto la nduffe, di quello che ella fiate-
S a cfmabue e ^f^^Lo dóCe aS Si S» e ^
«odo dfser Brunéìkfco', che^fi era feto*maeftrò nella profpettiva, quel
Sd- uomo? che a tutto il mondo è noto, ebbe a dire, che r profeftori
S mancanza di Mafaccio aveyan perduto quanto "^potevano.perdere
Fu il corpo fuo fepolto nella lo pian nominata Chiefa del Carmine, cor-
rendo allora per q^el che dice un buono autore, V anno 1443. Rimafe vivo
dopod In? lPiuo fratello Giovanni, in età di ann trentafei, ancora egli
Pittore, che nell'antico Libro della Compagnia de Pittori, alcre volceci-
tato, io trovo fcricco l'anno r44V conquefte parole; Giovamrdt ter Gio-
vanni da Cafiel S. Giovanni:
e quefti fu erede di Mafaccio, perche fi ncono- Gof.Bue
fof nel Catafto del 1469. appretto gli Ufiztali di Decima , che la gravezza .,.«.
£gU ffefti di quelli c'afa fn etto trapalso. Coftui diede in nota d- avere
un figliuolo, chiamato Antonfrancefco, di anni venfotto, che flava feco
all' arte del pittore, e di averne avuto un altro, che fi chiamo Tommafo.
che in età di diciaflette anni lafciò la cala e la patria, e le n andò. Quefti
dovette poi rimpatriare; perchè fi trova avere avuto un figliuolo chiama-
to Salveftro, ed una figliuola per nome Antonia, che del ij05. fu maritata
a un tal Dato di Antonio di Dato . Quefto medefimo Tommafo trovo, che
del 1460. negli Atti del Vefcovado di Fiefole dell'anno 147?. >n caufa della c. ?„,«„.
Cappella , di che fi parlerà in fine , è nominato Cittadino e Mercante
Fiorentino. Di Antonfrancefco nacquero altri figliuoli : e fra etti un Gio-
vanni pittore, il quale trovo deferitto del 1515. ne Libro della Decima
con quefto nome : Giovanni d< Antonfrancefco dello Scheggia ebbe tre fighuol,,
cioè Tommafo, Raffaello e Mìcbelagnoh
: e di quefti e del Padre loro trovali
fatta menzione in un Contratto, Rog. adì «. di Giugno ijj». per mano
di ser Niccolò da Corella, nella vendita di una cafa in Caftel San Giovanni,
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84 Dertm. 1IL della ParL L delSec. K dal 142 a. al 143 0.
che fu fra'beni di Mafaccio e di Giovanni tua fratello. Di quello Tomma^
fodiGiovanni nacque Baccio, che morii*anno i6i$\ del quale non fi vede
fuccefllone, ficcome né mened' Antonfrancefeo fuofratello. Torniamo
ora a Giovannidi sbi Giovanni » fratello di Mafaccio, dal quale è proceduta
la nobile (chiatta .della quale fiàmo apprettò per parlare -, Quelli ebbe , oltre
Gorf Bue
''44.
ad Antonfranceica e. Tommafe, più figliuoli t e fra efii m\ Lionardo, dato
Ìs'm*8i. da lui in. nota nei Gatafto dfei 1470, e poi in quello dei 1480. e quivi di (Te
Vaggfa el^r Lionardo in età di mwà ventidue, facendovi anche menzione di
SagSada ^aSSìa fua Pnma moglie. Andò poi queuVOecima Tanno 1498, nel qual
" ,>:'!\ tempo già era morto Giovanni, in una tal Madonna Tira » moglie fu di
M^eiiuGiovanni 4l ser Giovarmi di Mone Guidi, che è quello del quale lì parla „
^Di Lionardo %liuolo di Giovanni, e nipote di Mafaccio» nacque uro
figliuolo, che pare aneli5 elfo fi chiamò Giovanni. E vedeii in un Corc~
tratta dì vendita, (tata fatta a Mefser Piero di Ser Baciano Renzi, di una
quarta parte delia fopraecitata cala , per Rogo di ser Filippo da Colte
adì 3 o. di Giugni 1 $■$%. «fiere- flata fatta menzione di etto Giovanni Guidi P
e d' un Benedetto fuo figliuolo: nel quale Strumento, olire al Cafata de*
Giudi■> fon cognomin.ati dello Scheggia; ficcome anche ne* cafati antichi
fino da* tempi Mafaccio. Ne Ci dee paffar feiiEa confiderazione il vederfi
nell'antiche fcrklure, appartenenti a quella famiglia, fatta menzione del
cafato, attefoc he quello per ordinario non feguiva fé non nelle famglie
rinomatimene. E da quello Giovanni in poi, per io più non furono det-
Mone eoa te nelle feritttfte le p'arole di Mone Guidi , ma degli due antichi nomi
r?S,7è~e calati degli avi, fu formato un altro cafato, cioè de'Monguidi, il qua-
de'Uror-uia^e V01 kanna tempre ritenuto ; dove negli antichi tempi erano cognomi-
ami \ a?- riati de1 Guidi dello Scheggia .In elio Giovanni di Lionardo l'anno 15 34.-
Simoneda Pa*-ò la Decima, e da elio in Benedetto fuo figliuolo: e fi trova quefto
Benedetto adi z 1. d1 Agodo 15 86. efTere fiato abilitato agli Ufizj della città
di Firenze, per aver quella famiglia , per lo fpazio di 150. anni, pagate
le gravezze per cittadini di quella città. Dopo la morte di Benedetto
pìilsò la Decima in Cammillo fuo figliuolo, nel quale crebbe tuttavia le*
fple udore di quella calli ; perchè partitoli di Firenze, e andatofene a patta*
ai fervizio di quei Sereniffimo Duca, fu da elfo mandato' per fuo Segreta-
rio in Fiandra : nel qua! luogo e carica li trovava Tanno 15 84. e 1585.com©
fi riconofee da due Tefkmenti fatti da Benedetto padre di lui,, ne'qua-
li fa erede efTo Cammillo ; e in quefì© tale, comechè già egli aveva ab-
bandonata la città di Firenze , vederi 1' anno 1617; eirer mancata la Deci-
ma, Ebbe Cammillo due figliuoli, Alefiandro e Ranuccio: e quelli fu pu-
re anch'elfo Segretario di Stato de'SereniffimiOdoardo e Ranuccio Duchi
di Panna. Da quello fu mandato Ambafciatore alia Maeftà del Re di Francia „
e più altre volte a diverti Principi e Repubbliche per T Italia; e finalmen-
te pafsò all'altra vita Tanno ir54&. adì 29. di Maggio ; Quelli è queiCamm il-
io, di cui l'Abate Siri nel fuo Mercurio tante volte fa onorata menzio-
ne (a). Di Alefiandro, fratello di Cammillo, nacque Giovanni » che oggi
vive
(*) Lib.i.a 11. Tvm>z* Uh, i,£-i6, lib.y 1284. I3I4- U7P- l38o. 1385".
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Pag. 84. e 85.
GUIDI DELLA SCHEGGIA,
Poi
MONGUIDI
MONE
e I
Ser Giovanni
r*
Tommafo »
detto Mafaceio»
Pittore celeberrimo
Leffandra
Giovanni Pittore,
Maria Tita tua Donna ,
poi Maria Vaggia ____
Tommafo
dello Scheggia,
Leffandra fua
Donna
Tancia
Antonfrancefco
Lionardo
Maria Vaggia
fua Donna
la Nanna
.a.
Francefca
Benedetto
dello Scheggia Pitc.
inGab.Notific.V^
ac.145,1560. Mona
Torà fua Moglie
-----------------J
-v——
1
, 1
Salveftro
nelCatafio
1490*. 444-
r
Antonii
a Dato d'Antoni»
diDatoGab.C.157
aoo.1505.Cat.i469.
a 444.
r—
Maria
Giovanni
Bartolommeo Cherico,
invertito della Cappella
dellaNativ. di M.Verg,
nella Chiefa di S. Siro
a Calcia 579,
Giovanni
i
Raffaello Michelagnolo Tommafo
Baccio inS.>5< 1616",
Fede della Collazione di
lor Cappella in Cancel-
lerìa del Vefcovo di Fie-
fole 1. Z a 88. Teftamen-
to a' 4. Febbraio 1609.
M. Baftiano Tofcani.
Benedetto
■v
Mona......•
Ad Antonio
Romani. Di
quefta Don-
na nacquero
due figliuole
Virginia a
Pierri Ticefco
Tedaldi , e
Barbera ad
Alefsandro
Machiavelli.
Ant. Frane.
M.Cammillo
Segretario de*
Serenifiìmi di
Parma, e Am-
bafciadore al
Re di Francia
1
f
Caterina
a Cammillo di
Gio. Ant. di
Matteo Got-
toli,inGabel.
B.122. ac.38.
1574. B 229.
ac, 130. 1581.
Aleffandro
Ranuccio
Segretario
di Stato de
Sereni(s.di
Parma.
Giovanni
'■;•
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iW A S ACCI 0.                      85
vive in Parma eoa numerofa figliolanza. Nella Chiefa della Santiflima
Nunziata di Parma, in una lapida, che è fopra il fepolcro di Cammillo .
fi legge il Tegnente Epitaffio :
D. 0. M. £
Camllus Mongaldus Florentinus emenfis quinque annorum decadibus Inter
arcana Serenami Alexandri & 'Ranuccii Ducum Pharnefiorum a fecre-
iisnegotia, III. Nonas Mariti MDCXXl receftt
, decefftt. Ranuccius
filius* Sereniffimì Odoardi & Ranuccii Sectmdi a fecretis Status, pò fi varia s
mijjiones ad inclytum Rcgem Gallorum Chrifiiani/fimum
, per haliam ad
Principes plurimos & 'Rcfpublicas
, demum Sereniffimo Dominante Secando
«Ranuccio abiìt> obih 111 Kalen. funias MDCXXXXJ1X. Nono, quinti
.éStatisfua noveniamo. Alexander filiu$ & frater M. P*
L'Arme della famiglia de'Monguidi, già de* Guidi della Scheggia, è un
Cervio falcante in campo giallo, con una cinta di color cileftro, che attra-
verfa tutto campo ed il medefimo Cervo; e nellafuperior parte fon tre
òìgli di color turchino. Quefto è quanto mi e potuto fin qui venire a
notizia, non tanto intorno alle qualità perfonaìi del grande artefice Ma-
laccio , quanto della nobil difeendenza de* fuoi congiunti. Ed affin-
chè non maiperifea la memoria di quanto mi è fortito di ritrovare intor-
no a ciò, ho ftimato bene di recarne qui una dimoftrazione per via di al-
bero, per dare il fuo luogo alla verità ed alia gratitudine. Dico, che lo
avermi il molto virtuofo Dottore Giovanni Renzi mio amiciffimo ( agli
autori del quale fu venduta la cala, di che fopra ho fatta menzione ) dato
avvifo della pubblica fama, che correva in Caftel San Giovanni, che ella
,cafa folle già abitazione di Mafaccio, mi ha dato caufa di cercare infieme
col mede fimo dell' antiche memorie, e per tal modo venire in cognizio-
ne de'nobili progreffi, che ha fatti quella famiglia in un corfodi quafi 250.
anni, dopo quel tempo, nel quale Tommafo colla fua celebratimma vir-
itele accrebbe tanto di onore e di gloria •
Fabio Segni Nobile Fiorentino, letterato di gran nome , che vi/Te
nel princìpio del XVI. fecolo di noftra falute, intorno a 60. anni dopo
Mafaccio, col fuppofto, che egli morifTe molto giovane,, fece in lode
di lui il feguente belliffimo epigramma :
invida cur Lacbefis primo fub flore juventée
Pollice di/cindis fiamma funereo *
Hoc uno occifo ìnnumeros uccidis Apelles,
Pitfur* omnis obit hoc per eunte lepos%
Hoc fole extìnBo extinguntur fiderà cunfta.
Bea decHS omne perii hoc penante JìmuL
NOTA
F 3
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8 6 Decenn. Uh della Pari. 1. delSec. V. dal 1420.^/143©.
NOTA DELL* AUTORE.
PER non tralafeiar cofa alcuna, che io abbia ritrovata, appartenente a
quella famiglia > dico, come fra le antiche Scritture e Atti del Ve-
scovado di Fiefo le fi trova, che un tal Bartolommeo d' Antonfrancefco,
detto Fonda > cittadino Fiorentino, abitante nei Popolo di San Siro s
to^cJflfa* Calcia-, fondò una Cappella nella medefiroa Chiefa Parrocchiale fotta V in-
di cwfi fa vocazione della Natività della Madonna: e perchè in detta fondazione
neU^oS?- non provide, di Padronato, lo fece poi per fuo Te (lamento, e nominò per
£J5*°^nci:Padroni, fra gli altri» Giovanni di Ser Giovanni di Mone, del Popolo di
r^u»CGpe- San Simone di Firenze, e tuoi figliuoli e defcendenti mafchi, ne5 qualiP
So*1 CosT m tenlP° » fi è confolidato tutto il padronato della detta Cappella, Lo Stru-
San ca- mento della Fondazione non fi vede negli Atti, né tampoco il Tefta-
a^cMa- nlent0 di Fonda > ma (ìhbene una enunciativa, che dell' anno 1479. fanno i
nus.. Padroni avanti alVefcovo, nella quale narrano quanto fi è detto; in virtù
della quale il Vefcovo; Guglielmo Becchi, che per avanti aveva unita efla
Cappella alla medefima Chiefa, e con fuppoCto,, che fofle ri ai afa a lui di libera
collazione, l'aveva conferita ad un tale Prete Andrea di Gherardo, Rettore
della medefima Chieta, durante la fua vita* revocò detta unione: e perchè
Prete Andrea fé ne appellò,. non ammette l'appello, e fu luogo, alla prefe il-
lazione a Tommafofigliuolo di Gio» di ser Gio di Mone, il.quale prefentb
Benedetto fuo fratello, Eli fuppone con ti no varo elio Padronato nella fa-
miglia, giacché fi vede, che 1'anno 1616. Cararaillo Monguidi di Parma ebbe
luogo nella preputazione della medefima * fatta da AleiTandro Machiavelli..
NICO BARTOLI
PITTOR SENESE
'Difsepoto di Taddeo dì "Bartolo>> vifje intorno al 1450.
f
jNche la città di Siena ebbe in quefti tempi un Pittore degno
di lode; e quelli fu Domenico Battoli, il quale avendo im-
parata V arte da Taddeo di Bartolo fuo zio, dipinfe in detta
città molte cofe a frefco, e particolarmente nel luogo de' Pel-
legrini dello Spedai grande, dove fece vedere due grandiflo-
ri*: di quella fua patria. Mandò a Firenze una tavola dì propria
mano, che è quella fterTa, che vediamo ne i noffri tempi nella Chiefa di
Santa Trinità, nella quale è dipinta la Santiilirna Vergine Annunziata,
opera ccndoua con tanta diligenza e nobiltà> e di tanto buon gufto, che
ben fa conoscere quello artefice al fuo tempo aver migliorata la maniera
dì Giotto. Similmente ci fu portata un'altra fua tavola, a cui fu dato
luogo fopra ad un Altare nella Chiefa del Carmine ♦
ALESSO
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ALESSO BALDOVINETTI
NOBIL FIORENTINO
PITTORE
Difcepolo ai Paolo Uccello, #0/0 intorno 0/1380. viveva nel14.66*
I conviene dar princìpio alle notizie di quello artefice f
coli* accufar Giorgio Vafari in ciò, che appartiene alla
cognizione, eh' ei pretefe di darci del tempo della vita
di lui; avendo eflo Vafari lafciato fcritto, che nel 1368,
egli veniffe a quella luce; ma abbiamo trovato nell'altre
volte nominato Diario di Neri di Lorenzo di Bicci, che
Aleffo Baldovinetti, infieme con Zanobi Strozzi, fi trovò
dell'anno 1466. a (limare la tavola di Santo Romolo di Firenze, fatta dai
medefimo Neri di Bicci pel Vefcovo Bartolomraeo Lapacci Priore di quella
Chiefa; e perchè niun altro fu mai di quello nome e cognome pittore ia
Firenze, per quanto fi ha dagli antichi e moderni autori, che il mento-
vato Aleffo, fé dicefiìmo col Vafari, che e'foffe nato del 1368. farebbe
forza confettare, che egli foffe arrivato all' età di novantotto anni, della
quale età è molto inverifimile, che foffe chiamato a ftimar pitture: e per-
chè il detto originale ricordo, che lo dimoftra vivo del 1460*. deve averli
per infallibile, bifognadire, che egli nafeeffe almeno circa quindici anni
dipoi a quello, che dice il Vafari, cioè intorno agli anni 1380. Ed oltre
a ciò fi conofeono chiaramente 1* opere di quello maeftro della fcuola di
Paolo Uccello ; e fatto computo de* tempi dell'uno e dell' altro pittore,
fi trova, che appunto egli gli potè effere maeftro nella fua giovenile età,
nella quale afferma il Vafari, che egli fi applicale alla pittura; Aggiun-
gali finalmente al detto di fopra, per prova affai chiara, che il Vafari
pan 2. a 46*4. dice, che Aleffo fu maeftro nella pittura e nel mufaico di
Domenico del Grillandajo; e che Domenico morì nel 1493- di anni qua-
rantaquattro , che è quanto dire, che Domenico nafeeffe del 1449. Ora fé
Aleffo foffe nato,come dice il Vafari del 1348. come poteva effergU flato
difcepolo Domenico, che nacque nel 1449,
Venendo ora all' opere di AJetlo, poniamo dirti .che egli non fofie
nel dipigneie tanto fecco quanto Paolo, e che molto pili di effo anch'egli
fi difcoft.uìe dalla maniera antica, mercè l'effere vhTuto ne'tempi de'fuoi
più fervorofi ftudj, Mafaccio da San Giovanni, dalle cui opere, dice lo
fteffo Vafari, che egli molto ftudiò. Dipinfe in Firenze la tavola e Cap-
pella maggiore in Santa Trinità, della nobil famiglia de' Gianfigliazzi, do-
ve a veggono ritratti al naturale molti grand'uomini di quei tempi: e nei
Cortile della Santìflima Annunziata , in quella parte del muro, che e im-
mediatamente dietro a detta Santiffima Immagine, colorì la floria della
F4                                 Natività
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8 3 Decenn. ìli della Part. h del Sec. V. dal 1420. al 143 0.
Natività di Crifto Signor Noftro; ed altre opere fece nella medefima cittì.
Si affaticòmolco intorno a' Myfàici; per lo che gli fu data a reftaurare la
Tribuna (#) 'del Tempio di San Giovanni, fatta fino dell'anno 1225.
dj Frate Jacopo da Turrita, pittore di mufaiei di quei tempi, Religiofo
dell' Ordine di San Francefco , nella quale opera fi porco molto bene.
Infegnò anche quell'arte a Domenico Grillar4ajo, il quale nella Cap-
pella maggiore in Santa Maria Novella lo ritraile al naturale accanto ad
una figura rappresentante lui medefìmo, nella ftorìa quando Giovac-
chmo è cacciato dal Tempio, ed è quella di un vecchio rafo con un cap-
puccio roffo in capo. Trovali eflere flato quello maefrro deferitto degli
Uomini della Compagnia de' Pittori l'anno 1448. che è quello appunto »
nel quale il Vafari lo dà per morto, elìéndo, come fi è detto, fopravvif-
futo fino all'anno 1466*. Racconta elfo Vafari, che Aledo già vicino alla
vecchiezza, per viverfi quieto, fi commefle nello Spedale di.San Paolo: e
che forfè per evTervi più volentieri ricevuto, o pure feguiffe ciò a cafo»
facefle portare nelle lue danze un grande e pefante caffone, quali moftran-
do, che in elfo gran danari vi foflero ripofti; e che ciò anche fi deffe ad
intendere lo Spedalingo e Tuoi miniftri eziandio, i quali fapendo, che
egli allo Spedale avea fatta donazione per al tempo della fua morte, gli
faceflero poi gran carezze; ma venuto che fu a morte il pittore, non al-
tro fi trovò in quel caffone, che carte difegnate, ed un libretto del mò*
do di lavorare. Fu Alefio la llefìà cortefia, e più degli amici, che di fé
fteffo; onde da chi ben Io conobbe, non fi ebbe poi per gran fatto, che
poco o nulla egli avanzato avelie; onde col fine de'giorni fi trovane effe-
re Hata data fine alla roba e a*contanti.
Verfi che fono nella Tribuna di $. Giovanni,
(0) lAnnus *Papa ubi nonus currebat Hanori
Ac Federi ce tuo jQuintus {Monarca decori;
Yigmùquinque Cbriffi cum mille ducentis
Tempora currebant per ficcata e un eia manenti $
Hoc opus incepìt lux mai tane duodena
Quod Domini noBri coufervei gratta piena
Sancii Francifci Fra ter futi hoc operatas
Jacobus in tali ft* cunftis me probità*.
BÈNOZZO
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t# *-,                                 - *                                                                                            ...
89
I
PITTORE FIORENTINO           I
rDifcepoloM<Beato Fra Giovanni Angelico ynato 1400. -^ 147 8.
ON è gloria minore di quefto artefice 1' effere flato di-
fcepolo nei]' aite della pittura del celebre e gran Servo
di Dio il Beato Fra Giovanni Angelico dell' Ordine de*
Predicatori, di qaella che fia l'eflerli an&he flato limile
ne' grandi ftudj e nella diligenza dell' operare -. e quel che
più importa, ne*coltami non diflìmile; onde a gran
ragione tèmpre gli fu molto caro. Ebbe egli sa grande
applicazione al lavoro, che maraviglia non fu, che gli riufciflè il condur-
re infinite opere, che lungo farebbe il descriverle. Fece in Firenze la
tavola dell' Altare per la Compagnia di San Marco, Per la Chiefa di San
Friano dipinfe il Tranfico di San Girolamo, che fu poi guafto per accon*
dare la facciata della Chiefa lungo la ilrada. Nel celebre Palazzo de*
Medici in via Larga, dipinfe tutta la Cappella con iftorie de' Magi. Ve-
nuto poi il Palazzo in potere del Marchete Gabbriello Riccardi, da que-
lli pafsò nel Marchefe Francefco fuo Nipote : ed effendo convenuto dar;
luogo ad alcune fcale nobili, fatte fare da efib Marchefe Francefco, da
quella parte, fu neceffario valerfi, fenza molto danno però della medefima
Cappella, di una minima parte di effa, onde alcune poche pitture di
Benozzo, per quanto teneva un certe» bifcanto, furono mandate a terra;
ma ciòfeguì non fenza il neceffario provvedimento a quel poco, che per
pura neceffità fu guafio. In Roma nella Chiefa di Santa Maria in Araceli,
luogo ove anticamente furono diverfi Templi de'falfi Dei, dipinfe Benoz-
zo per entro la Cappella de'Cefarini diverfe itorie della Vita di Santo An-
tonio da Padova: e^yi ritraile al naturale il Cardinal Giuliano Celarmi,
che fi iofcriffe il primo dopo il Papa nel Concilio Fiorentino, e Anto-
nio Colonna, opere, che furono allora dagi' intendenti di queft'arte,
avute in fommo pregio. Maravigiiofa poi e per la fua grandezza e per;
la fua bontà, fu i* opera che egli fece in t'ifa, cioè a dire la pittura di una
facciata di muro del Campo Santo, dico quanto fi eltende la fabbrica, la
quale abbellì con tutte le ftorie della Creazione del Mondo giorno per
giorno, poi l'Arca, il Diluvio, la Torredi Nembrot, l'Incendio di Sodo-
ma ♦ la Nafcita di Mosè, fino all'ufcita del Popolo dall'Egitto nel Deler-
to: e tutte le ftorie Ebree fino a David e Salomone: opera da occupare
una infinità di pittori, non che un folo pittore; ma quefta fu poco, ri-
fpetto a quanto fi vede fatto da elfo per tutte le città della Tofcana.
Era in Roma, ne* tempi che vi fu Benozzo, un certo Melozzo da Forlì,
ancora egli pittore, che fu pure moko diligente e ftudiofo, principal-
mente negli fcorti: e dipinfe ad iftanza del Cardinale Riario nipote di
Siilo IV, la Tribuna dell'Aitai: maggiore de' Santi Apolidi, dove fece
vedere
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$»o Héctnn. ìli. della Pan. I. delSec. V. dal 1420. al 143 0;
vedere, oltre alle buone parti, che egli moftrò avere quella fua pittura,
una grandifiìma pratica nelle cofe di Profpettiya ne* cafamenti e nello
fcorto delle figure allonsù. Dipinfe anche coftui per lo fteflb Pontefice
la Libreria Vaticana. Quefto Melozzo è flato occafione a più di uno feri-
tore di quefto fecolo, di riprendere il Vafari, di avere sbagliato dal chia-
mare quefto pittore Benozzo al chiamarlo Melozzo, quafichè non foflera
due pittori; ma che quefto fofle lo fteflb con quello. Mi fono io mara-
vigliato molto di così inconiìderata riprenfione, e che non abbiano elfi»
o veduta o predata fede alla protetta, che di ciò fa lo fteflb Vafari nella
Vita di Benozzo, dichiarandoli di avere avute notizie dell'uno e dell'altro,
e l'uno dall'altro, con qualità molto proprie, diftinguendo e particola-
rizzando, e riprendendo ancora alcuni, che al fuo tempo così fatta leg-
gerezza pubblicavano. Io pertanto defiderofo di far nota la verità di que-
fto fatto, ho voluto riconofcerla dall'antiche memorie, che nella città di
Fifa lì veggiono di eflb Benozzo Fiorentino, ad efclufione di quanto fi fon
dati a credere coloro, che in ciò hanno riprefo il Vafari; e quello, che
impedito da altre applicazioni, non potei io medefimo fare ; fi compiacque
far per me la pia e tèmpre gloriofa memoria del dottiflìmo Niccolò Steno-
ne, il quale fiato Eretico Luterano, poi in Firenze fattofi Cattolico, e
divenuto elemplariffimo Sacerdote, finalmente fu fatto Vefcovo di Han-
novera nella Germania, vicino a Brunswick; il cui nome è notiffimo al
mondo. Quelli dunque, dopo aver veduto ilfepolcro di eflb Benozzo nel
Campo Santo di Pila, me ne diede di propria mano la feguente relazione :
Fuijeri a vedere V ìnfevizione, della quale ella defdera fapere eerte cir-
cojìanze
? e la trovai Jopra la pietra, che cuopre il di Itti fé poter o> il quale è
nella parte Orientale dell' andito Settentrionale tra fei fepolcri o pietre fepol-
crali, chepoBe l* una accanto ali1 altra, occupano il traverfo dell'andito
, il pia
micino a quel muro, la dì cui parte inferiore da ejfo è fiata con pitture del Vec-
chio Tefiamento ornata /òpra il piano dipinta da Jotto
, fé ben mi ricordo di
quel che mi di fé chi mi vi conduce: e per più prontamente trovare efo fepol-
cro, 0 per fpecijìcare maggiormente il di lui luogo
, avendo rifguarào alle di
Itti pittare* è appunto /otto quella parte dell'ifforia di Jofeppe
, dove egli ha
tutti i fuoi fratelli intorno di fé, e fa per feoprirfi ad effi, fa per riprendergli %
Ancora fitto V infcrizione panno le armi, che fono &c.
Vinfcrizione mandatami dal medefimo è quella, che fegue j,
HICTVMVLVS EST BENOTIl
FLORENTINI • QVIPROXIMEH ASPI
XIT HYSTORIAS o HVC S1BIPIS A
' NORVMDONAV1T HVMANIT
ASoMoCCCCoLXXViHo                              Tengo
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BENOZZO GOZZOLÌ.             91
Tengo anche appretto.dì me (mandatomi dallo (tetta Stenone) il difegno
dell' arme di Benozzo , che fotto V ifcrizione'fi vede, in cui vengono rap-
prete mate due mazze incrocicchiate, e nella fommità di ciafcana è una
palla affai grande, e fopra erta una piccola pallina, ed afibmiglianfi a due
mazze ferrate o fìano due fcettri: dall' eftremità loro pendono due filetti
legati, che infieme verfo la punta dello feudo Ci unìfcono in forma di una
legatura, e al capo di elfo fi vede come un raftrello di due denti, fotto
de' quali fono tre gigli. Dì maniera tale, che quando non barrarle per far
conofeere a' moderni per falfo quello loro fuppofto, e l'antichità della
itoria del Vafari, e l'autorità del medefimo, che ci affieura in Roma, in Fi-
renze e in Fifa aver parlato con molti, che Benozzo e Melozzo conobbero
e praticarono, pare, che non dovranno più recare in dubbio ciò che in-
torno a Benozzo pittor Fiorentino, fino a'prefcnti tempi fi riconofce per
detta ifcrizione, e quanto di lui e del Vafari e da noi è (tato fcriuo.
<———«—■—%' in .           11 ii 1 1 unni 11 imi ii ii .....ilin ni 1 in           1          tm*mtm~~***mm—mmmmmmmmmm*~m**am—imm**+
ANDREA DAL CASTAGNO
VILLA DEL MUGELLO, CONTADO DI FIRENZE.
Della [cuoia ài Mafaccio, nato circa al 1406. ■$■ circa al 1480.
L Vafari nella Vita di quell'artefice non efprefle la circoftan-
za dell'efler' egli fiato discepolo di Mafaccio,- ma ditte, che
Bemardecto de' Medici, che lo vide di buon genio nel
continovo difegnare, eh'e'faceva, e figure e animali, fgraf-
riandò nelle mura colla punta del coltello, nel tempo, che
ii piccolo fanciullo attendeva a guardare gli armenti, Io
condurle a Faenze, e lo potè ad imparare 1' arte del dipignere da uno de*
migliori maefiri, che in quel tempo operarle. In altro luogo poi della
fua ftoria dice incidentemente, che Andrea fi foce valent' uomo collo
Audio delle pitture di Mafaccio. Ma perchè V afiunto noftro fi è di mo~
finire, per quanto ci fia poffibile, la dependenza immediata de'profeflbri
da altri profeflbri, mediante i precetti, eia real comunicazione dell'ar-
te da maeftro a fcokre, e non per via di ftudio dall' opere ,• non. voglia-
mo noi lafciar di dire, quanto fappiamo intorno a tale particolare: e
quello non pure, per non privare la noftra iftoria di quella notizia, che
più e meglio puote appagare la curiolità di chi legger ma eziandio per
far più chiaro il come e per chi la beli' arte del Difegno e della Pittura
fi andò fino dagli antichi tempi portando alla fua perfezione: confideran-
do ancora, che fé noi volemmo, che ci baftaiTe il Capere, che il tale mas*
tiro ftudio le opere dU tale ò del tale pittore, oltreché più vacuo,e meno
Utile farebbe il aoftro racconto, potremmo anche» contenendoci in tal
modo,
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$ J Decenne UL della Pàrt. 1. delSec. V. dal i $10 .al 143 0.
modo, daredifcepolidiéiotto gì* innumerabili pittori, ehè per Un corfo
dì più di cento anni per tutta T Italia ftudiarono le opere dì lui; e fimil-
mente di Mafaccio, di Lionardo, di Raffaello, di Tiziano, dei Coreg-
gio, di Miehelagnolov ed altri capi di fcuóla, tanti pittóri, che fenza
mai aver veduti in Volto i loro rnaeftri, anzi tanti àridi dopò la morte
loro, mediante lo ftudio e imitazione di loro pitture , fori riufciti gran-
di uomini. Per quefto dunque abbiamo con grande affiduità applicato a
porre in chiaro i fondamenti, pe* quali tenghiamò per férmo, che An-
drea del Gaftagno, che ne'fuoi tempi fu pittore celebratilrìmo» non fo-
to avefle ftudiate le opere di Malaccio, ma ne folle ftato anche veramente
difcepolo. Primieramente fi fupponga, che fatto il conto della nafcita
di queft* uomo, e del tempo che virTe, operò e morì, non refta alcun
dubbio, che egli potette cominciare ad imparar l'arte, allora appunto,
che Mafaccio era nel fiore dell'operar fuo, cioè in età di anni venti, è
circa all'anno 1420. Ed è chiaro, che in quel tempo niun pittore viveva
in Firenze , al quale più propriamente fi porla attribuire 1' eCTergli ftato
maeftro, che eflb Mafaccio; perchè tutti gii altri o tenevano in gran par-
te l'antica maniera di Giotto, o altra troppo diverfa da quella , che ten-
ne Mafaccio, ed Andrea. Secondariamente» pel molto efaminare che ho
fatto la ftoria del Vafari, ho chiaramente conofciuto, che ficcòme il fuo
principal fine fu di dar notizia de' fatti e opere de' Pittori ; così poco fi
fermò nel dar notizia de'rnaeftri loro, quantunque alcuna volta lo facefle
incidentemente in ogni altra occafione fuori delle loro proprie vite.
Ed ho anche olfervato, che bene fpeflb nella vita di alcuno accenna, che
il primo ftudiare folle ne' tempi di un tal maeftro, fenza dire, che lotto
la difciplina di lui : il che poi fi trova aver detto in altro luogo; ficchè,
fuppofto quanto fopra, e circa la maniera di Andrea, e circa il tempo e
certezza, che dà il Vafari, che egli ftudiafiedall' opere di Mafaccio, non
può dirli a mio credere» fé non che egli folle (rato fuo fcolare. Al che ag-
giungali, che avendo detto il Vafari, che elfo Mafaccio nafcefTe nel 1417»
il che fi è moftrato non efler vero, ma che bensì nel 1402. non potevav
dire, che egli foffe ftato maeftro ne'primi anni; e però è verìfimile, che
e' lafciafife fotto una tal generalità la circoftanza dell'aver'egli da fanciulla
imparato da uno più, che da un altro maeftro: e foio fpiegafte in altro
luogo relfenzialità dell' eflerfi fatto valente fopra le opere di Mafaccio:
il che è veriflimo, e la maniera di Andrea il dimoftra affai chiaramente.
Or venendo alle opere di còftui, egli fece molte belle cofeafrefco
nella città di Firenze e fuori, che poi, per la demolizione delle fabbriche,
furono disfatte .• e furono le più belle quelle di alcune ftanze dello Spedate
di Santa Maria Nuova: e a' rioftri tempi, anzi non molto dopo all'an-
no 16*^3. dirò così, con pianto univerfale di tutti gl'intendenti e amatori
delle belle antichità noftre, a configlio, come fi dice, dì uri modem©
pittore, e per foverchia indulgenza di chi governava il Convento di San-
ta Croce di Firenze de' Frati Minori Conventuali, è ftata mandata a terra
la f>iù beli*opera, che Andrea facefTe mai, e a maraviglia confervata per
lo fpazio di dugénto e più anni: e fu una iftoria della/flagellatone <H
Grillo
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, ANDREA DAL CASTAGNO. , 93
Crifto Signor nofbo, che Andrea avea dipinta a frefco iti teda alChioftrd
nuovo di quel Convento : e folamente fa fatto fare in quel luogo al-
tra pittura, che quantunque lodevole iia» non può dirti-, che i«n paragone
della venerabile antàchità» che aveva in fé l'antica iftoria, giunga a gran
fegno ad agguagliarne il pregio. Fra le pitture, che fon rimafe oggi di
manosi Andrea, fi veggono nel Duomo di quella città il Cavallo di chia-
rofcuro colla figura di Niccola da Tolentino, il quale, benché nell'occa-
sione dell'apparato e fette fatteti in Firenze per la venuta della Sereniilì-
ma Margherita Luifa d'Orleans, Spofaal Sereniamo Granduca Cofimo III.
felicemente Regnante, folte da imo a lòmmo ridipìnto» o come dice il
volgo, rifiorito; ebbe però tale avvertenza il pittore, che falva la mag-
gior vivacità de' nuovi colori, non lo rendè punto differente da quel di
prima, Dipinfe ancora Andrea nel tramezzo della Chiefa di Santa Croce
un San Giovambatifta, disegnato a maraviglia bene: ed accanto ad effb
un San Francesco; ma efièndo 1' anno i$66. flato levato eflb tramezzo,
fu quella pittura, che era fopra muro, con grande artifizio e fpefa tra-
fportata, e accomodata in quella parte del muro laterale di eflFa Chiefa a
man delira, vicino alla porta de'ehioitri, dove al prefente fi vede. In cafa
i Carducci, poi chiamati de* Pandolfini, dipinfe alcuni celebratifimi uo
mini, parte de' quali ritraile dal naturale, cioè a dire da ritratti fomiglianti »
e da' proprj .volti loro: tali furono Pippo Spano Fiorentino , cioè Filippo
delia nobiliilìma famiglia degli Scolari, Conforti de' Buortdelmonti, Conte
di Temesvar in Ungheria, Dante, il Petrarca, il Boccaccio, ed altri. "Nella
Parrocchia! Chiefa di San Miniato fra le Torri lì conferva aitai frefca una
fua tavola, dove figurò Y All'unzione di Maria Vergine con due Santi, San
Miniato cioè , e San Giuliano , mentovati ne i feguenti vedi : e la ve-
trata della Cappella maggiore di detta Chiefa, dove è rapprefentato un
S. Mmiarto, fi riconofce fatta con difegnodel medefimo. E''quella Chiefa
delle più antiche della città, frenata dentro al primo cerchio delle mura di Fi-
renze, e quali nel centro di eflo , effendo appunto nel mezzo fra il Cam-
pidoglio e le Terme, e fra'l Mercato vecchio e 'i nuovo: e perchè era
circondata dalle calè delle più antiche famiglie di quella città, come Pigli
loro Conforti Bujamonti , Lamberti (il Palazzo de'quali era quel fito pUj3monte
ilolato, ov'è ora il Monte di Pietà , e chìamavafi il Dado de' Lamberti ) dal'Latino
Strozzi, Saflètti, Minu betti, ed altremolte, che avevano torri, fi crede ciTuiTcn"
comunemente pigliane il cognome di San Miniato fra le Torri. La pre* ^„vf"*
fata tavola fu fatta fare da Leonardo Orta Rettore di quella Chiefa, il quale ""
molto la beneficò, e nel bafamento della medefima li leggono le feguenti
parole fcritte in lettere d' oro;
tennis mlleiiti bis ter qu'tnque quoque gen'ts
Et quatti gemi S nonas fatti pridie enti
tyìtidreas P'tBor Leonardo depinxit opus Oriana
Venia J'ordis fua atque par empi um
Genito Marie /candenti enixeque Matri
Pro eis Mìni a s ponunt Julianusque prece $
Dttorumque patte ipfefua oratiojtaf*
Fu
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94 Decititi. Ili della Pan. I del Set. V. dal x 42 o, al 143 o.
Fu Andrea dal Caftagno bravo inventore, e boniffimo difegnatore, e gran
profpettivo ; trattò Tempre fé fteffo onoratamente, e nel vìvere e nel veftire ;
ma reftarono le buone parti fue ofeurate molto in vita, a cagione di una
natura iraconda .vendicati va, e invidiofa; ed in morte, come lafciò fcritto
il Vafari, con una vituperofa e non mai abbaftanza deteinata azione, fatta
molto prima, che fi pducefle alla fine del fuo vivere, ed allora folamente
faputafì, e fu la feguente. Era-nel fuo tempo in Firenze un tal Domenico
da Venezia, pittore di buon nome, col quale egli aveva fintamente legata
grande amicizia, affine di cavargli di mano la maeftria del colorire a olio,
che allora in Tofcana non era da alcun altro praticata, né meno faputa,
fuori che da Domenico, ficcome gli riufeì di fare. Nel tempo dunque,
che Andrea dipigneva entro lo Spedale di Santa Maria Nuova, come fo-
pra accennammo, furono anche a Domenico allogati i lavori di alcune
opere nello (teflb Spedale di Santa Maria Nuova , dove all'uno ed all' altro
furono date ftanze per tai'effetro. Ed è da faperfi, come Domenico, ol-
tre agli applaufi, che e'riceveva in Firenze per la portata novella inven-
zione del colorire a olio, fi andava fempre più inoltrando nel concetto
di gran pittore per le beile opere, che giornalmente fi vedevano ufeire
dalle fue mani. Quefta cofa molto affliggeva Pinvidiofo Andrea, comechè
in quefta città afpirafìe al potervi godere la prima lode ; onde vinto da
invidia, pensò, con deteftabile tradimento, non potendo farlo altrimen-
ti, levarfelo d'intorno; e ben gli riufeì il mandare ad effetto il fuo per-
verfo penfiero, in quello modo. Continuava egli con Domenico le di-
niofìrazioni di non ordinaria benevolenza: e una fera, che Domenico»
che molto fi dilettava l\ì fonare il liuto, volle, come era coftume fuo,
tor Qco Andrea per condurlo agli ufati palìatempi di ferenate; effo An-
drea recusò di andare, dicendo doverfi trattenere in camera per fare al-
cuni difegni: e Domenico fé ne andò folo. Allora il traditore ufeitoft
di camera e dello Spedale fegretamente , fi pofe ad afpettare il mifero
Domenico dietro ad un canto, poco dittante dalla fòlita loro abitazione;
enei tornar, che Domenico faceva al fuo ripofo, corfegli addoflo, e con
alcuni piombi gli sfondò il liuto e Jo flomaco in un tempo medefimo-, poi
percorragli fortemente la tefìa co' medefimi piombi, e lafciatolo come
morto, tornofiene alla fu a danza, e fi mife al fuo lavoro. Intanto fentìte
dai ferventi dello Spedale le grida di quel mifero, accorfero con gran fretta ;
e riconofeiuto che 1' ebbero per elfo, fubito portarono la nuova a An-
drea, il quale prorompendo in grandi (Irida, precipitofamente corfe alla
volta dello agonizante compagno, e prefolo fra le braccia, nonceffavadi
gridare; O fratel mio; oimè fratel mio; rooftrandofi in tutto e per tutto
incapace di conforto; finché Domenico, che già era air ultimo di fua vita
arrivato r nelle braccia del fuo amico, o per meglio dire, perverfo tradi-
tore, diede [fine ai viver fuo. Qui deve ammirarli la profondità de' Di-
vini giudicj; imperciocché (cofa che rariflìme volte addiviene) non mai
per quanto poi vi (Te Andrea, fi feoprì quefta delitto; e finalmente egli
medefimo, come fi è detto, giunto alla morte, che feguìcirca l'anno 1477.
nella fua età di anni 71, iti circa, nello fteflo Spedale di Santa Maria Nuova»
ove
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ANDREA 'DAL CASTAGNO. 95
ove gli furono fatte odiofe efequie, e dove fu ancora egli feppeilito (a);
a chi aflifteva al fuo tranfito (forfè perchè di tal misfatto col tempo non
fofTe qualche innocente incolpato, oper altro buon fine» che egli ilfacefle)
lo rivelò.
(a) Fu [atterrato in Santa Marta Nuova. Vijfe anni Si* e poco prima di mo*
rìre aveva condotta a perfezione una tavola per la Cappella maggiore di
Santa Lucia de' Magnoìi* detta altri mente dalie Rovinate* che in oggi è in)
Sagre [ita, ove è una Nofira Donna Col fuo Divino Figliuolo in collo, San
Cìovambatìfia* San Zanoh't* San Froncefco* e Santa Lucia* e fotto ad effa
tavola uno imbafamento* 0 predella* in cui* in piccolijjime figure
, vi fona
rapprefentati alcuni fatti de è Santi* e k fono in cjpt tavola, copte fi coftu^
mava in quei tempi
.
FRANCESCO
FIORENTINO PITTORE:       fe
Tìifcepolo di Lorenzo Monaco di Carnaiuoli,
fioriva intorno al
1425.
Uefto pittore dipinfe in Firenze il tabernacolo fui canto, che
dalla Piazza di Santa Maria Novella porta nella via della Scala »
dì affai bella e nobile maniera, la quale fu sì bene lavorata »
ftri tempi poco molìra aver perduto di fua prima
voice lì è veduta in altre de7 marita di quella
che fino a' noft
bellezza , cofa, che rare
età.
DELLE
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6
D E
L E
NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE IV-
DELLA PARTE I. DEL SECOLO VI.
DALMCCCCXXX. AL MCCCCXXXX.
ZANOBI DI BENEDETTO
DELLA NOBILISSIMA FAMIGLIA DELLI STROZZI
PITTOR FIORENTINO
Dtfcepolo del B. Fra Gio. Angelico, nato 1412, viveva nel 1466.
Acque quefto virtuofo Gentiluomo l'anno 1412. di Be-
nedetto di Caroccio di Lionardo delli Strozzi, e di
Antonia di Zanobi di Francefco della nobil famiglia
J degli Agolanti: attefe al difegno, ed alla pittura lotto
fj la difciplina del Venerabil Servo di Dio, e in quei
' ! tempi rariflìmo pittore , Fra Giovanni Angelico dei-
[p l'Ordine de'Predicatori, del quale tenne fempre la
> maniera; ma come quegli, cheeflendo nato nobile,
o fu ritenuto dagli affari di l'uà iliuftre condizione, o non volle quelle
non mai interrotte fatiche intraprendere, che richieggono quelle arti, da
chi
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ZANOBI DI 'BENEDETTO. 97
chi pretende nelle medsfime portarli al colmo dell* eccellenza. Egli in ciò,
che al dif.jgno appartiene, non giunfe alla perfezione del maeftro, né
tampoco gli fu eguale nella refoluzione delle figure ; e fi tenne an-
cora ad un modo di dipignere più feccp. Fece contutiociò opere, che
in que* tempi meritarono molta lode, e particolarmente una tavola per
Santa Maria Rovella di Firenze, che allora fu oofta accanto ad un'altra
di mano del fuo maeftro : un'altra ne conduUè pel JVlonalWo di San
Benedetto di Camaldoli, che era fuori di Firenze preflb alla porta a Fin-
ti, oggi diftrutto; ed un* altra fimiìe, pure pel medefimo» le quali tutte
poi furon portate in Firenze nel Monaftero degli Angioli de'Monaci di
quèll' Ordine : un'altra ne'colorì per la Cappella de'Nafi nella Ghiefa 41
Santa Ltciade' Magnojj» detta dalle Rovinate : ed una per quella d? San
Romeo. Molfittìme fue opere fono fparfe per le cafè di particolari citta-
dini, e avendo attefo alla miniatura, nella quale il Beato Giovanni Ange-
lico fuo maeftro era riufeito in que'tempi fingoìariffimo. Per la Cbiefa
di Santa Maria del Fiore, Metropolitana Fiorentina , fece molti diligere
tiflìmi lavori, fra*quali fi contano tutte le miniature di certi Antifonari.
Dagli fpogli di Scipione Ammirato il Vecchi® fi cava, come nel 1470.
Benedetto d'Aldobrandino di Giorgio, dona a Francefco fuo figliuolo,
inoccafione di pigliar moglie, un colmo di noQra Donna, che lodipinfe
Zanobi Strozzi, che fu ftimato fiorini 15. Quefti colmi, per avvifo del let-
tore, erano alcune tavole tutte talvolta tonde o ottangolate, di diametro o
larghezza d'un braccio o poco più, attorniate di una piccola cornice dora-
ta, dipinte per mano di buoni maeftri, da una delle parti, e talora da tutte
e due, con facre ifìorier e fervivanfene le donne di parto per accomodar-
vi fopra la vivanda pel definare q cena : e per le cafe de' noflri cittadini
yeggonfene ancora alcuni, a i quali ha perdonato il tempo, addi ben con-
fervati . Un Diario originale di manodi Neridi Lorenzo di Bicci, efìften-
te nella Libreria de' Manoscritti degli Strozzi, altre volte nominata, ap-
pari fee, che egli, infieme con Aleno Baldoyinetti, dell' anno 1460'. folle
arbitro per iftimare la tavola di Santo Romolo in Piazza, fatta pel Vefcovo
Bartolommeo de'Lapacci, Priore di quella Chiefa, dallo fteflb Neri di Bic-
ci, la qual tavola era fiata data a fare a Lorenzo di Bicci Tuo padre , che
dopo averla ingenita fi morì: e così fu poi dipinta da Neri fuo figliuolo,
e fu la ftima di efla fiorini 130*, Quello Zanobi ebbe moglie,che fi chiamò
Mona Nanna di Francefco di Giovanni di Mefs. Niccolo della fletta no-
biliflìma famiglia delli Strozzi: e lafciò due figliuoli, Piero, che ebbe per
moglie fueceffi va mente Vaggia Rucellai, Ginevera Nobili, e Cangenova
Àltoviti : lafciò dopo di fé un figliuolo chiamato Caroccio, che ebbe per
moglie Lena Caccini» ma non ebbe figliuoli; e Michele naturale; ed in
oggi è interamente eftinto quel ramo.
Ì.O'-'.1
U «... ì
ANSANO
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$8 Decenti. W. della Pan. 1. delSec. Ili dal 1430.4/1440.
ANSANO DI PIERO
DA SIENA PITTORE
DETTO DALLA PORTA NUOVA
Dipigneva intorno al 1440,
Nfano di Piero, del quale ora damo per parlare, circa gli
anni dì noftra falute 1440. dìpinfe alla PortaNuova di quella
città di Siena una grande ftoria della Incoronazione di Ma-
'ia V'ergine,con gran copia di Angeli e di Santi; opera, che
in que'tempi fu molto lodata; ed a noi dà legno, che egli
all'ai più opere faceffe di quelle, che fon potute venire a
noftra notizia, che il corto di tane'anni aveià cancellate, il vedere, che
egli fotte nella fua patria adoperato in abbellire un luogo tanto confpicuo,
quanto quello» di che abbiamo fatta menzione.
GIOVANNI DI PAOLO
DA SIENA PITTORE.
Tiìpigneva nel 1445.
lacchè fiamo a parlare degl* ingegni Senefi, vuole ogni d©~
vere*, che alcuna cofa fi dica di Giovanni di Paolo da Sie-
na, il quale nella fua patria fu affoi riputato, come quegli
che molto valfe nel for piccole figure, le quali conditile eoa
buona diligenza. Colori ancora alcune tavole.* una per la
Chiefa di San Francesco, dove rippreferito Maria Vergine
con più Santi, e nella predella alcune ftorietee della vita di
drifter. In Sai* Domenico fece altre tre tavole; una per la Cappella de*
Makvolti, ove è Maria Vergine, San Giovanni r e altri Santi, e nella
predella altre fimtli ftoriette. Rincontro a quefta erane un'altra di fua
mano .alla Cappella de'Branchini, con Maria Vergine e più Santi, che (Uri-
te la demolizione di efla Cappella, fu pofta nel Refettorio di quel Con-
vento : fìecome ancora un'altra, che dìpinfe V anno 1445. per la Cappella
de' Guelfi, anch' erTa poi demolita. Ebbe un figliuolo chiamato Matteo»
il quale nel fuo dipignere alquanto fi allontanò dalla maniera vecchia, e
ordinò bene le fue figure. E' di fua mano in S. Agoftino il quadro della
{trage degl' Innocenti : ed uno contenente la medelima ftoria ne aveva
colomo
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GIOVANNI Di PAOIO.           99
colorito per JaChiefii de'Servi. Quefto artefice lavoro anche in una par-
te del pavimento del Duomo» rimpetto all' Altare di San Sebastiano,
un'altra ftoria degl'Innocenti» che oggi più non fi vede.
MATTEO CIVITALI
SCULTORE LUCCHESE
Difeepolo di Jacopo della Quercia, fioriva intorno al 1440»
Però in quelli medefimi tempi Matteo Civita!i Scultore Lue*
chefe. Quefti, per quanto fi ricava da un Manofctitto del
molto celebre pittore Giovambatifta Paggi Genovefe, cita-
to da Raffaello Soprani ♦ avendo fino all' età di quarant' an-
ni attefò al meftier dei barbiere, portato da gran genio alla
nobilitala arte della Scultura , appreflò a Jacopo della
Quercia, Scultore Sanefe, cotanto li avanzò, che in breve
fece vedere opere maravigliofe di fuo fcarpello . E tali furono nella Chie-
fadi San Martino, Cattedrale di Lucca, il tempietto ottangolare di mar-
mo, fatto, fecondo che dice il Vafari, nel 1444. per riporvi il SanthTuno.
Crocififfo, che dicono fofle lavorato per mano di Niccodemo, uno de*
fettantadue Difcepoli del Salvatore; e un San Baftiano di marmo tue-,
to tondo eli braccia tre, il tutto condotto con gran diligenza e amo-
re. Nella Chiefa, ove è comune credenza, che ripofi il corpo di San
Regolo, fece fimilmente una tavola, nella quale in tre nicchie fono pu-
re di fua mano tre beiliuìme figure. Sono anco opera di iuo fcarpello
in San Michele di detta Città, tre figure di marmo, e la (tatua, che dalla
banda di fuori in un canto fi vedono, dico la figura di Maria Vergine.
Fu quell'artefice chiamato a Genova, dove, per quanto ne ferirle Niccolò
Granucci di fua patria, fece le fei belliflìme figure per la Cappella dj San
Giovambatifta di quella Cattedrale, cioè l'Adamo ed Eva, co' Santi Zac*.,
cheria ed Elifabetta, e due Profeti.
Ma giacché parliamo de* Difcepoli di Jacopo della Quercia, diremo
ancora,come pure in queftimedefimi tempi fu Niccolò Bolognefe, il qua-t
le nelle figure e iftorie, che egli nel 1460. intagliò nelP Arca di marmo,
che già fece Niccola Pifano, uer contenere il {acro corpo di San Domenico
nella città di Bologna, feceli tant' onore, che da indi in poi ne fu detto
per eccellenza maeftro Niccolò dall'Arca. Condurle anche coftui la figu-
ra di Maria Vergine di Bronzo, alta quattro braccia, che poi l'anno 1478.
fu collocata nella facciata del Palazzo, che è oggi abitazione del Cardinal
Legato.
G %                              FRA
«
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i©0 DeceniiM. &HMP arili. élStc.Ili Mi43 0. al 1440.
F R A F I L IP PO
DI TOMMASO LIPPI
DEL CARMINE
PITTORE FIORENTINO
*Difeepoh di tfflafaccio, nato circa al 1400. # 14^9.
I porta T ordine della {tona a dar notizia di Fra Filippo
Lippi Pittor Fiorentino, che in quefti tempi fece ope-
re infinite, così belle, che dopo un corfo di 250. e più
anni, quanti lì contano dal fuo fiorire ,• che fu fra 1' an-
no 1410. e Tarino 1460. lemedefimè, non folamente piac-
ciono a i profeflbri dell'arte, ma quel eh' è di più, fi con-
fervano nelle più celebri Gallerìe * Tempre venerabili,
non pure per V antichità, ma per la vaghezza eziandio, che reca la loro
fquifita manifattura. Ma prima d'inoltrarmi, fa di meftieri» che io al-
quanto mi trattenga nel riconofeere e moltrafe la verità de'fuoi tempi,
fiata, ài folito d'altre molte, dagli autori aliai intorbidata e confuta. Il Va-
fari nella prima edizione della vita di quefto artefice, data in luce del 1550.
afferma, che egli moriffe di anni fefìaiitafette Tanno 1438. e così farebbe
flato il fuo natale 1' anno 1371. e nella feconda edizione del 1568. dice*
ch'egli morhTe di anni 57, del 143ÌK e cosi farebbe nato del 1381. Scrive
poi, che quefti datofi a ftudiare le opere, facce da Mafaccio nella Cappella
de'Brancacci nei Carmine di Firenze, fi fa ce (Te valente pittore; oche
giunto all' età di anni diciafette, invanito, per le lodi di ogni perfona,
iafeiato l'abito della Religione, fi ponefle a operare da fé . In tali fuppo*
&i prefè il Vafari, o lo Stampatore della fua ftoriar notabili errori, ne*
quali è flato accompagnato, non lolo da Carlo Vanmander Fiammingo,
che neiratìno 1604. nel proprio idioma fcrifTc le vite di più pittori Ita-
liani e Fiamminghi, come a car. 104. del fuo libro Ci legge, ma da altri
ancora, che in Italiano hanno fcritco, feguitando elfo Vafari. Primiera-
mente non fi può dubitare, che Fra Filippo non arrivafle, fé non ali'età di
feifantafette anni, come dice il Vafari nella prima edizione, almeno alli
cinquantafette, per le ragioni da dirli: ed anche perchè il ritratto di detto
Fra Filippo, che di fua propria mano fi vede nella fua tavola di S. Am-
brogio di Firenze» lo moftra di non punto minore età. Ma nafee ben
contradizione ncli' efaminarfi i tempi del natale, e della morte fua, Ma-
faccio, fecondo quello, che erroneamente dice il Vafari, nacque Van-
no 1417. e morì nel 1445. onde dentro a quello tempo, e forfè air ulti-
mo, furono fatte le opere della Cappella de' Brancacci. Non potè dun-
que Fra Filippo dell'anno 1388, ftando allaprima: e dell'annoi 398. ftando
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FRA FILIPPO DI TOMMASO LIPPÌ. tot
alla feconda edizione della ftork , ne'quali refpettivi tempi egli compi il
diciaffettefimo anno della fua età» avere ftudiate le opere di Mafaccio, che
poi» fecondo il Vafari, (lecce o 29. o almeno 19. anni a venire al mon-
do; ma, perchè e r autorità del Vaiati r come pratico profeffor di pittu-
ra, e la maniera medefima di Fra Filippo» fanno credere, che veramente
egli uicifle della fcuola di Mafaccio» bilbgna concludere, che non nafceiTe
al crime nei né del 1371. né del 13 81 - ma che fo0e contemporaneo in me-
co e per tutto del medefimo Mafaccio, che egli imparale l'arte da lui, e
che fo/Te jl fup natale circa all' anno 1400* e che ciò fia la verità, e non
opinione, vedali da quefto, Si trova in un Libro de'Provveditori di Ca-
mera 1446. 47. e 48. di Firenze a e. 546. che a' 16". di Maggio 1447. cioè
anni nove dopo il tempo che il Vafari aiTegna alla morte di Fra Filippo,
furon pagate ad eilo Fra Filippo lire 40. per aver dipinta V Immagine di
Maria Vergine, e di San Bernardo, che doveva collocarli innanzi alla
porta della Cancelleria dei Palazzo de' Signori. Inoltre, nel Libro anti-
co della Sagreftia di S Ambrogio di Firenze, trovali la prefente partita,
pure dell'anno 1447. cioè ;
Danari chefipagano per Perdita di M* Francefm ^Uringbi.
■ -j
Fra Filippo Dipintore deve Avere adì o. di Giugno lire fi00. per dìpin~
fura della tavola dì 8. Ambrogio» computalo in effo prezzo pannolino
, con che
s* impannò detta tavola
, che ne è debitore detta Fra Filippo , e colori » e
ogni altra £ofa d'accordo con Meft Domenico tfiaringbi, Lorenzo Bari oliteci,
e Gio. di Stapo,
Viflè anche più Fra Filippo, perchè io trovo nel!' altre volte nominata
Libreria degli Strozzi, in un Diario di Neri di Lorenzo di Bicci, che Fra
Filippo 4el Carmine Adì 1. Febb. 1454. ( cioè anni fedici, dopo che il Va-
fari lo. dice morto) lafiiù 230, pezzi d'oro fine inferbo a! me de fimo Neri di
Bicfi.it ed iJ mede fimo ne fece nota. Inoltre dice il Vafari» che Filippino ,
figliuolo di Fra Filippo , mori l'anno 1505. di età d'anni quarantacinque,
dunque era nato del 146*0. e come ciò poteva eflère, fé il padre fuo toflfe
morto del 1438,. ? Deefi però attribuire » non ad errore, ma a gran difgra-
zia del Valari, l'avere gli Stampatori, tanto nelle prime, che nel!' ultime
edizioni, preti tanti sbagli; giacche continuandoli a leggere la (toria, fi
trova, che il medefirao Vafari dice, che Fra Filippo dipinfe la Cappella
maggiore della Pieve di Prato l'anno 1453- e poi fece l'opere in Spoleto»
dove morì. In quefto fa di meftiere, che io acculi la mia inavvertenza;
eflendochè, dopo eflermi accorto degli accennati errori del Vafari» o pu-
re degli Stampatori della fua ftoria, mi diedi a far gran diligenze, accioc-
ché nella citta di Spoleto folle ritrovato il vero tempo della morte di Fra
Filippo, per efler feguita in quel luogo, lènza che mai mi fovvenifle, o
mi poterli immaginare, che nel Convento del Carmine di Firenze dovefle
G 3                                 efier
•*
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,102 DecennJV. dellaPart.L delSec.lIL dai 1430. al 1440.
efTer tal notizia indubitata, ficcome vi è veramente fino da quel tempo
fteflb: e non avendo alcuna cognizione potuta ricavare dalla città di Spo-
leto dal lu^go della Tua fepoltura , o d' altronde , fu neceflario, che fb
m'applica ili. allo ttudio dell'antiche fefritture in più luoghi di quella città:
e già aveva trovate le fopraccennate notizie-, quando Del ricercar fra' li-
bri antichi di eflb Convento del Carmine di Firenze di cofe appartenenti
a Malaccio, affittito dall' amorevolezza del Molto Reverendo Padre Cor-
l'ettore della Venerabii Compagnia di San Niccolò, che (ì aduna nel Con-
vento del Cannine » ritrovai quella notizia che fegue: ed io la porto qui
per indubitata teitimonianza della morte di Fra Filippo. In un Librò
Qjipftapa- dunque, il cui nomee : Negrologìum, hoc e fi C&dex mortuotum Convenius
Egluimfin" fìr«tr* & Maria de Mantecarmelo Fiorenti*. Sotto il mefe d'Ottobre1469I
vece di Ne- fòje nona obiit Fra VtUppus I boni a hippì de hìppis Fiorentina PiBor cekber~
voce8Gre- fimui* (fui cum Spoleto depìngeret Cappellani majorem EcclefiaCathediralis>ibt-
Cn; ch\r dem fepuitus fuit in tumba marmorea a la ter e media porta Eccle/ta prefitta*.
puro de Qjiantus in arte pingendifuerìt * plurima ^ièlitra ab eo foéfét fatìs dechrant9
morti,
prafertim quadam Cappella in Oppido Pratenfi ab eo depiéla Obiit autem an»
no Domini
14Ó9, Concludafi dunque, che Fra Filippo Lippi della fcuo-
la di Mafaccìo , nafceiTe circa i tempi del natale del medefìmo Malac-
cio, cioè circa il 1400. non ortantechè dalJa (toria del Vafari fi deduca, che
ciò folle del 1371. o del 1381. ed anche, eh'e' viverle molt'aoni dopodi
lui, cioè fino dell'anno 140*9, e così reità verificata 1' atTerzione dello kelTb
Vafari nella vita di Filippino, cioè, che feguita la morte di Fra Filippo
fuo padre» egli rimanerle alla cura del Botticelle in età di io anni : ficco-
me reità non vero V. altro fuo detto, che molto dolellè la morte di Fra Fi-
lippo a Papa Eugenio IV. il quale era già morto dell'anno 1447. nel qua!
tempo, come fi è moftratoy viveva e vifie poi molto dopo Fra Filippo„
cioè fino a'tempi di Paolo II. Veneziano. Venendo ora a dire alcuna
cofa di quefto artefice, il quale ebbe i fuoi natali in Firenze nella conerà»
«la detta Ardiglione, giunto ch'egli fu all'età di otto anni, fu per opera
di Lapaccia, Tua zia paterna, fatto veftire l'abito Religiofo nel Conven-
to de'Frati del Carmine. Il principio del fuo indirizzamento, che gii fu
dato da i fuoi Frati, fu per la via delle lettere, alle quali, a cagione d'una
inclinazione lìngolare, e quali dilli violentiffima, che egli aveva all' arte
del dilegno, non volle punto applicare; impiegando tutto il tempo in
far fantocci, co' quali, non contento de' tuoi proprj, imbrattava tutti à
libri de'compagni, lìcchè furono neceffitati i Superiori didargli comodità
di attendervi di propalilo, mafiìmeToGcafìone , che gli lì porgeva di ftu-
diar le bellinìme opere, con che Malaccio aveva'abbellita la Cappella effe'
Brancacci, pofta nella lor Chiela. Il giovanetto appena Mentitoli allentato
il freno, diedeiìallo ìtudio di quell'opere con tanto fervore, che ogni altro
de' molti giovani s che in quel tempo per lo ftefio fine vi concorrevano, di
gran lunga avanzando, fecefì in breve tempo valente, che in quella tenera
età molte cofe gli furono date a fare in Firenze, e particolarmente nella
ftefla Chiefa e Convento, le quali in tempo fono Hate, in occalìonedi nuove
fabbriche, gettate a terra ; ma quello che fu pìùmaravigliofo, sì fu, che égli
prefe
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FRA FILIPPO DI TOMMASO LIPPl. ioj
prefe tanto la maniera di Mafaceio, che dopo la morte di lui, di ce va fi co-
mmittente per ifcherzo, lo fpiritodi Mafaecio eiTer'ehtracp in Fra Fi-
lippo^ Seguita poi a dire il, Vafari, che egli fatto vano pel concreto «di
molto fa pere, di diciaflette anni fi cavafle l'Abito, fi porta ile:'ne1% Marca
cT Ancona : e che un giorno nell'andare a diporto co'fuoi amvei^nuim
barchetta, foiTe dalle Fufte de'Mori, che feorrevano quei mari, c'ondoc-.
to {chiavo in Barberia, dove (lette per lo fpazio di diciotto mefi in care-'
Hai finché venutogli un dì capriccio di ritrarre il fuo padrone, il con>r
traffece si bene, fopra un muro bianco, e nel volto e ne' panni, che ne"
aveiTe in premio la libertà. Molti furono gli accidenti, che oceorii aila"
perfona di Fra Filippo, fi hanno dallo fieno Autore, fopra dì che potrà
ognuno a fuo piacere fatisfatfi. Vero è , che molte poi e belliflime turon
le opere, che tornato in Italia, egli condurle di fila mano. Pel Re Alfon-
fo, allora Duca di Calavria, colorì la tavola per la Cappella del Cartello,
Operò in Padova ed in altre città, finché fi portò a Firenze .fua-patria ,
dove fu applaudita fua virtù dagli artefici, e da ogni fona di perfone, Non
mancarono al fuo pennello occafioni di renderfi immortale, avendo la->
vorati per Cofimo de'Medici più quadri e tavole, una delle quali fu da
quel nobiliflìmo Cittadino deftinata per 1'Eremo di Carnaiuoli, ed altre
mandate a Papa Eugenio IV. Dipinfe pel Palazzo delia Repubblica, e per
infiniti cittadini. Colorì ancora una tavola, che oggi è nella Sagrestia di
Santo Spirito : un'altra, che fu pofta allora nel Capitolo di Santa Croce;
una neltaCappelladegli Operai per la Chiefa di San Lorenzo : e per la Chiefa
delle Murate due tavole, in una delle quali fi vede la Santiflima Annunziata *
e nell'altra (lorie di San Benedetto. Nella Chiefa delle Monache d'Anna-
lena vedefi una tavola di un Prefepio . Una bella tavola in Santa Maria
Primerana di Fiefole* In Frato, oggi Città di Tofcana, fono di fua mano
per quelle Chielè e Conventi molte tavole , e le pitture della Cappella5
maggiore nella Pieve , ora Cattedrale rariflìme e di gran maniera, forfè
le più belle opere, che ufeiflero dalle fue mani : e pel Ceppo fece una
tavolina > nella quale ritraile al vivo Francefco di Marco , Fondato-
re di quella pia CafaP Ma belliflìma è la tavola in detta Pieve» dove
egli con vaga e bella invenzione rapprefentò San Bernardo, che rei.de a
moki lafanità. Portatoli finalmente a Spoleti, dove con Fra Diamante
del Carmine fuo Difcepolo, flato anche fuo Connovizio, condurle a buon ,
termine la Cappella di Maria Vergine nella Chiefa principale ; fu foprag-
giunto dalla morte; e corlefama, che ciò addivenirle per caufa di veleno,
fiatagli dato da' parenti di una donna, colla quale egli, aveife determinato
tener pratica. Fu il fuo corpo fepolto nella Cattedrale, in un- tumulo dì
marmo, dalla magnificenza di Lorenzo de' Medici nobilmente ornato, do"
ve fi leggono alcuni yerfi in lode di quell'Artefice, comporli dal grand* An-
gelo Poliziano, comprefi fra gli epigrammi di lui, in un volume di fue ope-
re, de' quali il primo così dice;
Condiius bìc ego fum pi&ura fama Vhìlìppus &c.
Nella parte fuperiore di elio tumulo veggonii le armi di elfo Lorenzo, e
nel fine quella di Fra Filippo, Tale è, uno feudo, partito a fpicchio, avente
G 4                             nello
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104 Decenn* IV.dellaPart.hdelSec.lll.dal 1430,0/1440.
nello fpicchio di Copra e in quel di fbtto una Stella, e negli altri due
una Luna per eiafehedimo. Fu quella Artefice fingolariflìmo ne! fuotem»
pò per T accuratezza nel difegnor e per fa grazia, ch'egli fi ftudiò di dai?
tempre: alte Otite figure» per le belle arie delle tette* varietà e nobiltà degli
abiti „ ed una: certa finitezza r colla quale fempre lavorar per la grandezza
della maniera» che egliai pari d'ogni altro incominciò a {coprirealla pò*
fteiità. mallìmamente nelle grandi opere, che egli condufie a frefeo m Pra-
to, e altrove» e nelle molte in piccolo -r perchè nelle ftefle fue opere B
feorge un giudizio particolarifllmor ed una angolare induftriav eh* egli ebbe
fempre in ciò che appartiene aircfprefilòne, non pure delle azk>ni> ma
degli affetta eziandio delle figure rapprefentate ; qualità,. che non gii ne i
dozzinali artefici',- ma in quelli: lolàmente fi ravvila» che gì» dopo morto
lungo (tudio* a lungo operare il fon fatti all'arte medefima fuperiori „
GENTILE DA FABBRIANO
PITTORE
l                     :
Tùtfaph dei Beat® Fra Gm %Angdm dà FkfokP
fioriva nel 1425.
BP^S^^y fpinfe per Fapa Martino V. in San Giovanni; Laterariov
m Ì!R^ \l *n Firenze nella Sagratila di Santa Trinità è di iua mano
Pr p^iila. \ una tavola entravi- lrAdorazione de*'Magi',- e in effe ritrae
m lllsi?} I ^ k ®cft° à* naturale. In San Niccolo Oltrarno per 1&
Ef M# M farnigha de' Qu^ratefi foce una bella tavola s che è all'Ai»
m ^§5^y§^: far maggiore. Fece in Venezia, nella Chiefa di SanGiu-
Wz&*w%g@$mm Itanov una tavola dit San Pàolo primo Eremita, efie poi
fu? rifatta dal Palma giovane. Nella Saia del Maggior Configlio dipinte, a
concorrenza delVivarhlo e d'Antonio Vemesianov il Confitto Navale
Ira Ziano Doge e Ottone r nella quale opera piacque tanto af Senato> che
coltre ad una onorata provvifiooe t ne ebbe per onorano poter vefiire di
twga lunga a ufo de* patriaj di queHa città. Di pinfe ancora una tavola
de* Santi Paolo e A nionio Eremiti per la Chiefa di San Felice. Fece pia
altre opere tanto in Venezia» che altrove ? onde divenne mollo fasullo-
fo» e$ alla fua morte lafeiò grandi ricehez&.e „
SIMONE
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S I M O N E
FRATELLO DI DONATELLO
SCULTORE FIORENTINO
*Difìepolo del brunelle/cocche fi crede chefiorifte circa il 1430,
PERA delle mani diquefto Artefice fu la Vergine di marmo,
col Figlim lo in braccio, che oggi fi vede fièli' Oratorio di Or-
fanmichele, la quale egli fece per l'Arte degli Speziali, per or-
namento d'una delle facciate di fuòri di effo Oratorio* dal-
la parte che guarda verfo la Residenza de'Gapìtanidi Orfan*
michele. Occorfe poi Panno 1443. che unofcelierato uòmo*
0 foffe infedele, inftigaro dal Diavolo, tentò di fare ingiuria a quella Imma-
gine ; ed in particolare molto fi affaticò, per guadare il volto del Bambino
Gesù. Si abbatterono al cafo alcuni fanciulli, i quali in un fubito comin-
ci aro ivo , non. folo a riprendere afpramente colui, in a a correrli dietro»
co'fatti; e volle Iddio, per difefa dell'onore della fua Madre, c/le le voci
di quei fenlpiici ed innocenti fanciulli fvegliarono (piriti di tanto zelo ne*
popoli, coriì al romore, che datifi a correre alla volta di quell'infelice» mifé-
f amente l'uccifero (a). Dipoi a quella Sacra Immagine Cominciò a concorrere
gran quantità di gente » a cagione d'effere fiate ricev ute, per mezzo di quella ■
molte grazie ; onde V anno 16iS. per maggior venerazione , fu fatta portare
dentro all'Oratorio, e fu iìtt*ata nel luogo, dove al preferite fi vede. Tor-
nando ora a Simone, dopo avere egli fatte molte opere, fi rifolvette di por-
tarti* a Vicovaro, dove pel Conte di Tagliacozzo, diede principio ad uil
fran lavoro, e poco dopo finì la vita. Operò molto infieme con Antonio di
darete, Scultore e Architetto Fiorentino, che fi dice della medefima (cuo-
ia dei Bruneliefco: e particolarmente fece con lui in Roma il getto della
Porta di San Pietro per Papa Eugenio IV. che riufcì cofa poco lodata.
Fu opera fua la fepoltura di Papa Martino V. delia quale avendo già fatto
il modello, volle, che Donato a Roma d portalTe apporta, per rivederglie-
le prima di gettarlo, ficcarne eiTo Donato fece. Il medefimo Simone get-
tò ancora molte altre figure, che furon mandate in Francia. Nella Chieia
di SanBafilio di Firenze, de'Monaci della Nazione Armena, detti gli Er-
mini, dal canto alla Macine, vedefi di fua mano un CrocifiiTò grande quan-
to il naturale, il quale, perchè fu fatto a fine di poterfi portare proceffional-
mente, lavorò egli di fugherò; e in Santa Felicita è una Santa Maria Mad-
dalena Penitente, alta braccia tre e mezzo. Lavorò in Forlì e Rimiiih e
fece in Arezzo in baflbriiievo un Crifto battezzato da San Giovanni.
CMWi.m.ip. " ri rf P , „im^ am ■ 11 \ iii»iiiiéiiiiim>*i.iiiìi»iiimJ« -I ■ .....ni 1 Iimuimmbwmmmmamm h»ii»i wm«n..———■ ir ' mw ■ min ni &m**mm»mmmm *>mim*^ fc— w-i— - ■ ■ ■ ■ - ■■-- , ^ ■ , r „ „
(a) Ver fi, che fi leggono ne II' ìmbafamento dì questa fiat uà, e che fi dicono fatti
dal Poliziano '•>
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SCULTÓRE É'ÀiCHITETTO SENÉSE
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Fioriva intorno al 1440. <s$k 1470.
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E JACOPJO COZZEREI,LI ^
leca a quelli tempi fiorì in Siena Francefco di Giorgio Mar»
tini, profeflòre di Scultura e Architetto^ che pure anche fi
dilettò dell'arte della Pittura. Coflui condurle di metallo
due Angioli, che furon pofti fopra l'Aitar maggiore di quella
Cattedrale. Chiamato da Federigo, Duca d' Urbino, fece il
modello del Ducale Palazzo, e ne perfezionò l'edificio; onde
da quel Signore fu molto onorato e premiato. La fua patria altresì, alla,
quale in molte pccafioni fece conofcere la fua virtù, lo qualificò della di-,
gnità di uno degli Eccelfi Signori. Seguì |a morte di quello artefice circa
V anno 1470.
Ebbe un Tuo Compagno nel!' efercizio delle arti fue, pure Senefe,
Che fi chiamò Jacopo Cozzerelli, il quale in Siena condurle alcune figure
di legnarne; e con fua Architettura diede principio alla Chiefa di Santa
Maria Maddalena, fuori della Porta a Tufi ; ma prevenuto dalla morje*
non potè dar fiuea tal lavoro»
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D E L D I S E G N O
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DA CIMAB.UE IN QUA
DECENNALE
DELLA PARTE II. DEL SECOLO III.
DJZ, 'MGG'CCXXXX AL MCCCCL.
41 . ■■ ■■ 4.
MASO FINIGÙERRA
FIORENTINO SCULTORE,
ORAFO E IN VE N T O R E DELL' IN TA GLI A RE IN RAME
^ifì^lo-^^afaciio^fiwìiw del 1450,
E' tempi, che viveva in Firenze il celebratiffimo Pittore
Malaccio, infegnando la bella maniera del dipignere da
(e ritrovata, molti artefici lòtto la direzione dì lui » e
coli' imitazione delle lue opere diventarono uomini eccel-
lènti. Uno; di quefti fu Tommafo, detto Mafo Fi ni guerra
Fiorentino, di profeffione Orefice, il quale difegnò tanto
e còsi bene d' acquerello, quanto in quella età fi poteva
decelerare . E che egli moltiffimo operarle in difegno, io fteflb porlo efler-
ne buon ceftimonio; concioflTiacofachè i iblt difegni, che io'(io veduti di
fui mano, gran parte de'quali raccolfe lagloriofa memora del Sereniffimo
Cardinal Leopoldo di Tofcana, fono, p?r cosidire* feftza numera , ed
i migliori
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rat DecemtVtdefaPm-lLdelSec.llldal 1440.0/1450.
i migliori tanto limili a quelli di Mafaccio Sn ogni lor parte, che io non
dubico punto lai affannare* benché ciò non ritrovi notato da alcuno fcrit-
core, cne egli folle difcepolo dello fteffo Mafaccio, dai quale apprefero
tutti colorojche in quel fecolo incominciarono in Firenze a operar bene,
e nel quale egli in tutto e per tutto fi trasformò. Coftui dunque attefe
principalmente all'arte dell' Orefice; ma nello (ledo tempo modellò, e
operò di mepzo rilievo cosi bene, che gli furori dati a fare molti nobili
lavori ù* argento: e fra quelli, a concorrenza del Pollaiolo ed* altri va*
lentuomini, alcune ftorie dell'Altare del Tempio di San Giovanni, in-
cominciato e tirato a gran fegno per l'Arte di Calimaìa, cioè de'Merca-
«antì, da Maiftro Cione Aretino, eccellente Orefice: quello (ledo, che
V anno 1330^ sdendoli fotto le volte di Santa Reparata trovato il Corpo
cfà San Zanobb legò in una teda d'argento, grande quanto il naturale,
un pe^zo della teda di eflb Santo, che è quella fieda, che fino a' noftri
tempi contiene efia Reliquia, e fi porta proeeflionalmente. Oltre a
quanto abbiamo detto, fu anche il Fìniguerra eccellente in lavorare di
Niello, che è una forta di difegno, tratteggiato e dipinto full'argento»
lion altrimenti di quello, che altri facede colla penna; e ciò fi fa inta-
gliandoli con bulino, e poi riempiendoli d'argento e piombo col)'aiuto
dei fuoco* nel modo che, nel parlar di quell'arte in altro luogo, abbia*
cao moftrato; ed in Qmil forta di lavoro, (ìccome anche nel maneggiare il
bulino» il Fìniguerra ne* fuoi tempi ebbe quella lode, di non eflervi chi
l'agguagliaflfè i mercè del non efierfi ancor veduto alcuno, che in ifpazj, o
grandi o piccoli che fi fodero, metteflè si gran numero di figure, quanto
egli faceva. Ciò inoltrano affli chiaro le due Paci, che di fua maeftranza
fi conferva nò nel nominato Tempio di San Giovanni; ma foprattutto
farà fempre immortale la fama di quell'uomo» per edere (lato quello, che
trovò la belKfiima invenzione d'intagliare in rame, che poi è fiata di tan-
ta utilità all' arte e al mondo: e andò il fatto in quello modo. Era folito
queft'artefice, ogni qual volta egli intagliava alcuna cofa inargento, per
empierla di Niello, 1*improntarla con terra; e gettatovi fopra zolfo li'
quefatto, veniva in eflb talmente improntato il fuo lavoro, che datavi fo-
pra una certa tinta a olio, ed aggravatovi con un rullo di legno piano
carta umida, reftava nella carta l'intaglio non meno efpredb, di quel eh'e'
fofle prima nell'argento: e pareyan le carte difegnate con penna. Ofler-
vata |ueila invenzione un tal Baccio Baldini, Orefice Fiorentino, comin-
cia ancora effòa fare ij fimile» ma perch' egli avea poco difegno, faceva!!
qutfS iti «utté té opere fue àflìftere a Sandro Botpcelli. Viveva in quel tem-
po, ed oprava in Firenze con gran fama in ogni cofa, che all'arte del dì*
légno a^arfcetiefle, Antonio del Pollajòlo, il quale avendo vedute le cofe
del Balenìi fi pofé ancor egli &d intagliare in rame; e perch' egli era il
fili fingala? maeftró,, che avelie- in quel tempo l'arte del difegno, e molto
SfN^mfjft dell'ignudo, eflèndo Sato il primo che andadV investigando,
per M$Mò dell' anótomia, l'agitazione e rigirar de' mufcoli del corpo urna-
ilo, fee intagli in rame di gran lunga migliori, che il Finiguerra e'I Bal-
dini fitto non aV^vanoi e iH gli altri una bejlilfima Battaglia, ed altre
(u i
                                                                                   fue
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fue proprie bizzarre intensioni ; tantoehè fparfoli quefto nuovo modo di
dilegno, in tempo che era a Roma Andrea Mantegna, cflb vi fi applica
di propolito, e h pofe ad intagliare i fuoi Trionfi, che per efler delle pri-
me ftampe che fi vedeffero, ebbero allora applauf» non ordinario. Pafsò)
poi quefto magiftero in Fiandra: ed un Pittore d'Anverla, chiamato Mar-
tino, intagliò moke cofe; onde affai carte vennero in Italia, intagliate di
fua mano, le quali fu folito contraflegnare colle lettere M» C. Le prim©
che fi vedefféro furono le Vergini prudenti e le (tolte ; un Crifto in Cro*
ce, a pie della quale era Maria Vergine e San Giovanni ; dipoi i quattroC
Evangelici in alcuni tondi ; e j dodici Apoftoli con Gesù Crifto in picco-
le carte.- una Veronica con fei Santi della medefima grandezza: aIcune
armi di Baroni Tedefchi, rette da diverfe figure; un San Giorgio, che am-.
mazza il ferpente • un Crifto avariti a Pilato; e'1 Tranfito di Maria Ver-
gine, prefenti gli Apoftoli. In ultimo fece un S. Antonio, maltrattato dar
Demònj, figurati in afpetti tanto deformi, e con invenzioni e capricci sì
bizzarri, che effendo venuta quefta carta alle mani di Michelagnolo Buo*
narruoti, allora giovanetto, fi mefle a colorirla . Da quefto Martino ap~
prefe il modo d* imparare il chiariflìmo Pittore Alberto Duro, con altri
in quelle parti. Dipoi in Italia fu efercitato da Marcantonio Raimondi*
difcepolo del Francia Bolognefe, e da altri molti, che fiamo j)er notare,
a'luoghi loro; tantoché è giunta quefta nobile invenzione» prima cV in-,
taglio a bulino, poi in acqua forte, a quel fegno che è noto. E tanto ba-,
fìi aver detto intorno alle qualità e opere di Mafo Finiguerra, dei qual».
non abbiam potuto fin qui avere altra notizia.
.......lini li .              i. ii.l imi "            il " ......... r           '"         ■'--------------------......            ---------1------------ li.] >........—■»■!« mi imi iiim............. 1
COSIMO ROSSELLI
PITTORE FIORENTINO
Nato 1416, # 1484,
;■'.- ' '■ ° .?:'?•::> ; .. tV'               C. ■'?.'. ■' -ti ■"],,■; ' :..../ '           :'. ' ; ;. * X * Li -#3
U Maeftro ragionevole, ed operò molto a frefco e a ©lio>.
Nella città di Firenze vedali di fua mano nel Ghioftro pic-
colo della Santiflìma Nunziata, la Itoria di San Filippo Be-
nizj, in atto di pigliar l'abito della Religione: la quaf* opera
non fu da effo interamente finita, come fi dirà appreflb.
In S.Ambrogio dipinfe tutta la Cappella del Miracolo » cori
ritratti di cittadini di que' tempi, fra i quali Poliziano, e il Ficino, che met-
tono in mezzo Pico della Mirandola. Chiamato a Roma fotto Sifto IV. in-
terne con Sandro Botticelli, e Domenico Grillandai Fiorentini, Luca da
Cortona, l'Abate di San Clemente, e Pietro Perugino, per dipigriere
nella Cappella del Palazzo > vi fece tre ftorie, cioè la ibmmei fune di
Faraone:
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irò Decenn. V. della Part. Il detSec. Ili datilo, al 1450.
Faraone : la Predica di Grillo intorno al mare di Tiberiade : e V ultima Cena,
óve per fuppltre alla mancanza del fuo talento, in confronto degli altri
maeftri, è renderli degno di un bel premio, che aveva deftìnato il Papa
a chi di loro meglio ayeffe operato, con ingegnofa aftuzia sforzandoli di<
arricchire le fue opere con vivezze di colori, e tocchi d' oro in gran co^
?iaj forti, per la poca intelligenza in cofe di queir arte, che aveva quel
ontefice, l'e/Tere elfo folo premiato in faccia di quei maeftri, peraltro mi-
gliori di lui, che di quel fuo nuovo modo di operare fi erano fino allora
molto burlati. Tenne quehV artefice in tutte le opere fue la maniera di
Aleflb Baìdovinetti ; onde riconofeiuti i tempi, ne*quali 1' uno e 1' altro
fiorii e la gran diverfìtà della fua da tutte l'altre maniere de'maeftri, che
allora in Firenze operavano, pare che non porTa dubitarli, che egli non
ile fofle flato fcolare. Fece elio Cofimo moki allievi, e fra quelli Mariotto
Albertinelli, Fra Bartolommeo di San Marco, e Piero, detto Pier dì Co-
iimo, che fu maeftro dei famofo Andrea del Sarto, dal quale derivarono
molti valentiffimi pittori. Trovafi eflèr' egli figliuolo di Lorenzo di Fi-
lippo Rotteli! del Popolo di San Michele Vifdomini; e che venuto P an-
no 1483. faeefTe teftamento nella Sagreftia di San Marco, per rogito di Ser
Benedetto da Romena, in cui confeflata la Dote di Caterina di Domeni-
co di Papi fua moglie, in lbmma di Fiorini 400. difuggello, lafcialame-
delìma ufufruttuaria di tutti i fuoi beni. Dice il Vafari, che eftTendolì
quell'artefice molto dilettato dell'Alchimia, a cagione di efla egli fpen-
defie vanamente tanto, che di agiato ch'egli era , fi condurle alla mor»
te in iftato di eftrema povertà . Quello non pare , che punto li ac*
cordi con ciò, che nel nominato teftamento lì riconofce; perchè tro-
vanti^ fatti da elfo affai legati di grotte fomme di danari, a favore di fuoi
congiunti. Né par verifìmile quanto Io ftelTo Vafari aflerifce, che dopo
di lui reftafte un fuo figliuolo; perchè in quello tempo Cofimo non ave-
va figliuoli, che però inftitui luoi eredi\ dopo i figliuoli poftumi e na*
fcituri, Lorenzo e Francefco fuoi fracelli, ed i figliuoli delli già defun-
ti altri fuoi fratelli Clemente, e Jacopo. Soggiunge poi lo ftefìò Va-
fari», che del 1484. feguì la morte di Cofimo ; nel che piglia un gravifli-
mo errore, perchè io trovo, che lo ftefib Cofimo di Lorenzo di Filippo
Kolìèlli pittore, infieme con Antonio di Luigi Covoni, l'anno 1496. a'5,
d'Ottobre, cioè dodici anni dopo il tempo, che il Vafari aflegna alla fua
morte, diede un lodo fra Vittorio di Lorenzo di CioneGhiberti da una,
eBuonaccorfo, Francefco e Cione, figliuoli di elfo Vittorio dall' altra,
per rogo di §er Agnolo di Ser Aieffandro cf Agnolo da Cafcefe : e quefto
in autentica forma fopra carta pecorina fi conferva approdo a Criftofano
Berardi, Gentiluomo Fiorentino, Avvocato del Collegio de'Nobili. Dice
poi il Vafari, che la morte di Cofimo feguiiTe in tempo appunto, che
egli nel Chioftro della Santillima Nonziata lavorava la tloria a frefco del
San Filippo Benizi, che riceve 1* abito della Religione, come fopra fi è
detto, quale lafciò imperfetta. Fu il fuo cadaverp fepolto nella Com*
pagaia del Bernardino in Sanca Croce?
• ■■                                                                            DELLE
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' \
III
DEL L E
NOTIZIE
DE PROFESSORI
D E L D I S E G NO
DA CIMABUE IN QUA
t-kt'i t.
DECEN
DELLA PARTE II.
DAL MCCCCL.
x\ JLi'ih.'JEi'
DEL SECOLO III.
^Z MCCCCLX.
B CATERINA DE VIGRI
DETTA DA BOLOGNA
Nobile Ferrarefe, afcritta al Catalogo de* Santi da Clemente XI,
L'Anno 1712.. ■ ; Si?:/ !u:) ^nc 0, ,;i * ,,, UJ
Afc/* i4ij.# 1463. attefealla PitturaWMM^^M^fW^M'
RA i pregi maggióri, e fra le glorie, ch£ a gran ragione
afcrivonfi all'arte nobilifiìma della Pittura, una per eerto
fi è, l'aver'ella in ogni tempo faputa tenere Gretta ami-
cizia e familiarità, non pure coir arti più nobili » colle
? re, ' che -è la Sane ita •, e con; quelle péfforie aver ufate »
per così dire, le Tue più intime cóhfideifee, che per lo pè$&*Wiqr '.Cri-
(liane vii cu, meritarono luogo fra' Saniti di Dio; £ che oépnoi ébmé ^i
boriamo
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HH b<cm.VI. detta W. 11delSec. Ilidah$$o.ah$6o.
iflpriirpio fu gli Altari. Ma perchè troppo lunga eofa farebbe il tefler qui
un catalogo de \ %mt\, che dopd J'Evangelifta Santo Luca, a comune
utilità della Chjefa Cattolica, fi fon fatti amici di qpefta beli' arte delia
Pittura; elico folainènte, che ebbejuogo fra quelli nel 1400. h grand' A ni-
ma dell?». Madre $uor Caterina de'Vigo» detta comunemente la Beata Ca-
terina da Bologna, vero miracelo di Santità: la quale, a'religioni fervori
del fupIpirito, un $ lodevole esercizio talora accompagnando, diede con
effo gloria a Dio, -onore a fé fteflà» eci a' pro/ììmi uplitade » come potrà
ognuno riconofcére da quel poco >! che noi ora fiamo per raccontare.
r g. Nella ^t^iFf^afa adunque» l'anno di noftra fallite 1413. nacque
la Beata Caprina. Il^aelre fuo fu Giovanni de'Vigrì, Dottore dell'una
é dall'altra Legge, ftatd uno de' Maeftri dello ftudio di Bologna» fatto pel
fuo valore^cittadino à\quella fua patria, e Ambafciatore di Niccolò d'Efte,
Marchete Idi F|rraYa^ 41 |a Repubblica 0i Venezia,; dove lofterìne il carico
di fup Agente èrdinarlo. La Madre dì Càteriita fu Benvenuta Mammoli-
Xìi nobile Ferrarefe. Prevennero i natali di Caterina, fegni, e vìfioni di
molto ftupòre . Appena ufcrta alia luce diede indizj di futura pietà, che
nel!' età puerije artdarpnfi tuttavia accrescendo. ISJelI* anno undecimo fu
j?ofta,g' fervigj di Margherita, figliuola del nominato Marchefe di Ferrara:
S>vejper eflèr'ella di Éiblime ingegno» Oltre agli efercìzj di fanti tà» fi fe-
calein queMiàeir umane lettere, è dejle facre^ feritture. Dopò tre anni
in cirqa , Tentandoli muovere fempre più da divino impulfo, lafciata la
Corte»iiì ritirò in cala di una vergine , chiamata Suor Lucia Mafcheroni,
che nella città di Ferrara fua patria, veftita dell' abito del Terz'Ordine
di S. A godi ho, aveva fatto un adunanza d'altre vergini, che in abito fé.
colarefco attendeflero al fervizio di fua Divina Maeftà . Quivi datafi più che
pillai alterazione e alla penitenza, ebbe.per lo fpazio ?di cinque anni mol-
to da fpltinerèdall'inimico dell'uiuan genere; ed altrettanto fu favorita
$al cielo per via di non ordinane conibìazioni. Fu poi colP óccalione
del trovar che fecero quelle Suore nuova abitazione in forma di Monaste-
ro» quella devota adunanza, per opera di Lucia» fottopofk alla Regola di
SantaChiara » fptto il governo delfi Zoccolanti. Né è poffibile il rapprefen-
tare la perfezione, con che la Santa irit tale inftituto fi efercitò; e le maraviglie,
ehelai^gixodi ^io per inez^o di lei operò,» V 'introdurre la perfetta clau-
flffl, le M210 di ogni più religioni virtù j fiacri Iparrafi là ftma di fua fan-
... *jti,fu neceffitata portarli a éplogria» per.quivi fondare un altero Monafte*
s rp dfquell' Ordine, ficcome fece Tanno risS/-e vi fu per alcun tempo fu-
■„ §?eripra. Viveva allora nella città di Bologna LippoDalmafi, celebre pitto-
re, perquanto comporta va queire^.euomp dinon ordinarie virtù Criftia-
.fflé. Qfar come cip feguifle, non e noto > ,yero è ( ficcpme Carlo Cefare
Malvagiaultimamente fcriflei^iplla-'^ìfa 7Krf'W'^fei.^^*S^'5'■ -ch^^qyefta ■ di-
^llMadf^^o^ogl per fuo'Qp^ftp aivertiló^^ 1 p fiire » come io credo
più yèrilìaiile,,^perchè e#?p4$ §4a ftftfg Pie#aM?TO »mot) p0teiTe altro
fare, hèa|trp penfare»che'dii^iV.éltó/.ilfece'J.rife'gnare dal divoto pittò-
IgU (Cippo l'arte def difegno-e *|ef la pittura, per poter fare colle fue mani
" iu*magini;|acfe, ih cui Idcuo jotk pnorafen pacje poi pel Tuo Monaftero
;
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.,?>,.i\h B,.$ATER1NA DE F1GRL' &$
del Cor,po di Criflo fece molte delicatifllme miniature!, cheancqraToggi
vi fi vedono : ed liii Gesù Bambino dipinto, che quelle Madri fé né lèr-
vono per mandare agl'infermi, per mezzo del quale f$ confeguifcono da'
fuoi devoti concinove grazie, eajutiprodigiofi. Ed è veramente quefto,
come fopra accennammo, non piccolo pregio delle noftre atri, il farli
talora familiari de'gran Santi; di che abbiamo già in poco più di quattro
&coli molte indubitate teftimonianze. Terminò finalmente Caterina il
corfo de' giorni fuoi con univerfal dolore, non folamente delle fue Reli~
gioie, ma ancori* di tutta la città di Bologna, T arino della fatate- noftrs
1463. di età di anni quaranta no ve, alli p. dLMarzo* lafciando anche £crìtr
co difua mano ijn libro intitolato delle fette Armi* pieno di celestiale, dot*
trina. Sparfe in un fuhito il corpo fuo un molto foave odore; e fece il fuq
volto diverfe prodigiofe mutazioni, nel!' etfer portato alla fepoltura, hi
pattando davanti al San tiflìmo Sagra mento. Dipoi iepolto, non ceiTav$
di operar miracoli; onde fu rifoluto di cavarlo del cimitero comune di
fotto terra,e riporlo in luogo più riguardevole; in Che fare, feguirono pure!
alcune maraviglie, e particolarmente ineominciaronfi a. vedere fopra il
luogo alcune miracolofe ftelle fplendentiffime» che mentre fi andava ca-
vando il terreno, illuminavano ioicuro della notte, fu trovato quel cdr*!
pò, che era flato fepolto alcun tempo, non folo incorrotto, ima cane©!
bello, che più non fu mai nel tempo della vita, e fpirante un lbaviflìmcb
odore. E perchè la faccia in alcuna parte erafi alquanto ammaccata ì a ca^
gione di una tavola, che le fu pofta fopra nel fotrerrarla, la Sanca Madre*
non più pittrice, ma fcultrice maravigliofa, a vifta di più perfone; ; colle,
fue proprie mani, quel difetto emendò, ne più né meno, come fé viva
fiata fofle , e come fé il proprio fuo volto fofTe flato di morbida cera.
Altri ftupendi prodigj occorfero allora, quali non fa pel mio adunco il de*
fcrivere» e fi potranno leggere nella vita, che a lungo ne fcrifTe il Padre
Giacomo Grafletti della Compagnia di Gesù. Né cefla mai la Divina
onnipotenza di operar miracoli, pe'meriti di quefta ferva fuà, oltre al
continuo miracolo patente ad ognuno, del quale ancora io mi do per
teftimonio di veduta, del vederli il fuo corpo, dopo un corfo di dugento
quaranta anni, fedente fopra una bella fedia, pofta fopra un Altare nel
foprannominato Convento del Corpo di Griffo, tanto bello, carnofo, e
frefeo, che pare, che ancora viva. ;
•■;>                         ' ■'■■ ■■■■'                                                                                                               i '-■ ■ '?'' "<> •"¥ v' #                     ■'■'■«'. v .                    * ■''''■ w
H ,                          ALBERTO
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l$4 DdM&tfc Pàfì .IL delSee. Ili dai1450. al 1460,
<SS
L B E RT Ó ; S6tA WmV MtTÈ R i
.!.:•..-.-' ClOt DELL' ACQ^U:1»?-'■"•'•
f " PITTORE ''W'à'ÀER LEM
Fwiva circa al 1450.
lori quefto Albert© welfe parti di Fiandra nella città di Haer*
lem, e fecondo un conv^uto, che ai lume dimolto adattate
conghietture ne fece il van>imnder Pictor Fiammingo, che
in luojinguagigio alcuna cofa ne fcrilTe, operava egli circa
gli anni di noftra fa-Iute 1450. Di mano di quefto artefice
vedeva!! nel Duomo di quella Città r da una parte deli' Akar
maggiore»; fopra u» altro Aitare, che chiamavano l'Aitar Romano, perchè
fu fitto fare da*! Romei (^), ovvero Pellegrini, che andavano a Roma»
un a bella: tavola : nel mezzo della quale erano due gran figure quanto il
naturaler che rapprefenitavano i Santi Pietro e Paolo; e nella predella un
bel pie fé r dove erano figurati verfi pellegrini, altri in atto di cammina-
re, altri di ripofare per iftanehezza ed» poveramente cibai fi, altri di men-
dicare., ed m altre belle apparenze , tutte adattate a tal pio efercizio,
Attefta il mentovato Autore aver veduto una bozza di copia di un bel
quadrò neìl* (uà patria, fatto di mano di queft'artefice, dov' egli aveva fi-
gurata la Refurrezione di Lazzaro, della quate opera i pittori de'fuoi tèm-
pi dicevano gran cofe. Quefto quadro, dopo T attedio e prefadi -quella
città r fu tolto da certi Spagnuolrr con alrre belle cofe del V arte,e por-
tato irt ifpagna w Era il quadro copiofo "ài belliCfime figure, e vede vati Laz-
zaro ignudo molto ben fattoi dall' una parte Crifto e gli Apoftoli, e dal-
l' altra gli Ebrei ed alcune belle femmine, con altre figure di perfone at-
tente a quel fatto. Veniva affiochito da una bene tntefa architettura di
urt Tempio, dietro a'pilaftri del quafce aveva figurato diverfe perfone, in
atto di oflervare e ammirare qqell' azione. Era quella pittura in grande
(lima in quella Città; ed il buon Pittore Hemskerch andava fpefle volte
a vederla, né fi poteva faziare di lodarla. Fu Alberto ne' fuoi tempi ec-
cellentiffimo ancora in far ritratti : e alle fue figure faceva mani e piedi,
e anche i panni affai meglio di altri pittori, che operavano ne* fuoi tempi
in quelle parti ; anzi era concetto ed opinione univerfale fra' pittori, che
operavano nel 1600. che coftui fette (lato il primo, che oltre a' monti e
ne7 Paefi Baffi, averle dato corninciamento al bel modo di far paefi: e ciò
fu nella ftefla città d'Haerlem. Ebbe un discepolo, che in quella età riu-
fci pittore di ottimo grido, che fi chiamò Geertgen di Santo Jans. E quefto
è quanto abbiamo potuto ritrarre della vita d'Alberto Van Ouwater .
ANS
(a) Romei» così detti dall' andare in pellegrinaggio, per lo più a 'Roma, che
dagli Spagnoli dicefi
ir en romena; e i pellegrini fieffi dicono Romeros, che
corrifpwde alla no/fra voce 'Romei
.
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ANS DI BRUGES
§J CfcE&E PITTORE BI BETTA ClTTifc
Difcepolo di Ruggieri di Bruges f fioriva drs& il^46^
ON è a noftra memoria di aver trovato fra quanto ci lafciò
fcritto Cario Vaa-mander Pittar Fiammingo, che e' tìcefle
menzione di quella Ant » ficcome del fuo maedro Rug-
gieri di Bruges ♦ fa p pia ino aver fatto». ? Veggiamo però, che
il Valari nel fuo trattato della pittura.» al capitolo % i, lad-
dove *'parlardel iìfignere a òlio, éiee, eh© un tale Ans
dì Bruges;, fofie difcepola di efla Ruggiero * e che facefle nello Spe-
dale di Santa Maria Nuova di lirenze, pe* Porttnari, un piccolo qua-
dro, che poi pafsò in mano del Sereniamo Granduca Conino I. « an-
cora una tavola, che fu polla &§U$t Villa diCareggi della Serènifllma Gafai
de'Medici, Quivi ancora fa menzione di un certo Lodovico da Luana*
cipè Lovanio, di Pietro Grilla> di Maeftro Martino, e ah un talGiuftà
da Guanto, o yogliam dire da Gante, che fece la tavola dell.» Comunione
pel Duca d'Urbino, ed altre pitture: e finalmente di Ugo di Anverfo, che*
dipinfe la tavola, che fino a' noftri tempi fò vede nella Chiefa di detto
Spedale di, Santa!Maria Nuova, nella facciata principale del Coro(#); tutti*
pittori, che egli dice» che fi canicaffèra fra- primi, che dopo Giovanni*
da Bruggia, aveflero incominciato a dipignere a olio, di alcuni de'quali;
abbiamo noi a fuo luogo fatta più diffufo racconto »
; .. ..-,,-, ;.. v.','' ■■:                     , ., V...ity f.'iJ "kùi 0 :^;.f''.: ,";J *' ■ 01 .-.''lei •:.' H:ii-:i .'jfi%
u . ... P.TOl 1,1 in, l I .          I m—m*mmmm!Fmmt*WMK il n- 1,11       » Hill 40 »—###WÉI■———1iw^ìiéili
{ * ) jQ^^fe Titola non è pm nel Coroide* Previ; mm è fiata poHa tra le grate
k rff/i Cow /tófe CMomebe fipra la porta principale di detta Cbiefwt
Ha                        • ANTONIO
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%m6 Dectnn. VI. e Fari. Il delSec JIL dal 1450. al 146©.
&HT5 DELINQUO
KTHQRE SCOtrrOREm ARCHFI^ÈTtÓ FIORENTINO
^DifiepolodiPiémPoItajwlo fuo fratello, nato 1426. 4fc 1498.
C% ì
ÌEJ tempi, che Bartoluecio Ghiberti, patrigno di Lorenz©
Ghiberti* eferèitavain Firenze» con fama di ottimo arte-
fice la.profeflione deli* orafo y era lo ftèrto meftiére in ma-
no di perfone così efrrcitate nel-difegno e net, modellare »
che per lo più le medeimé, tirate dal piacere, che ne cagio-
nano sibelle facoltadiVabbandonavano quell'arte, e in
breve tempo pittori e Scultori eccellentiflìmi addiveni-
vano. In quelli tempi adunque fu accomodato in bottega del nominato
Bartoluecio; Ghiberti, Antonio del Pollajtiòftn giovinétto, di poveri natali
bensì, ma dotato di tanto fpirito e inèlinaziòiie al difegno f che in breve
tempo; neil' orificeria fece miracoli; il perchè lo (tèffo Lorenzo Ghiberti
(ciie alioi* faceva te porte di San Giòvanni^jò* voli e-ap predo di fé » ed
ìnfieme con moki altrigiovanetti , pojelò attorno al fuo proprio la-
voro, E iirimieramente lo fece operare intornò ad un fedone, fopra il
quale Antonio lavorò una quaglia, che^lt vede tanto ben fatta* che è ve-
ramente cofaf maravigl iofa. Giunterò poi ih poco tem pò a tal fegno ì pro-
creili del giovanetto» che gli guadagnarono fama di gran lunga fuperiore
a quella dì tutti gli altri giovanetti del faò tempo;, che però fi rifolvè 3
lafciare Bartoluecio e Lorenzo ; e far da per le, dandofi tuttavia più che
mai al dìfegnate -e-al modellare. Era allora nella città di Firenze un al-
tro orefice, chiamato Mafo Finiguerra , aeereditatiffimo in lavorar di be-
lino e di niello; e che, fino a'fuoi tempi non aveva avuto eguale nel di-
fporre in piccoli fpazj grandiffima quantità di figure; uomo, che per quan-
to io ho riconolciuto da' moltiffimi difegni di fra mano, che ancora 41
trovano fra gli altri nella belHlFima raccolta, fattane dalla gloriola memoria
del Cardinal Leopoldo di Toicana , aveva fatto grandi ftudj fopra le ope-
re di MafacciOr e fopra il naturale; che però era divenuto buon diiegna-
tore. Ad etio avevano i Confoìi dell' Arte de' Mercatanti date a fare le
{torte dell1 Aitar d'argento pei Tempio di San Giovanni ; ma avendo poi
quelli ricojiofciuto il Pollajuolo in difegno e diligenza a lui molto fupe-
riore, vollero, ehe ancora effb, a concorrenza del Finiguerra> molte ne
lavorarle Tali furono la Cena di Erode, il Ballo di Erodiade, ed il San
Giovanni, che è nello fpazio di mezzo dell'Altare: le quali opere riuici-
rono affai migliori di quelle del Finiguerra; onde gli furon dati a fare per
la fteflTa Chiefa i Candelieri d'argento di tre braccia l'uno: la Croce pro-
porzionatamente maggióre di quelli; e le Paci, le quali colorì a fuoco
tanto bene, quanto mai dir fi polla. Fece poi lo Iteflo Antonio ancora
infiniti altri lavori d'oro e d'argento per diverti luoglù-e perfone. In pro-
jpouto
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ANTONIO DEL TOLLAJUOLO. 117
pofico di che non voglio lafciar di dar notizia in quefto luogo di uno di
efli , che io ho trovato in una Deliberazione nel Libro de' Venti di Balla
per l'imprefa di Volterra del i472- coIie feguenti parole:
sAài 18. Giugno 147*. s' ebbe la Vittoria di Volterra # efendo Capitano
della Lega il Conte d'Urbino: e però fi delibera di donare una Cafa in Firenze
a detto Conte-, e fé gli doni ancora boccali e bacili a" argento
, ed un elmetto
d argento, che fi fece lavorare da Antonio del Tollajuolo.
Si trattenne dunque il noftro artefice in fimil fona di lavori molto tempo,
e fecevi allievi, che riufeirono di valore; ma invaghitofi poi della pittura,
fi fece da Piero fuo fratello, ftaco difcepoìo d'Andrea dal Caftagno, infe-
gnare il modo del colorire, e in pochi mefi, non fola 1' agguagliò, ma
molto lofuperò. Dipinfe infieme con lui affai cofe, delle quali fi è parla-
to abbaftanza nelle notizie della vita del medefimo Fiero. Fece poi il ri-
tratto di M. Foggio Bracciolini Fiorentino, Segretario della Signoria di
Firenze,che dopo Lionardo Bruni Aretino, detto M. Lionardod' Arezzo,
fcrifle la ftoria Fiorentina: e quello di M. Giannozzo Manetti, pure Fio-
rentino, uomini tutti e tre di gran letteratura: il qual Manetti, oltre ad
altre opere fcruTe la Vita latina di Papa Niccolò V, Ja quale fi conferva
nella Libreria di San Lorenzo. L'uno e l'altro ritratto fece in luogo, do-
ve già faceva Refidenza per far ragione fopra gli affari de' Giudici e Notài,
il Proconfolo; il qual luogo, vicino alla Badia di Firenze, fu dipoi la Re-
sidenza del Magiftrato di Sanità, ed ora della Nunziatura Apoftolica, co-
me fi è detto altrove. Fece ancora molti altri ritratti, che (i veggiono a*
noftri tempi per le cafe e gallerie de' Cittadini, molto ben confervati, e
-lavorati con tanta diligenza, e tanto al vivo, quanto mai in quella età
fotte
potuto defiderare. Fra le belle pitture, che di tutta fua mano fi veg-
giono pubblicamente in Firenze, una è la tavola del San Sebaftiano della
Cappella de* Pucci, contigua alla Chiefa della Santilfima Nunziata, la qual
tavola fece T anno 1475. per Antonio Pucci, che gliele pagò 300. feudi,
onorano, per quei tempi, ftraordinariflitno ; ma contuttociò fece di quel-
T opera il Pucci, e con eflfo tutta la città, sì grande ftiraa, che fi dichia-
rò non avergli pagati né meno i colori. In quefta tavola ritraffe Antonio,
nella perfona del Santo, Gino di Lodovico Capponi. Fino ne*noftri tem-
pi fi vede di fua mano la maravigliofa figura del San Criftofano, a frefeo*
alta dieci braccia, che eflb dipinfe nella facciata delia Chiefa di San Mi-
niato fra le Torri, figura, che ebbe lode della più proporzionata, che
foffe fiata fatta fino a quel tempo, Sta una gamba del Santo in atto di po-
fare ; e l'altra di levare; e fono così ben difegnate, proporzionate, e
fvelte, che è fama , che lo fteftò Michelagnolo Buonarruoti in fua gioven-
tù, per fuo ftudio, molte volte Iedifegnaflè(<i), Altre pitture in gran nu-
mero fece Antonio, al quale veramente è molto obbligata l'arte del dife-
si 3
                                     gno,
(0) E fendo* pochi anni fono, le gambe e altre parti di quefta figurai ridotte
in cattivo fiato, per l'inclemenza de lly aria, furono rifatte da un'Imbianca-
tore , con qual' arte e perfezione potrà vederlo il lettore : olì vicenda delle
cofe umane
.
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118 Decenn:VL e Bàrt. Il dclSec, IH. dal 1450. al 1460*
gno , per euer'eflb flato il primo, che moftraue il modo di cercare i imi*
fcoli, che a venero forma e ordine nelle figure.» il che fece fcorticando
difua manomoltifllmi cadaveri di uomini morti, per iftudio dell'Anatomia .
E perchè migliorò ancora alquanto il modo d'intagliare in rame, da quello
che per avanti era fiato tenuto da altri maefiri,- gli fi dee ancora la lode
di quell'arte. Fu ottimo Scultore ne* fuoi tempi; che perà fu da In-
nocenzio Vili, chiamato a Roma , dove a fua iftanza fece di metallo la
fua fepoltura colla (tatua ; e quella ancora di Sifto IV. fuo anteceflore,
E* fama, che lo fieflb Antonio delle il difegno pel Palazzo di Belvede-
re , e che poi fané da altri tirato a fine . Nel Baffonlievo yalfe non
poco ; e di fua mano veggionfi molte medaglie di Pontefici e d' altri.
Finalmente pervenuto all'età di 71, anni, nella (lena città di Roma Tan-
no 1498.finì la vita, e nella Chiefa di San Pietro in Vincola, coll'onore
dovuto ai fuo merito, ebbe fepoltura il fuo cadavere*.
^«n——nmm•^mmm—■———n——■—— i'n...... '■ini i ni         i» ii r, ...»,.n m mn i i. i«—»■«>—ra——MS
ANDREA DEL VERROCCHIO
PITTORE, SCULTORE, E ARCHITETTO
FIORENTINO
Bifiepoh dì Donatello, natù 1431. # 148?.
Ice il Vafari* che Andrea del Verrocchio fi faceflè valente irt
quelle arti fenza maeftro alcuno ; ma perchè è imponibile à
chi fa opere grandi e difficili ( conte lece il Vafari) l'aver di
ogni cofa notizia intera, non è gran fatto, che non pervenirle
a fua cognizione quello y che nel particolare di queft' uomo
ha feoperto il corfa di un fecola, quanto è, da che efib Vafa-
ri ferirle la fua (toria, fino a qttelU tempi. Ho io dunque villo nell'altre
volte nominata Libreria de* Manofcritti originali degli Strozzi, un mano-
fcritcoantichiflìmo, contenente più vite di Pittori, Scultori, e Architetti,
quali de'tempi dello fcrittore di quelli. Fra' difcepoli di Donatello, del
quale pure vi fi legge la vita, dice* che uno deM'uoi primi, e non il mi-
nimo, fu Andrea del Verrocchio. Ed in un altro manoferitto, anneftò a
un libro minor del foglio, fegn. num. iS$. fra diverfe memorie di Pitto-
ri , Scultori, e Architetti di quei tempi » fi legge a e. 45. a tergo, fra altre co-
fé, appartenenti alla vita di quefto maeftro Andrea del Verrocchio Fioren-
tino, ch'egli fu diteepolo di Donatello; il che ancora tanto più fi rende
certo, quanto che afferma effo Vafari nella Vita di Donatello, che Io fteflb
Andrea lo aiutarle a lavorare il Lavaroane di marmo nella Sagreftia di San
Lorenzo . Fece dunque ii Verrocchio la fepoltura della moglie di Fran-
cefeo
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ANDREA DEL VERR0CCH10. 119
ceCco Tornabuoni nella Minerva di Roma : la maravigliofa lepoltura di
Giovanni e di Piero di Cofirao de* Medici, che in San Lorenzo di Firenze
è, fra la Cappella del Sacramento (a) e la Sagreftia : ed in Fiftoja quella
del Cardinale Forteguerra» finita poi da Lorenzo Fiorentino, perchè alla
morte d'Andrea era rimala imperfetta. Fece pure in Firenze le ftatue di
bronzo del San Tommafo, che tocca la piaga al Signore, fituate nella
facciata principale di Orfanmichele, in una nicchia, che fu fatta con di-
fegno4i Donatello fuo maeftro, Pesò il metallo di quefte ftatue, per quanto
io trovo in antiche memorie, libbre 3981. e ad Andrea furon dati in pa-
gamento 476.Fiorini d'oro {b). Fu fu* fattura il fanciullo di bronzo, che
ftrozza il pefce, che oggi fi vede nella fonte di Palazzo Vecchio . Gettò la
palla della Cupola del Duomo di Firenze, la quale con applaufo e feda
grande, trovo che fu raefla a fuo luogo Udì 28, di Maggio del 1471..anni
dieci in circa, dopoché reftò finita la pergamena della Lanterna di efta
Cupola, alla quale con gran folenmtu era fiata pofta 1' ultima pietra a* 25.
d'Aprile 1461. Pesò la fteiTa Palla libbre4363, ed è tale di grandezza, che
può capire in efla ftaja 300. di grano, a rnifura di quefta città di Firenze.
Il nodo della medefima, gettato fu da Giovanni di Bartolo, e pesò lib. 1000,
e può capirvi ftaja 21. e mez. di grano. Pesò la Croce libbre 791, il palo
libbre 770. come da' libri dell' Opera di effa Chiefa (ì riconoice. Operò
anche il Verrocchjo alcuna cofa in pittura: e fra l'altre una tavola per le
Monache di San Domenico in Firenze, ed una pe' Monaci di San Salvi,
nella quale figurò il Battefimo di Crifto. In quefta 1' ajutò Lionardo da
Vinci fuo difcepolo, allora giovanetto, che vi colorì dì fua mano un An-
gelo così bene, che viftolo Andrea» fi conobbe nella pittura tanto infe-
riore al fuo proprio difcepolo, che dato bando a' pennelli, tutto alla fta«
tuaria ed al getto fi applicò. Chiamato in ultimo a Venezia , fecevi il
Cavallo per la ftatua di Bartolomoieo da Bergamo. Fu quell'opera i'occa-
fione della fua morte, per un mai di petto prefo in gettarlo 1' anno 1483.
e della fua età 56. non ottante ciò fi trova fcritto nella feconda impreso-
ne della ftoria del Vafari, afTolutamente per errore dello Stampatore, cioè
del 1388. Il corpo di quello eccellente artefice fu da Lorenzo di Credi,
altro fuo difcepolo amatifiimo, condotto a Firenze , e nella Chiefa di
S. Ambrogio nella fepokura .di $er Michele di Cione fatto feppeilire.
Fu Andrea il primo a mettere in ufo il formar di getto le cofe naturali,
per poterle poi più facilménte ftu&iare: e mefle in pratica il far ritratti
de' defunti, formandogli di geflò, e poi gettandogli; e di quegli fattila
fuo tempo fé ne veggono fino in oggi moltifiimi. Dee molto perciò 1
mondo a quefto artéfice; perchè mediante tale fuo ritrovamento fi fon
fconfervate l'effigie di molti uomini Santi ed altri Eroi; e con tale occa-
H 4                                 fione
(a ) Oradeliu Madonna', perchèil Sacramento in oggi fi a nella Cappella Nero-
ni dirimpetto 0' éjnejièt
. (b) Furono fitte quefte due ftatue pe' Sei di Mer-
canzia P anno
1483. e vaìfero Fiorini 800. targhi , come appare da una
Provviftone ? StantintfrentOt nel Libro dì Pro^vìjhm di detto anno% alle Ri*
fir magioni.
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120 Dec&n.Vh t Par, II; delSec.IlL dal 14.50. al 1460.
fione fi cominciarono ad efprìmere in rilievo di ftucchi, ed altra materia ,
ligure qumto il naturale» in fembianza di coloro, che per qualche parti-
colar grazia, ottenuta da Dio per mezzo della Santiflima Nunziata di Fi-
renze o altra Sacra Immagine, le offerivano in voto e per memoria del-
la grazia; laddove anticamente ufavanfì alcune immagini di cera; ed era-
no in gran parte in Firenze, fi può dire, a quefto effetto» alcuni partico-
lari meftieri, che per ordinario di altro non s'impacciavano, che di far
di cera o ceri o boti»e coloro che gliefercitavano,chiamavanfi Ceraiuoli,
citati dal Berni nel Sonetto, che comincia ;
Chi vuol veder quantunque può natura,
E dice così :
Fugge da' Ceraiuoli v
Acciocché non lo vendin per un boto,
Tarn' è fottìi » leggieri
, giallo, e voto r
Comune he il 'Buonarroti
Dipigne la Quarefima^ o la Fame v
Dicon
, ehy e' vuol ritrar questo carcame,
E non è da tacere, che il primo, che offerì limili voti grandi di micchi*
fu la gloriofa memoria del Magnifico Lorenzo dell' auguftiffima Cafa de'
Medici, che tino alla Santiflima Nunziata, uno al miraeoiofo Crocififfo
dulie Monache di Chiarito in via di San Gallo, ecf uno alla Chiefa di Santa
Maria degli Angeli ne mandò, in tettimonio di una Segnalata grazia otte-
nuta» e tutti rapprefentanti la propria perfona fua.
FRANCESCO
DETTO PESELLO
PITTORE FIORENTINO
Tìifcepoh d1 Andrea dal Caflagno^ fioriva circa il 1450.
Tette Francefco nella (cuoia d'Andrea da! Caftagno lino
air età dì trem'anni: e fra gli ottimi infegnanienti dei
maeOro, e il grande ftudio ehV fece intorno alla manie-
ra di Fra Filippo Lippi » molto fi approfittò nell'arte
della pittura. Delle prime opere, ch'e'mettefle in pubbli-
co, fu una tavola a tempera per la Signoria di Firenze,
in cui rapprefeniò la Vinta de' tre Magi al nato Media,
che fu collocata a mezza fcala del Palazzo. Per lu Cappella de' Cavalcanti
in Santa Croce, lotto la Nunziata di Donato» dipinte una predella, con
figure
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FRANCESCO DETTO PESELLO. ni
figure piccole difterie di San Niccolò. In proceflodi tempo, quella pre-
della d' Altare li era di mala maniera feommefla ; onde un Sagreftano di
quella Ghiela ebbe per bene il farla rifare di nuovo in forma di grado di
Altare ; ed a quello, che fece la fpefa, che fu Miehelagnolo di Lodovico
Buonarroti, pronipote del gran Miehelagnolo Buonarruoti, donò la ta-
vola , dove erano dette ftonette rapprefentate, che da quel Gentiluo-
mo, fingolariflìaio amatore, e non ordinariamente pratico di quelle ar-
ti , fu adornata con ornamento d' oro , e pofta nella fua bella Galle*
ria , dove al prefente fi vede. Per la Cafa de'Medici colorì una bella
fpdliera di animali: e dipinte ancora molti corpi di caflbni, con ifto riette
di gióftre, di cavalli, e battaglie di beftie, molto al vivo. Per la Cappel-
la degli Aleflandri in San Pier Maggiore fece quattro ftonette di piccole
figure di San Pietro, San Paolo, San Zanobi, e San Benedetto. Per li Fan»
ciulli deHa Compagnia di San Giorgio, colorì unCrocififfo con San Gi-
rolamo e San Francefco: e una tavola di una Nunziata per la Chiefadi
San Giorgio . In S.Jacopo di Piftoja fu pofta una fua tavola, dove figurò
una Trinità, S. Jacopo , e San Zeno. Per divertì Cittadini fece più qua-
dri e tondi, de* quali alcuni fi veggono fino a* noftri tempi. Fu quefta
artefice molto afliduo al difegno, e di natura affai trattabile e cortefe ,
non perdendo mai occafione che fé gli prefentafle di fare al compagno
piacere e fervizio . Ebbe un figliuolo, che pure fi chiamò Francesco»
che fu cognominato Peièllino , e attefe ancora egli alla pittura, del quale
a fuo luogo fi parlerà. Trovo in antiche memorie di quefta città efler
feguìta la morte di Pefello a' 29 di Luglio 1457. ed etTergli ftata data fe-
polcura nella Chiefa di San Felice in Piazza, notizia, che fotto gli occhi
di altri, che parlarono di lui, non fo che ila pervenuta.
DELLE
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I2Z
* ' * *
D E
E
NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE VII
E PARTE IL DEL SECOLO III.
DAL MCCCCLX. AL MCCCCLXX.
AGNOLO DI DONNINO
Credefi della fittola di Cofano Roffclli, fioriva intorno al 1460.
E' tempi, che operava in Firenze Cofimo floflelli, efer-
citò T arte della Pittura nella medefima Città Agnolo
di Donnino, che fu amiciffimo dello fteflb Cofimo;
e per cagione della maniera eh'e' tenne, fi crede anco-
ra eh' e* fofle .della fua fcuola; tanto più, che trovali
avere lo fteffo Agnolo fatto di fua mano il ritratto al
naturale di Cofimo. Quefto pittore difegnò eccellen-
temente, e neir operar fuo fu diligentiflìmo. Nella
loggia dello Spedale di Bonifazio Lupi in yia di San
ìallo, in fondo della medefima , in quella parte che guarda verfo Tra-
lontana, dipjnfe il peduccio della volta, in cui rapprefentò una Trinità
G
m
con più figure appreflb: e accanto alla porta (qcq vedere alcuni poveri
«omini e donne, in atto di eifere ricevuti nello Spedale dallo .Spedaliere,'
e fé ce vi
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AGNOLO DI DONNINO. i.*j
e fecevi una figura di San GiovambatìiUr opere veramente tanto belle »
quanto mai fi forTe potutodeftderare in quella età. Una delle prime opere,
che facefle quefto artefice a frefco, direi» che folle data una Vergine,col
BambinoGesù, unSanGiovambatifta, un Santo Stefano, con San Pietro»
San Haitiano, e altri Santi, e una Trinità, le quali figure occupano tutta
l'interior parte di una bella Cappelletti, che è in fuìla piazza di un vil-
laggio, detto Calcinala, nel Popolo di Santo Stefano a Calcinala, in fui
Poggio poco dittante dalla Ladra, e lei miglia lontano dalla città dì Fi-
renze: la quale opera avendo io con grande agio potuta vedete e conli-
derare, per efl'er'elTa viciniffima ad una mia villa t non mi ha quali lafcia-
to di dubitare dell' efier' erta fattura der fuoi pennelli ; ma però delle
prime cofe fue, come io già diceva; giacché coli' avere ella in fé tutto
il fare di quefto pittore, non lafcia di feoprire una certa fecchezza ne*
dintorni, la quale non fi vedde poi nell'altre pitture fue. Raccontali di
lui, che per eflercftato tanto affezionato allo ftudio, fpenderle egli tanto
tempo ne! difegnare, che poco poi gliele rimanerle per condurre i lavori,
ondepoveriffimo e mendico fé ne morirle; ma viveri egli però fempre nella
memoria degli uomini, per la fua molta virtù: laquale,al certo, per quanto
poteva voierfi da' littori di quel tempo, non fu ordinaria, ma Angolare .
mommi          «i-»V «i»m»n--»-»L»l»u, fca
TEODORO DIRECK
Df HAERLEM PITTORE
Si crede Difcepolo d'Alberto Vanwwater,
Fioriva del 1460,
'Altre volte nominato Carlo Vanmander Fiammingo,
atterra,che folle opinione molto ricevuta ne* Paefi Baffi,
che la città d' Haerlem ne' primi tempi, che in quella
parte cominciò a fiorire la Pittura, forte quella, che pro-
ducerle i migliori maeftri, e più rinomati di ogni altra
città; ed oltre al teftimonio, che fanno di ciò le opere
' d'Albert Vanwwater e di Geertgen di S. Jans $ non
falciano di farlo anche chiaramente conofcere le pitture di Teodoro
Direck d'Haerlem < Non è noto, di chi egli forTe difcepolo; ma per ragion
de' tempi e dell' operar fuo, non è in tutto improbabile, eh' egi' impararle
Parte dallo ftefto Albert Vanwwater. Abitava queiV artefice nella ftrada
detta della Croce, poco lontano dagli Orfanelli, dov' era un' antichiil-
ma facciata, con alcuni ritratti di rilievo. Si tien per certo, che egli an-
dtitTe ad operare in varj luoghi, e eh' egli confumaffe qualche tempo di
tua
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           _________________________________________________________________________________________________________________________________
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124 Dtcenn. VII. è Pdrt. IL delSec> 111 dal 1460. al 147 o.
fua vita nella città di Lovanio in Brabanza* A Leiden era di fua mano
un quadro dov' egli aveva figurato un Salvadore, e ne' due fportelli San
Pietro e San Paolo, grandi quanto il naturale. Sotto quello quadro era-
no fcritte in lettere d'oro le feguenti parole : Mi ha fatto in Lovanio V an-
no della Natività di Crifto
140*1. Direck, nato a Haerlem, gli fia eterno ripofi.,
I capelli e le barbe di quelle figure erano molto morbidi e delicati , e
fatti di una maniera, fecondo ciò che attefta il nominato Autore, più
tenera e paftofa di quello, che fi ufava poi ne' tempi di Alberto Duro ;
ed i contorni erano tnen feechi di quelli, che fecero dopo moki anni i
pittori, dopo aver vedute le opere dello ftefib Alberto, Vedevafi quello
bel quadro 1' anno 1^04. in cafa un certo Jan Genebz Buytewegh.
GIO BELLINI
CITTADINO VENEZIANO
PITTORE
Difcepolo di Jacopo "Bellini fuo Tadre, dipigneva nel 1464,
morto nel 1 51 5.
Iverà, quanto durerà il mondo, la memoria dì quello artefi-
ce, il quale, coli' amore eh' egli ebbe agli ftudj deli' arte
della pittura, coli'ottimo godo fuo, colla nuova, e bella
maniera dì colorire, fi laiciò addietro molto e molto il fecco
e duro modo degli altri, che in quelle parti avanti a lui
operato avevano ; intantochè potè ( come fuo maefiro )
infoncjere nell'animo del gran Tiziano le prime idee dell'operar perfet-
to. Veggonfi le fue pitture fino dal 1464. Fu (ingoiare nel dipignere im-
magini facre, alle quali diede maravigliofa devozione. Piacquegli il com-
partire la proporzione delie fue figure, per ordinario, di forma minore
del naturale, facendole in tal modo campeggiare in grande fpazìo. Operò
diligentemente, a fegno che fra le fue pitture non fi vede uccelletto,
o altro piccolo animale, erba, fiore, e fino i piccoli faflolini, che non
frano interamente finiti. Usòdipigner ferapre fopra le tavole, comechè
a tempo fuo poco o punto foflero in ufo le tele. Non è poflìbile a dire,
quanta foflTe I* oneftà del fuo pennello, concioflìeeofachè non fi fia trova-
to alcuno fino ad oggi, che traile molte fue pitture abbia faputo ancora
vedere una femmina non veftita. Operò moltifllmo nella fua patria in
pubblico e in privato; e da principio faceva i fuoi lavori a tempera ; finche
venuto
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; ;,. I GIOVANNI 'BELLÌNL           n$
tenuto a Venezia Antonello da Meflìna» col modo idi dipignere a olio,
apprefo da Giovanni da Bruggia Pittor Fiammingo ; e da quello aven-
do eflo modo imparato, quello poi tenne femprè. Veggonfi in detta
città, in S. Job, una Vergine con più Angeli, ed il Santo piagato, San
Francefco, San Sebaftiano, e San Luigi» ciafeheduno molto propriamen-
te rapprefentati. In San Giovanni un Salvadore al Giordano. Nella Sal3
del maggior Configlio, a competenza di Gentile fuo fratello, fece due
ftorie de'fatti di quella Repubblica col Pontefice Aleflandro III. la batta-
glia navale di Zeno Doge, e Ottone figliuolo dello'mperador Federigo:
* la ftoria lafciata imperfetta dal Vivarino, e da elfo Giovanni finita, do-
ve fu rapprefentato Ottone avanti al Padre, per ottener la Pace col Pon*
tefice, ed altre. Fece la tavola di Maria Vergine con Gesù, ed alcuni
Angeli nella Sagrestia de'Frati; un'altra tavola pure colla Vergine, ed al-
cuni Santi e Sante in San Zaceheria : un* altra in San Gio. Grifoftomoc
dove dipinfe San Girolamo con detto Santo, e San Luigi: e un'altra nella
Cappella della Concezione in San Francefco della Vigna, nella quale fi-
gurò la Vergine con San Sebaftiano: ed un ritratto al naturale. Moltifiime
opere fece per quella città e fuo flato, che lungo farebbe il raccontarle.
Finalmente Tanno 1515. e della fua età il novantefimo, fé ne pafsò avita
migliore. Di quefto pittore parlò 1' Arlotto, chiamandolo Gian Bellino.
» ' ■ ■ I                              ' —■■——»» .il 1 'I WM—I il         , _j,.....(in r{ ~-           1 - -         111 I 'il il              il
PIETRO PERUGINO
PITTORE
Difcepo/o d' Andrea del Verricello, nato 1446. #
Ipi n fé quello maeftro nella città di Firenze, e per molte
città e luoghi d' Italia e fuora , e fempre eccellente-
mente, e di così buon gufto, e maniera, che meritò di
aver per difcepolo il gran Raffaello da Urbino, che pre-
fo il fuo modo di operare, lo ritenne per qualche tempo «
Veggonfi in Firenze di mano di Pietro molte belle ope-
re: e fra quelle, due tavole nella Chìefa delle Monache
di Santa Chiara •. due nella Chiefa vicino alla Porta a San Pier Gattolini,
che fu de' Padri Gefuati, Religione a'tempi noftri rimafa fopprefla. Per
quelli fece anche belliflìme pitture a frefeo pel loro Convento di San
Giulio fuori della porta a Pinti, che inlìeme con elfo Convento furono
disfatte 1' anno 1529 per l'afiedio-di Firenze. Vedefi anche di fua mano
una Pietà a freko nella facciata del muto della Cappella della nobi\ fami-
glia degli Albizzi,dietro alla Chieia di San Pier maggiore, fopra una fcala
che
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I%6 Decenti. VII. e Pan. IL delSec.JU. dali$6o.0/1470.
£&fe ptf^t In. sff* Ghiefa , opera tanca Itelk, eh* oxAh èì pia 6' puè dire ^
Qpeiò iiARcunt^n©! Palazzo Fonrificio eofe belliffime, che poi furon man.
^^ ajeri-a ^cfp.po.éi Papa Paolo HI. per jàr la facciata, dove il Divìn
ì$icfcel8|§noJ|o àlpAnfe Funiverfal Giudizio. Colori una gran Yok$ in Tor-
jg% Borgia,; e nella. Ghiefa di San Marco una ftoria di due Martiri, che fu
avuta In gran pregio* Fece per diverfi mercanti mokiflìmi quadri, quali
con molta propria utilità, e gloria di quell'artefice, mandarono in diverfe
p^tiuò^ luondo. Dipinte una tavola per la Chiefà di San Francesco, ed
Wà f$$ quella di S. Agoftino, ed altre per la città di Firenze . >Jè refto
Rifugiai fùa patria fenza gran numero di bellifiìme fue opere, che per bre-
vità fi tralaiciano. Scoperfe il Perugino una vaga e nobile maniera, che
@ftendo da tutti dsfiderata, furono mol ti ili mi coloro, che di Francia,
Spagna,, AJemagna, ed altre Provincie d' Europa fi portarono in Italia
pe^ appenderla ; onde fu, che ebbe difcepoli infiniti : e fra quelli» come
ftè detto, il gran Raffaello da Urbino. Pervenuto finalmente ali*età di
anni78. fini la vita l'anno 1524, nel Gattello della Pieve,dove fu* onore-
igojmente fepoito, Fu Pietro molto avido del danaro , nel quale aveva
gran fiducia; onde non è maraviglia, s'egli è vero quanto neferifle il Va*
ferì, che egli foffe uomo di poca pietà, ed in materia di Religione, di
opinione a modo fuo,
»^p^»»>M»^«MM*»>»»M^«WMlpMI»«»«»ji|ii"i'il'|i        "•*jii'm.j^»,w!p>~mmmmmem—m*rmÉmmmtm^mliiim-***mmÉÈiMm[i.....■ l in 'III——» e ■■■■■ [ i,i,h.i_ìi
PIERO DI COSIMO
PITTORE FIORENTINO
Così detto, perche fu difiepolo di Cofimo RofieMy
nato
1441. %r 1521,
JPWBFftt ti^-ccLuc Piero di un tal Lorenzo orafo, e fin dalla prima
9il%wi * et^ ^u P°^° ^ padre nella in quei tempi fioritifTima
^WVW % fcuola di Cofimo Rofièlli -a e perchè egli era, come fi fuol
pSBf/ftvw u *^re ' ndCO P*ccore» avanzatoli in breve tempo di gran
SlBjjffJgk^ M lunga Copra tutti i Tuoi condifcepoli, arrivò a formarli
@G|g|i3^JK una maniera molto vivace, e tutta piena di beiliiìlme e
GBWF^WNPf varie fantafie . A quello, molto P ajutò, oltre all' amore
ed indefefla applicazione all'arte, Pavere una natura malinconica, ed efTcr
dì così forte immaginativa, che mentre flava operando, non lenti va i di-
morfi, che intorno a lui fi facevano, da chi fi folle. La prima fua appli-
cazione fu Pajutare al maeftro fuo, che vedendofelo fuperiore in tutte le
facultà, appartenenti a quella profeflìone,molto Tene valfe nell'opere,che <
fece in Firenze e in Roma . L* accennata fua natura, fifla e malinconica,
operò
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TIERO DI COSIMO. nj
«però in lui una gran facilità* e felicità in far ritratti al naturale fòmigliart-
tiiììmi, de* quali ne fece molti nel tempo, che flette in Roma: e fra ^us-
ili belliflimo fu quello del Duca Valentino Borgia^ d'infaufta memoria.
Capitategli alle mani alcune cole di Lionardo da Vinci» diede!! a colori-
re a olio ; e benché non gitigne/Te di gran lunga al fegno, fi affaticò però
molto per imitare quella maniera. Vedefi di fua mano, fino a'predenti
tempi, nella Ghiera di Santo Spirito di Firenze, una tavola all'Altare
della Cappella de*Capponi, ove rapprefentò Maria Vergine, in atto <l«
vilitare Santa Elifabetta : e fìgurovvi un San Niccolò molto bello > ed uft
S. Antonio, in atto di leggere, aliai naturale efpiritofo. Fece anche la
tavola di San Filippo Benjzzi, colla Vergine ed altri Santi, per la Cap-
pella de* Tedaldi nella Chiefa de'Servi» "la qual tavola pochi anni fono
dal Serenmimo Cardinal Leopoldo di Tofeana, di gloriola memoria, fu
levata , cori far porre in ftio luogo la bella tavola, che oggi vi fi vede
fatta da BaldaiTarre Volterrano : e quella di Pier di Collirio retto appreflò
di Sua Altezza ReverendifEma; fece anche una tavola per la Chiefa di San
Pier Gattolini, poi rovinata per Paìfedìo del 1529 dove dipinte Maria
Vergine fedente con quattro figure attorno, la qual poi fu polla in Sari
Friano, Dipinfe inriniti quadri per le cafe de* cittadini, e colorì molte
fpalliere di camera con belle bizzarrie. Aveva cortei nello ftraniffimo cer*-
vello fuo un mondo nuovo di ftravagantiflimi capricci, e andava inven-
tando divelle forme d'animali, colle più nuove e fpaventofe apparenze,
che immaginar fi pofla.» de'quali (fatti colla penna) aveva pieno un li-
bro, che reftò poi nella Guardaroba del Sereniamo C^ftmo I. Similmente
fece figure, facce di latin, mafchere, abiti, iftrumenti, e altre cofe fatte
dalla natura, o inventate dagli uomini, itorcendo il tutto a feconda del
fuo fantaftico umore ; onde, oltre a quanto in quella parte operò in di-
Verfì quadri e fpalliere per le cafe de' particolari, fu anche molto adope-
rato in trovare invenzioni di pubbliche fede e mafeherate, nelle quali
fu maravigliofo, ed a tempo fuo cominciarono a farli nella città con in*
venzione e pompa, di gran lunga maggiore di quel che pel parlato fi era
fatto: e fu egli V inventore di quella tanto famofa, che avanti al 1512.
fu fatta, in Firenze in tempo dì notte, con cui rapprefentavafi il Trionfa
della Morte, che per elTer da altri Hata deferitea, non ne dirò di vantaggio.
Ponevafi egli alcuna volta come efìatico a guardare i nuvoli dell* aria, o
qualche muro, dove per lungo tempo folle Irato fputato; e da quelle mae*
chie cavava invenzioni di battaglie, di pae(ì, di fcogli, di figure, e ani*
mali i più fpaventofi, che immaginar lì poffi. Né fia chi lì maravigli » che
Piero foilè cosi Urano ne'concetti» e negli ltudj dell'arte fua, perchè tale
appunto fu egli fempre nel trattamento di le medefimo in ogni fua azione,
benché peraltro forTe un buon uomo. Fin da quel tempo, che pafsò al-
l'altra vita Cofimo fuo maeftro, egli fi ritirò in una cala (diceli nella via
dettaGualfonda) dove llavafene folo e ferrato, per non efler veduto la-
vorare; ed arrivò a tale così fatta ftravaganza, che avendo egli a fare per
lo Spedalingo degl* Innocenti una tavola per la Cappella de' Pugliefi, all'en*
trar di Chiefa da man fìniftra, tuttoché lo Spedalingo foffe fuo amiciflìmo,
e tuttavia
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128 Decénn. Vlh e Par. IL JelSec. HI. dal 1460. al 147 o*
e tuttavia gii fomminiftrafTe danari, non fu mai pofllbile, eh* e* potefle
vedere quel eh' e' fi faceffe. Finalmente, credendo di coglierlo, venuto
che fu il tempo di dargli gli ultimi danari, negò di farlo, fé prima non
vedeva l'opera; ma gli rifpofe Piero, che avrebbe gualcato tutto quel che
aveva fatto, tantoché allo Spedalìngo convenne aver pazienza, e veder
la tavola quando volle Piero. Stavafi in quella fua folitudine affai crafcu-
ratamente. Non voleya che fi fpazzallero le ftanze, né ebbe mai altr'ora
determinata per mangiare, fé non quella, nella quale era colto dalla fame;
econfifteva la fua cucina in afibdare ad ogni tanto gran quantità di uova
nel tempo medefimo, e nella medefima pentola, dov'ei faceva la colla,
e poi ripoftele in una fporta , andavafele confumando appoco appoco,
fen-z' altra convenzione, che di fé medefimo, biafimando ogni altro mo-
do di vivere, come egli diceva, men libero di quello . Nell'orto di quella
eafa vi eran piante di fichi con altri frutti, ed alcune viti ; querce pur©
voleva, che viveflero a modo loro, e guai a quello, che gli avelie ragio-
nato di zappar la terra attorno, o potarle . Diceva egli che le cofe della
Datura dovevanfi lafciar cuftodire a lei fenza farvi altro, e così i tralci del«-
le viti ricoprivano la terra, ed i rami de' frutti erano talmente moltiplì*
cati, che quell'orto era diventato una ben denfa boscaglia. Come in que-
fto, così in ogni altra cofa era di umore al tutto contrario agli altri uo-
mini, e tirava i difeorfi a certi fenfi, che era un gufto il fentirlo. Aveva
grande invidia a coloro, che muojono per mano della Giuftizia; perchè
parevagli una bella cofa l'andare alla morte vedendo tant' aria, e V efTere
accompagnato da tanto popolo, e da tanti, che pregan per te ; altrimenti
che ftarfene racchiulb neiroicurità di una camera, e di un proprio letto t
e moltiflìmo ftimava poil'ufeir di quello mondo ad un tratto, fenza cade-
re in mano de'medici,e degli fpeziali, i quali odiava come la pelle, per-
chè diceva, che fanno i malati morir di fame, di fete, e di fonno, egli
ammazzano con mille martirj. Aveva a noja il piagner de' ragazzi, il toffir
degli uomini, il fonar delle campane , ed infino il cantar de' Frati; riè
guftava altro, che di veder piovere, come fi fuol dire, a ciel rotto, con
quello però, che coli' acqua non fofiero venuti tuoni, o baleni, perchè
era tanto paurofo de'fulmini, che più non fi può dire; in tali tempi fi
rinvolgeva nel ferrajuolo, e ferrati gli ufei, e le fineftre della camera fi
cacciava in un canto della medefima, finché parlava quel temporale. Ma per-
chè gli uomini di così fotta natura, coli' avanzarli nell'età, fogliono dar
fempre in peggio; conduflefi finalmente Piero già ottogenario a flato di
tanta faftidiofaggine, che era venuto a noja non che agli altri a fé medefimo.-
e non voleva, che * fuoi giovani gli fteffero attorno, ficchè reno fenza
ajuto , e conforto alcuno, e come quello, che per lungo corfo di vita fi
era afTuefatto a far fempre qualche cola nell* arte fua, fi poneva alcuna
volta adipignere» ma perchè aveva il parletico non poteva, e mentre fi
adirava con una mano, che non voleva tenergli fermi i pennelli, da quel-
l'altra cadevagli la mazza, o la tavolozza de* colori: ed il vederlo bor-
bottare, e far forza per ifeaponir quel male, era cofa veramente degna
di rifa,e di compaflione . Altre volte entrava in gran collera colle mofche,
e tanto
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TIERO DI COSIMO.
W
e tanto s'jnfaftidiya, che fino l'ombra gli dava nok. Finalmente yuTuco
cosi folo, e male in amefe della perfpna, per qualche tempo » una mat-
tina fu trovato morto * pie di una Jfi#ia délù fua ca& l'anno Ijfl*
m.<H imM»nip^àamm^mt^»mm>*»*éi\mj ,.Li|.,» mm**mm
PIETRO RICCIO
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DifiepMo diLkmrdo d§ Vinci, fiàiva ma d 1460*
t Lomaxzo, nella fua Idea ielCTànpié della Pittura, afferifee .
che qiiefto Pietro fc-fle difcepolo & Uonardo 4a Vinci, * non
Je ne e fin $m aiyuta altra: nofiziaL
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DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE VOI
E PARTE IL DEL SECOLO III.
DAL MCCCCLXX. AL MCCCCLXXX.
ANDREA DELLA ROBBIA
S CULTORE
Nata 1444. $fc 1528.
I Marco della Robbia» fratello di quel famofò Luca, che
fi* inventore delle figure di terra invetriate, nacque
Andrea della Robbia. Quelli fu boniffimo fcultor dì
marmo» ed ottimo imitatore di Luca, Opere delle fue
mani furono in Santa Maria delle Grazie fuori d'Arezzo^
in un* ornamento di marmo affai grande di una Vergine
di mano di Farri Spinelli, moke flgurette tonde, e di
mezzo rilievo* In San Francefco della fteflà Città, una
cotta nella Cappella di Puccio di Magio : e una della Cir-
la famiglia de' Bacci, e moke altre. Nella Qiiefa, ed in
tc
f
altri
%$ iJ itJ. ìa vi.
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:;          ANDREA DELLA ROBBIA. ijt
altri luoghi del Sacro Monte della Vernk, fece altre figure e tavole^
In Firenze in San Paolo deVConvalèfcenti fece tutte le figure di terra
cotta della Loggia, e i putti * che fi reggono fra P uno e 1* altro arco di
quella dello spedale degl' Innocenti. ì E comecché foflè molto (limata e
-defiderata 1* opera fua, e avene anche avuto in forte dì lungamente vU
vgx.q,
ebbe anche a fare altri moltiflìmi lavori, che per fuggir lunghezza
iì -lafciano di raccontare. Pervenuto finalmente all'età di anni ottanta,
quattro, Ce ne pafsò a vita migliore l'anno 1528. e nella Chielà ài San
Pier maggiore nella fé poh ura di quella famiglia fu fepolto. Vedefi il ri"
tratto di lui naturale, quanto mai pò [fa efière, nel Chioftro piccolo ilei-
la Satitiflìma Nunziata, figurato per mano d'Andrea del Sarto nella lu*
netta* dov' elfo Andrea dipinfe i Frati Serviti, in atto di porre le velli-»
menta di San Filippo Benizj fopra la teda de* piccoli fanciulli : ed è un
secchio curvo di perfona,veilito di roflo, che fi appoggia fopra una mazza;
Fu quell'artefice tanto innamorato dell' arte fua, e di coloro, che 1' ave-
vano eccellentemente profetata, tanto amico, che neli' ultima fua vec-
chiezza era (olito di gloriarfi, più diogni altra cola, di eflerfi trovato da
fanciullo a portare il corpo dì Donatello alla fepoltura. Ebbe otto figliuo-
li, due femmine e fei mafehi, due de' quali veftiron l* abito ReligioCo>
dell' Ordine de' Predicatori in San Marco, ammefiì a quello inftituto dal
Padre Fra Girolamo Savonarola, del quale furono femore amici gli uomi-
ni di qupftacafa; anzi elfi furono, che fecero le medaglie, nelle quali efib
Padre vedefi rapprefentato al vivo. Fra' mafehi furono ancora Girolamor
kuca, e Giovanni. Quello Giovanni attefe all'arte, e di fua mano fi ve-
de efiere (tata fatta una gran tavola di terra cotta invetriata nella Chiefa
di San Girolamo delle Monache Gefuate, dette le Poverine, preflb alla
Zecca vecchia, dove rapprefento la Vergine Annunziata, e appreJTo mol-
te figure di; Angeli, e diverfi ornamenti. Fu fatta quell'opera l'anno 15x1,
Di mano di quello medefimo Giovanni, ftimo io fenza dubbio, che fia una
Vergine di mezzo rilievo, mezza figura,, di proporzione quali quanto il
naturale, di terra cotta bianca, cof bambino Gesù in braccio, e tre Che-
rubini fopra la tetta, e con ornamento di vaghiflìme frutte di terra cotta
colorata, che fece fare 1' anno 1524. Alexandre di Piero Segni nella ca-
mera principale del Palazzo nel Gattello di Lari nel Pifano, in tempo che
elfo era Vicario di quel Gattello e fua tenuta; la quale immagine, che
fpira gran devozione, oltre all'-, edere belliflìma, ho io veduta e godu-
ta infieme > coll-occafione di edere in quel governo Tanno io"??, e vera-
mente ella , e per I' aria della tefta, e pel decoro dell' attitudine, e delle
vefti, e per la venerabile maeftà e purità, che ridonda da tutte le fue
parti infieme, talmente rapifee gli animi, che appena può altri faziarfi di
rimirarla. II fegreto di quelli invetriati di terra, mediante una donna che
ufci della cafa della Robbia, pafsò in untale Andrea Benedetto Buglioni,
che vine ne'tempidel Verrocchio . E quello Andrea Benedetto condufTe
in Firenze e fuori molte opere, fra le quali furono un Crifto riforgente,
e appreflò alcuni Angeli nella Ghiefa de' Servi, vicino alla Cappella di San
ta Barbera: in San Pancrazio un Grillo morto: ed in un mezzo tondo,
I a                                   che era
: ^'^':''
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*131 Decerne Fili é Par. Il délSec* IWdal 147 o. * /14 8 o »
che era fopra h poeta principale di Saà Pier maggiore, alcune figure.
Lafciò quetti un figliuolo che fi chiamò Santi Buglioni, che pure venne
in poiTetìò di tal legretoie viveva fino dei 15Ò8. in cui io mi £0 a credere,
che mancarle affatto queu? arte, non emendo a mia notizia, che altri poi
abbia in tal magifiero operato; febbene ne'noftri tempi fi fon provati mol-
ti a ricercarlo, e particolarmente Antonio Novelli Scultore; ma non fi
fon però vedute opere, che molto fi alieni igl ino a quelle de5 nominati mae-
ftri, per le difficoltà che s'incontrano in tale operazione, come più a
lungo diremo nella Vita di tal maefiror Se crediamo a ciò, che fenile il
Vafari». il Io p ranno mi nato Giovanni ebbe tre figliuoli, Marco, Luc'An^
tonio, eSimone, i quali tutti morirono di pefte Tanno 1527. Luca, e
Girolamo attefero ancora elfi alla Scultura: il primo operò d'invetriate
ddigentiiBraamente, e fu quello, che per ordine di Raffaello da Urbino fece
ì pavimenti delle Logge Papali, come ancora quelli di molte camere, ne*
quali elprefle 1' imprefa di Papa Leone. Girolamo il fecondo lavorò di
marmo, di terra cotta, e di bronzo; e molto gli giovò per -farli un gran-
de uomo la concorrenza di Jacopo Sanfovino » e del Bandinello. Fu poi
condotto in Francia a* fèrvigj del Re Francefco, pel quale, come quegli
che era univerfaliflimo, fece molte opere, particolarmente a Marlì, luo-
go non molto lontano da Parigi. Lavorò molto di terra in Orleans; on-*
de in breve divenne ricco. Qui il Vafari piglia un grand'equivoco, af-
fermando, che nella peirfona di lui, che mancò in quelle parti, fi fpe-
gneffe la cafa della Robbia; perchè quello Girolamo di Andrea, che di
Maria Altoviti fua moglie ebbe un figliuolo chiamato Jacopo r ed urt
altro, che pure anch'elio ebbe nome Girolamo, il quale in Fran-
eia di Madama Luila de Mathe ebbe tre figliuoli, cioè Andrea , che fé-
guitando la milizia, pervenne al grado di Capitano, e non ebbe moglie;
e Pier Francefco, e ha fu Scudiere della Maeftà del Re, Signore di Bel Luo-
go, il quale di Madama Francefca Chovard ebbe Carlo Gran Configliere
del Gran Configli» di Franca, che fi fposò con Madama Diana Picart: e
Girolamo Cavaliere e Scudiere del Re, Signore di Gran Campo, il quale
pure di Madama Antonietta Grenier fu* moglie non ebbe figliuoli. Di
Carlo e di Diana Picart fua donna nacque Guido, che mancò in fanciul-
lezza, e Fr ncefea, che fu moglie di Carlo del Maelìro, Signore di Gran
Campo; e in quella Francefca ebbe in Francia fua fine la cafa della Rob-
bia rinnovata però in Carlo, figliuolo di effa Francefca, e di Cado del
M eftro fuo marito, il quale dal nominato Girolamo r. Signore di Gran
Campo, e maggiornato della f imiglia della Robbia, fu chiamato a gran parti
di fua eredità, con obbligo di pigliar Pìnfegne e'1 cafato. Vediamo adeffe*
ciò, che fegul di tifa famiglia in Firenze* Il noftro Andrea ebbe due fra*
telli, cioè Giano, e Simone. Di quello Simone nacque Filippo Ifidoro
Ab ite» e Luca, che fu di Configlio P anno ificv e di quefio un Lorenzo,
padre fu di Luigi, il qual Luigi ebbe per contorte Ginevra Popolefchi,
nata di Siiveilro Popolefchi, e di Ginevera di Carlo Barberini, padre di
Antonio Barberini, del quale Antonio nacque Maffeo, che fu Papa Ur-
bano Vili, di gloriofa memoria, il nominato Litigi della Robbia, figliuo-
lo di
\
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ANDREA DELLA WBB1A.          13$
10 43$ Lorenzo, ebbe dalla Ginesrera Popoleschi molti figliuoli mafchi, e
femmine.- fra i mtfchi fu Marco, poi FraGio, Domenico .-dell' Ordine de1
Predicatori, Vefcovo di Berti noro, Silveflro, poi D. Ifidoro Abate, fi ere»
de Caffinenfe, che pòi fuceeffe ai fratello Gio. Domenico nel Vescovado
di Bertinoro; e Lorenzo Canonico delia Metropolitana di Firenze, j3o£
Vefcoyo di Cortona, e finalmente di Fiefole, e Rettore del Seminario Fie-
folano, che morì l'anno 1645. e in quello finalmente è reftata eftinta cale
famiglia, la quale con tanto fplendore e gloria , in Italia e in Francia fi
è mantenuta fopra 150, anni da quel tempo che il Vafari la diede per
eftinta: e viene anche oggi, per così dire, propagata In*Francia nella
nobil famiglia del Maeftro : ed ancora in Firenze , come ora fiamo per di-
re, cioè, che lo fieno Luigi di Lorenzo della Robbia ebbe una far élla*
chiamata Laldomine, maritata a Luigi Viviana nobil Fiorentino, della
quale nacque un altro Luigi : e di quello due figliuoli, cioè Francefco
Cavaiier Priore della Religione di Santo Stefano Papa-e Martire, primo
ùive.ftko .del Priorato, inftituito da Lorenzo della Robbia il Vefcovo Fie-
folanp nel fuo Teftamento, coli' obbligo di portarne il cafató della Rob-
bia; e Donato Luigi Viviani, Avvocato dei Collegio de' Nobili* je Sena-
tore Fiorentino, Gentiluomo, che per integrità, e dottrina è da tutti
ftimatiffiiiio, dal quale io ho ricevuto parte delle notizie di queftaCafa,
della quale, per maggior chiarezza, porremo T Albero appreiìb a qmfta.
Narrazione^
"'.'■■."' •"', ji             :■'.' ' i                  ; ■' ' ! ,'■ ■'•',{■':            : \<: ' .- > '                 •■'■•' \'t ,;;, i:."'.; '. '.fili >»»>' ■<■'■.'. \ f "CÌ
t—fnir \ ■■! . j          li j in. ^.11,1 1 w 1 mm ■■!■!           i m, i « m .»., » , , , ■■.                                 i ;■ ■ n         nm I I in in, ìém
DAMIANO BELCARO
SCULTORE GENOVESE
Fioriva in quefli tempi.
■ ■                                                                                                                                                                           ' "                                       '                                                                       '                                        . ' ., ì
ON farà del tutto fuori del noftro propofito il far men-
zione di Damiano Belcaro Genovefe, il quale noi giu-
dichiamo, per un certo fuo particolare talento nell' in-
tagliare piccolifllme figure , meritevole di memoria è
Quelli dunque giunfe a far vedere di fuo intaglio eoa
fuo quali inviiibile fcarpello, efle figure nella fuperficei
d'un nocciolo di ciliegia. Sopra un nocciolo di pefea,
intagliò tutti i Mifterj della Sacrofanta Pafllone di Gesù Crifto noflro Si-
gnore; e fopra altri di varie frutte, più facre rapprefentazioni, non len-
za ammirazione de' virtuofi del fuo tempo.
I 3                                DOMENICO
%
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DOMENIGO DEL GHIRtANDAja
PITTOR FIORENTINO
Difeepofa df <Akjfo Batdovinetti7 nato 1451. $* 1495.
U Domenico del Ghirlandaio, ficco me io trovo in antiche
fcrkture, figliuolo di un tal Tommafo di Currado di Cor-
di, che fi etèrei ta va nella Profetinone dell' orafo , che ol-
tre all'aver fatto di fua mano tutti i voti d'argento, che
fi confervano nell'armadio della Santiflìma Nunziata, e le
lampane della Cappella della medefima, le quali tutte co-
fe per l'attedio dì Firenze l'anno 1529 furon disfatte; fu
anche il primo» che trovarle l'invenzione di certi ornamenti del capo
per le fanciulle Fiorentine* che fi chiamavano ghirlande, dal che acqui-
fio il nome del Ghirlandaio. Quello Tommafo dunque, riconofcendo
in Domenico uno fpirico molto vivace; e parendogli perciò doverne trar-
re grande ajuto, lo pofe nella propria fua ftanza ad imparar 1' arte fua.
Dicdpd il fanciullo con tale occafione allo Audio del difegno, e fin da
quella prima età eravifi cosi bene approfittato, che ritraeva coloro, che
paiTavano dalla fua bottega, dando loro in un fubito, con pochi fegni
ibmiglianza. Lafciata poi la profeflìone deir orafo, d diede in tutto e
per tutto, nella fcuola di Aleflb Baldovineni, allo Audio della Pittura,
e in poco tempo divenne ottimo pittore. Vedefi di fua mano a* noftri
tempi in Firenze la Cappella a frefco-di Francefco Safletti in Santa Trini*
ta, con iftoriedi San Francefeoi oveinquelfa, che rapprefentail fanciullo4
rifufcitato dal Santo, ritraile Mafo degli Atbizzi, MeÌ9. Àgnolo Aeciajuoli,
e Mefs. Palla Strozzi, cittadini molto celebrati nelle norie di que'tem-
pi. In quella, dove rapprendente San Francefco davanti a Papa Onorio,
dipinfe il Magnifico Lorenzo, il Vecchio, de' Medici: e dalle parti late-
rali della tavola, fece i ritratti di Francefco Sailétti, e di Mona Nera fua
donna. Nella volta colorì alcune Sibille; e nella fronte, oggi mezza im-
biancata, eiìericre dieffaCappella, figurò la Sibilla Tiburtina, e Ottavia-
no Imperadore. Fu poi chiamato a Roma da Siilo IV, e per lui dipinfe
nella fua Cappella due fiorie, cioè, quando Griffo chiama air Àpopolato
Pietro e Andrea; e la Relurrezione del Signore. Tornato a Firenze f
fece nella Chiefa degl' Innocenti la tavola de* Magi; e in Ogniflantf, a
concorrenza di Sandro, detto il Botticello, Colori a frefio un San Girola»
mo, che già nel tramezzo di quella Chiefa era allato alla porta dei Coro;
levato poi il tramezzo, fu quella figura trafpottata alla parete nel mezzo
dieiiaChiefa, da quella parte, che entrando in Chiefa, torna a mano fini-
ftra-. e nella medefima Chiefa dipinfe ancora la Cappella de'Vcfpucci,
E* di fua mano la Vergine a frefco, che fi vede oggi fopra la porta di
Santa Maria degli Ughi, a cui è flato ne* moderni tempi dato di biancoj
*                                        onde
#•
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DOMENICO DELGHIRLANDAJO. 13 $
onde quella pittura più non fi vede ; e la Cappella maggiore di Santa Maria
Novella della famiglia de*Ricci,che fino da ióo. anni avanti al tempo del
Ghirlandaio era fiata dipinta da Andrea Orgagna ; ma a cagione di un ful-
mine caduco in quel luogo, e della poca cura, che n'era (lata avuta dipoi,
eranfì quelle pitture ridotte in cattivo dato» come altrove s* è detto.
Dìpinfe il Ghirlandaio quefta Cappella ad inftanza di Giovanni Torna-
buoni: e vi rapprefentò norie delia vita di Maria Vergine, di San Dome-
nico, e di San Pietro Martire: e diedela finita in quattro anni, cioè del
1485. Nella ftoria di G io vacchino, cacciato dal Tempio, nella pedona ài
un vecchio rafo in cappuccio roflb, ritrafle dal naturale Aleflò Bakiovi-
nettì fuomaeftro: in un altro, con mantello roflb, e cor» una mano al
fianco, che ha fotto una vefte azzurra, figurò fé medefimo. Vi è ancóra
Baftiano da San Gimignano, fuo cognato e difcepolo» rapprefentatovi in
perfona d' uomo con labbra grolle; un altro che volta le fpalle, e ha i'if
teda un berrettino, è Davit Ghirlandaio fuo fratello; in altra ftoria , dov* è
l'Angelo, che apparifte a Zaccheria, ritrafiTe moki cittadini, e fra efli tutti i
giovani e vecchj di cafa Tornabuoni: e vi fon quattro mezze figure fat-
te al naturale , de'quattro maggiori letterati, che avefle in quel e m pò la
noftra città, cioè Marfilio Ficino, in abito Canonicales Cellofano Landi-
no,con un mantello roflb, con una becca nera al collo ; Demetrio Calco-
condile o Calcondile Ateniefe, allora detto Demetrio Grecò, in atto di
voltarli a lui : e quegli, che in mezzo a quelli tre alza una mano, è i'eru*
ditiifimo Angelo Poliziano. Neil* altra ftoria delia Votazione di Maria
Vergine e Santa Eliiabetta, fra alcune donne, che efla Vergine accom-
pagnano, ritraile Ginevra Benci, beliiflìma fanciulla Fiorentina. Dipin-
te ancora fopra l'Aitar maggiore la tavola ìfolata, ed altre figure, che fo-
no ne?fei quadri tutti a tempera, benché dalla parte di dietro, dov' è là
Refurrezione di Crifto, reflatfero imperfette alla morte di lui alcune figu-
re, che furon poi finite da Davit e Benedetto fuoi fratelli. Era flato
deliberato in Firenze ne* tempi di quefto artefice, che fi dovefie fare nel
Palazzo de' Signori due ftanze nobili, una che dovefie fervire per l'Au-
dienza, e V altra per Sala: ed eflendone fiata data la cura a Benedetto da
Majano, aveva egli già effettuato un fuo ingegnofo penfiero di cavarle
tutte e due nello fpazio, che rifpondeva fopra la Sala de'dugento, fa-
cendo, che il muro, che la Sala dall'Audienzadivide, tuttoché pofto in
falfo, quali in fé medefimo, e con poco appoggio, a maraviglia fi reggette ,*
onde eran rimafe finite 1* Audienza, che è quella ftanza, che poi fu dipin-
ta da Francefco Salviati con ftorie del Trionfo di Cammillo : e la Sala,
che avanti di giugnere a quefta s'incontra, la quale da un maravigliofo
orivolo, che vi fu pollo, fatto dal celebre Lorenzo dalla Golpaja, fu detta
la Saia deli'orivolo, benché ne'noftri tempi abbia perduto tal nome, e fia
chiamata la Sala de' Gigli. Doveafi dunque dipignere quefta Sala, onde al
noftro Domenico, riconofciuto allora de'migliori maeftriche maneggiale
pennello , ne fu data l'incumbenza: il quale nella medefima dipinte le fi»
gure de'Santi Fiorentini, e gli altri belli adornamenti, che fino ad oggi
vi fi veggono, che in riguardo di loro antichità, poniamo dire aliai ben
I 4                           confervati.
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ij5 Decenti. Vili ePartJLdelSec. Ut datilo, al 1480.
confervati. Es di mano di Domenico una belliflìma tavola nella denomi-
nata Sala di Palazzo Vecchio, detta de' Dugento, dov* è Maria Vergine
col Bambino Gesù» e più Santi Fiorentini i e fono fue opere una tavola
di San Pietro e San Paolo in San Martino di Lucca ; e altre in Pifa, Ri-
mini, e diverfe altre città d'Italia. E nella fteffa noflra città di Firenze
fono di (uà mano moki tondi dipinti fopra legname, rapprefentanti im-
magini del Signore, di Maria Vergine, e d' altri Santi, Fu quello picco-
le molto eccellente nel lavorare di Mufaico, arte, che egli imparò da
Aleflo Baldavinetti ; e di Aia.mano è quella,che fi vede nell'archetto fo-
pra la porta di Santa Maria del Fiore^ che va verfo i Servi. In ultimo,
lotto '1 patrocinio del Magnifico Lorenzo de' Medici, prefe a dipjgnere
principio, tu nei 149546 nella iua età d'anni 44. iopj
giunto dalla morte. Deve molto a Domenico V arce della Pittura r e il
mondo tutto r non tanto per aver egli affai arricchirò e facilitato il mo~
do di operare di Mufaico, da quello che avanti a lui il teneva,- quanto per
efler' egli ftato il primo, che incomineiafle a lafciar l'antica e goffa ufanzs
di dipigner panni guarniti di fregiature d'oro a mordente,- cominciando*
in quel cambio ad imitar le guarnizioni ed altri loro abbellimenti co* coc-
iori : ed ancora per aver lavorato così bene a frefco, che molte opere fue r
efpofte a tutte T ingiurie de1 tempi, fi fon confervate intatte i fecoli interi.
E molto più gli fona obbligati V arte e gli artefici, per effer egli ftato quel
maeftro, che al Divino Michelagnolo Buonarruoti infegnò i principi del
dif gno. Trovo effere ftata moglie di Domenico una tale Antonia di Set
Paolo di Simon Paoli; e non effendo a mia notizia,, che egli aveffe altre
mogli» mi perfuadoche di lei nafceffe il fuo figliuolo Ridolfo? che riuleì
anch' egli pittore eccellentiffimo r ^
tu
ALESSAN*
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*3Ì
^
■                         :
ALESSANDRO FILIPEPI
D E T T O
SANDRO BOTTICELLI
PITTOR FIORENTINO
/Difcepolo dì Fra FiBppo Lippi, nato ì^j.^ 1515. ?"
U Sandro Botricelli, fin da'primi anni della fua pue-
rizia, d' ingegno molto elevato: e moftrò fempre una
più che ordinaria facilità in apprendere tutte le co-
le, che il padre fuo, cittadin Fiorentino, defldferofiffi-
mo del profitto di lui, procurava fargli infegnare; ma
il figliuolo aveva altresì un cervello così (travasante ed
inquieto, che in nefluna cofa trovava fermezza; tan-
toché annoiatoli Mariano, che così chiamavafi fuo pa-
«, .
            , °r,e» * tanta fattibilità, ievollo da ogni altro ftudio, e
ineffeloa bottega dell'orefice. £ perchè pel grande affaticarli, che in que'
tempi facevano gli uomini di quel meftiere, nelle cofe appartenenti al di-
segno, prima di metterfi all'arte, era una gran famigliarità, e pratica fra»
Pittori, Scultori, e Orefici} coli'occasione della convenzione di colto-
lo, comincio il giovanetto a darfi tutto al difegno e alla pittura, tal-
ché avendo in quella interamente fermato fuo genio volubile, fu dai pa-
dre accomodato con Fra Filippo Lippi, il quale così bene 1* inftruì ne»
precetti dell arte, che in breve tempo refelo boniffimo pittore Dal che
m iomma (1 nconoiee euer veriifimo, che non mai Ci adatta l'ingegno del-
l' uomo, tuttoché perspicace ed elevato li manifefti, a cofa, che buona
ila, ogni qualvolta quella alla di lui inclinazione anche confacevole nonfia.
Onde fcriiTe una dotta penna, eflere il gemo una calamita fedele, che può
bene violentata volgerfi all'oppofto della fua tramontana, ma non può e&m*
mait acquietarvi*! tanto, che ella non ferita il forte itimolo della contraria
inclinazione, finche gli venga fatto finalmente il condurr uomo per quella
Via, alla quale lo deìhnò la natura. Quindi è , che dovrebbe eflere il primo
porterò de» padri , che defiderano mettere ì proprj figliuoli nella ftrada
della virtù (ciocche degli Ateniefi raccontano gli antichi Scrittori) il
poire ogni ttudio, prima di ogni altra cofa, nel riconofeerne il genio:-e
poi, fecondo eOo, quegh incamminare La prima opera, che partorì (Te
il pennello di Aieflandro, fu una figura della Fortezza, dipinta da lui fra
le tavole di altre V irtù, che colorirono Antonio e riero del Poliamolo,
ne la Rdidenza del Magiltrato della Mercanzia di Firenze, nelle fpalliere
del tabuliate. Dipinte poi una Tavola in Santo Spirito per la Cappella
de* Bardi,
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138 Decenn. Vili, e Pan. IL del Sec. Ili ^/147 o, #/148 o.
de* Bardi» dove con grande amore è diligenza colorì alcune olive e pal-
me: un' altra tavola per Je Monache di San Barnaba: e una altresì per le
Convertite, Dipoi nella Chiefa d' OgnuTanti dipinfeun S. Agoftino, a con-
correnza di Domenico del Ghirlandajo, che nell'altra parte aveva dipinto
un San Girolamo: le quali pitture erano già finiate nei tramezzo di quella
Chiefa, allato alla porta del Coro,- ma volle il Granduca Cofimo l'anno
1566". affinch' ella fotte più luminofa e capace, fi leVafle il tramezzo; il
che anche fu fatto alle Chiefe di Santa Croce, e di Santa Maria Novella,
di San Remigio, ed altre, dentro e fuori di città, ftando allora il Clero
nel Coro avanti all'Altare; onde fu necelTario, con ordinghi ed inìtru-
menti adattati al bifogno, levar' effe pitture dell' antico luogo , ed in
altro luogo di quella Chiefa collocarle , ove fino al prefente tempo fi
veggono ben confervate. Lavorò molto per diverfe altre Chiefe della
città, e pél Magnifico Lorenzo de' Medici, e per molte cafe di cittadini
condufle gran quantità di quadri, e molti tondi; uno de'quali, ede'mag-
giori, con Maria Vergine e Gesù ed alcuni Angeli, fi vede oggi nella
cafa del Cavaliere Aleflàndro Valori. Ebbe particolar talento in dipigne-
re piccole figure, e vaghe ftoriette, fra le quali bellilììme furono reputate
alcune, ch'egli condurle per la cafa de'Pucci in quattro quadri, ne*quali
egli rapprefentò la Novella del Boccaccio di Anaftalìo degli Onefti. In fu
quel gufio medefimo fece anche per la Chiefa eli San Pier Maggiore, una
già beJlifìima tavola, che fu pofta fopra un Altare dalla porta del fianco,
fatta per Matteo Palmieri, in cui fece vedere l'Aflunzione di Maria Ver-
gine fopra de' Cieli, ove rapprefentò i Patriarchi, i Profeti, gli Apoftoli,
e le Gerarchie degli Angeli; e ho già detto bellitlìma tavola; perchè evlen-
do ella (tata alcuni anni fono aliai trafeuratamente lavata, poco ha ella ri-
tenuto di quel bello* che prima aveva. In quella dipinfe egli eflb Matteo,
quello fteflb, che la fece fare, che fu gran letterato, ficcome è noto; e
fecevi anche la £ua moglie, V uno e 1' altra inginoechioni. Per la Chiefa
di Santa Maria Novella, colorì una tavola dell'Adorazione de'Magi, dove
nella perfona del Re Vecchio, in atto di baciare i pi-di al Signore, ri-
traflè al naturale Cofimo il Vecchio de' Medici: nell'altro Reefprefte l'effi-
gie di Giuliano, Padre di Clemente VII. e nell' ultimo quella di Giovan-
ni, figliuolo di Cofimo. Da queft' opera riportò egli tanto onore e {li-
ma, che fu da Papa Siilo IV. chiamato a Roma, e fatto capo di tutte le
pitture della Cappella da eflb fatua fabbricare in Palazzo , dove Sandro
dipinfe alcune fiorie di fua mano, e ne ri potrò gran premio ; ma ne fece
poco frutto, perchè (come uomo, che viveva a cafo, e che per non dar
troppo da fare alla talea, per ordinano, con una mano tirava a fé il dana-
ro de'fuoi guadagni, e coli'altra profufamente il diffondeva) nulla portò
alla patria di quanto in Roma egli aveva acquiftato. Infinite furono le
opere lue, che troppo lunga cefa farebbe il raccontarle. Fu egli de'pri-
mi, che trovane il modo di lavorare gli Stendardi, come fi luol dire, di
commetto, perchè i colori non iftiugano, e dall'una e dall'altra banda
moftrino il colore del drappo. In tal modo dipinfe il Baldacchino di Or-
fanmiehele di variate immagini di Maria Vergine. Fu bonìfllmo e pratico
j
                                                                             difegna-
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ALESSANDRO F1L1PEPI. 139
difegnatore, e nelle fue ftorie affai copiofo di figure. Attefe all'intagliò1»
e con quello diede fuori molte carte di fue invenzioni, le quali in tempo
fon rimafe opprefle a cagione del gran migliorare, che ha fatto queir ar-
te dopo l'operar fuo. Quello, che è venuto fotto l'occhio mio, non è
altro, che un* intaglio in numero di dodici Carte, dove in figure affai
piccole fon rapprefentate ftoriette della Vita di Noftro Signor Gesù Crifto.
Si dilettò coftui di far molte burle a'fuoi difcepoli e garzoni, e feppe tal-
volta, con ingegnofe ftrattagemme» liberarli dall' indifcretezza di chi con
lui merìefimo ne avefle voluta più del dovere. Per una certa fua capric-
cìofa inclinazione, applicò molto alla Commedia di Dante, la quale, an-
corché fenza lettere, pretendeva di comentare;eperfevi tanto tempo,che
molto gli toife per la necelTaria applicazione all'arte ; onde fra quefto , e l'aver
fempre voluto vivere aftrattamente, fpendendo, come detto abbiamo»
d'ora in ora , quanto e' guadagnava; facto vecchio di 78, anni, e infermo
in modo, che appena coli' ajuto di due mazze poteafi portare per la città,
ficondufle in così eflrema mendicità, che egli li farebbe, fensa dubbio»
morto di fame, fé la pietà del foprannominato Lorenzo de'Medici, finché
e* vilTe, e dopo di lui divertì caritativi Gentiluomini. nonV aveffero del
coitinovo fovvenuto : e in tale (tato lo trovò la morte 1' anno 1515. e
nella Chiefe di Ogniflanti fu fepolto .
FRANCESCO DI SIMONE
FIORENTINO SCULTORE
Difcepóh d'Andrea del Per rocchio, fioriva circa 5/1470.
g|||fi|ÉBg|| Rovalì avere intagliato in Bologna una Sepoltura nella Chiefa
Ìf3p|lÌ di San Domenico, con moke ligure piccole, per Mefs. Alef-
lÉPRÌ»' ^anf^ro ortaglia, Dottor di Legge» di tutta maniera d'An-
-iyyÈgg§Ì d-ea fuo rnaeftro. In San Pancrazio di Firenze fece un'alerà
Sepoltura, rifpondente in una Cappella e nella Sagreftia di detta Chiefa,
per Meffer PierMinerbetti Cavaliere,
GIOVAN
/
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tf 40 Decenn* Vili, e Par.il delSecJII. dal 147o. al 1480.
GIO FRANCESCO
R US TICI
PITTORE, SCULTORE, E ARCHITETTO
FIORENTINO
^Z>i/cepo/o di Lionardo da Vinci ? fioriva circa il 1470.
Acque queft' Artefice di nobil famigliale più per fuo di-
letto e defiderìo d* onore , che per avidità del guadagno,
o per bifogno che averle, fi fottopofe alle fatiche dell'arte.
Veggonfi di fua mano in Firenze, in un tondo di marmo,
una Vergine con Gesù e San Giovanni, di baflbrilievo,
nel Magìftrato dell'Arte di Porfantamaria: ed il Crifto
orante, fatto di terracotta, nella Chiefa delle Monache
di Santa Lucia, che poi da Giovanni delia Robbia fu invetriato. Fece con
fuo modello Je tre ftatue di bronzo, che furon polle (opra la porta del
Tempio di San Giovanni, cioè il Santo Precurfore predicante, in mezzo
di un Farifeo e d'un Levita, che furono (limate, ficcome fono bellifììme ;
ed è dafaperfi, che nei condurle a fine, per fatisfare all' arte ed a fé fteflb,
e meno infastidire i Confoli dell' Arte de'Mercatanti, alla cui iftanza pre-
fé a fare tal'opera, egli fpefe il valfente di un fuo podere; avendole dipoi
finite, e dovendone efler remunerato, vennefi alla Mima: ed egli chiamò
per la fua parte Michelagnolo Buonarruoti: ed allo'ncontro, a cagione
della poca intelligenza , e molta paflìone di uno di quel Magiftrato, che
anche ch'era il principale, fu per l'altra parte chiamato Baccio d'Agnolo le-
gnaiuolo, che anche era architetto: del che dolendofi anche egli molto,
non folo non ebbero luogo appreso i Confoli le fue querele; ma quel che
è più» ne fu ancora ftrapazzato, e gli fu aflegnata ricompenfa appena per la
quinta parte di quel che importava l'opera e la fpefa ; e quella ancora non
gli fu interamente finita di pagare; tanto può alcuna volta contro la po-
vera virtùla pafiìone,il livore, e l'ignoranza. Operò molto iiRuftici nella
Villa di Jacopo Salviati il vecchio, poco dittante da Firenze, fopra il Pon-?
re alla Badia: ed alcre cofe £ccq, che per brevità fi tralafciano. Fu uomo
religiofo e buono, e tanto innamorato dell'arte fua, che viveva fcordatiflì'.
mo de' proprj intereffi e facilità , non volendo punto di penfiero di quelle,
ed il tutto faceva maneggiare a un confidente fuo* chiamato Niccolò Buoni p
Quefti ogjni fettimana fomminifìravagli il danaro pe'fuoi bifogni, il quale
egli era (olito riporre in un paniere, e anche, per lo più, nella cafietta del
calamajo, fenz' alcuna ferratura; onde chiunque ne voleva, ne poteva pi-
gliare a fuo talento . Fu amiciflìmo de' poveri, alcuno de'quali non lafciò
mai partire da fé fconfolato. Occorfe una volta, che uno di' que'poveri,
che gii andavano a chieder limo/ina, nel vederlo andare a pigliare il danaro
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T
FRANCESCO RUSTICI.          141
dal paniere, difle fra fc fteffb r credendo non efler dal Rullici fentito : Q
Dio! fé avelli quello che è in quel paniere, quanto bene accomoderei io
le cofe mie. Sentillo il Rullici, e guardatolo alquanto in vifo, sigli difle ;
Or vien qua » che io ti voglio far contento: e prefo il paniere, quello nel
e andatotene in Francia dal Re Francefco (dal quale fu impiegato in fare
na gran Cavallo di bronzo, fòpra cui doveva effer pofta la fuaftatua, ed
in molti altri lavori ) gli fu dalla liberalità di quel Re dato a godere un bel
Palazzo, con cinquecento feudi d'entrata l'anno» i quali perduti per mor-
te di elfo Re, e reftato col folo palazzo, del cui affitto folamente fi man-
teneva: e quello poi anche perduto, non mancò chi la fua oramai cadente
età non cuttodiflfe e fovvenule agiatamente fino alla fua morte> che feguì
T ottantefimo anno, da che era venuto a quella luce,
DELLE
1
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M-2
r '.-.          D E h L E .
N O T I ZI E
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE IX
E PARTE IL DEL SECOLO III.
rDAL J4CCCCLXXXX JIL JMCCCCC.
CORNELIS ENGELBRECHTEZ
Ovvero ENGELBRETCHSEN
PITTORE DI LEIDEN
Nato 1468. ^ 1533.
Ebbene ne' Paefi Badi la Pittura ne* primi tempi efer»
citata con diligenza, tuttoché mancante de'veri pre-
cetti de/l'arte, non è per quefto, che alcun buono
ingegno non arrivafle talvolta a qualche buon modo
nel difporre le fue figure, col folo lume della natura
e del genio; onde poi, anche ne'noftri tempi fieno
potute piacere agi* intendenti. Uno di coftoro fu il
nominato Pittore Corneiis Engelbrechtien, nato l'an-
no 14^8. nella città di Leiden, che fu uno de'primi
maeitri, che cominciale a mettere in pratica l'invenzione del colorire a
©ho, che l'anno 1400, era Hata trovata da Giovanni da Bruggia, e poi per
più anni
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C0RNEL1S ENGELBRECHTEZ. 143
più anni tenuta occulta . Non è a noftra notizia chi fofle il maeftro di
quefto artefice, ne tampoco le il fuo padre fofle pittore ; quefto è ben cer-
to, eh' egli fu maeftro di Luca d' Olanda, di cui a fuo luogo fi parlerà.
Difegnò aflTai bene le fue figure; e fu anche nel colorire a guazzo e a olio
affai fiero e ardito, Colorì moki quadri, che nella quafi univerfale de-
ftruzione delle immagini, fatta dagli Eretici in quelle parti, perironor
ed altri, che rimafero intatti, perchè il Magiftrato di quella Città, non
fi fa come, per memoria di un tal cittadino, volle che foflero confervati
nel Palazzo del Confìglio. Tali furono due cavole da Altare co* loro
fportellì, fiate fitte già per una Chiefa d' un Convento fuori di Leiden,
detto il Marien Poel, che in noftra lingua vuol dire Luogo della Madonna,
In una aveva figurata la Crocìfiflìone del Signore co'due Ladroni: la Ver-
gine colle Marie, ed altre per.fone a piedi e a cavallo, appartenenti alla
ftoria, ben difpofte e lavorate: nello fportello deliro era il Sagrifizio dì
Abramo, e nel Anidro la ftoria de' Serpenti. Neil' altra tavola fi vedeva
figurata la Depofizione della Croce, dove aggiunte fei tondi, ner quali
fece fei rapprefentazioni de' Dolori della Vergine. Nelli fportellì ritrafle
alcune perfone inginocchioni molto al naturale. Nella fteffa cafa del Con-
figlio circa il 1600. fi confervava una tela a guazzo, dov'egli aveva dipin-
to la ftoria de' Re Magi, con belliilimi panni, da'quali chiaramente fi
comprende, quand* anche ciò d'altronde non fi fapefle, ertegli fu mae-
ftro del celebre Pittore e Intagliatore Luca d'Olanda, il quale, col mol-
to ftudiare di quefto e di altri fuoi quadri, fi fece valente nell'arte.
Quefto quadro, coli'andar del tempor, aveva patito molto, onde era ri-
dotto a mal termine. Una delle più eccellenti opere, eh' ci faceffe mai,
fu una tavola con due fportellì, che doveva (lare [opra un fepolcro nella
Ghiefa di S.Pietro di Leida, fattagli fare ad iftanza de* Signori di Lockhorft,
per memoria di loro famiglia. Quella poi fu traportata nella cafa di efla fa-
miglia, dipoi portata a Utrecht in cafa Vanden Boogajerc, che aveva pre-
fa per moglie una figliuola del nominato Lockhorft. In quefto quadro
efpreflè unaftoria dell' ApocalitTe di San Giovanni, cioè quando l'Agnel-
lo apre d'avanti al trono d'Iddio il libro co' fecce Sigilli: e vi fece moki
ritratti beliiflìmifond'egli è poi fiato in pregio anche ne* tempi, che
P arte è venuta al fommo delia perfezione , Vedevanfi in quefta pittura, ia
atto d'orazione, rapprefentati molto al vivo coloro, che gliele fecero fare.
In fomma fu quefto pittore molto eccellente ne' fuoi tempi: ebbe belle
avvertenze nell' operare, e buona efpreftione d'afferei. Pervenuto final-
mente alia fua età di anni feffancacinque, pafsò da quefta all'altra vita V an-
no 1533. Ebbe due figliuoli, il maggiore fi chiamò Pieter Gornelis kunft,
che fu Pittore, oscome dicono in quelle parti Scrittore in Vetri, avendo
infieme coli'altro fuo fratello imparata l'arte del Padre in compagnia di
Luca d' Olanda » con cui ebbe gran comunicazione nei tirare avanti i
fuoi ftudj, fi
'•■ Vi»; ' i> ?.. ■'•.'< '■*<"< '■,. V- ■ t- no^il ■■ •' tì'.„:'A - ', . i"'»-.,' v' "■:■                   1.l""x , ' )'.i./,,- /; ;,/,>
f ■,'.              .'■ '                    £                    . fìty-, ' : *-.»■'»■'•' '-Ì*             '■■■ .al ' ' £ W> /':■'■■■< % V                                                 „ ■ " :•'                                    è . . '' i t                                                                  ')-fft'.' '"/ :'**
.. * ■ ■ ,.„..                  * ■'          ■ ^ ■ilf'ì \-             --.. ;. vf ■; :,             ,.*.,j«.j|V V* .,■■ y.           4 ■ / >, "■.■'>•              * - '- i ■ ' ,            ■■■;                                ; ,i                                                 ...•■.,          > l "                               . <*
ROGIER
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144 Decenti. IX. e Vari. II del Sic. III. dai 1490. al 1500.
&O.GIER VANDERWEYDE
< '/ PITTÒR DI BRUSELLES
^METROPOLI PI BRABANZA            '
Fioriva del 1500.
Acquequello artefice nella Fiandra, di parenti, che pure
erano Fiamminghi, e non fi è potuto ritrovare chi fofle
il di lui maeftro nell'arte. Quello è ben eerto, che egli
per accettazione i che ne fa il buon Pittor Fiammingo
Carlo Vanraander, è uno di coloro, a/quali debbono
molto quelle parti, per aver colle fue ingegnofe in*
venzioni arricchiti que' paefi , e V arte medefima mi-
gliorata affalda; quel eh'ella era nel principio dell'operar fuo. Fattura
delle fue mani in Brulelles furono quattro quadri, ar quali fu dato luogo
nel Palazzo del Coniglio grande. In eflì aveva egli figurato quattro egre*
gieazioni diGiuftkja: in uno la ftoriadi Zaleuco, Legìfiatore de'Locrefi
nella Grecia magna, oggi Calabria, che volendo gaffigare il proprio fi-
gliuolo, caduto in adulterio; colla pena desinata a tal misfatto dalla Leg-
ge, che m'Adì doverfel i cavare gli occhi, e trovando refiftenza nel Senato,
che a vejpn patto non voleva, che nella perfona del giovane figliuolo di
lui, fi efeguuTe taf rigore» finalmente per fare alla Giuftizia il iuo do-
vere, volle, che un'occhio a fé, ed uno ai figliuolo fofle cavato; nell'al-
tro la ftoria di Erchenbaldo di Purban, uomo jliuftre e potente, da alca-
ni qualificato col titolo; di Conte. Coftui ebbe un cale amor di Giuftizk,
che fenza riguardare a perfona, gaftigò fempre con ogni maggior fé verità
i gran misfatti. Occorfe una volta, che trovandoliegli infermo, con pe-
ricolo di morte, un de' fuoi nipoti di forelìa, ardì di violare la caflità di
alcune dame.- il che avendo egli faputo, fecelo di fubito carcerare> e
quindi fulminando contro di lui fentenza di mòrte, ne ordinò Pefecuzio-
ne. Coloro, a cui fu un cale ordine knppfto, compateado alla giovencu
del mifero figliuolo, l'avvertirono di ailoncanarfi da quel paefè, e lafcia*
ronìo in libertà, facendo credere all' infermo, che i comandi Tuoi fodero
fiati efeguiti; ma l'incauto giovane, dopo cinque giórni, persuadendoli
che lo fdegno dello zio fofle paflaco, fi portò alla camera di lui per visi-
tarlo. L'infermo, all'arrivo così inafpettato del giovane , a principio
diffimulò • quindi (fendendo verfo di lui Je braccia, con parole cortefi,
l'invitò ad avviemarfcgli : 9 gettategliele aieollo, in atto di abbracciarlo,
con una di elle lo ftrinfe con gran forza, e coli*altra, con mano armata
di coltello, gli trapafsò la gola, lafciandolo morto, efeguendo da per fé
fleflo quella giuftizia, che altri, contra fuo ordine aveva ommefla. Tale
fpettacolo fu veduto dal Popolo con orrore; ma non andò molto, che 7l
ciclo
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of ; <ROGl&É BÀNDERWEYDE. 145
cielo fteffò, con ift^pertdò prodigio, canonizzò l'azione di Erchenbaldo,
e andò il fatto in quella maniera. Aumentoffi talmente il Tuo male, che
fu neeeiTàrio, che il Vefcovo del luogo gli amminiftraffe i Sagramenti.
Neil' atto della confezione ateùfòffiil Conte £on eftremo dolore de'fuoi
peccati; ma dell'omicidio di iuo nipote non faceva parola .Ciò oflervan-
do il Vefcovo, l'avvertì, con ricordargli, che fi doveflè acculare dell'ec-
ceffo, commeilb^poco àrtsÈi lìèlla perfonà del fiid. nipote, Rifpofe il Contp
non avere in ciò ccmmeflo alcuno errore, avendo fatta'queir azione per
folo timor di Dio, e zelo di giuftizia, Ma nói! appagandoli il Vefcovo di
tal difcolpa, gli negò l'aflbluzione, e feeo fi riportò il Sacro Viatico.
Ma appena fu egli ufeito di quella caia, che l'infermo lo fece tornare, e
lo pregò di vedere fé nella Piflide folle 1* Odia confagrata. Aperfela il Ve-
fcovo, e non vi trovò cofa alcuna. Ecco, diflTe allora l'infermo, che
quello, che voi mi avete negato, da per fé fteffo fi è dato a me; e apren-
dola bocca* mplirò là Sacra Oftia fopra la fua lingua: di che il Prelato
limafe così ftupìto, che non folo approvò il 'fertiimento di Erchenbaldo ;
ma pubblicò per tutto il mondo sì gran miracolo, che fu eoe (Te intorno
all'anno n%o. Finalmente contenevano gli aldi due quadri di Rogier due
limili fatti, che ora io non iftò a raccontare. Nel guardar che faceva tal-
volta quelle Aorie il dotto Lanfonio, in tempo che egli in quella Sala (la-
va fcriyeiìdo fopra la PacediGant, non poteva laziarfi di ammirarle e lo-
darle, e fovente prorompeva in quelle parole: O maeflro Rogier, che
liémo fei ftatb tu? Di colini era in Lovanio, in unaChiéfa, detta la Ma-
donna di fuora, una Depofizione di Croce, dove egli aveva figurato due
perfone fopra due fcale, in atto di calare il Corpo di Griftò, involto in
un panno, fralle braccia di Gmfeppe di Arimathia ed altri,' che Ih vano
abballò, e cordialmente lo ftringevano, mentre le Sante Donne feorge-
varifi in atto di gran dolore e di lagrime : e Maria Vergine fvenuta, o ra-
pita in eflafi, era foftenuta da San Giovanni, che flava dopo di lei, in
atto molto decorofo, dìmoftrando gran compaffione, Quello quadro ori-
ginale fu mandato al Re di Spagna: e nel viaggiare, sfondandone la Nave,
cadde nel mare ; ma ritolto dalla furia dell'onde, fu portato a falvamento;
e perch'agli era flato ben i (Timo in canato, non ebbe da quel naufragio al-
tra lefìone, che qualche fcollaturadelle tavole, alche fu anche dato rime-
dio. In cambio dell'originale fu polla in quel luogo una bella copia, fat-
tane per mano di Michel Coxiè. Fece anche quello Rogier un ritratto
d'una Regina, del nome di cui non è reftata notizia, la quale diedegli in
ricompenfa un' annua entrata di qualche confiderazione ; onde con quella
e co'gran premj, che e? ricavava dalle fue pitture, diventò tanto ricco,
che alla fua morte lafciò gran danari, i quali volle che ferviflero per fov-
venimentp de'poveri. Morì quello artefice nell* Autunno cieli' a,nno 1529.
nel tempo, che tiranneggiava quelle parti una certa malattia, che fi chia-
mava Morbo fidante, 0 male lnglefe, il quale a gran migUaja di gente di
ogni condizione e fello tolfe la vita. Il ritratto di Rogier fu dato alle
ftampe avanti al io'oo. con intaglio di Th. Galle, fotto il quale furon no-
tati i feguenti verfi ;
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146 Decenti.X. e Pandi del'Set. Ili dal 1490,0/1500.
Non tilt fit laudi, quodmulta &• pulcra, Rigete*
*Pinxifli, ut poterant tempra fine tua :
*Dìgna tamen> noflro quicunque e& tempore Titfor,
%Ad qua* fifapiat, refpicere ufque velit.
Teflis pittura, qua BruxeUenfe Tribunal
De redo Tbemidis cedere calle vetant.
Quam tua, de partis pingendo > extrema volumas
                , .
Perpetua efl inopum quod medicina fami.
> Illa reliquia terris > jam proxima morti i
Hac monumenta polo non moritura mie ant,
1                                                                                                                                                                                      ,.-.,,,.......■,-■■.........—........ .....111.. 1. — - - -.
BACCIO DA MONTELUPO
SCULTORE FIORENTINO
"Della Stuoia di Lorenzo Ghiberti, fioriva circa il 1490.
A un memoriale f che fafciò fcritto Metter Francefeo Af-
berfiìni, Prece Fiorentino, del quale fi veggono copie ir*
diverfe librerie di quefta città , fi cava efiere flato il vero
nome e eafato di queft' Artefice Bartolommeo Lupi j ma
eh' egli fotte detto da Montelupo, per corruttela del co*
gnome, altra notizia non fi ha, che Faflerzione del Va*
fari. Diedefi quefti, fino dagli anni più verdi, all'arce
della^ Scultura; ma datoli più che òV uopo non era alle convenzioni degli
amici» e da* medefimi intorno a' trafittili, che fon proprj di quellat età*
fatto applicare, nulla profittò; finche crefeiuti gii anni, e con quegli il
giudizio, fé non fu piuttofto il bifogno, fi pofe daddovero a ftediar tan-
to, che avendo in breve recuperato il perduto tempo, feeefi in quell'ar*
te attai pratico e fpedito, onde fi guadagnò il nome di valentuomo * Il Va-
fari non ci lafciò fcritto da qual maeitro il Moncelupo àveffe i precetti ;
ma ben lo dimoftrano le opere me, che egli fu della fcuola di Lorenzo
Ghiberti ; e dopa avere io fatto un particolare itudio fopra di effe, e da
per me fletto, e coli' alfittenza de' primi profettbri di quefti noftri. tem>
pi , mi pare di efTerne venuto in affai chiara cognizione. £s però vero^
che Qffcndp valuto queft' artefice fino ali* età di ottantotto anni, e di que-
fti circa a cinquanta dopo la morte del maeitro > e in tempo, che già erafi
feoperta in Firenze, dal gran Michelagnolo Buonarruoti, 1* ottima ma*
niera del panneggiare; non è gran fatto , che i panneggiamenti di Baccio
fi veggano alquanto più riquadrati, e per ufare il cerarne* che comune-
mente fi ufa ira' prole (Tori, aliamo più occhiuti, e meno appiccati alle
carni,
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.s^ì*.; ^P'MJfi BARTOLOMMEO. a i47
carni» di quello che fi riconofcono quelli di molti altri grand* uomini di
quel fecolo. Fra le prime cofe, che egli operafTe in Firenze, fa un'arme
di Papa Leon X. in mezzo a due putti, che fi vede in fui la cantonata del
muro del Giardino (.*) delle cafe de' Pucci fui canto di via de'Servi. Dipoi
fece per l'Arte di Por Santa Maria , la figura di San Giovanni Evangelifta, di
metallo, pofta nella facciata dell'Oratorio di Orfanmichele, che fu itima-
ta molto bella: ed io trovo,, che furon dati a Baccio, per quefto lavoro,
fiorini 340. Si diede ancora ad intagliare in legno, e fece molti Crocinfiì,
alcuni quanto il naturale, e alcuni più. Uno di quelli yedefl fopra la porta
del Coro di San Marco de' Frati Predicatori (b): uno nella Chiefa di San
Pier Maggiore; ed uno nel Monaftero delle Murate. Un altro ne fcolpì
pe* Monaci di Santa Fiora e Santa Lucilla, il quale pofero fopral'Aitar mag-
giore della Chiefa della loro Badia d* Arezzo : e focene poi altri in gran
numero. Andatofene a Lucca? molto vi operò: e affai difegni diede per
diverfe fabbriche, e particolarmente per quella del Tempio di San Pao-
lino, Avvocato di quella città , il quale poi fu anche con modello di lui
edificato; ed altre cole fece il Montelupo; e finalmente, emendo nella ftefla
città di Lucca venuto a morte, nella mede/ima Chiefa di San Paolino fu
data al fuo cadavere fepoltura. Avendo Infoiato un figliuolo per nome
Raffaello profeflòre anch' egli di Scultura, e che fu però molto 'ne IP arte
il genitore.
K z            ...... fra.- ;
(<0 Oggi in gran parte ridotto ad ufo di Palazzo dal Signor Gio. Lorenz»
'Pucci Gentiluomo Fiorentino , amatore e coltivatore delle buone lettere, e
Accademico della Crufca
. (b) Il Coro de* Frati di San Marco, e la porta
/òpra ài cui era il Crocififfò mentovato dall'Autore, flava in quefia format
Air imboccare della Cappella maggiore, ove fono oggi la/calmata e balau-
/Irata di marmo, colle colonne» pila/Iri e arco fopra di pietra fi-rena» era-
vi fin dell'anno
1678. un muro alto fet braccia, che fervendo di fpaìliera al
Coro e alle prof per e ove fegg otto i Frati, divideva/i dal rimanente della Chie-
fa e del Popolo, con lafciare nel mezzo un* apertura 0 porta, per cui pafla-
vafi in Coro
, e vedevafi dal corpo della Cine fa V Aitar grande , fituato allora
in fondo alla Cappella maggiore nel centro di una tribuna femic ir colare » le*
vata e ferrata dipoi per porvi l' organo, con una muraglia che lo foBiene,
refiando però tuttavia dietro ad ejfo organo detta tribuna, vifibile follmente
a chi colà penetra per una particella del mede/imo Coro, 0 pure per altra
parte del Convento
, e che anche fi riconofce benìjftmo dalla parte eBerna della
Chiefa» mediante la mezza cupola, che ancor vi reffa
. Vuolfi repetere in
queflo luogo un offervazione altra volta fatta da noi e da altri, che antica-
mente gli Ecclefiafiici ejfendo in Coro a Salmeggiare e ai Divini Vfizj, non
iflavano, come oggi fi vede in molte Chiefe, dietro all' Altare* mq avanti e
in faccia del medefimo. Un ufo così lodevole è fiato alterato da cèrti archi-
tetti» intenti più alla fimetria ejlrinfeca e materiale, che alla formale e In-
trinfeca delle Chiefe, alla quale, come a più proprio oggetto» ovverebbero!
effi ne 11'edificare e abbellir le Chiefe, aver riguardo
.
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148 DecenmX. e Pari,il d&l Sedili M1490.ah500,
FRA BARTGLOMMEO
DI S AN M A R C O
PITTOR FIORENTLNO
'Difcepok di Cofano Rofoili, nato 14*9. 0 i'S'tf.
N quelli tempi nacque Fra Bartolommeo, che per corrottela
del nome, fu chiamato Baccio, nella Villa di Sayignano» vi-
cina a Prato di Tofcana: e pervenuto a competente età»
effendo (lato da' parenti conofciuto affai inclinato alla Pit~
tura, fu condotto a Firenze, dove vicino alia Porta a San
Pier Gattoiini gii fu data fua abitazione ; che però per tutto
il tempo eh* e' viffe al fecola» fu fempre chiamato Baccio dalla Porta .
Accomodatoli all' arte appretto a Cofìmo Roffelli r fece infieme con Ma-
riotta Albertinelli, fuo condifcepola ed amiciflimo» gran profittò; ma
datoli poi a ftudiar le opere di Lionardo. da Vinci, fi formò quella belliffi-:
ma maniera di dar rilievo e vivacità alle pitture, che non folo al più per-
fetto dell'arte elfo medefimo condurle, ma che fu poi al Divino Raffaello
da Urbino di gran lume, per migliorar l'antico modo apprefo dal Perugi-
110, ed arrivare al fegno, al quale ei giunfe, Quindi è, chelofteflb Raf-
faello fece poi di lui sì grande ftima, che nel tempo eh* e'fi trattenne nella
città di Firenze, parve che da eflb non mai fé parar fi poteffe ; anzi non
ifdcgnò di éflèrgli maeflxo ne1 buoni ternaini della Profpettiva, e intanto
ricercarne i più apprezzabili precetti della grande ed ottima maniera di
condurre le opere fue con grazia e morbidezza, tino allora non più rico*
nofeiuta in altro pittore; e diede gran teftimonianza di quatta grande fti-
ma Io fteffo Raffaello, quando, dopo alcun tempo, impiegò il proprio
pennello in Roma nel dar fine ad un opera, cominciata da FraBartolorn-
meo in quella città, e lafciata imperfetta, Onde, fé a gran ragione aferi-
vefi a gloria d'Apelie il non efferfi trovato Artefice, che raceomoQ'affe la
tanto celebrata fua Venere di Coo, detta Anadiamef cioè Emergente o
Sorgente dal mare* dedicata poi da Augufto nel Tempio di QiuUoCefare,
guafta nelle inferiori parti, onde fu poi da' tarli corrpfa ed in tutto disfatta ;
gloria maggiore può dirli del noAro Fra Bàrtolommep, 1* efferfi trovato
un Raffaello, che non fplp deffe fine alla di lui opera, ma quella cpn la
fua ingegnofa mano confegnailè all'eternità, TornaA^o ora al fiorirò pitto-
re, egli per qualche tempo fi trattenne a o^pigneire, in compagnia dell'Al-
bertinelli » «e talora da fé folo, Immagini dj Maria Vergine qon Gesù e
d'altri Santi, delle qijali fece mpltiflìrpe a diverfi cittadini .yPpi dipinte
a frefeo la tanto celebrata ftpria del Giudizio IJniverfale neft- anpcio Ci-
mitero dello Spedale di Santa Maria Nuova, detto fra i* offa, ebe rimale
\ ,, imperfetta
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:••: ; r -FRA EARTOLOMMEOv         149
imperfetta, e poi fu finita dalTAlbertinelli, come alle notizie della Vita
di lui fi è detto.. Erafi Baccio acquiflata fama in Firenze, non foio di gio-
vane vaJorofiilìmò nell' arce, ma di perfona quieta e buona, e di grande
applicazione al lavoro} ma quello che è molto più» di affai timorato dì
Dio, e di aflìduo air opere di pietà; onde per quefta e per ogni altra fi-
rn^ le eagione, beato fi chiamava colui, che poteva aver dell'opere fue.
Ma perchè egli rivolgeva nell' animo fuo più penfieri del cielo, che del
mondoU poco incentivo gli abbi fognò per rilòlverfi a lafciare il fecolo»
e veitire abito religiofor e ciò, fecondochè racconta il Vafari, del quale
fon proprie parole quelle che feguono , feguì nei modo, che appreiTo,
'Perchè trovandofi in qnefii tempi in S. Marco Fra Girolamo Savonarola da
Ferrara, de/I '.Ordine de* Predicatori, Teologo famofijfimo : e continuando Bac-
cio la udienza delle prediche fue, per la devozione, che in ejjo aveva, prefe
fifettiffima pratica con lui, e {timor'ava <quaficontìnuamente in convento, aven-
do anche con gli altri Frati fatta amicizia, Avvenne » che contmovando Fra
Geronimo le fue predicazioni
, e gridando ogni giorno in pergamo* che le pit-
ture lafc'roe,, e le mufiebe., $* i libri amorofi^fpejjò inducono gli animi a cofè
mai fatte ; fu per fuafo, che non era bene t$hWe incafa, dove fon fanciulle*
figure dipMte di uomini e donne ignude; per il che rifcalda ti i. popoli dal dir
fuo, il carnevale feguente t che era colluvie della Città far [opra le piazze
alami capanmicci di Bipa, & altre legne, e la fera del martedì* per antico
èojìume, arderle queSe con balli amorofi', dove pr e fi per mano un uomo & una
donna, giravano cantando intorno certe ballate; fé sì Fra Geronimo, che quel
giorno fi conduffe a quel luogo tante pitture e finlture ignude , molte di mano
di maeffri eccellenti, e parimente libri, liuti e canzonieri, che fu danne gran-
dì/fimo* ma particolare della pittura: dove Baccio portò tutto lofludio de" di fém
gni
, che egli aveva fatto degV ignudi, e lo imitò anche Lorenzo di Credi, e
molti altri
, che avevan nome di piagnoni; là dove non andò molto, per ls affe-
zione, che Baccio aveva a Fra Geronimo, che fece in un quadro il fuo ritratto %
che fu belli filmo* il quale fu portato allora a Ferrara* e di lì, non è molto
» che
egli è tornato a Fiorenza nella cafa di Filippo d'Alamanno Salviati * il quale *
per effer di mano di Baccio, i ha cari/fimo. Levatefi poi contro al Padre le
Parti contrarie, e feguito nellaprefa di lui Tabbattimento del Convento di San
Marco, che è noto al mondo
, defcrino da diverfiStorici, e particolarmente dal
h'ardi nella (uà fi orla,
E quefto, in tempo appunto, che Baccio fi trovava per fua devozio-
ne in erto Convento ,• fentito il rumore , e appreflb la morte feguita di al-
cuni dell'una e dell'altra parte, pel timore che ebbe di fé dello, fece voto
a Dio, fé egli fcampava da quel pericolo, di frali Religiofo di quell' Or-
dine: il che poi effettuò , vedendo l'abito del Patriarca San Domenico,
nel Convento di Prato a' io*, di Luglio 1' anno 1500. E qui noti il Letto-
re , come Gio. Paolo Lomazzo nel fuo Teatro della Pittura a 366 ver. io.
erra, dicendo, che Fra Bartolommeo folte dell'Ordine di Santo Agotìino.
Veflito dunque che ebbe Baccio l'abito, per quattro anni interi, tutto
dedito agli efercizj di relig ofa perfezione, nulla volle mai operare in pit-
tura , riioluto di perfeverare in tal fua determinazione fino alla morte ;
K 3                                   fe Per
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i jo Decénn. X e Pari. IL del Sec. Ili dal 1490. al 1500,
fé per altro la volontà di coloro, a' quali era egli tenuto ubbidire, non
P averterò neeelfitato a dar qualche luogo all' antiche applicazioni. La pri-
ma opera, eh' egli facefle in iftato di Reìigiofo, fu la bella tavola di San
Bernardo $ in atto di fcrivere, appreflb alla Beatiflìma Vergine, col Bam-
bino Gesù, e molti Angeli, per la Cappella di Bernardo del Bianco, nella
Chiefa di Badia di Firenze, Dìpinfe poi le tre maraviglìofe tavole, che
fino a'prefenti tempi fi fon vedute e godute nel Convento di San Marco,
che fu quali continova abitazione di Fra Bartolommeo, in una delle quali
è Maria Vergine, con San Gregorio, ed altri Santi, con più Angeletti,
di così rara bontà, che fu parere di alcuni gran maeftri, e fra quelli, di
Pietro da Cortona, che fra le più ftupende opere di pittura , di che è
piena la noftra città di Firenze, ila la più bella. In altra tavola, che fu
polla rincontro a quefta, colorì un'altra Vergine, con Gesù,.-.e due Santi:
e nell'altra finalmente la non mai abbaftanza lodata, anzi impareggiabile fi-
gura del San Marco Evangelifta, di cui è fama per tutta l'Italia e fuori.
Di quelle tre ftupende opere del Frate, nel tempo che io quelle cofe feri-
vo , fon rimale in efla Chiefa di San Marco le copie della prima, e dell' ul-
tima, e il proprio originale della feconda, giacché gli originali dell'altre
due fon venuti in potere del Sereniamo Principe Ferdinando di Tofeana*
che le conferva fra J' altre pitture di primo pregio, che V Altezza Sua in
gran numero poffiede. Fece anche i) Frate pel Re di Francia un' altra ta-
vola con moltiffime figure. Inventò egli il bel modo di fumeggiar le figu-
re, col diminuir l'ombre egli feurt in guifa, che ad una maravigliofa
unione e accordamento tengono congiunto un gran rilievo : e di quella
maniera, a cagione di efìer dajgl' invidioli ftato imputato di non faper fare
le figure ignude, fece egli per la fua Chiefa di San Marco un bel'San Ba-
ftiano, che riufeì di così dolce colorito, e tanto limile al naturale, che
per ifcandaloprèfo da alcuno in rimirarlo, fé pure non fu un precetto per
farne efito con gran vantaggio, fu levato di luogo, e mandato in Francia .-
In Roma fece Fra Bartolommeo opere maravigliofe : e colorì molti quadri
per la città di Prato, di Lucca, e per altri luoghi, ed un' infinità di altri
ne fece per nobili e civili rterfone . Voile Tempre nel fuo dipignere avere
appreflb di fé il naturale ; e a tale effetto però erafi fatta fare una figura di
legno quanto il vivo, la quale in ogni fua congiuntura egli fnodava e vol-
geva a proprio piacimento; e quella copriva di panni per potergli a fua
comodità imitare.» coftume ftato poi ufato dopo di lui (che di tale iftru-
mento fu primo inventore ) da moltiffimi altri ottimi artefici. Ultima*
mente elfendogli ftato ordinato da Pier Soderini di fare una tavola per la
Sala del Configlio, pofevi Je mani, difegnolla tutta, e colorilla in chiaro»
fcuro, rappreientando in ella queJ Santi, nelle folennita de' quali aveva
la città di Firenze avute Vittorie, e Protettori di effa città: in uno de*
quali, quali prefago di fua vicina morte, volendo, che reftafle, oltre alla
memoria gloriofa cheavevangli guadagnatai proprj pennelli, anche quella
di fua effigie, fece il ritratto al vivo del proprio volto. Quell'opera però,
che diede fegni di voler riufeire una delle più belle, che avellerò mai par-
torite i fuoi pennelli, diede non poca occafione a quella infermità, che
fu V ul-
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FRA BARTOLOMMEO.          r&
fu l'ultima per lui,e quella, che lo privò di vita ; perchè avendola egli la*
vorata al lume di una fineftra, per cui infondeva!! nella danza di tuo lavoro
un'aria grave e penetrante, fu afhiiro da una gran fiunionecatarrale, che
a termine il ridurle di non poterli quali muovere. Non giovarono, per fuo
fcampo, rimedj di forte alcuna; onde non andò molto, che avendoci ag-
giunto a'fuoi l'effetto di un poco di difordine, fatto in caricarti alquanto
lo ftomaco di certe appetitole frutte, delle quali era amiciffimo $ dòpo una
febbre di quattro giorni, con gran dolore de' fuoi Frati * ma con dimoftra-
zioni però da buono e fanto Religiofo, fé ne morì in eflb Convento di
S. Marco agli 8 d'Ottobre l'anno 1517- e in quella loro Chiefa afpetta il
fuo cada vero l'ultimo giorno. La nominata tavola cosi imperfetta « dipinta
a chiarofcuro, fu pofta dipoi nella Chiefa di S Lorenzo nella Cappella del
Magnifico Ottaviano de'Medici, dove ella è (lata anch'effa fino al tempo,
che io ne ferivo, fempie ammirata dagl'intendenti dell'arte: ed è pure an-
ch'effa poi pervenuta in mano del già nominato Sereniamo Principe di
Tofcana, e nel regio appartamento di quell'Altezza, fra 1*altre belliflime
pitture, fa pompa di fua bellezza.
Il Safari in fine della Vita di Fra Bartolommeo della Porta dice, ehe ella di luì
morte lafcib tutti i fuoi Difegni a una fuafcolara Monaca in Santa Caterina di Firen*
ze
. E queft' ÌJlefft fono prefentemente nelle mani del Cav* Gabbarri in Firenze al nu-
mero di
500. in circa, avuti dal medefìmo Monaftero, dopo averne ricavato quejìo lu-
me dalla lettura del medefìmo Vafari. Molti e molti pero de* detti Difegni fi fono per»
duti.
TIMOTEO DELLA VITE
PITTORE DA URBINO
Difcepolo di Raffaello da Urbino, nato 1470. jfa 1524.
Ice Carlo Cefare Malvafìa* che quello pittore a principio, cioè
del 1490. fi portarle a (tare con Francefco Francia, Pittor Bo-
lognefe: e del 1495. dopo aver già applicato alla pittura, fé
n* partirle, eflèndo in età di anni venticinque: e ne porta co-
pia de' proprj ricordi, fatti dal Francia ne'fuoi libri familia-
ri, contro a ciò che il Vafari fcriiTè, cioè, che coftui fofìe sì
fattamente portato dal genio alle cofe del difegno, che lafciata l'arte del-
l' orefice, efercitata in fanciullezza con molta fua iode, fi defìe da per fé
fteflb a quello Audio. Crediamo però effer veriflimo ciò, che lo fteflò Va-
fari foggiugne, che egli in breve gl'ugnelle a fegno di poter più che ragio-
nevolmente dipignere.- e contuttoché di Raffaello non avene vedute, che
alcune poche opere, fi facefie una maniera alquanto limile a quella di lui;
il perchè fatto animofo, fi partirle da Bologna, dove pel notato tempo era
Hata fua abitazione, e portatofia Urbino, vi facefle molte opere . Occorfe,
K 4                                  che
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I--52 Decetrn* X. e Pan. IL delSec, 111. dal 1490.0/1500,
che avendo avuta cognizione del fuo bel genio Io fteflb Raffaello, che fi
trovava in Roma» moflb da quella fua naturale inclinazione di ciafcuno
cordialiflìmamente beneficare, il chiamò a fé; e non contento d'iftruirlo
negli ottimi precetti dell' arte , e di tenerlo in fuo ajuto, diedegli molte
occafioni, efecegli fare gran guadagni. Condurle egli di fua mano le Si-
bille, che fono nelle lunette a man deftra nella Chiefa della Pace, i car-
toni delle quali fi dice che rimaneflero appreflb i fuoi eredi. Tornò poi a
Urbino fua patria, dove fece molte opere nella città e fuo irato, e parti-
colarmente nel Duomo. Dipinte in compagnia di Girolamo Genga fa
Cappella di San Martino, e vi fece la tavola di propria fua mano, In San-
t'Agata un'altra tavola, e in San Bernardino, fuori della città, quella
dell'Altare de'Buonaventuri, dove dipinfe la Santiffiina Nunziata, con
altre figure. Fu uomo in ogni fua azione e gefto fommamente graziofo e
attrattivo, piacevole nel parlare, e ne' motti fpiritofiflìmo. Sonò d'ogni
forta diftrumento muticale,efòpra il fuono della lira cantò eccellentemen-
te all' improvvifo . Pervenuto finalmente all' età di anni cinquantaquat-
tro, coneftremo dolore degli amici, che fvifeeratamente l'amavano, fini
il corfo di fua vita.
*mmmmm*m^*mm*mmmmm^mm*~'*'mv**^Mtminasi\mmm« 11 m-vv. *m »— i — r i ■ ■■-■■ ■ — -........ - - - -r-. ,.....-----^- ì( - 1MII|II m           p ^p—■ _■ ■ ■ i—i....... ■■ m :
UGO DE GOES
PITTORE DI BRUGGIA
Difcepolo di Giovativi da Bt'uggia, fioriva circa il 1490.
lovanni da Bruggia, pel fuo valore nelT arte, e molto più
per la bella invenzione, trovata del colorire a olio, avreb-
be avuti affai difcepoli; ma o non ne voleva, o poco fé ne
curava; nondimeno ne ebbe uno, chiamato Ugo oVGoes,
che efTenrìo giovane di grande fpirito, diventò, per quanto
quel fecolo comportava, un eccellente Pittore. Imparò
egli dunque da Giovanni l'arte del colorire a olio; e nella Chiefa di
Gant colorì un molto artificiofo quadro , che fu pofto a un pilaftro.
In eflb figurò Maria Vergine fedente, col. Bambino, di tanta bellezza,
che il Vanmander , che in fuo idioma Fiammingo dà alcune notizie
di quefto artefice, afferma averlo molte volte veduto con ammirazione,
e particolarmente per la diligenza e grazia, con che fi vide efiere [lato
finito il ritratto della Vergine. Ne è maraviglia, perchè, ficcarne affer-
ma lo .fteflb Autore, gli antichi Pittori di quelle parti ebbero non ordi-
nario talento in far fimilì figure devote. , Per quefta Chiefa ancora di-
pinfe i vetri di una fineftra, con tale artificio, che fu opinione, che egli
gli avefìe fatti con difegno del fuo maeftro. Aveva figurato in efii una
Deposizione di Croce, Similmente nel Convengo de'Frasi di noftra Don*
na,
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,m.( ,: UG 0 DB GO E S> m ' 15?
na, era di mano di coftui una tavola , dove era dipinta una floria di Sari>
ta Caterina: opera» che per efler fatta in gioventù, non lafciava d'eflere
molto bella . Fu a gran ragione lodato un quadro, che egli dipinfe, il qua-
le ranno 1604. era \n una caia,circondata dall'acqua del fiume* vicino al
ponte di Muyde, appreffb un certo Giacomo Weytens; e nel muro fopra
il cammino della fleilà cafa aveva dipinto a olio 1* incontro d'Abigail con
David, dove s'ammirava la maeftà, che 1 pittore aveva fatta apparire ne*
volti di quelle Vergini, tutte ritratte al naturale; avendo anche fra elle
fatto il ritratto di una fua dama. Quell'opera, per invenzione e per efpref-
fione d'affetti, fu (limata eccellente, Fu delle migliori pitture, che ufeifie-
ro delle fue mani,una tavola inBiuggia, nella Chiefa di SanGiacomo, al-
l'Aitar maggiore, dove era un CrocinlTo co'due Ladroni, Maria Vergi-
ne, con altre figure, fatte con gran vivezza e ardire. Quella, per la fua
bellezza, in tempo, che alcune nazioni Calvinifte disfacevano tutte Je
immagini, fu con diligenza confervata e difefa, ciò che in,quella Chiefa
a niun'altra pittura addivenne. Poi, perchè doveva la medefima Chiefa
fervire pe' Predicanti, per configlio di un tal Pittore, vi fu dato fopra di
nero per iscrivervi i comandamenti d'Iddio, com'è coftume di quegli
Eretici. Ma perchè quel vecchio colore era forte affai, e '1 color nero dato
dipoi alquanto graffo, dopo qualche tempo riufd il levarlo, e reftò la
tavola con poco o niun danno. Furono l'opere di quefto artefice circa
il 1490,
RUGGIERO DI BRUGGIA
PITTORE
T)ifcepolo dì Giovanni da Bruggia 9 fioriva circa il 1490.
;b, . , -. >                       ' : ti.j "..• . ." «:..■ ' ',,,,, ... • ■'. ' l-'\ '■'■;■
A città di Bruggia pel gran commercio, che aveva eoa
ogni nazione, e pel molto negoziare che faceva, come
abbiam detto in altro luogo, fu un tempo in gran feli-
cità, dico prima dell'anno 1495 nel quai' anno fu la ne-
goziazione trafportata a Sluys e in Anverfa. In tale fuo
fortunato tempo, ebbe ella molti elevatiffìmi ingegni, che
attefero alle belle arti con chiara fama e univerfale. Fra
quelli fu un tal Ruggiero, difcepolo del rinomato Gio-
vanni da Bruggia» inventore del modo di colorire à olio. (Quelli avendo
apprefi i precetti del difegno e della pittura col fegreto dell' oliò da tal
maeftro, che già era molto vecchio, fece tanto profitto , che gli furono
date a fare molte opere, colle quali fi acquiftò grido di maeftro eccellente.
Di mano
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,t54 Decenn. X. e Part. Il delSec.Uh datilo, 0/1500.
Di mano di coftui erano in quella città l'anno 16*04. (quando Carlo Van-
mander Fiammingo diede fuora nel nativo idioma le fue notizie de* Pit-
tori) nelle cale de'privati cittadini molte opere. Fu buondifegnatore» e
liei fuo fare molto graziofo a tempera e a olio. Era ne' tempi di quefto
artefice in quelle parti una ufanza di far dipignere gran tele con gran fi-
gure» e con effe parare le ftanze, né più né meno, com'è coftume a noi
di fare colle tappezzerie. Di quelle tele, che dipigne vano a colla e chia-
ra d*uovo, moltiffime eran date a fare a coftui, come a quello > che era
(limatode'migliori, che in fìmil lavoro fi efercitaffero ; cpnciorHacofachè
facìl cofa fia il ridurre in difegno dal grande al piccolo ciò che fi vuole,
ma affai difficile dal piccolo al grande , e non riefee Tempre facilmente
anche a' più efperti: e in quello modo di aggrandire i piccoli difegni ed
invenzioni, Roggiero aveva fatta non ordinaria pratica. Non è noto il
tempo, nel quale raancafle quello pittore ; ben*è vero, che egli Ci procac»
ciò tanto nome in quelle parti coli'opere fue, mentre eh* e* vùTe, che at-
tefta il nominato Autore, che fino ne* fuoi tempi ne correva per tutto
ehiariffima la fama.
»» " ■»
GEERTGEN DI S JANS
cioè GIORGINO di S. GIOVANNI
PITTORE DI HAARLEM
Fioriva circa il 149o♦
|RA'pittori, che molto di bello e di buono aggiunterò
air arte ne' Paefi Baffi nel fecolo del 1400. uno fu ne'
fuoi tempi, e anche il principale, Geertgen di S. Jans,
il quale fu Difcepplo di Albert Van Quwater, nativo
della ftefla fua patria: la maniera di cui proceuro di
imitare, anzi molto migliorò, particolarmente in ciò
che alia franchezza del fare, air invenzione, alla bon-
tà delle figure ed efprerBone di affetti apparteneva »
quantunque non forièro le opere di coftui tanto ben
finite, quanto quelle del maeftro. Era V abitazione di quello pittore in San
Giovanni Heeren a Haerlem, dal qual luogo prefe il cognome di San
Giovanni, non già perch'egli aveffe profetato in quell'ordine, Inefla
Chiefa fece egli una favola dì un Crocififlò beljilfima, e dipinteglifpor-
telli da due lati. Uno di quelli fportelli, nell' attedio di quella città e di-
ftruggimento di tutte le facre immagini, fu disfatto; e l'altro confermo,
non fi
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, - ^ GEERTGEN DI S.JANS. 155
Iloti fi fa come» fu fegato pel mezzo, e ne fu fatto due be' quadri, che
dell'anno 1604. fi confervavano in cafa il Comandante della città, nella
Sala, detta dell'Architettura nuova. La parte, che era di dietro, contene-
va un miracolo o ftoria di cafo molto ftraordinario, di cui non s'intende-
va jl particolare. In quella dinanzi vedevafi la Depofizione <|el Salvatore
<Ja)ìa Croqe, dove faceva bella moftra il Grillo giacente, molto naturale,
con mani e piedi fieli, fra' fuoi Difcepoli, che tutti efprimevano gran tri-
(rezza, e movevano gran compaffione $ ma affai più la Vergine fua Madre,
coli'altre Donne , nelle quali li vedevano degni affetti di ammirazione e
di pietà infieme. Fece ancora quello pittore fuor della porta di Haerlem
altre pitture in un Convento di Regolari, le quali ancora, fotto le mani
degli Eretici, fortirono lo fteflò fine dell' altre facre immagini, j "Nella
Chiefa maggiore fece una pittura, che rapprefentava la Chiefa* che fu
appefa da uno de' lati. Molte altre furono le opere di coftui, delle quali
oggi fi è perduta la memoria: e furono tanto belle, che Alberto Duro»
quando fi portava a quella città, le andava a vedere con follecitudine,
dando legni del gran piacere che aveva in confiderarle, folito dire, che
quello giovane era (iato pittore nel ventre della madre. Molto più e me-
glio avrebbe egli operato, fé la morte nel più bel fiore degli anni fuoi,
cioè nella fua età di 28. anni, non l'aveffe tolto al mondo, ficeome feguì,
con danno univerfale dell* arte e di tutti gli amatori di quella *
.^T*-.^f}*Tt~pmmmTnMmmm—^^——.af-^t...... ......... ian to»MWgaziHirttWTfWJ»rt*» 11 imi Mii^.tuMMiiait ini l fai, !■<■■)>■ li | iiiph-.. mtmt ., iwn min mi ■■■■ éiiiibih....... 11...........li uni ilw-n wnlwit
FRANCESCO FRANCIA
PITTORE BOLOGNESE
Difcepolo di Marco Zoppo, fioriva del 1490.
Aeque Francefco Francia nella città di Bologna l'anno 1450.
di un molto onelto artigiano: e ne' primi anni di fua fan-
ciullezza fu pollo all'arte dell'orefice. Con tale occafio-
ne diedefi fervorofamente agli fiudj del difegnoj onde pò*
tè condurre molte belle cole d'argento e di metallo nella
fua patria, con non ordinaria fua lode : e fece così bene
piccole figure, che in ifpazio di altezza non più che di
due dita condurle bene fpeffo fopra venti figure . Lavorò di conj di me-
daglie fino a tal fegno, che'l Vafari fcrive efìer'egli ftato miglior mae-
iìro de' tempi fuoi. Ne fece moltiffime per Principi che pacavano per;
quella città e per altri, fra le quali è quella di Papa Giulio 11. e del Sig.
Giovanni Bentivogli. Era dotato di una tal proporzione e bellezza di
corpo, congiunta ad una allegrezza nel converfate, dolcezza e piacevo-
lezza
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%$$ DecerneX e Pan. II. delSec. Ili dal 1490. al 1500.
lezza s\ grande nel difcorrere, che ogni perfona più afflitta , ed airann^t^
nel ragionar con lui, rimaneva confolata: qualità, che ben pretto gfji
guadagnarono l'amore, non folode'fuoi pari, ma de'gran Signori e Prirì-
cipi. Trovandoli poi, mercè delle fue molte fatiche , aver fatto un granfa**
pitale nei difegno, e fentendo lafama, che correva per tutta Italia, di!Àn3«;
area Mantegna e d'altri celebri Pittori eli quel tempo, defidèrandottì*
proeacciarfì anehfeflb una fimi) gloria, deliberò d'imparar l'arre del bblcP-f
rire : e dice il Vàfari, che egli fi tenne in cafa propria uomini di quel
xnéftieré, acciocché glielo 'nfegnaffero, fra* quali potè efTere eflo Marco
Zoppo, o pure fu egli foto* giacché il Baldi afferma, che queftì foflè mae-
Ifro. Il profitto, ehe fece il Francia nella pittura, fu grande, e in breve
tempo. Cominciò egli prima a colorire alcuni piccoli ritratti, e poi con>'*]
dufle opere di ogni grandezza. La prima, che gli ufeifle delle mani, fuuna'
tavola per Bartolommeo Feliiini, fétta Tanno 1490 che la pofe nella Miferi-
cordia, Ghiefa fuori di Bologna. In quella figurò Maria Vergine, fedente
in Trono, con molte figure; e vi è il ritratto dello fteflo Felifìni. Quella
gli diede gran eredito; onde da Giovanni Bentivogli gli fu data à fare una
tavola di Maria Vergine, con Angeli ed altre figure per la fua Cappella'
in S. Jacopo, e da Monfignor Bentivogli una tavola della Natività di Cri-
fio per l'Aitar maggiore della Mifericordia, dove ancora ritraile al natu-
rale il medefìmo Prelato, nell'abito iterlò, nel quale egli, come pellegri-
no, era tornato da Gerufàlemme. Colori ancora per una Chiefa della
Nunziata, fuori di Porta a San Mammolo, VAnnunziazione di Maria
Vergine, con altre figure. Diedefì poi a dipignere a frefeo, e nel Palazzo
di Monfignor Giovanni Bentivogli, egregiamente figurò il Campo d' Olo-
ferne* che poi fu infìeme colPedifizio niello a ten*a nell' ufeita de'Benti-
vogli. In Santa Cecilia fece più opere a frefeo, e colorì molte tavole,
che furon mandate a Modana, Parma, Reggio, Cefena, Ferrara, Lucca
ed altre città. Operò pel Duca d' Urbinoi dal quale fu con ricchi doni
ricompenfato: e permeiti Gentiluomini della fua patria e foreftieri, co-
lorì infiniti quadri, che fon tenuti in grande fiima, oltre a molti ritratti
che fece al naturale, e oltre all' immagini di Maria Vergine, delle quali
fece moltiffime, e diede loro un tal decoro, maeflà e devozione, che ve-
ramente fu una maraviglia. Tenne corrifpondenza per lettere, anzi non
ordinaria amicizia, con Raffaello da Urbino, al quaie, di fua mano l'an-
no 1508. dico nell'età fua di cinquanta otto anni, mandò il proprio ri-
tratto, che dallo fteflo Raffaello fu molto lodato e tenuto caro, come
quegli che ebbe fempre il Francia in conto di molto buon pittore, fìcco-
rae veramente fu; anzi è fama, che le Madonne dì fua mano tanto-gu-;
(tallero a Raffaello, che quando in effe Affava l'occhio, appena lo poteva
diftrarree II molto, che quello artefice operò in pittura, non punto gli
impedì l'antica applicazione a'conj delle medaglie,delle quali fempre fece
molte, anzi finch* e'viflè, tenne del continuo la Zecca di Bologna, e fece
per ella le ftampe di tutte le monete, traile quali furon quelle, che Papa
Giulio fparfe e gettò nell'entrata ehe e'fece in quella città, che hanno da una
parte il ritratto di elfo Pontefice* e dall'altra fi leggono le parole BONO»
Ni A
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FRANCESCO FRANCIA.        157
NI A PER JULIUM A TYRANNO LIBERATA. Scrifle il Vafari, che fa
morte del Francia occorfe in tali e tali circoftanze, e per alcune cagioni,
P anno i $ 18. il che tutto dal Conte Carlo Cefare Malvalla * con riicontri
molto evidenti, vien provato non aver fuffiltenza: e per quello» che al
tempo della morte di lui appartiene, dice il medefimo non poter'effer fe-
guìta del 1518. perchè il CrocififlTo dell'Altare de'Getti in Santo Stefano
fu fatto dal Francia Panno 1520. ed il famofo quadro del San Sebaftiano
della Zecca del 1522. e retta ttutavia in dubbio il tempo appunto» nel
quale quello degniflìmo artefice pafsò da quefta all'altra vita» e che per
confeguenza finì il mondo di godere un uomo, in cui, in eminente grado»
concorrevano qualità tanto riguardevolt e così rari talenti. Lafciò molti
discepoli, de' quali lì parlerà a luogo loro; e fra queftì fu un tale Gio-
vambatifta Francia fuo nipote, del quale* per etòer riufcico pittore di poco
valore, non fé ne farà alcuna menzione. Dirò folo, che per non aver
la città di Bologna avuti (toltone Francefco Francia ) fino a' fuoi tempi
pittori di molto grido, eranvi i profeflbri di quefta bell'arte poco (lima-
ci; onde venivan pubblicamente notati in una Compagnia «che fi chiama-
va delle quattr' arti, cioè Sellari, Guainari e Spadari ; ma etfendo poi,
mercè la virtù di eflb Francefco, ialiti in aiTai migliore ftima, fu fatta una
lunga lite, nella quale il nominato Giovambatifta Francia molto s* affa-
ticò: e dopo quefta finalmente l'anno 1569. fu fatta la feparazione de'Pit-
tori dagli altri artifti, unendogli all'antichiffima Compagnia de'Bamba-
giari. Furon loro fatti proprj Capitoli, con affegnar loro la quarta parte
delle comuni entrate : ed erto» fra gli altri molti, vi fu fatto Ufiziale.
if^niM                                     - "         mr i J------------'------' "" ' 1i        i----------—'—'-----w —~~~~~J~         .....
FRANCESCO MELZO
MILANESE
MINIATORE ECCELLENTE
Tìifcepolo dì Donar do da Vinci, fiorì circa tf/1490.
Timo io dover replicare» giacché altra notizia non ho di
quell'artefice» ciò che nelle notizie della vita di Lionar-
do da Vinci ho accennato: e quanto afferma Gio. Paolo
Lomazzo, Pittore del fuo tempo, cioè, che quefti era fo-
lieo raccontare, che Lionardo fuo maeftro, fece talvolta,
di eerta maniera uccelli, che per aria volavano» e che ciò
foffealla prefenza di Francefco I. Re di Francia: e che e*
facefle camminare da fé ftefto, pel mezzo di una gran fala un Lione,
facto con mirabile artificio, il quale nel fermarli che fece, fi aperfe nel
petto, che teneva pieno di gigli e d'altri fiori, e di quegli , con gran ma-
raviglia di elio Re, fece vaga e pompofa rnoftra a tutti i circoftanti.
&
                                                                                 PELLE
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NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE L
DEL SECOLO IV.
DAL MD. AL MDX.
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DEL SECOLO IV.
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ALBERTO DURER
PITTORE, SCULTORE, ARCHITETTO,
E INTAGLIATORE
Di NORIMBERGHA CITTA' DI ALEMAGNA
Difcepùh di Buonmartmo, fiato w/1470 jfa 1528.
Sfai poca notizia potrei io dare del celebre artefice Al-
berto Durerò, fé a ciò non mi aveffè in parte ajutato la
traduzione di quello, che nel proprio idioma nefcrifie ii
buon Pittore Carlo Vanmander Fiammingo; aggiugnen-
dola a quello, che con molta fatica e industria fparfo
per gli (criai di ottimi Autori, ho io fin qui potuto ri*
trarne, per far sì, che la nofìra Italia, che per un cor-
fo di fopra 170. anni nelle belle opere fue ha ammira-
to il valore di lui e la chiarezza del fuo intelletto, lortifca ancora di fa-
pere alcuna cofa della lua perfona, e dell' altre qualità dell'animo fuo,
, *.- l ,
                                            L                                      Qjuali
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i6% Decennale I. del Secolo IV dalt$oo. ah$\o.
Quali follerà negli antichi tempi gli antenati di Alberto, e onde traefle
¥ origine la fua caia, non è ben noto; ma però fu ferino, che quelli
poienero avere avuto loro comincìamento nell'Ungheria, e che di quivi
fé ne parTaflero ad abitare in Germania* Ma poco rilieva tutto ciò j con-
dofìlacofachè, per molto qualificati che potettero edere flati i fuoi genitori,
non è per quello, che alcuna maggior gloria averterò potuto effi procac-
ciare a lui di quella, che egli colla molta virtù fua feppe acquietare.
E* dunque da faperji, come il natale d' Alberto fegui nella città di No-
fimbergh in Alemagna, l'anno della noftra falute 1470. in tempo appunto
quando in Italia li era già cominciata a feoprire e praticare l'ottima ma-
nieri del dipignere. Il Padre fuo efercitò cori lode univerfale il meftiere
delForeficQ, nel quale feppe dare a vedere ar fuoi cittadini il molto,eli' er
valeva in ogni più artìficiofo lavorò r Er ftata opinione di qualcheduno in
Fiandra, che Alberto il figliuolo confumafie i primi anni fuoi rteHreferei-
zio del padre r e tale loro opinione ha avuto fuó fondamento, in non efferfi
mai veduto, che Alberto, per molti anni di fua gioventù, conducefle cofa
di confiderazione in queft* arte, e d'intaglio. Altro non fi vede di quel tem-
po, fatto da Alberto, che una ftampa colla data del 1497. anno ventifec-
tefimo dell'età fua; e quella anche aveva copiata da una limile, intagliata da
Ifrael di Menz, città vicina al Reno, Copra il Fiume di Mairi | in quel
luogo appunto, dove queftidue fiumi il congiungono; nella quale (lampa
aveva il Menz figurato alcune femmine ignude r a fomiglianzaielle tre
Grazie, fopra il capo delle quali pendeva una palla, e non vi aveva polto*
nota del tempo, in che fu fatta : e umilmente eranfi vedute alcune poche
{lampe, fatte dallo fteflb Alberto» pure fenza data di tempo, le quali dar
pratici dell'arte furono reputate delle prime cofe che e'facefle. Altri poi
hanno creduto, che egli nel corfb di quegli anni, comech'egft era cV in-"
gegno elevatilTimOr ad altro non attenderle, che allo ftudio delle lettere,
ed a farli pratico in Geometria, Aritmetica, Architettura , Profpettiva,
ed in altre belle facoltà ; e quello è più probabile; e quando mai altro non
forte, ne fanno aliai chiara tettimonianza i molti libri, che quello fublime
ingegno, dopo un breve corfo di vita, ne 1 afeìò feruti. Tali fonoTopera
della Simetria de*corpi umani, feruta in Latino, e dedicata a Vilibaldo Pit-
ene mer, letterato Tedefco, il libro di Profpettiva, d'Architettura, e dell' Arte
militare „ Io però, non dirottandomi in tutto-dalia fentenza di quefti fecon-
di, (timo, che Alberto impiegale quel tempo, non folo negli ftudj predetti,
ma ancora in quello del Difegno e della Pittura : ed il non aver dato fuori
intagli di fua mano prima del 1497. in età di ventifette anni, dico io,
che derivò da impofiìbilità della cofa fìcfTa,* perchè la bell'arte dell' inta-
gliare in rame, non prima ebbe fuo principio, che Tanno 1460. in circa,
che operava in Firenze Mafo Finìguerra, che ne fu l'inventore, come
abbiamo accennato a principio, e come fi trova effèr da noi fiato ferieto
nelle notizie di Cale artefice « Qualche poco di tempo vi volle prima che
Baccio Baldini, il Polla juolo e altri maeftri Fiorentini la riduceflero a
pratica : e Tappiamo, che il Mantegna vi applicò in Roma dopo còftoro :
e quivi fu il primo a dar fuori carte ftampaie, che furono i fuoi Trionfi,
con altre
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ri ALBERTO "DURERÒ.           163
con altre cofe.- e ciò fu non prima del tempo dMnnocènzio Vili, che
eenne il Papato dal 1484. al 1492. Inoltre Tappiamo, che quelle (lampe
del Mantegna furori quelle portate in Fiandra» che diedero alle mani di
Buomnartino Pittore di quelle parti rinomato, il quale pure dovette ancha
egli con fumare alcun tempo» prima che e'fi faceffe quel grand'uomo nei-*
P intaglio , che (avuto riguardo a'tempi) egli poi fu ; e eh'egli avelie ad
Alberto quell' arte infegnata; onde io farei rimafo in gran confufione,
quando avelli intefo il contrario, cioè» che Altercò» prima di quel rem*
pò avefle potuto intagliare» conoscendo per altra parte, che ciò non potè*
va feguire, per noneflère ancora in pratica quel meftiere. Il noliro Albert
to adunque, avendo affai miglior difegno di quel che aveva Buonmartino
fuo maeftro,apprefe cosi bene quelVarte, che in pochi patii di gran lunga
l'avanzò, perchè le prime opere fue tofto cominciarono ad eiTer più belle.
Quelle furono una (lampa, che fi chiama l'Uomo Salvatico, con una tella
di morto in un'arme, fatta l'anno i|oj. e una noftra Donna piccola, fatta
pure lo fteflb anno, nella quale fi fcorge quanto egli già eragli pattato
avanti. Diete fuori J' anno 1504. le belle figure dell' Adamo ed Eva;
l'anno 150;. i Cavalli, del 1507. 508. e 51*. fece le belle carte della Paflio-
ne,in rame: intagliò la carta del Figliuol Prodigo, il San Baftiano picco-
lo, la Vergine, in atto di federe, col Figliuolo in braccio: e anche la
Femmina a cavallo, con un uomo a piede, Ja Ninfa rapita dal moftra
marino, mentre altre Ninfe (tanno bagnandoli. Fece in diverfe picconili-
me carte molti Villani e Villane, con abiti alla Fiamminga, in atto di
fonar Jacornamufa, di ballare, altri dì vender polli, ed in altre belle
azioni: e fimilmente il Tentato da Venere all'impudicizia, dove è il Dia-
volo ed Amore, opera ingegoófifilma ; e i due Santi Criftofani portanti
il pampino Gesù, Scoperteli poi le (lampe di Luca d'Olanda, intagliò
a concorrenza di lui un uomo armato a cavallo, lavorato con eftrema
diligenza, ?l quale figurò per la Fortezza dell'uomo, dov'è un Demonio»*
la Morte e un Cane peloio, che par vero. Ancora fece una Femmina
ignuda fopra certe nuvole» e una figura alata per la Temperanza, che lì
vede dentro ad un belliflìmo paefe, con una tazza d'oro in mano ed una
briglia. Un Santo Eustachio inginocchioni dinanzi al Cervio, che tiene
fra le corna il Crocififlo, carta bel liffima, dove fono certi cani, in diverfe
politure naturali, che non poffono efler meglio imitati. Veggonli anche
intagliati da lui molti putti, alcuni de'quali tengono in mano uno feudo»
dovfè una morte con un gallo. Similmente un San Girolamo, veftko in
abito Cardinalizip, in atto di fcrivere,' con un leone a' piedi, che dorme.
Figurò egli il Santo in una danza, ove fono le fineftre invetriate, nelle
quali battendo i raggi del Sole, tramandano io fplendore nel luogo, ove
il Santo fcrive, e in quella ftanza contraffece orivoli, libri, fcritrure, e
infinite altrecofe, con tanta finezza e verità, che più non li può defiderare.
Intagliò anche un Crifto co'dodici Apoftoli, piccole carte; ancora molti
ritratti, fra'quali Alberto di Brandemburgh Cardinale, Erafmo Roterò-
damo, e fece anche pure in rame il ritratto di fé fteflb. Ma belliflìma è
una Diana, che percuote con barione una Ninfa, che per fuo fcampo fi
Lì*                       ricovera
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$Af DeccntMltlì dèi Secolo W dati fé®. ali$\o.
xièovtò ih grembo adìtin Satiro. Dicefi ,-che Alberto irt<quèfta carta vox
lefle far conofcere al mondo quanto egli intendeva l'ignudo; ma per dire
il vero» per molto chiei faceflè, potè bene in quella parte - piacere a' fuor
paefani, a'quali ancora non era arrivato il buon gufto e l'ottima maniera
di mufcoleggiare^ ma non già agli ottimi maeftri d'Italia. Nò poteva egli
far meglio gl? ignudi di quel eh'e' fece, poiché, feguendo il modo di
fare di tutti coloro, che prima di lui dipinfèro in quelle parti, ebbe fem-
pre per fua cura principale di orTervare il vero bensì ; ma infieme di fer-
marvifi, fenza eleggere il più bello della datura, come fecero^negli anti-
chi tempi i Greci e i Romani.- il che poi il Divino Michetagholo Buo-
narroti tornò a mettere in pratica, come a tutti è noto. Non fu anche
di poco danno ad Alberto nel far gì'ignudi in quel luogo, che non aveva
ancora avuta la più chiara luce dell'arte:* il doverli per neceflìtà fervire per;
naturali de'fuoi proprj garzoni, che probabilmente avevano, come anco
per Io più i Tedefchi, cattivo ignudo, benché veftitiapparifcano i più
belli uomini del mondo. E da tutto quello avvenne, che j fuoi intagli,
nella noftra Italia, avellerò allora, iìceome anche hanno avuto dipoi più
a cagione dell'eftrerria diligenza con che erano lavorati, della varietà e no-
biltà delle tefte e degli abiti, della bizzarria di concetti e dell'invenzione,
più rinomanza eftima, che per Vintelligenza de*mufcoli, e dolcezza della
maniera. Ma perchè Alberto aveva veduto, fino dal bel principio, le ope-
re fue tanto applaudite, aveVa prelò grand'animo: e come quegli, che f»
trovava molte belle idee difegnate per dare alia luce, fi rifòlvè, come co-
fa ben faticofa e più breve» di applicarli all' intagliare in legno, che gii
sriufeì con non minore felicità di quella, che aveva provata nell'intaglia-
le in rame. In data del 1510. fi veggono di fuo intaglio in legno una
Decollazione di San Giovanni, e quando la tefta del Santo è prefentata
ad Erode, che fono due piccole carte . Un San Siilo Papa, Santo Stefano*
e San Lorenzo, e un San Gregorio, in atto di celebrare . Lo ftdfo art-
no 1510. intagliò in foglio reale le quattro prime ftorie dèlia iPaffione del
Signore, cioè, la Cena, laprefa nell'Orto, l'andata ai Limbo e la Refur-
rezione . Reftavano ad intagliarli le altre otto parti della Paflìone, le quali
li crede, che egli voleiTe pure intagliare da fé Ilefloj ma che poi non lo
facefle: e che reftandone i difegni, dopo là fua morte, foffero fot co fua
nome, e col folito contraflegno fuo, intagliate e date fuori, perchè fon
diverfe affai, in bontà, dalla fua maniera , né hanno in fé arie di tefte/
nobiltà di panneggiare, o altra qualità, che fi porla dir fua; maflìmamen-
te fé confideriamo le venti carte della Vita di Maria Vergine, che egli in--
tagliò poi l'anno 1511. nella (tetta grandezza di foglio, nelle quali appari-
feono tutte 1' eccellenze maggiori del faper fuo, tanto per arie di tefte ,
quanto di Profpettive, invenzioni, azioni, lumi, ed ogni altra cofa defi-
derabile. Fece anche in legno un Grillo nudo, co' mifterj della Paflìone
attorno, in piccola carta: e lo Hello anno pure intagliò la celebre Apoca-
lhTe di San Giovanni Evangelifta in quindici pezzi, che pure riufeì opera
maravigliofai come anche i trentafei pezzi di ftorie della Vita , Morte e
Uefurrezione del Salvatore, cominciando dal peccar di Adamo e fua cacciata
dal Para-
fa
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ALBERTO DURERÒ.           165
dal Paradifo Terreftre, fino alla venuta dello Spirito Santo ; finalmente
intaglio il proprio ritratto quanto mezzo naturale • Tornò poi a fare altre
cofe in rame, cioè a dire, tre piccole immagini di Maria vergine, e una
carta, dove con bella invenzione figurò la Malinconia, con tutti quelli (fru-
menti, che ajutano l'uomo a fard malinconico. Molte altre carte intagliò
in rame, tra le quali fi annovera il ritratto del Duca di Saflònia, fatto
del 1524. e di Filippo Schuvartzerd (a), detto comunemente il Melanto-
ne, del 1526. che fu l'ultimo tempo, del quale fi veggono fuoi intagli in
rame. Or qui è da Capere, che eflèndo capicate a Venezia molte delle fuè
ftampe, e particolarmente i trentafei pezzi della Vita di Grillo ; e date alle
mani dì Marc' Antonio Raimondi Bolognefe, che quivi allora fi ritrovava,
egli le contraffece, intagliando il rame d' intaglio groflo , a fimilitudine
di quelle, che erano in legno, e fpacciavale per di Alberto, perchè vi
aveva intagliato ancora il proprio fegno di lui, che era un A D. Seppe-
lo Alberto, ed ebbene s\ gran difpiacere, che fu coftretto venire in per-
fona a Venezia, Quivi effendo ricorfo alla Signoria, e avendo fatta gran
doglianza ói un tanto aggravio, non altro ne cavò, fé non un* ordine»
che il Raimondi non ifpacciaflè più fue opere col fegno e marca dì lui,
come altrove abbiamo raccontato . Con tale occafione vifitò Giovanni
Bellini, celebre Pittore di quella città ; e vedute le fue opere, fecegli an-
che veder le proprie, con ifeambievoi fodisfazione e contento*
Ma tempo è oramai di dare alcuna notizia dell'opere di quello Artefice,
fatte col pennello, le quali, contuttoché ritengano alquanto di quel lecco,
che hanno tutte quelle fatte in quei tempi, e prima da' roaeftri di quelle par-
ti, che per non aver vedute le belle pitture d'Italia, fi erano formati una
maniera come potevano; contuttociò non iafeiano di far eonofeere al
mondo, quale e quanto fofle 1' ingegno di queft' uomo, il quale per cer-
to fu di gran lunga fuperiore ad ogni altro, che vi avefle operato avanti
a lui. Dipinfe l'anno 1504. una Votazione de' Magi, il primo de*quali
teneva un calice d'oro, il fecondo e terzo una piccola cadetta. Del 1506V
fece una Madonna, fopra la quale eran due Angeli, in atto di coronarla
con una corona di refe; l'anno 1507. un Adamo ed Eva, grandi quanto
il naturale : e un altro Adamo ed Eva, pure di fua mano, della fteffa gran-
dezza , fi conferva oggi nella Real Galleria del Sereniflimo Granduca.
Quello quadro è divifo in due parti, che unite infieme, compongono un
fol quadro, e fi può piegare in mezzo . Dalla parte fin idra fi vede la noftra
prima Madre in piedi, la quale, colla delira alzata alquanto, tiene in
mano il pomo, quafi in atto di porgerlo al fuo marito» il quale ella guar-
da finamente, quali pervadendolo a prenderlo; dalla parte devira è Ada-
mo, pure in piedi, il quale in vaga attitudine tìen la mano dritta appog-
giata al capo, e eolla mano manca flrigne un cingoletto di foglie, eoa
cui (i cuopre le parti, e guardando la Moglie con occhio vivaciflìmo, pare
veramente che efprima un certo Ilare in forfè, le deva compiacerla o nò.
L 3                                  Le figure
{a) Schuvartzerd, voce Tedefca, che in noBva lìngua fuona Terranera, e la
voce
Melanchthon, in Greco vale lo ffejfo*
y
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p 66 Decemmk h MSecolo IV. dal 1500, al 1510.
te figure fon colori^ banUfimo, e tanto finite, che è una maraviglia il
vederle.. Nella ftefià Galleria di Sua Altem Sereniùlma, fono di mano di
lui due feelliulme tette a; temperar fopra tele, una rapprefenta un San Fi»
lippa A portolo» e l'altra un S, Jacopo; nella prima è feritfa Sanele Phi-
lippe ora prò tioUs*
c&Jla data del i$x6. e la foJita cifra d'Alberto A D.
fopr* 1' gfei è l'altro Apoftoio co&harfea lunga, nella quale fi potfbno
numerare tntt? i peli.' ed è cofa da ftupire» come un uomo fia potuto ar-
rivare a tanta finezzaf njaflimamente nel colorito a tempera; ec| in quatta
è fcritto Santi* -facete ora prò nobis, colla medefima data e cifra. Quelle
due tede erano nella Galleria dell' Imperadore, quando la gloriofa memo-
ria del Granduca Ferdinando IL andò all' imperio: e avendole vedute è
molto Iodate , fubito le furono da quella Maeftà donate. Vi è ancora
un altro quadro di fua mano, in tavola, alto circa a braccia duce Smez-
zo, dov'è figurato Gesù Critfo appafiionato, con mani legate, e tutti
gli (frumenti della Patfione, e dal ginocchio in giù è nel fepolcro. Quello
quadro fu della gloriofa memoria del Cardinal Carlo de' Medici: e Umil-
mente un altrot dipintovi una Pietà, ancora eflb in tavola, con figure
alte tre quarti di braccio in circa, dove fi vede iflsignore morto, in at«
«io di eflere adorato e pianto da Maria Vergine, che è dalla parte delira,
e dallafin idra San Giovanni. Davanti vedefi la Madonna inginocchione,-
e preflb al Sepolcro è Giufeppe di Arimatia, con un* altra figura, Che am-
bedue reggono il corpo del Redentore. Nel 1508, unaCrocififlìone, nella
quale, in lontananza, aveva figurati divedi martirj, dati poi a' Griftiani,
ad imitazione del Crocififlb Signore, alcuni de' quali fi vedevano lapidati f
e altri con varj e crudeli fupplic} fatti morire. In quefto quadro dipinfe
al naturale fé fteffo, in atto di tenere un* infegna, in cui aveva fcritto il
proprio nome: e appre0b alla fua perfona fece il ritratto di Bilibaldo Pir-
chemerio, uomo virtuofo, che fu fuo amiciffimo, Dipinfe anche un ec*
celiente quadro, e vi figurò un Cielo, in cui fi vedeva un Crocififtb pen-
dente dalla Groce, fotto il quale erano il Papa, V Imperadore e i Cardi*
nali, che fu in iftima di una delle più belle opere, che ufciftero dalle lue
mani.* e nel paefe fopra il primo piano fece un ritratto di fé fteffo, in
«tto di tenere una tavola in mano, dove era fcritto Albertus Duvet #0-
rìcus faciehat Anno de Virginis parta 151 x. Quelle belle opere pervennero
tutte nelle mani dell' Imperadore, che diede loro luogo nel Palazzo di
Praga, nominato la Galleria nuova, tra altre opere di celebri Pittori Te-
lefoni e Fiamminghi. Riufcì anche uno de' più degni quadri d'Alberto,
quello, che donò il Configlio 0 Magiftrato di Horirabergh a quella Mae.
ftà, in cui egli aveva figurato il portar della. Croce di Grillo. Eranvi mól*
tiflìme figure, co'ritratti di tutti i Confìgiieri di quella città, che in quel
tempo vivevano; e quefto pure ebbe luogo nella nominata Galleria di
Praga. In un Monaftero di Monaci a Francfourt era l'anno 1Ó04. un bel-
liffimo quadro dell' Aflunta di Maria Vergine» ed una Gloria con Angeli»
bellifiìma ; e fra l'altre cofe li ammirava in ella una pianta del piede di un
Apoftolo, fatta con tanta verità e di tanto rilievo, che era uno ftupore:
e tale era il concerie della gente a veder quello quadro, che afferma il
Vanmander»
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ALBERTO DURERÒ.          H7
Vanmtnder, che a nuc' Monaci fruttila gran danari di limoline e dona-
tivi, che erano loro fatti in ricompensa della dimoftrata maraviglia. Fece
queftV opera Alberto Tannò 1509. Erano Umilmente nel Palazzo di Nóritn-
bergh tua patria divertì fuoi quadri di ritratti d'Imperadori, cominciando
da Carlo Magno, con altri di Cafa d'Auftria, yeftiti di beliùTìmi panni
dorati: ed alcuni Appftoli in piedi, con be'panneggiamenti. Aveva an-
che Alberto ritratta la propria fea Madre In un quadro: ed in un'altra
piccola tavola se medefimo Tanno 1500. in età «di trentanni. Aveva fatto
anche un altro ritratto di fé medefimo l'anno 149$. in una tavola minore
di braccio: e que'fto fi conferva nel non mai abbaftanza celebrato Mufeé
de • Ritratti di proprie mani degli cceejìeniri Artefici » che àa il Serenifiimo
G randuca di Tofcana, i quali furono raccolti dalla gloriofa memoria dei
Sereniffiitio Cardinal IJeopoldo. Vedefi elfo Alberto in figura di un uomo
con una belliflìma zazzera ro/ficcra, yeftito d'una veàe fianca, lift rata di
nero, cori una taffettà pure bianca, anch' efià librata di nero; la parte
delira è coperta con. una fopravvefte capellina ; baie mani giunte inguan-
tate; v'è figurata una fineftra, che feuopre gran lontananza di montagne :
e nei fodo, o vogliamo dire parapetto di ella iìneira» fono fcritte dipoi
dopo alcun tempo le tegnenti parole in quella lingua Tedefea. 1498. Que-
lla pittura bo fatta io quando era in età di venti/ei anni ^Albert* Bwer:
e vi
è lòtto la fua folita cifra A D. Abbiamo per teftimomanza di Moni*. Fe-
libien nel fuo Trattato in lingua Franzete, che nel Real palazzo della
Maeftà di queir invitto Re , fi ammirino fatti, con cartone d'Alberto .
quattro parati di nobiliflìme tappezzerie di feta e oro: in uno fi rappre-
fenta ftorie di SanGiovambatifta, in un altro la Pafiione del Signore.
Sarei troppo lungo, fé voleflj deferiver tutte le ©pere e i quadri d* Al-
berto , quanto di Luca d' Qlanda e d* altri intigni Artefici Tedefchi e
Fiamminghi, che fono nej Palazzo Serenilfrnio; ma non voglio già lafciare
di far menzione di un altro maravigliofo ritratto di mano dr Alberto,
che fi trova pure nelle danze , che furon già del -nominato Sereniflimo
Cardinal Leopoldo, in una tavola, alta quafi un braccio» efie a parer
degl' intendenti è una delle pili belle cofe, che fi vedanoci mano Tua.
E'quello un Vecchio, con berretta nera, con fopra^vvefte capellina pel-
licciata, che ha in mano una cpronetta di palle rofle, alla qual figura
non manca fé non il favellare. Vi è la folita cifra A^Pe te data del
1490, Vi fonò anche due tefte quanto il naturale , una di ma Crifto
coronato di fpine, e l'altra di Maria Vergine colle mani giunte, ed al-
cuni veli bianchi in capo , delle quali meglio è tacere , che non lodar-
le abbaftanza. $ipinfe anche una Lucrezia , che era in Midelburgh ap-
prettò a Melchior Wyntgis : e in Firenze nei paflàto fecolo venne in
mano di Bernardetto de' Medici, un piccol quadro della Pattfone del
Signore , fatto con gran diligenza: e molti e molti altri furono i par-
ti ad fuo pennello, clie per brevità fi tralafcjano, e de'quali anche non è
venuta a noi intera notizia. Pervenuto finalmente Alberto all'età di an-
ni cinquantafette , avendo acquiftato molte facultàefarna grandiflìma per
tutto il mondo, nelpiubellodeli'operarfuo fu rapito dalla morte, l'anno
L 4                          di noftra
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168 Decennale 1. del Secolo IV. dal 1500* al 1 $ 1 o.
dì noftra fàlute 152.8, agli 8. di Aprile, nella Settimana Santa. Fu al Tuo
corpo data fepoltura nel cimitero di San Giovanni fuori di Norimbergh,
e fopra effa fu pofta una lapida grande colla feguente ifcrizione ;
(a) ME. *A L. D K
Qmcqmd *AL BERTI <DVRER1 mortale futt{uh hoc condìtttr tumuU
emigramt VI IL Aprìlis 1528.
31 già nominato Bilibaldo Pirkaeymherus, ftato fuo grande amico, del quale
egli aveva anche fatto un ritratto in rame, compolè ad onor fuo un bello
Epigramma Latino.
^ DicdQ la natura ad Alberto un sì bel corpo, che per la datura e eom-
porzione delle parti fu maravigliofo , e in tutto e per tutto proporzio-
nato alle belle doti detr animo fuo. Aveva il capo acuto . gli occhi ri«
iplendenri, il nafo oneftoe di quella forma, che i Greci chiamano rsrp%-
yww,
il collo alquanto lungo, il petto largo, il ventre moderato, le
cofce nervofe, le gambe {labili, e le dita delle mani così benfatte, che
non fi poteva vedere cofa più bella. Aveva tanta foavkà nel parlare r
accompagnata da tanta grazia, che non mai avrebbe, chi fi forTe, voluto
vedere il fine di ascoltarlo ; e feppe così bene efplicare i fuoi concetti
nelle fcienze naturali e matternatiehe, che fu uno ftupore. Ebbe un* ani»
«10 sì ardente, in tutto ciò che fpetta alPoneftà e a' buoni coftumi, che
fu reputato di vita irreprenfibile. Non tenne però una certa gravite
©diofa, e nell'ultima età non recufava gli onefti divertimenti di efercizf
corporali e '1 diletto della mufiea, né fu mai alieno dal giufto, II fucr
pennello fu così intatto, che meritamente gli fu dato il nome di cuftode
della purità e della pudicizia . In fomma fu Alberto Durerò un uomo de*
più degni del fuo feeolo: e fé e* foffe toccato in forte a lui, come a tanti
altri maeftri di quel tempo, di formare il fuo primo gufto nell'arce fopra
le opere degli ftupendi Artefici Italiani, mi par di potere affermare, che
egli avrebbe avanzato ogni altro di quel feeolo; giacché e' fi vede aver' egli
follevata tanto l'arte dallo ftato,in che la trovò fotto quel cielo ,che non
folo ha fvegliato ogni fpirito, che poi vi ha operato; ma ancora ha dato
qualche lume all'Italia ftefia, e a'migliori maeftri di quella; i quali non
hanno temuto d'imitarlo in alcune cole, cioè a dire in qualche aria di
tefta o abito capricciofo e bizzarro, come fece Gio. Francefco Ubertini
Fiorentino, detto il Baechiacca: e fino lo ftefib Andrea del Sano prefe da
lui alcuna cofa, riducendola poi alla propria ottima maniera, ed impafeg-
giabil gufto. Lafcio da parte però il celebre Pittore Jacopo da Pontormo,
il quale tanto s'incapriccì di quel modo di fare, e tanto vi fi perle, che
d* una maniera,eh'e's'era formato da non aver pari al mondo, come mo-
flrano
w------*-----------                 .......—it imiiw—■■iémi—min nii --• 1 ii'ìniiiii :i tr' iìh i "n i "i ■ 1 -^—1 - i —*m i                  r—■ — ■ ■ ■....."              ■■ «
{a) Le parole ME. AL. DV. dìftefé direbbero MEMQR1AE . ALBERTI .
DVRERI.
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\ ALBERTO *DURERO.           169
Arano le prime opere fue, e particolarmente le due Virtù, dipince fopra
1 arco principale della Loggia della Santillima Nunziata in Firenze, una
poi fé ne fece in fu quel modo Tedefco, che gli tolfe quanto egli aveva
di fmgolare. Reftarono dopo la morte d'Alberto molti belliffimi difegni
di fuamano, e particolarmente gran quantità di ritratti, tocchi di biacca,
che vennero poi dopo alcun tempo in manodijoris Edmkenfton nella Biel:
ed in mano di altri vennero anche più difegni dello ftudio della fimetria,
di che parleremo appreffo. .Dell' Adamo ed Eva, ed altri fé ne fparferoper
1 Italia in gran copia, per aver queft' Artefice difegnaco infinitamente.
Quefto fublime intelletto, per poter' aQegnare una certa ragione di ogni
fila opera, e per facilitare a chi li forfè il confeguimcnto di ogni perfezio-
ne nell'arte, fi era meiTò con intollerabil fatica a ordinare il libro della
Simetria de'corpi umani, nel quale ebbe quella buona intenzione di ri-
durre il buon difegno in metodo e in precetti; e perca'egli era liberalifli-
nio di ogni fuo fapere, fi pofe a fpiegarla in ilcritto al dottiflimo Vilibal-
doPirchemer, acuì, con una bella epiftoìa la dedicò: e già aveva dato
principio a correggerla e; ftamparla, quando fu colto dalla morte: onde
ella fu poi da'fuoi amici data alla luce nel modo , che egli ordinò ^illì
che egli ebbe quefta buona intenzione ; perchè quantunque ih dì non poco
giovamento a' Pittori e agli Scultori, per tenerli lontani da* grandi sba-
gli» il faper per via di precetti una certa univerfale proporzione de'corpi,
ha peròinfegnatoTefperienza, che la vera, più corta e più (icura regola
per far bene, fi è, l'aver l'artefice, come diceva il Buonarruoto, le felle
«egli occhj • Fl1 Alberto amiciflimo di ogni profèflòre, che egli avefle ri-
putato infìgne nell'arte, e particolarmente del gran Raffaello da Urbino,
al quale mandò a donare un ritratto di fé iteiì'o, fatto fopra una bianca
tela, d'acquerello, fervendoli per lume dei bianco della medefima tela;
e ne fucorrifpofto di alcuni difegni, fatti di fuà propria mano. Mollò
dallo fteflb affetto dell'arte e de* profeflòri, volle vifitare i più celebri ar-
tefici de' Paefi Baffi , e veder le opere loro , e particolarmente quelle di
Luca d'Olanda, che fino del 1509. aveva cominciato a dare gran faggi di
le co' fuoi intagli, i quali per certo, quantunque in difegno non arri-
▼afìeroalla bontà di quelli d'Alberto, gli furono però alquanto fuperiori
in diligenza e delicatezza. In tale occafione avvenne, che al primo vede-
re, che fece Alberto i'afpetto di Luca, che era di perfona piccolo e fpa-
ruto, forte fi maravigliò, come da uno, per coàì dire, aborto della natu-
ra, poteiTero ufeire opere di tanta eccellenza, delle quali tanto fi parlava
le amicizia. Queftomedefimo affetto, che egli ebbe all'arte Va' proféflb-
ri, aggiunto all' ottima fua natura, cagionò in lui una inarrivabile difere*
rezza nel parlare dell'opere loro.- e quando era domandato d&l fuo parere,
lodava tutto ciò che e' poteva lodare: e quando non aveva cne lodare, fe
ìa paffavacon dire. Veramente quefto Pittore ha fatto tutto il poflibile per
far bene : e così lafciava ì* opere e i maeftri nel polio e pregio loro, il
perchè
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ifó Decennale L del Secolo JK-tfàtifóò. ah 5io.
èèrchè èra da ognuno, per posi dire, adorato. .'jE (la ciò detto a confu.
«ohe di certi maeftrelJi, che eiTendo, come noi fogliamo dite, anzi infa-
rinati neh" arte, che profeffpf i, ardifconO por là bocca nfcjìe opere de'gran-
d'uomini, factndofi temerariamente giudici di tuttocìò, eh'è'non cono-
scono, ó non intendono; per non parlar di tanti altri, i quali col foìo
àVèÀe ih puerizia (porcate quattro carte con ifearabocchi e fantocci, il
ufur^àrìb il home di difettanti 'fijiif arte, con cui prefumono di tenere a
fìhdacato del loto (concertatogii'ltò anche i profeflori di prima riga; altro
finalmente non rìportàndodi tal loro temerità, che nimicizia e vergogna,
Alberto dunque, per tante fue virtù e ottime qualità, oltre alla reve-
renzae ftima, ih che fa (empre appretto all' univerfale e a' prpfelfori, fu
ftimatiflimo da* Grandi, che facevano a gara a chi più poteva ricompen-
fàrlo ed onorarlo. Maffimiliàno, Avo di Carlo V- fecegli una volta inTua
prefenza difegnài'e fopraluna muraglia a/cune cole: e perchèqueftedove-
vano avanzarli fui murò alquanto pia di quello che egli pótefle giugnere
eolia mano, non eflendo allora in quel luogo altra miglior comodità, co-
mandò lo'mperadore ad un Cavaliere pettoruto e di buone forze, che era
quivi prefente, dì porli per un poco piegato in terra a guifa di pontef
affinchè Alberto montato fopra di lui, potelTe arrivar culla mano, ove
faceva di bifogno. 11 Cavalière, parte per timore, parte per adulare à
quel Monarca, f abito ubbidì; ma però foprartatto da infoi ita confufione/
non lafciato di dare alcun fegno, colla turbazione dell' alpetto, di parer-
gli ftrana, cofa, che doveffè un Cavaliere fervir di fgabelio ad un pittore:
di che avvedutoli Maffimiliano, gli ditte, che Alberto, a cagione di fua
virtù, era affai più nobile di un Cavaliere: e che poteva bene un' Impe-
radore di un vii contadino fare un Cavaliere, ma non già di un'igno-
rante uno così virtupfo, È dui è da notarli, che quefto Gefare fu così
amico dell'Arte, che diede alla Compagnia di Santo Luca, pe' pittori,
un* Arme propria, che (orto tré feudi d'arnie d'argento in campo azzurro,
la quale, oltre a quanto io trpvp in alcuni Autori, vedefi efprelfa in faccia
di un Frontefpizip de' Ritratti degl'iljuftri Pittori Fiamminghi, che die-
de alle ftampe dì fuO intaglio Tommàfo Galle, circa il i#5. Fu ancora
Alberto in grande (lima appreiTp di Carlo V, e Ferdinando Re d'Unghe-
ria e di Boemia, pltre una graffa provvifìone, con che era folito tratte-
nerlo, facevagli onori ttraordinarifTìmì; e in fotti ma fu egli tanto in pa-
tria che fuori f e da ogni condizione di pérfòhe 'tempre ftim'àtp e re ven-
to a quel fegno, che meritava un uomo di eccellente valore, qual'egli fu.
Della (cuoia di quello grand'Artefice ulcironp uomini eccellenti, e parti-
colarmente ALD0GHASSE djn Norimbergo, che ancora elfo fu celebre
intagliatore, còsi abbiamo dal Lpma2z0, e da Ricciardo Taurini, fcultor
di leghàme eccellente, il quile, ad iftanza di San Carlo Borromeo, Arci*
réfòpviblii^ilano,^^
                                                                 feultor
vìtitifaifà, jè Jjéllitìime fèdie. del Coro rie! ptiomo di efla Città.
RAFFAELLO
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RAFFAELLO DA URBINO
PITTORE E ARCHITETTO
bifcepolo di"Pietro Terttgino, nato 1484. ■$• f.52,0^■'','■■
Eir anno di noftra fatate 14.84. nacque al mondo queflo gran-
de Artefice» che per ifpecial privilegio* fu di tutte quelle
eccellenze focato, che appena in molti fecoli, e fra molte
perfone » è folico di compartire il cielo. Il padre Tuo fu
Giovanni de' Santi Urbinefe* pur* anch'effo pittore, che,
quantunque non arrivate nell'arto Cui a fegno di molta ec-
cellenza, avendo tenuta una maniera alquanto fecca; merita contuttociò^
€he di lui fi faccia alcuna memoria» giacché per la fua bontà, per l'otti-
ma educazione, che Tappiamo aver data al figliuolo, e per la folìecitudi*
ne, Colla quale procurò» che il bel genio diluì fofle ajutato nelV acquifto
di nobili arti» fu non piccola cagione, che potefie il mondo pofledere
uomo si dégno. A tale effetto ho io procurata notizia dì alcune 9pere.,
fatte da eflb Giovanni nello Stato di Urbino fua patria, le quali, feconda
quello, che da perfone molto perite di quev luoghi e dello fteflo meftie-
fè è fiato riferito, fono le feguenti. Neil' entrare della Chiefa di San
Frartcefco, al terzo Altare da man finifirà, è una tavola a olio, dov'è fi*
guratà Maria Vergine fedente in Trono, con alcuni Santi, nella prima e
feconda veduta, e di fopra il Padre Eterno.. Nella Chiefa del Cor pus Po*
mini * è di fua mano» la tavola del primo Altare » che pure, k % man fìniftra,
entrando per la porta principale, e vi fono moke figure. Nella Chiefa
di San Bafliairò èh ftoria del Martirio del Santo, che trajle opere, che fece
Giovanni » è fra le migliori annoverata. A Cagli dipinfe a frefco neìlì
Chiefa di San Giovanni urta Pietà di affai ragionevole rnaniera- e ne) me*
defimo luogo, pure a frefco, fece un San Baftiano, ed una Vergine fen-
dente in Trono, con alcuni Angeli e Santi. Non ebbe quefto pittore al-
tri figliuoli, che Raffaello: e fapendo» quanto ciò impofri per ben nutrir-
gli, e quel che è più, per bene educargli, volle, che dalla propria Madre,
e non da altra donna, e nella propria cafa, fofle allattato. Cresciuto poi
in età, vedendolo maravigliofamente inclinato all' arte def pifegno $
della Pittura, cominciò egli jnedefimo ad iftruirlo : e in breve tempo a taf
fegno io condune, che così fanciullo, com'era, diedegli grand'ajute* nej*
J'opere che fece per quello Stato ; ma come diferetiflìmo eh' egli era;,
conofcendo i gran progrefll del figliuolo venir ritardati pur troppo dalla
poca fufficienza fua, tanto fi adoperò con Pietro Perugino , eccellenuul-
mo Pittore, che gli venne fatto, che egli fotto la fua difcìpHna lo rice*
veife. Non ebbe appena Pietro feoperta la bravura del fanciullo » che
poftogli
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Pj'i Decennale ./ del Secolo IV, dal 1500. al 151 o.
poftogli amore non ordinario, cominciò a farlo ftudiare, con fuoi precetti ,
dalle proprie opere fue; onde non andò molto, che gli ftudj di Raffaello
ne punto né poco fi diftinguevano dagli originali del maeftro ; anziché
aveva egli così bene apprefi quella maniera, che fra le opere, che fece
egli nel primo tempo ,e le migliori del Perugino, non fuchi fapefiTe cono-
feer differenza . Xaìi furono in Perugia una tavola a olio, che fece Raffaello,
ancor giovanetto, per Madonna Maddalena degli Oddi, nella Chiefa di
San Franeefco> dove figurò un'Aflunzione al Cielo di Maria Vergine, e
di (òtto gli Apoftoli, con alcune (toriette di piccole figure nella predella
della medejìma tavola ; un' altra in S. Agoftino di Città di Gattello ; una
di un Crocitìflb in San Domenico, nella quale egli feri (Te il proprio no-
me, ed una ih San Franeefco, fatta d' alquanto miglior maniera e gufto,
dove rapprefentò Io Spofalizio di Maria Vergine; e in quefti tempi an-
cora fece al Pinturicchio più dilegui e cartoni, per le opere della Libreria
di Siena. Ma avendofentito celebrare i maravigliofi cartoni,fatti in Firen-
ze da Michelagnolo Buonarroti e Lionardo da Vinci, de'quali altrove fi
è parlato, lafciacò ogni penderò dell' operare, fé ne venne a Firenze.
Quivi fq molto onorato da Lorenzo Nafi e da Taddeo Taddei, il quale 16
tenne in fua cafa propria ed alla propria fua tavola per tutto il tempo che
vi dimorò. Quefto Taddeo Taddei fu erudito Gentiluomo, onde fu mol-
to caro al Cardinal Bembo, con cui tenne lunga corrifpondenza di lètte*
re= e come fi ha dalle medefime, fu folito favorirlo in ogni affare, che in
quefta noftra città ar.davagli alla giornata occorrendo , che avene avuto
bifogno dell' operar tuo. Contranevi ancora amicizia con Ridolfo del
Grillandajo, e Ariftotile di San Gallo, co'quali praticò molto alla dome-
nica . Si partì di Firenze molto approfittato nelf arte, lafciando in dono
al Taddei due beJliffimi quadri di fua mano; uno de'quali ne'miei tempi
non fi è veduto in quella cafa : e Y altro, che era di una belliflìma Ma*
donna» con Gesù e San Giovanni, di circa a mezzo naturale, fu agli
anni addietro, dagli eredi di Taddeo del Senatore Giovanni Taddei,
venduto a gran prezzo alla gloriofa memoria del Serenifiìmo Arciduca
Ferdinando Carlo di Auftria. in quello mentre feguì la morte del Padre
e della madre di Raffaello; onde gli convenne tornare ad Urbino, dove
fatti più quadri, di nuovo fé ne andò a Perugia ; e quivi, nella Chiefa de7
Servi, dipinfe la tavola con Maria Vergine, San Giovambatifta, e San
Niccola : e fece opere a frefeo in San Severo, Chiefa de' Camaldolefi, e
in altre nella ftefla città. Ma come quelli, che dotato di grandi idee, non
mai finiya neh" operar fuo di piacere a fé fleflb, defiderofo di nuovi ftudj,
fé ne tornò a Firenze. Quivi ftudiò dalle pitture di Mafaccio, fenza per-
der di vifia quelle del cartone di Michelagnolo e di Lionardo. Fecevi an-
che ftretta amicizia con Fra Bartolommeo di San Marco, cognominato il
Frate, al quale inl'egnò le buone regole della Profpettiva, riportandone
egli il contraccambio di profondiflìmi precetti pel colorito : a feconda de'
quali operando poi Raffaello, fecefi poi quella mirabile maniera, chea
tutti è nota. Nella ftefla città di Firenze fece i cartoni perla pittura della
Cappella de' Baglioni; di San Franeefco di Perugia e ritraile più Genti-
luomini
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.e ;R)AFFABLLO E?A^URB!NQ: 1730
luominirw Gentildonne Fiorentine: ed affai migliorato da quel eh*egli
era, fé ne tornò a Perugia, dove di pinfela mentovata Cappella de' Baglioni.
Quindi partito, vennefene di nuovo a Firenze, e per la famiglia de'Dei,
conduffe a ragionevol termine una tavola , che doveva effér pofta rieìia
loro Cappejlaodi Santo Spirico : e un' altra tavola fece per la città! di Si€fnai
Fu poi, per opera di Bramante, celebre 'Architetto, chiamatola Roma da
Papa Giulio IL pel quale ebbe commiffione di furerie belle opere > che poi
ha ammirato il mondo. La prima fu la Camera della Segnatura, con bel-
liflime invenzioni, nelle quali fece ritratti di più antichi favj. E qui è da
far rifleflione ad uno sbaglio, che crediamo aver prefo il Vafari nel de-
fcrìvere quella ftoria ; laddove dice, che rapprefentaffei Teologi, quando
accordano la Filolòfia e 1* Aftrologia colla Teologia:, il che oltreral'Perro-
re infuffiftente, viene ad effere ancor falfo; perchè quella non è altro,che
un Ginnafio, ovvero Scuola all'ufo degli antichi Greci, oveù Fiiofofied
ogni forta di Accademici facevano loro luogo di ràgunata, per trattener/i
in ragionamenti deMoroftudj, e divertire negli efercizj. Vicruviòdefcrifle
iarforma di quelli E^itìcj pubblici al 5. libro cap.i 1. e gliinomina Siftii Pa>
leftre, Effedre, fecondo loro ufo particolare, eh'egli dichiara. Palladio, an-
cora nel fuo Trattato di Architettura lib, 3. cap. 21. più chiaramente ne
parla; perciocché ne porge oculare dimoftrazione, con un molto efat-
to difegno .., Ora, come il più celebre di tutti e '1 più nobile è flato queK
lo di Atene,* è molto verifimile , che Raffaello folo quello poneffe; *o
veramente non è quali alcun favio ingegno, che non chiami quell'ope-
ra di quello Raffaello la Scuola d'Atene. Tornando ora alla ftoria , per
tale inafpettata partita di Raffaello, redo la tavola de' Dei imperfetta : e in
tale (tato fu poi da Meffer Baldaffarri Turini da Pefcia; polla nella Pieve
della fùa patria: ed uri panno azzurro, che;rimafe non finito nella tavola
di Siena, fu condotto a perfezione da'Ridollo del GrillandafO t Seguitò a
dipigneré la feconda Camera verfo la Sala grande. Intanto fucceffe il cafó ,
cjie Michelagnolo nella Cappella fece;al Papa quel rumore 0 paura* per la
quale fu neceflìtato a fuggirli e a Firenze tornartene ; onde a Bramante
fu data la chiave della Cappella. Il perchè potè a comodo fuo farla vedere
a Raffaello, il quale, riconofeiuto che ebbi la nuova e gran, maniera, la
profonda intelligenza dell' ignudo, il ritrovare e girar de' mùTcóli negli
• feorti, e la mirabil facilità con che fi veggono in quell'opera fùperate le
più ardue difficultà dell'arte, rimafe ftupito a fegno, che parendogli fino
allora non aver fatto nullajpofefi arar nuovi lludj.ìe prele la gran maniera,
che dipoi tenne fempre. "Non ottante quanto poi dica uno affai moderno
autore, che avendo con certe fue tradizioni* e coli'autorità di un tale
fcrittore di precetti di pittura, anch'elfo non antico, tolto ad impugna-
re tuttociò, che intorno a tal miglioramento di Raffaello, ibpra m opere
del Buonarruóti, Circa a novant'anni avanti a lui fcriffe il Vafari,. il^quale
egli tratta da uomo vulgare, palla poi con un certo fuo paragone ad *ab?
ballare le nobiliffime e non mai contefe glorie del divino Michelagrìotòk
e collo (torcere un proprio detto diluì, in approvazione di unafentenza,
che gli fu dichiaratamente contraria, e con alcune cofe dire, e molte
tacere,
\
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174 Decennale 1. del Sècolo W\ Vàlìxfb6. ali51 o.
tacere, lo dà a conolcere queir eecelfo uomo* di gran lunga minore dì
quel ch'egli è; onde coli'una e coli* attira di quelle fue opinioni, accu-
fando altri di appaffionato , fé medefìmo » a mio credere , condanna.
Molto potrebbeli dire contro a tali fentimenti» e malìime in quella parte,
nella quale» dopo aver conceduto, che folle Raffaello molto ajutato nel*
l'arte dal noftro Fra Bartolommeo di San Marco, diche pure non re-
ttala fede» fe non appretto gli amori ed alle tradizioni; poi per non fo
qual privato affetto nega effer lo iteflb potuto feguire per l'offervazione
dell'opere del Divino Michelagnolo; il che non folo fi ha per atteflazione
di antichi Autori, e per le più ricevute tradizioni, ma è patente al fenfo
per Ì' immediata mutazione, che dopo aver vedute le opere di tant* uo-
mo, come s* è detto, in Raffaello (i riconobbe; né io faprei mai intende-»
re da qual Tantalica immaginazione fi muovano alcuna volta quegli uomi-
ni, che non pollone indurli a credere, che un nobiliffimo ingegno non
fia capace nell'eccellenza di un'arte di dipendere da altri, che da fé fteffo.
Dunque di un Colo Omero» che io fappia, e forfè piuttofto poeticamente *
che altrimenti fcriffe Vellejo, non aver'egli prima di (è avuto chi imitare»
né dopo di fé, chi imitato l'aveffe. Io per me ammiro in Raffaello, per còsi
dire, un altr' uomo, di gran lunga maggiore di fé medefimo, ogni qualvolta
eh* io confiderò , come poteffe mai egli far sì, che la mano tanto più all' in-
telletto obbedire,quanto più fublimi erano l'idee, che di tempo in tempo,
col veder le belle opere altrui, a quello lì rapprefentavano. Appena vidde
egli la maniera del Perugino, che falciata quella del Padre, in effain tut-
to e per tutto la fua trafrnptò. Veduto il modo dì colorire del Frate, in
un Cubito crebbe in lui tanto di perfezione nel colorito, quanto ognun fa .*
e finalmente coli* offervare la gran maniera, e i maraviglio^ ignudi di
Michclagnolo, il disfare e rifare in tutto fé medefìmo, fu in lui una cofa
fteffa. Quello, pare a me, un modo di proceder coli'ingegno, per così
dire, |n infinito; e* operar più che da uomo, proprio non d'altra men»
ce, che di quella di Raffaello. E quello è quello, che io diceva, che at*
cefe le gran difficultadi, che prova ognuno » che abbia principio d' arte,
in jafeiar l'abito antico e la vecchia confuetudine, ed appigliarfi ad altra,
tuttoché migliore, mi fa parer più grande Raffaello, che fé egli feffe {la-
to di fé fteffo in tutte Je colè e difcepolo e maeftro. E tanto badi aver detto
conerà tate afferzionc, e per gloria maggiore di queftofublimiffimo artefice.
J-a prima opera dunque ch'egli taceffe, o per meglio dire, rifecèffe
eli quella gran maniera, fu la mirabile figura dell* Ifaja Profeta nella Chie-
fa ai S, Àgoftino, fopra la Santa Anna, la qual* opera aveva egli di prima
d* altra maniera dipinta. Colori dipoi per Agolrino Chigi Sanefe , al
quale per avanti nella loggia del Tuo palazzo in Traftevere, aveva egli di.
pinta fa farnofa Galateo, una Cappella in Santa Maria della Pace, della
nuova maniera, che forfè riufcl opera delle migliori, che e* face/Te giam-
mai. Dipoi feguitò il lavoro delle camere di Palazzo, dove rapprefentò
al miracolo del Sagrarnento 4el Corporale di Bolfena, la prigionia di San
Pietro, con altre ftorie: e fece diverfe tavole e quadri pel Re di Francia,
per più Cardinali, e per altri Principi e Signori. Dipinfe poi la tavola dei
Crifto*
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,,! RAFFAELLO DA URBINÙM 175
Grido portante la Crocei di che più7 avanti fi parlerà; è lo ftupendo qua*
dro,col ritratto di Leon X. e de' Cardinali Giulio de' Medici e Luigi de'
Roffi, che oggi fi trova nella ftanza* nominata la Tribuna, nella Reàl Gal-
leria del Serenifliroo di Tofcana* Appreffo dipinfe la camera di Torrc.-
borgia, eia tanta nominata Loggia di Agqftino Chigi» doverono moke
ligure di tutta fua, roano, ficcome furono tutti i difegni e cartoni fatti per
la medefima. Cominciò per Leon X. la Sala grande di (opra, dove fono
le Vittorie di Coftantino.- e per lo fteflb fece tutt' i cartoni pe* panni dì
Arazzo, che con ifpefa di fettantamila feudi furon poi in Fiandra lavorati.
Fu Raffaello anche nell'opere di Architettura eccellentiflimo; e fra'molti
difegni e modelli, eh*e* fece per dimolte fabbriche , fi annovera quello
delie fcale Papali e delle/logge^ cominciate da Bramante, e degli ornamenti
di ftucchi j e fece dipignere effe logge da Giulio Romano, da Gio. Francefco
Penni, dal Bologna -, Perin dei Vaga, Pellegrin da Modana, Vincenzio
da San Gimignano e Polidoro da Caravaggio » facendo capo dell' opera
degli ftucchi e delle grottefchc Giovanni da Udine. Diede il difegno
per la Vigna del Papa, di più cafe in Borgo, e di Santa Maria del Popolo.'
e con fuo modello fu fabbricato, nella città di Firenze in via di San Gal-
lo, il bei Palazzo di Giannozzo Pandolfini Vefcovo di Troja'. E perchè
era» mercèdella fua virtù, divenuto molto ricco, fece per fé medefimo fab-
bricare, coU'affiftenza di Bramante, in Roma, un bel Palazzo in Borgo
nuovo. Pel Monaftero di Santa Maria dello Spafimo di Salerno, fece la
gran tavola del Crifto portante la Croce, altra volta nominata, la quale
en coperta e incartata, già fi conduceva per mare al luogo fuo, quan-
di rottali ad uno fcoglio la nave, periti gli uomini e le mercanzie, quella
fola fi fai vói conciomacofachè fofle portata nel mare di Genova, e quivi
tirata a terra, fenz'alcuna macchia o iefione fofle ritrovata; e parve in un
certo modo, che'l mare, avvezzo a fpogliare la terra de'fuoi più ricchi
cefori, non ofafle imbrattarfi di furto sì deteftabile, col rapire una delle
più ricche gioje, che'l mondo avefle. Finalmente dipinfe Raffaello, di
tuttafuamano, per Giulio Cardinal de* Medici, che fu poiGlemente VIL
la ftupenda tavola della Trasfigurazione di Crifto , per mandare in Fran~,
da, lafciando a finire per l'ultima cofa la faccia del Salvatore. Volle egli
in quel Sacro Volto unire infìeme ogni fua abilità-, e fare, ficcome fece*
,jgli ultimi sforzi dell'arte. Non ebbe appena quella finita, che foprag-
giunto dall' ultima infermità , non toccò più pennelli» ed invero non,
potè Ja mano di Raffaello, afluefatta ad efprimere maraviglie, collocare alW
trove, che in limile oggetto, il non plus ultra delle divine opere fuei
Ed io voglio qui raccontare la fine di qued' uomo degniamo, colle ftefle
parole appunto, colle quali il Vafari la defcrhTe; acciocché con tal raccon»
to abbia notizia il lettore di alcune circoftanze, che a mio credere, non
pajono da traiafeiarfi da noi in quello racconto. Dice egli adunque cosi e
tAvendo egliflretta amicizia con Bernardo Divizio, Cardinale di Bibbie-(
na
, il Cardinale F aveva molti anni infettato per dargli moglie i e *Raffaelfo
non aveva efpr eoamente ricufato di far la voglia del Cardinale; tha aveva hw
trattenuto la co/a, con dire» di volere dfpenare, che pajfaflero tre o quattri
anni,
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vj6 Decennale V%del Secolo M dcèl kjfohìt Jk 51 o,
tinnì: ~fa! pai ìethine venuto , quando 'Raffaello non fé^affettava Pgli fu dal
Cardinale ricordata la promefia : ed egli vedendofiobbligato , còme cortefa
non volle mancare della parola fra: e così accettò per donna tina, nipote di e fio
Cardinale^ e perchè femprefumàliffimo contento di queflo laccio, andò in modo
mettendoiitcmpvin mezzo, che molti meftpaffarono *che'4 matrimoniò non\)(0n*
fUfhòì e ciò faceti? égli, non fènzai onorato> propófito',perchè avendo tanti anni
fèfVÌta^liCortei'td^ffendo creditóre di Leone di buona-fómma, gli erìaflato
tiatò&ftdizioì the alla firn'della Sala
, che per lui fi faceva, in rieÓmpenfa deUe
fatiche è delle VÌpià fue r il Pape gli avrebbe dato ito Cappello roffò
, avendo
già deliberato di farne un buon numero , e fra èffiqualcuno di manco merito,
tèe''Raffaello non era
: ìlqual Raffaello attendendo intanto a* fuoi amori, così
di nafcoBo, continuò fuor di modo i piaceri amorofiì onde avvenne-4 che una
Voltai fra l'alfrè} difordinò fuor -del folito
, pèrche "tornato a caja Won' tiné
grandijfima febbre, fu creduto dà'Medici, che é'fofie rifcaldato; ónde non con-*
fè/fàndoegli ilvdifo fdine, che aveva fatto > per poca prudenza tòro gli cavarono
fdftgifè
> dknàniérhchè indebolito fipentiva mancare » laddove* egli aveva bìfognò
d^ rtfi&rb l perche fece tesamente
». E prima » come Crisiiano, mandò V amata fiié
fuor di e afa* e le la feto modo dì vivere onefiamente. Dopo divi fé fé cófejt'a*'
difcepoli fuoì.Giulio domano
, // quale femprè amò molto•. Gio. Fràncefio-Fio*
remino
, dettati Fàttpre ; e non fò chi *Préte da Urbino ,fuo parente. Drdin^
poi, che deUe fuè facilita in Santa'MariaRotonda fireftaurafféUn tabernacoli
di quegli antichi di pietre nuove\ e un Altare fi faceffe,con una ftatud di noflra
Donna
> di marmò , la quale per fua fepoltura e rìpofo dopo là morti' fua fi
eleffei e la fio ogni fuo avere a Giulio e Gio. Francefco > facendo Efecutore deP
Te (lamento M.Baldafiirri dì Pefcia, allora Datario del Papa. Poi confefo e
contrito, finì il cerfo della fua vita, il giorno medefimo che nacque, che fu ifc
Venerdì Santo ■■ danni
37. l'anima del quale è da Credere, che come difue virtw
ha abbellito il mondo, così abbiadi fé medefimà adornò il cielo* Gli mi fero aUà*.
morte al capo nella fàla, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione,'che ave-'
Va finita pel Cardinal de' Medici : la quale opera, nel vedére il corpo morto t
e quella viva, faceva fc oppiar l'anima di dolore a ognuno, che quivi guardava
?
la qua 1 tàvola, per la perdita di Raffaello, fu meffadal Cardinale a San Pie-
tro* Montorio all'Aitar maggiore, e fu poi Jempre, per la rarità di ogni fuo
»;
gè fio, in gran pregio tenuta, Fu data al Corpo fuo qiiell'onorata jepoltkm, che
tanto nobilefpirito aveva meritato*, perch7nén\fu nefuno artefice ; chedolendofii-
non pìagnefie
, e infieme allafipolturànbnTflccompà^naJJe. Fin quj iWafari.
Fb Raffaello, in ciaicheduno de' doni della iNattìra, un vero miracolo,
Primieramente cale fu la bellezza del volto e dei corpo fuo, che avrebbe-
ro potuto i difcepoli di luì, difeorrendo fecondo la lai fa opinione de' Pi-
tagorici » affermare éfler' egli flato Apollo ftèflb m forma di Raffaello : alla=
qual bellezza, le le doti dell' anuno fuo •congiugneremo, troveremo non
effere al tuttofalfa la'conclufionè di colèra, che penfaronb noìi compatirti
in uri foló uòmo fublimità d'ingegno è bruttezza di corpo. A quefle doti
aveva égli congiunta una ftupenda modeflia, con maravìgliofa attrattiva,
con cui a princìpio di fuo parlare legava ogni cuore , anzi fdiiava fi ren-
deva ogni volontà, Era liberaliflìmp dell'avere e dei faper fuo, talraen-
/ '                                                                             teche
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RAFFAELLO DA URBINO. 177
teche non fu pittore a'fuoi tempi, a cui ajuto, configlio o difegni, per
condurre fue opere, abbifognaffero, eh' egli, ogni altra propria occupa-
zione lafciando*, non fovvenùTe. Per quelle nobiliflime qualità, oltre al
fuo ftupendo operare in pittura, non folo fecefi fuperiore ad ogni invi-
dia; ma niuno tra' profeiìori fu* che in gran venerazione non lo averle:
e beato fi chiamava chi poteva, anche fenz'aver con lui che trattare , go*
dere della prefen^a fua; tantoché non mai ufcìva in pubblico, che e'non '
fané accompagnato da gran comitiva di virtuofi, ed altri amatori delle
belliffime doti fue . Tenne, come fi è detto, affai pittori in ajuto delle Tue
opere; e quantunque, come bene {"petto fuole fra molti accadere, foff©
fra alcuni qualche volta difeordia o emulazione*, quelli però col folo ven-
dere di tal'uomo, non fòlamente fi componevano, ma fi feordavano affat-
to di ogni rancore o male affetto; anzi fi dice, che non pure gli uomini,
ma fino gli animali fteflì lo rifpettavano ed onoravano. Ebbe amici in
ogni parte, e particolar corrlfpondenza con Alberto Duro Tedefco, che
lo regalò del proprio ritratto di fua mano, al quale corrifpofe Raffaello
con un donativo di proprj difegni. Tenne per tutta Italia difegnacorì,
particolarmente a Pozzuolo , e fino in Grecia; onde non gli mancò mai
da vedere itvdifegno quanto di beilo e di buono ha la Natura prodotto, e
quanto può defiderarfì in queire profedioni. Finalmente fu Raffaello da
Urbino, e per li doni della Natura, e per 1- induftria nell'Arte, tale quale
è flato fino al preferite tempo, e qual fempre farà , nel concetto de' po»
fieri uno de'più degni e pregiati uomini, che mai aveffe il mondo .
mi" "         mm^mmmrmmmmmfmmmmmmmmmmm Mm ——» i m i         uiiwwhimp.......hhimh.....— m m im* i v**+mmmmm m.»-i ■■ i n, mm n 11 )..-■■»
LUCA DI LEIDA
D E T T O
LUCA D' OLANDA
PITTORE, SCULTORE
E SCRITTORE IN VETRI
Difcepo/o di Cormìis Etigelbrechtfen, nato 14-94. 0 ffj'^y'
E' tempi, che nella città di Norimbergh e in tutta la Ger-
mania, già rifpJendeva il famofo Pittore, Scultore e Ar-
chitetto Alberto Durer, e poco prima, che egli incomin-
ciale a dar fuori le maraviglie del fuo artirìciofo bulino,
nacque nella città di Leida l'eccellente pittore Luca." e
ciò fu circa Y ultimo di Maggio o principio di Giugno
del 1494. Il Tuo Padre fi chiamò Huija Jacobsz , che in
noftra lingua è lo fretto, che Ugo Jacobi, che fu anch' egli eccellente
Pittore. In quello fanciullo poniamo dire, che moitraffe la Natura, il maggior
M                            miracolo,
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17 8 Decennale L del Secolo IV. dal t$oo. al 151 o.
miracolo, che ella facefle giammai in alcun tempo vedere al mondo, in
ciò che appartiene alla forza dell'inclinazione e del genio -, perchè avendo
egli in puerizia attefo ali' arte del dileguo,fotto gì' infegnamenti del padre,
non prima fu giunto all'età di nove anni, che diede fuori graziofi intagli
di fua mano, che andarono attorno fenza la data del tempo, ma però latti
in quella fua tenera età: e come quegli, che non contento di quanto
nell'urte apprefe dal padre, defiderava di pretto giugnere al più alto fe-
gno di eccellenza ; fi pofe a ftudiare appreflb di Corneiis Engelbrechtfen ,
del quale fi è altrove parlato. Ne è vero, per quanto ci avvifa Carlo
Vanmander Fiammingo, quello, che dille il Vafari nelle poche righe, che
egli fcritìfe di Luca, che egli per imparare ben l'arte, fé ne ulcifle del-
la patria. Sfavali dunque il fanciullo in quella fcuola , continuamente
applicato a difegnare, confumando , non folo il giorno, ma le intere
notti , fenza mai pigliarli altro traftullo o pafiatempo , che in cofe di
grande applicazione» appartenenti all'arte. Ma, come fuole avvenire,
che la Natura, benché troppo violentemente affaticata ne'primi anni,
talvolta pel vigore della gioventù, non dia in un fubito legni di molto
rifentirfene, ma coir avanzarli però dell'età , e colcrefeer delle fatiche, in
un tratto fi dia per vinca; avvenne, che all'incauto Luca follerò brevi i
giorni della vita, e che in que' pochi non goderle egli fempre intera fa-
Iute, Erano in quella fua tenera età le fue camerate maifempre giovani di
quel melìiere, Pittori» Intagliatori, Scrittori in vetro, e Orefici, co'quali
in altro non fi tratteneva, che in iitudiare e decorrere fopra le difficultà
dell'arte. Di ciò era egli talvolta afpramente riprefo dalla madre, la quale
per le foverchie fatiche, già il vedeva correre a gran paifi al total disfa-
cimento di fé iteflò; ma non fu mai poilìbile il ritenerlo. Valevafi egli
di ógni occafione, anche frivola, permetterli a difegnare; e fempre face-
va o mani o piedi, e quanto gli dava fra mano di più comodo , in ogni
tempo e in ogni luogo . Or dipigneva a olio, ora 3 guazzo, ora in vetro,
ora intagliava in rame, e in fomma tutte 1' ore del giorno, e bene fpeflb
quelle della notte, erano a lui un ora fola, desinata ad una fola faccenda .
Non fu prima arrivato all'età di dodici anni, che e'dipinfe in una tela a
guazzo, una fto^ia di Santo Uberto, che in quelle parti fu (limata cofa
maravigliofa, e ne acquiftò gran credito. Aveva egli fatto quello quadro
pe*1 Signori di Lochorit, i quali per rendere il fanciullo più ammoio a
operare gli diedero tanti Fiorini d'oro, quanti anni egli aveva. Di quat-
tordici anni intagliò una lloria, dove figurò Maometto, quando efiendo
ubriaco, ammazzò Sergio Monaco; e in elfo pofe la nota dei tempo» che
fu il 1508. Un anno dopo, cioè in età di 15. anni intagliò molte cofe,* ma
p&Qetv particolarmente per gli Scrittori, o vogliamo dire Pittori in vetro, fece
vuoi dire otto pezzi della PulTionedi GesùCrilto, cioè l'Orazione nell'Orto, lapri-
l'Sao'i e gionia ocattura di etTò nell'Orto, quando lo conducono ad Anna, h Flagel-
jjrj^e c iazione, la Coronazione, l'Ecce Homo, il Portar della Croce, la Crocififfio*
eM^nt-e.^ ; e ancora una carca t dove figurò una tentazione di S. Antonio, acquale ap-
parifee una belladonna : e tutti quelli pezzi furono iodacilTìmi, perchè era-
no bene ordinaci con bizzarre invenzioni, profpettive, lontananze e paefi,
e tanto
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LUCA DI LEIDA.          m
e tanto delicatamente intagliati, che più non fi può dire. Il medefimo
sano intagliò la bella invenzione della Converfione dì San Paolo, nella
quale, come in ogni altra fua fattura, fece vedere gran diver/ìcà di ritrat-
ti, maeftà di veltimenti e berrette» capelli, acconciature di femmine ed
altri abbigliamenti all'antica, belliflimi, che fon poi ferviti di lume, an-
che agli fteffi Pittori Italiani, per viepiù arricchire tempere loro; e molti
colla dovuta cautela, ad effetto di coprire il virtuofo furto, fé ne fon ferviti
ne' loro quadri. Nell'anno 1510, e della fua età il fedicefimo , intagliò la
bella carta delP Ecce Homo, con moltiffime figure, nella quale fuperò
. (e ftefTo, particolarmente nella varietà dell' arie delle tefte e degli abiti,
ne'quali teppe far rifplendere il fuo bel concetto di far veder prefenci a
quello fpettacolo divertì popoli e nazioni. Lo ftefib anno intagliò il Con-
tadino e la Contadina, la quale avendo munte le fue vacche, fa mofira
di alzarli, in che volle efprimere al vivo la ftanchezza, che prova quella
femmina nei rizzarfi da coccoloni, dopo eifere (lata lungamente a difagio
in quel lavoro. Fece ancora l'Adamo ed Eva, i quali cacciati dal Terre-
lire Paradilo, malinconici e raminghi fé ne vanno pel mondo, EvAdamo
coperto di una pelle, con una zappa in fpalla, e portali il fuo Caino fo-
pra le braccia. Nello fttlTo tempo pure intagliò la femmina ignuda , oh^
fpulcia il cane, e moiri altri belliflimi pezzi, de' quali farò menzione a
fuo luogo, fenza feguitar 1* ordine de'tempi, per non tediare il lettore?
badandomi 1'averlo fatto fin qui, per inoltrare, che Luca in età di fedici
anni già aveva fatte opere maravigliofe, e cali, che avcvan meflb in gran
penfiero e gelofia lo fteflò Alberto Duro , a cagione principalmente del-
l'aver Luca oiTervato ne' proprj intagli un certo modo di accordare cosi
aggiuftato, con un digradar di piani, e un tignere delle cole lontane, di
tanca dolcezza , che a proporzione della lontananza, vanno dolcemente
perdendoli di veduta, in quella guifa che fanno le cote naturali e vere.f
perfezione, alla quale Alberto ftefib non era arrivato, benché peraltro
egli avelie miglior difegno di Luca. Onde il medefimo Alberto, a con-
correnza di lui, fi mife a dar fuori nuovi intagli, che furono i migliori*
che e' faceiìe. mai ; e perciò entrò fra di loro una tal virtuofa gara, che,
ogni volta che Alberto dava fuori intagliata unaftoria, Cubito Luca iin-
tagliava la medefima di altra propria invenzione . Non lal'ciaya, intanto,
Luca di dipignere in tela e tavola, a olio e a guazzo, e talvolta irjj vetro;
ed ebbe per fuo cofiume, di non lafciarfi mai ufeire opera delle mani, in
cui il fuo purgato gufto avelie Caputo conofeere minimo errore; modo te-
nuto poi anche dal Divino Michelagnolo Buonarruoti. Ed una figliuola
dello fteflb Luca affermava, che egli una volta diede fuoco a gran quan-
tità di carte già (lampare, per avervi feorto un non fo qual difetto. Era
poi tanto fi fio negli efercizj e ftudj deli' arce, che eflendofi accafato con
una nobii fanciulla della famiglia Boshuyien, che in noftra lingua vuol
dire della Selva, aveva nel fuo fpofalìzio gran difpiacere, e non poteva
darli pace, di avere a perder tanto tempo ne' ritrovati e conviti, che in
quelle parti' eran foliti di fare i ricchi e nobili nei tempo delle nozze ;
e quanto prima gli potè riufcire, ritornò a'fuoi virtuofi ftudj. £ra le
. hnud :,ìì
                                        M 1                                  moke
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r8o Decennali' 1. de/'SeaklP. dai 1500. ali$10.
molte carte, che egli intagliò, fu un Sanfone: un David a cavalo: e'I
tmmrao dà San Pi<eir Marxire; un Saul, ira ateo di federe , e David gio-
vinetta , che intorno-ad effo fuona la fiua arpe; un Vecchio ed una Vec-
chia , ohe aceoìdan<Q iniieme alcuni ikumesiti io ufi caia. Fece una gran car-
ta dì uni Virgilio, appefonel ceflo-neaLla fkiieQra, con figure e arie di teCte
belliffime; un San Giorgio colk fanciulla* che dee efler divorata dal fer*
pente: tm diramo e Tis-bes un Attuerò, colla Reina Efler genurlelìa: un
Bactefitno di Grillo : e un Salamoue, in atto di facrificare agl'Idoli: i fatti
di Gioietfo: i quattro Evangelifti; i tre Angeli, che apparvero ad Àbra-
mo nella Valle di Mambre; David orante: Lot imbriacatodalle figliuole:
Sufanna nei bagno: Mardocheo trionfante ; la Creazione de' no (tri primi
Padri, quando Dio comanda loro l'aftenerfi dal pomo: e Caino, che am-
mazza Abel. Intagliò ancora in piccoli rami molte immagini di Maria
Vergine : i.dodici Apoftoli e Gesù Crifto. Ancora li vede di fuo intaglio
una bella carta di un Villano, che mentre fmania pel dolore, nell'efèr-
glì cavato un dente, non fi avvede, che una femmina gli ruba la borfa.
Incagliò anche il proprio ritratto fuo, che è un giovane sbarbato, con una
gran berretta in capo, e molti pennacchi, che tiene una tetta di morto in
roano. Ma ibpratutto è mirabile la carta del ricratto di Maflìmiliano Impera-
dore eh' ei fece nella dì lui venuta a Lrida. Altri beli' intagli fi veggono di
eflò, come immagini di Santi e Sante, armi, cimieri e limili, che per brevità
fi tralasciano. Ma tempo è ornai di far menzione di alcune poche delle molte
opere, fatte da lui in pittura, le quali veramente furono tante in numero ,
che e' non par pofllbile a credere, che in un corto di vita, qual fu il fuo, egli
le avelTe potute condurre tutte. A Leida, nel Palazzo delConfiglto, vede-
vafi l'anno 1^04. un fuo bel quadro del Giudizio univerfale, dove aveva fi-
guratitnolti ignudi mafehi e femmine, ne' quali, quantunque fi feorgeffe al-
quanto 'dd quella fecea maniera, che nel? ignudo particolarmente tenevano
allora anche i grandi uomini in quelle parti, non fi lafciava però di ammi-
rare il grande Audio,con che erano fatti, particolarmente le femmine, che
erano colorite di miglior gufto. Negli fportelli della parte di fuori erano
due belle figure, cioè San Pietro e San taolo, in atto di federe. Quei? ope•
ra fu in tanto pregio, Che da molti Potentati fu domandata, con offerta
di gran prezzo. In una Villa fuori di Leiden, apprettò il nobil Francelco
Hooghftraec, che in noftra lingua vuol dire, di Strada alta, era pure un
quadro da ferrare, con fuoi fportelli, in4cui Luca dell' anno 1522. aveva
dipinta una beliiflima Madonna, mezza figura, fino fotto il ginocchio :
e'I rimanente fingevafi coperto da un piccolo parapetto di pietra: il fan-
ciullo Gesù, che era in grembo alla madre, teneva in mano un grappolo
di uva, che arrivava fino al fine del quadro, con che volle figurare il pit>
tore, che Crifto fu la vera vice. Da una parte era una donna, che faceva
orazione, mentre Santa Maria Maddalena ( la quale aveva ella dopo di fé)
Je additava Gesù in grembo alla Vergine, e in lontananza fi vedeva un
paefe con alberi beìliffimi. Nella parte di fuoti era una Nunziata in figura
intera, con una vaga acconciatura di panni fopra il capo, e con un nobile
panneggiamelo: e vi era la data del tempo, colla lettera L, folito fegno
di Luca.
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'■ .ai i W .v&w'g.:J: i&i>rM,\&FD A. ':f,\ 181
di Luca. Quefta bella opera venne poi nelle mani di Ridolfo Imperadore»
che forfè fu il maggiore amico e protettore di quefte arci, che fofle nel
Tuo tempo. Un fimil quadro era in Amfterdam, nella ftrada detta del Vi-
tello, dove fi vedeva la ftoria de' fanciulli d'Ifrael, che ballano intorno alla
ftatua del Vitello d' oro, dovè Luca aveva rapprefentati i conviti del po-
polo, di che pàrlW la Sacra Scrittura : ed efprefle al vivo quel loro luflii-
riofo danzare. Queftò quadrò da alcune goffe perfone fu dipoi con una
fporca vernice ridotto a mal termine. In Leida, in cafa d' un nobile de
Sònnesvyeldt, che in noftra lingua vuol dire Campo del Sole, era un al-
tro quadro colla ftoria di Rebecca, e'i fervo di Abramo, al quale ella da
bere al pozzo, ed altre cofe entro unpaefe, tocco mirabilmente, con di-
gradazióne di rMani in lontananza di campagna. In Delft, città di Olan-
da, in cafa uno di coloro, che lavorano di terra, che chiamano Bier-
broVver, erano alcune tele a guazzo, con iftorie della vita di GioferTo,
con varj panneggiamenti ; ma perchè in quel luogo fono frequentiffime le
pioggìee'i tempi tempeftofi, molto più che negli altri paefi di OJanda,
le calcine non fono tanto perfette: e l'acqua portata impetuofamente da*
venti, penetra molto le muraglie, quefti quadri fi conduftero in male
(tato, e fu gran perdita per la gran quantità de'ritratti, che erano insili»
fatti al naturale, in che Luca fu veramente eccellentiflìmo. Ma giacché
parliamo di ritratti, uno ne era di fua mano, grande quafi guanto il na-
turale, in Leida in cafa del Maeftro de'Cittadini, che noi diremmo il
Confole, prima dignità del Magiftrato di quella città, chiamato per nome
Ciaes Ariaensz,che in noftra lingua vuol dire Niccolò di Adriano. Altri
maraviglio!! ritratti di fua mano fono fparfi in diverte parti d'Europa;
ma quanto ogni altro apprezzabile è quello, che fi vede nei Palazzo del
Serenifliiiio di Tofcana, nelle ftanze, dove fono le pitturi* che furono
delia gioriofa memoria del Cardinal Leopoldo, fatto al vivo dalla perfona
di Ferdinando Principe e Infante di Spagna , Arciduca à,' Auftria. E un
giovane di vagoafpetto, ritratto in profilo, inquadro minore di braccio,
con capelli diftefi, con berretta in capo alla grande gioiellata, con una
tefa larga a foggia di cappello, e collana da Grande di Spagna al collo:
e nella più alta parte del quadretto fono fcritte, con gran leggiadria, le
feguenti parole:
Effig.'Fèrdin* Princip. & Infant. Hi/pati Arcb, Au/ir. & Ro. Imp.
*An. <£tat. fua XL
Nò voglio lafciar di dire per ultimo, come il ritratto di Luca, intagliato
da Teodoro Galle, va alle (lampe fra quegli di altri valentifilmi maeftri,
che noi Italiani diciamo de* Paefi Balli: ed in pie del ritratto fi leggono
i Tegnenti ver/i;
Luca Leidam Timori
Tu quoque Durerò non par
, fed proximeLuca,
Seu tabu la spingis
, feu formai fcuipis abenas
Eftypa reddentes tenui miranda papyro
Hattd min imam in partem {fi qua efl e a gloria) no/ira
Accedei & Jecum natali's Leida Camana.
* ,ji
                                           M 3                                    Nella
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18 % DecennakT. M SecikJV* dal 1:590. al i510.
Nella l^al* Galleria del Sereniffimo Granduca fi conferva un-quadro in
tavolaci'mano di Luca,, ako circa unihraccìo e ,mezzo, dove li vede
Maria Vergièe% inatto di federe* col fuo QivìnpFiglinolo in collo, eAU*
parte delira San 'Giovanni:ianciullo»>*cli6 io^dora^ la Vergine cpn una
mano pólla Copra iMitrarifi £iene.;dQlc,em§nte a federe .fqpra il f^no il fup
Gesù r^aria della tetta è belMiima, di^ncoloJÌtQfa<?cefo e ben colorata,
Queftoquàdro avanzato al fuoco untc^msncey colà nelle parti di SaflonV,
fra altri, che tutti perirono, fu mandat;pi a: donare 5alìa gloriola memoria
di Ferdinando II. Granduca. Bartolonj.meo Ferreres, Pittore di quelle
parti, aveva di mano di Luca una beliiffima Vergine. Fu anche molto
ftimatauna fua tavola, la quale fu poi comprata dal virtuofo Goltzio di
Haerlem in Leiden Panno 1602; a gran prezzo. Era figurata in quella ta-
vola la ftoria dei Cieco di Jerico, quando fu da Crifto illuminato, gli
fportelli eran dipinti di dentro e di fuori : dalla parte di dentro eran.fi»
gure appartenenti a quel fatto» e molti ritratti al naturale , con abiti,,
berrette e turbanti, tanto vaghi, quanto mai dir fi polla : nella parte di
fuori era Una donna e un'uomo, che tenevano alcune armi> Nella figura
del Grifto appariva una mirabil manfuetudine: ed il Cieoo*quivi condotto,
vedevafi porger la mano, e (lare avanti al Signore in attitudine molto pro-
pria. In lontananza erano bofcaglie naturaliflime ; e yedevafi in piccola
figura lei ftefFo Crifto, in atto di chiedere il frutto ali* albero del fico: e
vi era la data del tempo del 1531. e quella fu l ultima opera, che Luca
facefló a olio, nella quale, quali prefago di fua vicina morte, che feguì
due anni dòpo, parve, eh'e' volerle fare gli ultimi sforzi dell' arte , e la-
feiare al mondo un vivo teftimonio di quanto valeiTero i fuoi pennelli.
Dice il Vanmander, che egli imparò anche l'arte d* intagliare in acquafor-
te: e che avutone i princìpi da un' orefice , poi feguitò con un maeftro,
che intagliava i morioni a*lbldati, coftume uiàto in quella età, e che con
quella egli fece varj intagli. Volle anche intagliare in legno, e Ce ne veg-
gono molte fue carte, maneggiate con gran franchezza. Non è pofiibile a
raccontare, quanto Luca valeffe nel dipignere in vetro, e le belle cole,
che fé ne fon vedute di fua mano. 11 virtuofo Pittore Goltzio, teneva
in conto ài preziofa gioja un vetro, dove Luca aveva dipinto il ballo
d^Ue donne, ch'efle fanno incontro a David, nel fuo tornare colla teda
di Golìa, invenzione, che fu poi data alle llampe con intaglio di Gio,
di Sanredam, quello fteflb, che intagliò il belliflimo ritratto del tante vol-
te nominato Carlo Vanmander , e quali tutte le opere del Goltzio.
Pel nome, che correva dappertutto di fua virtù, fu quello grande artefice
fpeflo vifitato da' più rinomati maeftri di quelle provincie : e fino lo fteiTo
Alberto Duro, per conofcerlo di perfona, andollo a trovare a Leida;
ilettefi con lui qualche giorno, ne fece il ritratto, e volle che Luca gli
facelTe il fuo, firignendo con elio grande amicizia. Era già pervenuto il
notìro artefice all'età di trentatre anni, quando gii venne voglia di cpno-
feere di prefenza i'maeftri più fìngolari di Zelanda, Fiandra e Brabanza-
e trovandoli molto ricco, fi mife in viaggio con una nave, prefa tutta per fé,
dopo averla provveduta di ogni pivi defiderabile comodità. Giunto a Mi-
delburgh,
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LUCA WìàtòLVtlflJfc»^ vi ,183
delburgh, molto fi rallegrò in vedere le opere dell'artificiofo Pittore Gio.
deMabufé, che allora abitava ifi quella* città , e vi aveva fatte molte cofe;
e volle a proprie fpefe banchettare elfo ed altri Pittori di quella patria,
con regia magnificenza. Lo fteflb fece a Ghent, in Haerlem e in Anver-
fa. Il nominato Gio, de Mabufe* volle in ogni luogo accornpagnarlo .
Andavano infieme per quelle città, il Mabufe veftito di panni d' oro, e
linea aveva fempliceméiue'indofTó iin giuftacuore di fefta: gialla di grofla-
grana; ed era cofa graziola, che nell' arrivar che e'facevano in qualche
città, fpargendofi la fama tra la minuta gente, chVfofle giunto il famofo
artefice Luca d'Olanda, correva la plebe curiofà per vederlo: e nel cam-
minar che facevano tutti e due infieme, a detta del popolo, toccava tem-
pre al Mabufe, per avere indorTo quel bel veftito, ad-effer Luca: e Luca,
che non era molto ajutato dalla prefenza,' e'J-cui veftito non luftrava
tanto quanto quello del Mabufe, rimaneva appreflb di loro un non fo chi.
Or perchè il povero Luca, che era^iftàtura.piccolo, di ptica Iena* e non
avvezzo a' dii'agj de' viaggi, e quel che è più, fi trovava ti indebolito da'
grandi ftudj dell' arte, forfè fi affaticò troppo più; in quel pellegrinaggio,
ditjuèl che le proprie forze comportava no; cor nolTenefinalmentea cafa
con sì poca buona fanità, che da lì in poi, in féiannii che e'fopravvifle,
non ebbe mai più bene, e per lo più non ufcì di.letto. Gredette egli, e
qualcun'altro con lui, che per invidia gli fofte flato dato il veleno, diche
frette Tempre con una tormehtofa apprenfione; contuttociò fudaammi-
rarfi, che tanto fotTe in lui V amore* dell' arte, che non .ottante il male, fi
era fatto accomodare fopra il lètto tutti i fuoi {trumeau,* in tal modo,
che e' potette fempre intagliare o dipignere. Crefceva frattanto la malat-
tia, e mancavano le forze, e già era divenutosi deboieì.ehe i medici fi
eran perii d'animo, e non fapevan più, con che ajutàre la maiicante na^
tura. Occorfe finalmente un giorno, che egli conofeendo, che già fi av-
vicinava il termine de'fuoi giorni, voltandoli agli alianti, difiè loro, che
defiderava ancora un' altra volta di veder 1' aria, per di nuovo ammirare
le opere d'Iddio: e tanto gì' importunò, che fu neceflario, che una fu3
fervente fé lo pigliarle in braccio, e per un poco io tenerle fuori all'aria.
Giunta finalmente per Luca l'ora fatale, placidamente fé ne morì, nell'età
fua di trentanove anni nel 1533. Fu 1' Ultimo fuo intaglio e belliflìmo ,
un piccol pezzo, dove aveva rapprefentata una Pallade; e quello fu tro-
vato fopra il fuo letto quando morì. Lafciò di fua mogli© una figliuola
maritata, che nove giorni avanti la morte del padre, aveva partorito un
figliuolo: e nel ricondurlo dal Battefìmo, aveva domandato Luca, che
nome fotTe fiato dato al nuovo bambino: al che una donna fcioccherella
aveva rifpofto: Ben fapete, che e' s* è fatto per modo, che dòpo di voi,
refti un'altro Luca di Leida; di che il povero Luca fi era tanto turbato,
che fu opinione, che fé gli accelerante alquanto la morte . Quefto figliuo-
lo, che fu di cafa Demeflèn, riùfcì ancor egli pittore ragionevole, e mori
in Utreck 1' anno 1604. in età di venturi'anno. Un fratello di quefto,
pure anch' elio nipote di Luca , chiamato Giovanni de Hooys , nello
fteifo anno 1604. era Pittore del Re di Francia. E quefto è quanto ho io
M 4                                  potuto
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184 ^Decennale t. del Secolo 1K dahfoQ. 0/1510.
potuto raccogliere dinotila, appartenente alla vita di quello grande arte-
fice» kuca d'Olanda, la fama del cui valore viverà eternamente.
———»—M————»»^ »■■»»■— i i ' ' , l             11......——«——«-Il li ,i II                li unii —J^ .                          ,i|
GIO FRANCESCO CAROTI
PITTORE VERONESE
'Difcepofo di Liberale Verone/e, fiato nel1470. fy 1540.
jggBSfcg^'fe.U la prima applicazione di Gio. Francefco Caroti, 1' ajutare
jSj [J^^JS? afìlduamente al fuo maeftro : poi avendo vedute le opere,
*»1 tHÌIO^ c^e ^nt^rea Mantegna in Verona fatte aveva, partitofi con
iM SjjgjKK *uo buon gufto da Liberale , nella città di! Mantova con
"^^^^^^ eflb Andrea Mancegna fi accomodò , Fece gran profitto nel-
^^®^™* Tarte, ed arrivò a legno, che Andrea dava fuori per fue le
pitture di lui. Partitoli poi da tal maeftro, operò in Verona nella Chiefa
dello Spedale di San Cofimo , in quella de* Frati Gefuati, e de' Frati di
San Gregorio, di Santa Eufemia e di molte altre Chiefe di quella città.
In Milano dipinfe per Antonio Maria Vifconti in cafa fua propria: per
Guglielmo, Marchefe di Monferrato, colori in una fua Cappella ftorie del
Teftamento vecchio e nuovo, in quadri divedi, ed altre cofe; ed in San
Domenico la Cappella maggiore. Era egli da malevoli flato imputato di
non faper far altro, che figure piccolei onde per far vedere al mondo
quanto quelli s'ingannafleroj tornatofene a Verona, dipinfe in San Fermo,
Convento de'Frati di San Francefco, una tavola per la Cappella della Ma-
donna , con figure maggiori del naturale, che riufcl la migliore opera, che
egli avelie fatto fino a quell'ora: e in efTa figurò Maria Vergine con San-
t'Anna, e molti Angeli e Santi, ed altre opere fece in quella città. Di-
venuto vecchio, e perciò alquanto più debole neil'operare, fu ricercato
dal Vefcovo di dipignere in Duomo alcune ftorie di Maria Vergine , con
difegno ed invenzione di Giulio Romano; ma non volle farlo a patto
veruno, come quegli, che avendo in grande ftima fefteffo, non mai ave-
va pofto in opera concetti di altri; per lo chefuron date a fare a Francefco,
detto il Moro. Si dilettò molto del rilievo, e modellò affai bene; ed ebbe
un certo guftp particolare in accomodar bene i panni addotto alle figure.
Fece alcuna volta ritratti in medaglie, e fra gli altri quello di Guglielmo,
Marchefe di Monferrato; molti anche ritraile in pittura, fra'quali piacque
aflai quello di Girolamo Fracaftoro , celebre Poeta de* fuoi tempi, di cui
fu amicillìmo. Fu il primo, che in Verona facefie bene i paefi. Non volle
mai nelle fue pitture adoperar vernice, fé non negli fcuri, quella mefco-
lando co' colori e con oij ben purgati; affermando , che quella guadava
i quadri,
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VG10, FRANCESCO CAROTI., 185
i quadri, e predo gli faceva invecchiare» cofa forfè non del tutto lontana
dal vero. Fu Gio Francéfcoun bizzarro cervello, p come volgarmente
fi dice, un bell'umore, nelle rifpofte prontiflimo e vivace, ed ogni cofa
metteva in ifcherzo : e fé alcuna volta eran notate le fue pitture o facre
o profane, eh'elle fi fodero, di qualche difetto, egli data mano a qualche
arguto concettino, così bene lo falvava, che non folo gli veniva fatto il
purgar F errore, ma lafciava il riprenfore fra le rifa, con guito e fatisfa-
zione grandi flìma; e molto potrebbe dirfi in quefto particolare, che per Io
meglio fi lafcia.
■1 ■■ n n ini 1 >'«i ' " '■' ......■■■■■»,                     11 1 1 1 in— riiM-iii.........Mimi.......■ma — miim i i                       ......- ......i __
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ANDR E A LUIGI
PITTOR E D' ASCES I
" ■-/■'■■•'- ', . u .-.-W: J) ETTO               "' ' "r;M n ^'^
'..■;■.'■'"' L' I N G E G N O
•■                    ... -                                                          -               ■ ' - '. '-                             -...,.,.                        ,                       --.^„. ;,         ..-.*. „V.>,'         •■ "• *M i
Ttiftepolo di Pietro Perugino, fioriva circa al i $66, / ,•■;
Uefto artefice nella fua prima età diede legni di cantal bf a*
vura nell'operare, e tanto fi approfittò nella fcuola di Pie-
tro, che concorfe quali di pari eoa RafFaelk) da Urbino?
che però iJ maeftro fi fervi di lui in ajuto dell'opere più
fegnalate, eh'ei facefle, e particolarmente nell'Audien»
za dei Cambio di Perugia, dove fece di fua mano molr^
figuFe. Gli ajutò fìmilmente in Afcefi, e nella Gappell
di Sifto in Roma. Volle poi la mala forte fua, che in età
immatura fofle fopraggiunto da una cosi terribile flufìione, che in breve
tempo, a cagione di quella, reftò del tutto cieco. Ma dalla pietà di quel
Pontefice, che la molta virtù di lui aveva riconofeiuta, fu provvido dì
una così onorata provvifione nella città di Afcefi, che potè molto ber
mantenerli fino alla fua età d'anni ottantafei ; e finalmente °"r^
vita.
MARCO
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iB6 Decennale L del Secolo W. dalx<$éò. dl\$\o,
MARCO UGLON
;v;J;U;,0 u g G:.ì;;ó:Mtr-;-'?i;t:.:::
PITTÓRE MILANESE
Difcepolo di Lionardo da Vinci sfioriva circa al 1510,
-Oke opere fece Marco Uglon, degno difcepolo di Lionar-
do . Di quefto il Vafari non ebbe altra notizia, che del-
r^fler'egirftato di quella fcuola, e di'alèune pitture,che
fece in Sarica Maria delia Pace di Milano, dove figurò
il Tranfito di Maria Vergine, e le Nozze di Orna Galilea.
Oltre a quefte,nell'anticaChiefadi Sant'Eufemia (che dal
Santo Arcivefcovo di quella città, Senatore Settala, che
vifle nel)*unno 493. fu edificata, ed è {fata poi ridotta al moderno) di-
pinfe quefto maestro una tavola di Maria Vergine. Nella Chiefa delle Mo-
nache di Santa Marta colorì V immagine del San Michele. E nella Chiefa
de'Padri Certosini di Pavia, che per loro affare vengono alla città di Mi-
lano, fece una delie tavole, fra le molte, che di diverfi infigni Pittori og-
gi vi fi veggono. Copiò pe' medefimi Certofini di Pavia il maraviglioiò
Cenacolo di Lionardo Tuo maeftro: è nella Chiefa di San Paolo in Com-
pito (/?), che fi dice forfè fatta edificare da Sant'Ambrogio in onore di
San Paolo Apoftolo, dopo aver'egli in tal luogo finita ogni controverfia
contrà- gli Arriani, fi riverifee una bella immagine di Maria Vergine, fatta
per'mano dello fieno Uglon;':
Iti*} l'tDqty':,' }'i ;'ì-..'- tv- ;!?' ìì (".': ' :1 ■ il:*;                     v :-;l% :
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(*) In Compito dalla voce latina Compitum, che è un Abboccamento di
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Difcepolo di 'Bemdetto Caporali f fioriva circa // 1510. '
Tudiò quello Pittore P arte; fua da Benedetto Caporali, e feq$
anche qualche profitto appreso a Giulio Romano ; onde fu in
aj uto di ; Benedetto fuo maefjxo a dipigrières il Palazzo, che
~ rwi aveva fabbricato, con architettura dello fteffo Benedetto, Siivip,
Paù^rini, Cardinal di Cortona, mezzo miglio lontano da quella città*
i l-ì-m *
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MARCOANTQNIO RAIMONDI
DETTO DE' FRANCI
INTAGLIATORE BOLOGNESE
Difcepolo di Francefilo Francia , fioriva del 15 io.
RA coloro, che nella fcuola di Francefco Francia Bolognefe
molto fi approfittarono in difegno, e vi è anche chi diceia
pittura , uno fu Marco Antonio Raimondi della (tetta città di
Bologna , il quale neil' arte del difegno, anche fuperò di
gran lunga il maeftro. Quello Marco Antonio adunque, co-
me ferirle il Vafari ( a cui folamente riufcl il togliere all'obli-
vione le poche notizie, che eian rimafe al fuo tempo di tale artefice)
attefe prima a lavorar di niello; e aridatofene a Venezia, per quivi quel
rneftiere efercitare con onore e utilità» fi abbattè a vedere cfpofta alla ven^
dita, in fulla piazza di San Marco, gran quantità di carte di Alberto
Duro, portatevi da alcuni Fiamminghi; onde ammirando quel modo di
fare, fpefe in effe tutto il danaro, che fi ritrovava! e fra 1*altre cofe com-
prò trentafei pezzi di (lampa in legno, in quarto di foglio, nelle quali
effo Alberto aveva figurato il peccato di Adamo, la cacciata dal Paradifo,
poi i fatti della vita di Gesù Grillo, fino alla venuta dello Spirito Santo:
e non eflendo a fua notizia, che fino a quel giorno alcuno in Italia averle,
merlo mano a fìmil mrvdo di lavorare , cominciò a contraffare quegl' intagli
in rame d'intaglio groiTo, che Alberto aveva fatto in legno, imitandola
maniera,
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188 Decennale 1. del Secolo IV. dal 1500, ali$\o.
maniera, il modo del tratteggiare ed ogni altra cofa, talmentechè le ftant-
pe del Raimondi,cavate da'foprannominati trentafei pezzi, erano unìvèr-
talmente comprate per le ftampe ó°Alberto, attefo maflìmamente l'aver-
vi egli fatta la pròpria cifra ufata da Alberto; ? fi (parlerò quelle ftampe in
breve tempo per l'Italia, e anche ne capitarono in Fiandra alle mani dello
fteflb Alberto Duro, che prefo da gran difgufto, le ne venne appofta a
Venezia, e colla Signoria fece di ciò gran doglianza: e ne riportò un or-
dine, che per l'avvenire il Raimondi nelle fue ftampe non ifcrivefle più il
nome di lui, come nelle notizie della vita dello fteflb Alberto abbiamo
raccontato. Dòpo tutto ciò il Raimondi fé ne andò a Roma, dove diede
i primi faggi déì yal^rfuonèlFintaglio di una Lucrezia, opera di Raffael-
lo, che fu cagiònèy chelo fteflb Raffaello gli faceffe intagliare alcuni lupi
difegni, che lono il Giudizio di Paride coICarrodel Sole e delle Ninfe,
la Strage degl'Innocenti, ilNettunno, il RattodiElena, e laMortedi San-
ta Felicita co'figliuoli, che fu di grand'utile al Raimondi-, perchè da indi
innanzi cominciarono le lue carte, pei miglior difegno, che avevano in
fé, di quello che fi fofle nelle carte di Fiandra, ad efler molto richiede:
e fecevi gran guadagno. Pofe poi mano #d intagliare altre opere dello
fteflb Raffaello, fatte in pittura , per cartoni di tappezzerie e difegni,
ponendo in effe la cifra R S, che lignifica Raffaello Sanzio, e un M pel
proprio nome; e di quelle fece mokifllme, che per eflere fiate da altri de-
ferire, non ne farò menzione. Moki fi accomodarono con eflb ad impa-
rare quel!' arti, e fra tfiì Marco da Ravenna, che usò poi cifrare i fuoi
intagli coli' R S, fegno di Raffaello, e qualche volta ancora con M R ,
fegno proprio; e un tale Agoftino Veneziano; che le cifrò colf A V ,
e quefti pure intagliarono molte cofe dello fteflò Sanzio, dimanierachè,
quafi nefluna opera rimafe di mano di lui, che quefti non intagliaflero :
come anche molte, fatte da Giulio Romano, di lui difcepol®, il quale però
fu così modefto e riverente verfo il maeftro fuo, che mentre, eh' ei viffè,
non mai permeile, che fofle dato alle ftampe alcuna opera propria; accioc-
ché non credelTe il móndo, che egli volerle in tal modo pigliar competen-
za con un* uomo così impareggiabile e fuo caro maeftro: fatto in vero de-
gno di tanta lode; quanto fu degno di eterna infamia, quello dell' avere non
pure lo fteflb Giulio fatto intagliare alcune ofeene pitture, tratte da'libri di
Elefantide, menzionati nella Priapea; ma ancori noftro Marcantonio Rai-
mondi d' avere intagliato t in venti fogli, altrettante delle più ofeene rap-
prefentazioni, che concepir potefle la fantafìa di qualfifofle malcoftumata
perfona : ed a ciafeheduna di quefte medefime carte, per compimento del-
l'operai avere aggiunto Pietro Aretino uno fporchiflìmo Sonetto, e tale ap-
punto, quale in materia fimigliante, lafracida lingua di un uomo di quel
taglio, feppe e potè fare. Cofa. che alla Santità del Papa, che era allora
Clemente V IL cagionò infinito difgufto ; e fi ftudiò al poflibile di toglier via
quel graviamo fcandolo, col {opprimere quelle infami carte, delle quali
buona quantità fi ritrovò in luoghi da non poterlo immaginare, e che io
taccio perlomegliore. Dirò folo, che quefto, a guifa di ogni altro mortifero
veleno, non prima era flato per mano di quei malvagj fparfo pel corpo
Criftiano,
-*«r*38É-
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M A R.CO.A NTO NIO R A IMO N DI. *89
Criftiano* che egli fi era portato ad occupar le parti del cuore i e quelle
carte poi,, che non iì potettero avere,, furono kla qtoe]la Santità proibite
fotto gravitarne pene. Intanto fatto far prigione Marc*Antonio, fu per
capitarne male : e molto vi volte, a^ne di poterlo f&ttrarre dallo fdegno
di quel Pontefice . À Giulio però non intervenne fimil disgrazia, per efler/Z
già, per fua buona forte, partito di Roma alla volta di Mantova, Sbriga-
tofi finalmente il Raimondi da quèll' infortunio, diede fine per Baccio
Bandinelli ad una belliflìma carta di fuodifegno, ove Baccio aveva figu-
rato H martirio di San Lorenzo, con gran copia d'ignudi, che riufcì ope-
ra lodatiffima; ma il cielo, che ancora teneva preparata per eflb una par-
te di quel gaftigo, che all' artefice era riufcito il fuggire fra gli uomi-
ni, fece, sì * che occorrendo il Sacco di Roma, il Raimondi, perfo ogni
fuo arneie© fupelkttile^ dìyentò quali mendico : e di più co&ve ri negli pa-
gare agli Spagnuoli una; gran taglia, per coglier la propria perfonà dalle
mani loro ; e partitoli di Roma, non maipiù vi forno, confumando il re*
ftante del viver fuo, che fu breviffirao,, nella città di Bologna, dove anche
non ebbe tempo di molto più operare. Il ritratto di quello artefice fu fatto
per mano del gran Raffaello da Urbino nel Palazzo Papaie, per un giovane
palafreniere, fra quelli, che portano Giulio II. in quella parte, dove Enea
Sacerdote, fa orazione. Il Malvagia, nei fuo Libro de' Pittori Bologne»*,
confeffatìjdo di non avere del Raimondi più notizia di quella che ne lafciò il
Vafari, copiò a verbo a verbo quanto ei ne fcriflè: ed inoltre diftefe un
diligente catalogo, quali di tutti gl'intagli, che ufciroilo dalla dotta mano
di quello grande artefice; onde a me non fa di meftieri altro dirne. Sog-
giugne anche lo fletto fcrittore, efier tradizione in Bologna, che il Rai-
mondi finalmente morifle uccifo, per mano di un Cavaliere Romano, a
cagione di avere contro il patco fermato , intagliato di nuovo, per fé, la
flampa degl'Innocenti, la quale egli pure prima aveva intagliata per lui.
Fu Marco Antonio nel fuo tempo nominati/fimo, non pure per la gran pra-
tica, eh1 egli ebbe dei bulino; ma eziandìo per la chiarezza delia fama,
che fecer dappertutto correr di lui le opere fingolarifiimedel gran Raffaello »
che egli ebbe in forte d'intagliare. Ebbe moglie, la quale pure (ciò che
in quel fello non così frequentemente è accaduto) ebb^ ancora ella, nel-
V operar d'intaglio, non poca'rinomanza..
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GIULIO
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19o Decennale!, del Secolo Wldali 500. ali pò.
GIULIO RAIBOLINI
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DifiepoloJì\ Erancejco Francia, fioriva circa il 1.500.
RA* maefìri, che ufcirono dalla fcuola del Francia Bolognefe,
uno fu Giulio fuo cugino, che fu figliuolo di un tale Andrea
Raibolini. Di quefto artefice, che fu orefice e pittore, fi vede
nella Chiefa di Santa Margherita di Bologna» una tavolando*
vf è la Santa,; con San Girolamo e San Erancefco : e dicefi foflè-
rodi fua mano alcuni Santi, che già fi vedevano dipinti in certe colonne
della Ghiefa di San Giovanni in Monte.
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feB—OTWT—ag—»        1 1 '       ni ■ 1 nir i«...... ■ un ■ i . t n i !»■! il I .        i i 1*1 papp^—>*yt»i^<—m |t|ii^w *"—*—
JACOB CORNELISZ
PITTORE DI OOSTSANEN
I>f WATERLANDT IN OLANDA !^
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Fioriva nel 1510.               rV? -
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I gloria la città d'Amfterdam di avere ayu^o fino nel prin-
cipio del paffato fecole, un cittadino, che nell'arte della
pittura giunfe a non ordinario fegno. Quefti fu Jacob
Cornelisz, il quale nacque in un Borgo, ovvero Villag-*
gio, detto Ooftfanen, di umili parenti, ma dotato dalla
datura di un tale ingegno, e di tanta inclinazione alle
buone arti, che poi fatto grande, efìendofi in effe molto
fegnalato, meritò d' edere amrneflb alla cittadinanza di efia città di Ara-
fterdam. Non è noto il tempo appunto del natale di coftui; ma ben fi fa,
che egli 1' anno 151*. fu il fecondo maeflro nel dipignere di Tanfcoort:
e che in quefto tempo egli era già chiaro pittore, e aveva una figliuola dì
dodici anni in circa; né tampoco fi è potuto inveftigare da chi egli im-
parante a dipignere, né come dallo fiato di contadino, o poco più, egli
poteflè aprirli la ftrada ad apprendere una sì beli' arte. Era di fua mano
nella Chiefa vecchia di Amfterdam, unCrifto depoftodi Croce, fatto con
grande artifizio, dove fi feorgeva una S. Maria Maddalena inginocchioni,
con un panno ftefo in terra, fatto dal naturale, molto bello. Nella me-
Oì.jJi'J
                                                                                defima
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JACOB CORNELISZ, :\ 19*
defìma aveva rapprefentàte le fette opere di Mifericordia; ma tutte quefte
belle opere, nella diftruz\one che fecero gli Eretici diquafi tutte le Sacre
immagini, fi perfe; e lolo fi vedevano l* anno 1604. alcune poche reliquie
della nominata tavola in Haerlem, in cala di Cornelis Scufcker all'infegna
delle fette (Ielle : e vi era anche un quadro, che fu allora ftimatifTuno,
in cui era rapprefencata la Circoncifione del Signore, molto pulitamente
finito, che fu fatto l'anno 1^17. Similmente era un altro quadro di fua
mano in Alckmoer, in cafa una vedova de Sonneveldt della ftirpe di Nyc-
borgh, di una Depofiziòne di Croce, dove fi vedevano le Marie ftare at*
torno al corpo del morto Crifto, in atto dolente. Erano in eflb belliflìmi
ritratti, con figure ignudo e veftite, molto ben difpofte e ordinate, con
non ordinaria efpreilione di affetti : il paefc era flato lavorato da uri fuo
difcepolo, chiamato J-oan Scorei; e in un luogo vicino a Dam era una ta-
vola da Altare, dov'egH aveva figurata la Croeififlìone del Signore, quan-
do i Giudei gli (tirano le braccia fopra la Croce. Ebbe quefto artefice un
fratello, chiamato Buys, che fu pittor buono: e un figliuolo, che pure
anch' elfo fu pittore, e fi chiamò Dierick Jacobsz. Di mano di quefti era-
no in Amfterdam , e forfè fono fino al prefente, in un luogo di una Com-
pagnia, detta de Doclem , diverfi ritratti fatti al naturale, e fra gli altri
uno ve n'era con una mano cosi bella e di sì gran rilievo, che in quel
tempo e in quei luogo, fi modiava per unica maraviglia dell' arte, a cagio-
ne di che un tale Jacob Boevaert ofFerfe gran danari per aver (blamente
Cjuella mano. Morì Dierick Jacobsz l'anno 156*7. di età di fettanta anni,
e Jacob fuo padre ancora eflb in grave età. Fu quefto pittore oflérvan-
tiffimo del naturale, e non faceva mai alcun panno, che e* non avefle da-
vanti il vero . Si fon vedute di fuo intaglio alcune (lampe in legno. Tali
fono i nove pezzi della Paflìone, in figura tonda» aliai ben maneggiati e
copiofi d'invenzioni; e un'altra Paffione in legno, in figura quadrata:
altri nove pezzi di (lampe pure in legno, fatti con delicatezza e bizzarria
inieme, dove fono nove uomini a cavallo, che rapprefentavano i nove f
ottimati,
                                                                                       r ; ?
BARENT
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ir 92 Decennale L del Secolo. W. dai x 500, al 151 o.
B A R E N T
PITTORE DI BRUSELLES
:           jFm'tva mh<io..,
;.. *V . ' , • ;. t ; ; : f J,:4S : *j [ ■ j'*>'if*; ' . •                                                             '             ' ■                               ■ r - ' - " ■.                                  ; . f ,
Mréca,, che fii faccia* memoria fra gli uomini ìlluftri nell*
pittura 1* arcificioiiffimo Pittore Bernardo di Brufelleif,
cheLfuingegiìofo maeftro, così a olio, come a.guazzo, e
. nel dilegao affai ficuro. Fu provvifìonato da Margherita,
che nei fucrtempò governava la Fiandra, e fu Pittore di
Carlo Vi ''DipinteinAnvsrfa, per la CappeHade'Limoft-
riieri, una tavola del Giudizio , che prima la fece in*-<
dot&z
tutta» ailìnchè le pitture riufciflero più belle e più
durabili* invenzione» che dagli Oltramontani e iKmata utilifììniay mafll-
mamente dove dee effer rapprefentata aria e cielo, perchè dà loro unaeer- :
ta lucidezza e trafparenza, fecondo ciò che effi dicono . A Brufélles nella
Chiefa di San Godlen , e in altre parti erano fue opere anno 1604.
A Meehelen -, città di Brabanza, fra Brufélles © Anverfa , fece la tavola
dell'Aitar de'Pittori* dove fi vedeva Santo Luca, inatto di dipigner la
Madonna Sintidima, quadro molto ardficiofo; gii fportelli del quale, di-
poi dipinfe Michiel Coexiv Per Madama Margherita fua Padrona, per
lo'mperador Carlo V. ed altri gran perfonaggi, fece molti cartoni per
tappezzerie, con una maniera moltofranca, de' quali ebbe gran ricompenfa.
Per lo fteffo Imperadore dipinfe diverfi paefi felvaggi e vedute al naturale,
di luoghi vicini a Brufélles, dov*egli aveva fatto le fue più famofe cacce,
n$*quaii ritraffe eflo^medefimo Imperadore e moki altri Principi e Prin-
crpelFe. Poco tempo avanti iliópo, furono fedici pezzi di fuoi cartoni
portati in Olanda al Conte Maurizio nella città di Aja, in ciafcheduno
de'quali vedeyafi un uomo e una donna a cavallo, grandi quanto il natu-
rale, ritratti da perfone della cafa e famiglia di Naflau : i quali cartoni il
Conte gli fece ricopiare a olio da Gio. Giordano d* Anverfa, buon pitto-
re, che allora abitava nella vicina città di Delft. Erano quelli flati lavo-
rati da Bernardo V anno 151 o. come in elfi appariva fcritto, da che lì ha
la notizia del tempo, jn cui fioriva quefto artefice; febbene nota il Van-
mander, che egli dipoi vivefle gran tempo.
NICCOLO
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193
NICCOLO SOGGI
PITTORE FIORENTINO
detto SANSOVINO
Diftepolo di Pietro Perugino, fioriva circa il 1515.
Jutò coftui il fuo roaeftro in molte cofe; poi incominciò ad
operar da per fé, ed ebbe per coftume, per condor le fue
pitture, far molti modelli di cera, e quelli veftire di carta-
pecora bagnata, per difegnare i panni; onde fi formò una
maniera molto feeca, e quella tenne poi iempre. Dipinfe
in Firenze pei; le Donne dello Spedale di Bonifazio Lupi,
nella banda dietro all'Altare, una Vergine Annunziata, con
alcune profpettive, nelle quali, come anche nel far ritratti, riufcì ragio-
nevol maeftro. Andoflene poi a Roma, dove fece molte opere pel Car-
dinale di Monte, col quale venuto in Arezzo, dipinfe una Cappella de'
Ricciardi nella Madonna delle Lagrime, e altre moltifiime opere fece per
ella città e fuo conrado. A quefto artefice quanto mancò di fmgolarità
nell'arte, tanto abbondò la (Urna di fé fteffo; onde e(Tendo venuta volon-
tà a Baldo Magni, della Terra, oggi Città di Prato in Tofcana, di far fa-
re nella Madonna delle Carceri una bella tavola, in luogo, dov'egli ave-
va fatto un ricco ornamento di marmi, col valerfi dell' opera d'Andrea del
Sarto, famofflìmo Pittor Fiorentino, elfo Niccolò feppe cos\ bene arzi-
gogolare con gli amici del Magni, che non più ad Andrea del Sarto» ma
a lui medefimo fu dato il lavoro. Andrea intanto, per !' intenzione avuta
di dover fare tal' opera, fi portò a Prato: e fentita quella novità, abboc-
coffi con Baldo e con Niccolò» il quale non dubitò punto di dire ad An-
drea, che avrebbe con lui giocati gran danari, a chi meglio l'opera fatta
averle; al cìiq Andrea, tuttoché timidiflimo fofle e pufiilanimo, rifpofe,
che non con eflb, ma con un fuo poco meglio, che peftava colori, voleva,
che egli fi cimentarle al giuoco» obbligandoli però egli a dar fuora il da-
naro per la fcommcfla. E voltatoci al Magni, gli duTe: Bene avete voi
fatto a dare a far queft' opera al Soggi; ed io vi accerto, che la condur-
rà in tal modo, che a niuno di quei, che fogliono venire al Mercato,
difpiacerà; intendendo di que' Villani, che in occafione di certa Fiera,
a quella Terra conducono a vendere i loro foraari. E ciò detto, voltò le
fpalle a coloro, e a Firenze Te ne tornò.
GAUDEN-
N
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194 Decennale h del Secolo IV. dal 1500. al 15io.
GAUDENZIO
PITTORE MILANESE
Difcepolo di TietroPerugino, fioriva ml\$io.
RA' più eccellenti difcepoli, che tóhTero della fcuola di
Pietro Perugino, maeftro del divin Raffaello, fu fenza
alcun dubbio Gaudenzio Ferrari , nato in Valdugia, il
quale, oltre all' eccellenza della Pittura , fu ottimo Pialli"
catore, Architetto, Ottico, Filofofo naturale, e Poeta.
Suonò eccellentemente di liuto e di lira: e per quello che
all'arte del difegno appartiene, ebbe fra gli altri, molti
doni dal cielo, di efprimer mirabilmente la maeftà delle cofe Divine de*
Millerj della Fede noftra; onde moltiflime opere gli furori date a fare.
In Milano, nella Chiefa della Madonna di San Celfo, dipinfe la tavola
di San Giovanni, che battezza noftro Signore . Neil'andehiffima Chiefa
di San Giorgio a Palazzo, eretta in luogo, che già fu desinato all' adora-
zione del fallo Dio Mercurio, vedefi una bella tavola di un San Girolamo,
in atto di penitenza, Color), a concorrenza di Tiziano, la maravighofa
tavola, che per antonomafia fi chiama il Paolo di Gaudenzio, che fu po-
lla nella Chiefa di Santa Maiia delle Grazie, che del 1414. dal Duca Fran-
cefeo Sforza fu eretta ed affegnata all' Ordine de'Predicatori, in oflequio
di un'antichiflima immagine di Maria Vergine, che in una piccoliflìma
Chiefetta , che era allora , ficcome è ancora ne' prefenti tempi , con
gran concorfo di popolo reverita. In Sant'Angelo è di fu a mano la tavo-
la del martirio di Santa Caterina : e nella Pace , luogo già de' Frati del Bea*
co Amadeo Portughefe, che del 1460. ne fu Fondatore, dipoi annetti al-
l' OfTèrvanza di San Francefco , colori la tavola della "Natività di Maria
Vergine ^ la quale in procedo di tempo venendo, per la mala qualità del
fico» in pericolo dì guaflarfi, fu fatta copiare, e pofta in fuo luogo la co-
pia, fu portato l'originale nella Sagreflia, dove al prefente fi conferva.
Moire altre opere, e belliflìme, veggonfi di fua mano per quello ftato .*
A Vercelli , dove operò molto a olio e a frefeo , in San Criftofano,
nella Chiefa dì Santa Caterina, e in Piazza, alcune florie di Santo Rocco,
nelle quali, fra l'altre belle qualità, fi ammira una fingolariflima facilità
e grandezza. Dicefi , che Gaudenzio fi trovafle in Roma ne' tempi di
Leon X. e che dipignefle alcune ftorie feguite a quelle di Raffaello, che
fece fare lo ileflo Pontefice, dopo quelle di Giulio Romano, che dipinfe le
ftorie del giudizio di Salomone: e che etto Gaudenzio le facefle con dise-
gni di Raffaello, e con ajuto de'fuoi ritocchi. L'ultima opera, che fi di-
ce ufcilìe delia fua mano, fu un Cenacolo per la Chiefa de' Frati della
Paflione, in Milano : e le ftorie della Crocififfione di Crifto, a Varallo ,
{limate le più eccellenti, che delle al mondo il fuo pennello. Ex Gaudenzio
lodato
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GAUDENZIO.             i9 j
lodato molto tra'profeflbri, univerfalmente in ogni facoltà deli' arte, ma
in particolare in ciò che nell' efpreffione degli affetti devoti, e nella fran-
chezza e pratica neli' operare appartiene : ed oltre a ciò per effere flato
mirabile nel panneggiare, e nel l'imitazione del naturale, e difpofizìone
de' lumi.
L-------~~—1------1 '" ■ ' immisi '           ;-ir -----ini —----------wmmSpwimmmm--------------tmmmmgm^i----------------------------------------1------—*-^—■————— ^_^^__„- ^p.
PELLEGRINO DA MODANA
PITTORE
Nato...... ■$• 1523.                      J "-
I efercitò Pellegrino fino da' fuoi primi anni nella fua patria
nell'arte della pittura; ma poi defiderando di apprendere
l'ottimo modo di operare, portoflì a Roma, dove fu ricevu-
to dal gran Raffaello fra quelli della fua fcuola; onde av-
venne, che in breve tempo egli diventò buon maeftro i tan-
toché dovendo Io fteflò Raffaello ,ad iftanza di Papa Leon X.
dipigner le Logge, tennelo inficine con altri giovani in fuo ajuto. Con
tale occafìone fece il giovane così buona riufeita , che poi dallo fteiTo
Raffaello fu adoperato in altri fuoi lavori: e molto ancora dipinfe da per
le con gran lode degl' intendenti nella medefima città di Roma, eforzan-
dofi fempre d'imitar la maniera del fuo maeftro. EMi fua mano in S.Ja-
copo degli Spagnoli, la Cappella , che vi fece fare il Cardinale Alborenfe,
con iftorie a frefeo della Vita del Santo: e in Sant' Euftachio, all'entrare
in Chiefa, fece tre figure a frefeo, e la tavola ancora. Seguita la morte
del fuo caro maeftro Raffaello, fece ritorno a Modana fua patria, dove di-
pinfe una tavola a olio per la Confraternità de'Battuti, in cui rapprefentò
il Battefimo di Crifto ; e nella Chiefa de' Servi dipinfe un' altra tavola a
olio di S. Cofìmo e S. Damiano , con altre figure. Dicefì ancora efler di
fua mano quella Natività , che fi vede all'Aitar maggiore di San Paolo;
e la tavola dell' Epifania, che è in SanFrancefco. Fu la fine di quell'uo-
mo molto miferabile, ed occorfe in sì fatta maniera. Effóndo un giorno il
ino figliuolo venuto a parole con altri giovani Modanefi, e dopo le parole
all'armi; il giovane, che era molto coraggiofo, ammazzò uno dieffi; ciò
fu non molto lontano dal luogo, ove fi trovava l'infelice Pellegrino, il
quale fubito corfe al rumore, procurando di condur via il figliuolo per
occultarlo alla Giuftizia: e mentre l'uno e l'altro fi affrettavano di portarli
in luogo ficuro, fopravvennero alcuni parenti del morto. Ciò veduto il
giovane uccifore, fubito fi mife in fuga, non credendo, che dovtfTero i
fuoi nemici incrudelir contro del padre, che niuna parte aveva avuta nella,
riffa j ma andò la cofa al contrario, perchè perduta che ebbero gì'infuriati
N j                                 .parenti
«
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19 6 Decennale 7. del Secolo IV. dal i $ o o. al i $ i o.
parenti del defunto ogni fperanza di giugnere il giovane, fi rivoltarono
al padre, il quale trafiirero con tante ferite, che di fatto ne cadde morto
a'loro piedi: e ciò feguìa'27. di Dicembre dell'anno 1523. Quella morte
grandemente dolfe a tutti gli amatori dell* arte, non tanto per le circo-
stanze del cafo, quanta per la perdita, che fece il mondo di un tal' uo-
mo: la qual perdita ha poi non poco accrefciuta il tempo , a cagione di
aver diftrutte molte dell' opere di lui, ed altre ancora cos) maltrattate ,
che poche ornai fc ne poflòn godere di fua mano .
*——— —^——»— I       ■■                      Il                           n ,,,          I                                  , |,n                        ,, ., , 11 ■„,                          ,                     ,„
DOMENICO BECCAFUMI
detto MECHERINO
PITTORE E GETTATORE DI METALLI
SANESE
Della Scuola di "Raffaello, nato 1484. ■$■ 1549.
OmenicoBeccafumi, che di un povero Paftorelio di vi-
liffimi animaii, divenne, per (uà fopravvegnente virtù,
uomo ftimatiffimo : e fu, oltre ogni credere, da ogni
perfona del fuo tempo riverito, merita a titolo d* ogni
giuftizia, la lode di edere flato uno de* più Angolari in-
gegni nelle noftre arti, chela fua patria Siena partorifìe
giammai. Ebbe quefti nella medefima i fuoi principi da
Pittore di ordinarirlìmo fapere ; ma portato dal genio e dal buon gutìo a
a defiderare avanzamenti maggiori, fubirochè intefe elìerfi fcoperte in
Roma le opere mirabili del gran Michelagnolo e del gran Raffaello, colà
fi portò, e diedefi allo Audio delle medelime, ne' tempi ftetfi, che Raf-
faello operava. Noi lappiamo, che quello eccellentiffimo maeftro|de'mae-
flri, non (blamente tenne nella fua icuola, per imparar l'arte deldipigne-
re, grandiflimo numero di giovani, ma eziandio fu maetìro di quanti mai
(Indiarono le opere fue ; conciolììacolachè, conofeendo quefti il fuo beni-
gno naturale, e l'amorevole genio ch'egli aveva di giovare a tutti, acco-
llavano a lui alla ficura, e riportavanne fubito ogni defiderato indirizzo,
e gli ottimi precetti eziandio dell'arte medesima: e Tappiamo altresì, che
Domenico fi tenne tanto alla fua maniera» che noi non polliamo pun-
to dubitare, eh* egli non folle della fua Icuola, non ottante il non elitre
fi\\ qui venuto a noftra notizia, che da alcuno ila fiata lafcìata ferina tale
particolarità. Stettefi dunque quello artefice nella citta di Roma per lo
-" *                                         fpazio
■:
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DOMENICO "BECCAFVMl. 197
fpazió di due anni, ne' eguali, per dar faggio di fuo profitto, dipinfe a
frefco una facciata in Borgo, con un' arme colorita, di Papa Giulio II.
Avendo poi fentito, come il Soddorna, che di frefco era flato condotto
a Siena fua patria, fpandeva di fuo valore rinomanza non ordinaria, volle
farvi ancor eflb ritorno.- e per defiderio di concorrere con lui nella lode
di buon difegnatore, fi meflè di nuovo a far grandi ftudj, ma però fopra
il vivo e fopra la Notomia, onde pretto venne in grande (lima appreso i
luoi cittadini, ajutato in ciò dall' ottima fua natura e dalla gentilezza de'
fuoi coftumi ,che pofti a confronto di quei dell'altro maeflro, erano in tut-
to e per tutto diverfi.v e così incominciò ad avere molte occafioni di ope*
rare, intanto che al Soddorna fu giuocoforza il partirfi da quella città, co*
me a fuo luogo diremo. Io non voglio qui allungarmi molto in raccon-
tare le molte pitture, che vi fece quefto artefice, perchè dai Vafari fono
fìate fcritte con gran puntualità; ma folamente ne accennerò alcune delle ,
più principali, e quante badano per dare a quefto eccellente uomo tanta
cognizione, che ferva al mio aflunto, riferbando il tempo elafatìca, per
ifcrivere a lungo di coloro, de' quali altri non ha fcritto . Una delle pri-
me opere, che coftui conduce, fu la facciata della cafa de' Borghefi daJ/a
Colonna della Poftierla vicina al Duomo; e quella a concorrenza di un'al-
tra, che il Soddorna aveva colorito della cafa di Mefier'Agoftin Bardi , e
Tuna e l'altra fu fatta 1' anno 1512. Furongli poi date a farà molte tavo-
le, che una per la Chiefa di San Benedetto, fuori della Porta a Tufi, la
quale conduffe con bizzarria e facilità . Fece per la Chiefa di San Martino
una tavola della Natività del Signore: per quella del Carmine il San Mi-
chele Arcangiolo, portovi in luogo d' alerò quadro, dove egli fi era affati-
cato di rapprefentare» con vaga e capricciofa invenzione, la caduca di Lu-
cifero , opera, che alla fua morte rimafe imperfetta . Alle Mona che di
Ognillanti fu data una fua tavola della Incoronazione di Maria Vergine,
Per la Compagnia di San Bernardino, in fulla Piazza di San Francesco,
dipinfe a tempera una tavola di Maria Vergine, con più Santi ; e due fio-
rie a frefco della Vita dell' ifteffa Vergine noftra Signora, Una tavola a
olio colorì per le Monache di San Paolo, prefib a San Marco, dove fi-
gurò la Natività dell' iftella Vergine. Una piccola tavola fece pel Tribunale
della Mercanzia, ed altre molte per altri luoghi, che lungo farebbe il rac-
contare. Fece le tanto rinomate pitture a frefco in cafa di Agoftino Ghi*
gì, nobil cittadino di quella città, con iftorie de'fatti de'Romani antichi.
Mefle poi mano a tirare avanti il belliflìmo pavimento del Duomo, che
da Duccio Senefe, già tanti anni avanti era flato incominciato : e dove da
tale artefice era flato prefo un modo di difegnar le figure in fui marmo,
incavando i dintorni, e quegli riempiendo con nera meftura, con orna-
menti di marmo colorato attorno, lìccome i campi delle figure; Dome-
nico ne migliorò molto l'invenzione, pigliando marmi bigi, acciò facef*
fero mezza tinta fra '1 chiaro e lo feuro , talché pajono dipinte a chia-
rofeuro • ed io crederei far gran torto all' opere {Me, fé io mi mettefli
a lodarle in quefto luogo,per eflèr' elleno,per confenfo univerfale di tutti
gli artefici non meno per la novità che pel difegno, {limate delle più belle e
N 3                                     leggiadre
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^98 Decemwle L del Secolo IV. dal 1500. ài 1510.
leggiadre invenzioni, che poflano mai defiderarfi in quel genere. I car-
toni di quella gvand'opera, di propria mano di Mecherino, vennero a1
notòri in potere ài Pandolfo Spannocchi, nobile Sanefe, che gli va con-
feivando come preziofe gioje, e tali fono veramente. Fu Domenico chia-
mato a Genova dal Principe d'Oria, pel quale moke cofe dipinfe. Viag-
giando poi di ritorno alla patria, fu fermato in Fifa da Sebaftiano della Se-
ta , Operajo del Duomo: e gli fu neceffario l'impegnarfi a far due quadri
per la Nicchia * e fatti eh*egli ebbe in Siena, furono colà mandati e porli
al loro luogo; ed ebbero tanto applaufo, che poco appretto furongli dati
a fare ih altri quadri e tavole, che tuttavia veggiamo in quella Chiefa.
Moltirlime furono ancora le pitture, che egli condurle per particolari cit-
tadini: ed invero, fé quello artefice, nella vaghezza dell' arie delle tede»
avefl'e agguagliato il Soddoma, che in quello gli fu alquanto fuperiore,
poco di più avrebbe potuto ! la fua patria deiiderare da' fuoi pennelli.
Si dilettò Mecherino, okremodo, del rilievo: ed in ultimo fi era tanto
invaghito del getto di metallo, che lavorando giorno e notte da per fé
fleflb, lena'ajuto d' alcuno che gli rinettaflè le figure, tanto s'indebolì la
compiendone, che giunto all' età di feflantacinque anni, fopraggiunto da
infermità , alla quale non poterono refiflere le già abbattute lue forze, di-
venne preda della morte? e ciò lèguì agli 18. di Maggio del 1549. ed ebbe
il fuo corpo fepoltura, fra le doglianze degli amici e cie'profeflfoti dell' atte,
i quali con folenne pompa V accompagnarono, nella Chiefa del Duomo,
la quale egli aveva con fua virtù cotanto abbellita . Latcìò alcuni allievi,
fra'quali fu Giovanni da Siena, detto il Giannella, che operò in pittura \
poi datoli all' Architettura, molto in quella fi approfittò. Fu anche fuo di-
icepolo Giorgio da Siena, che vi dipinfe la Loggia de' Manrìoli, ed anche
operò in Roma, feguendo però la maniera di Giovanni da Udine.
f-T.in ti.mi*tmmmmex* *»■■ "iilhhi iiumi- h nx-\wmmr3wtatmmi*\ i ■ «■ *. ijiti ri ri min in '\t inrr "Tfl ■ i" i in i»m T ' mi i tiimip ih m^iiii !»■■■—n»ii m n ■ u.iijjbi m . i «.....■■■■«■ ■ iwj—wwt miti ~it —WMMP— i * ■ màm
PITTORI CREMONESI
CHE FIORIRONO IN QUESTI TEMPI.
Reraona, antica e nobile città della GalliaCifalpina, ficcome
ha partorito in divedi tempi uomini di grand' eccellenza, in
armi e in lettere, così non ha anche lafciato di renderli co-
fpicua, mediante il valore de'fuoi cittadini, flati profeifori
delle noflre arti. E per incominciare da coloro, che lifplen-
derono fra i primi, verfo il principio del pattato lecolo, uno fu
GALEAZZO RIVELLO, detto della BARBA, il quale operò di antica
maniera, ed ebbe un figliuolo chiamato CR1STOFANO, foprannomi-
nato il MORETTO, il quaie dipinfe d' una maniera frcfca, morbida, in
fui gullo Veneto; e di mano dì quello vedefi nel Duomo di Cremona
una fto-
^HM_M_^_l^«BàMnaMMi
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VITTORI CREMONESI. 199
una ftoria a frefco della Flagellazione del Signore, ed un Ecce Homo bel-
liflìmo, con invenzioni di berrette, pennacchi, abiti trinciati e limili»
(tate ufate da Giorgione e Tiziano* le quali tutte cofe fanno teftimonian-
za del fuo vaiare.
;i
ALTOBELLO MILONE, ebbe un modo di dipìgnere di forza, con
buono e morbido colorito, benché il teneffe alquanto verfo il modo
di fare antico. Dipinte nel Duomo di Cremona i quadroni fopra gli archi
nella nave di mezzo, con alcune delle prime ftorie della Vita di Maria
Vergine. Nella Chiefa di SanBartolommeo de'Carmelitani, colorì lafto-
ria de' due Discepoli, che vanno in Emaus : ed in quella delle Monache di
Ceftello, la tavola dell'Aitar maggiore. Il Vafari in alcune poche righe,
che egli fcriffe intorno a' Pittori Cremonefl, dice, che quando Boccaccino
Boccacci vi dipigneva la nicchia del Duomo, Altobello fece molte ftorie
a frefco della Vita di Gesù Grillo, con affai più difegno di quelle del
Boccacci, dopo le quali dipinfe in Sant* Agoftino una Cappella a frefco
di una aliai buona maniera: e che in Corte vecchia di Milano, colorì una
figura in piedi, armata all'antica, che ebbe il vanto della più bella pittu-
ra, che in que' tempi vi faceflero altri profeflbri. Di mano di quefto ar-
tefice veggonfi più xlifegni negli altre volte nominati libri del Sereniamo
Granduca.
BONIFAZIO e FRANCESCO BEMBI, fegmtarono la maniera d'Al-
tobello, ma con alquanto maggiore rifoluzione. Dipinfero ancora
elfi a frefco nel Duomo di Cremona, fopra gli archi, ftorie della Vita di
Maria Vergine. Dicefi, che fofle di propria mano di Francefco la tavo-
la, che fu pofta nel Coro della Chiefa di Santa Maria, dov'è rapprefen-
tata la Natività di noftro Signore GesùCrifto; ed è fama, che 1* Altezza
Sereni ffima del Duca di Modana, non è gran tempo, procurale di averla
anche a gran cofto. Nella Chiefa di Sant'Angelo, pure è dì mano'di
Francefco la tavola di Maria Vergine, co' Santi Cofimo e Damiano,
BOCCACCINO BOCCACCI, dipinfe di quella maniera, che noi
chiamiamo antica moderna, cioè in fui fare di Pietro Perugino, e di
altri maeftri di quei fuoi primi tempi, come Gio. Bellino e limili. Sono
fue opere in Cremona , Milano e Roma . Nella Chiefa della Madonna di
Campagna è una tavola di mano di coftui, co' porcelli efteriormente dipìnti
da Anton Campi: e benché tenga dell'antica maniera, non Jafcia però
di far conofcere la buona intelligenza dell' artefice. Nel Duomo di Cre-
mona, fopra gli archi di mezzo, fono fue ftorie della Vita di Maria Ver-
gine . Il Vafari appreflb alla vita di Lorenzo di Credi, dice di lui alcune
poche cofe, che io (limo bene di notare in quefto luogo a parola a paro-
la, parendomi, che contengano materia curiofa, che fervir pofta ancha
al morale. Dice egli adunque così, AvendofeBoccaccino Cremonefe* il qua-
le fu quafine*' me defimi tempi, nella fifa patria e per tutta Lombardia acqui-
fiata fama di raro ed eccellente Pittore, erano /ornatamente lodate l'opere fue ;
N 4                                    quando
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200 D te entità X ÉilStstio IV. dali$oò/ah$\o.
quando egli andò Penea Roma\, per vedere l'opere di MiclMlagnola, tanto celebra-
te, Non l'ebbe d taffo vedute, che quanto potè il più cercò* d'avvilirle & abbati-
ter le , parendogli quafi tanto inalzare fé ftefio, quanta biafimava un buomo vc~
ramente nelle co/e del difegno
, anzi in tutte generalmente eccellenti/fimo .
A co/lui dunque ejfindo allogata la Cappella di Santa Maria Tra/pontina, poi-
ché r ebbe finta di dipignem e ftoperta v chiarì tutti colo ro, i quali penfando
che doveffe poffare il cielo
. mn lo viddexo pur' aggiugnere al palco degl' ultimi
filari, delle cafe; perciocché reggendo ì Pittori di Rama la Incoronazione di
noflra Donna, che egli aveva fatto in quett' opera, con, alcuni fanciulli volan-
ti , cambiarono la maraviglia in rijo
. E da qm fio fi può cono/cere, che quan-
do i popoli cominciano ad innalzar col grido alcuni più eccellenti nel nome, che
ne'fatti, è difficile co fa potere, ancorché a ragione, abbattergli coUe paro-
le, tnfino a che l'opere iffeffè, contrarie in tutto a quella credenza, non difcm-
prono quello, che coloro tanto celebrati, fona veramente. Ed è quejlo cernfi-
mo, che il maggior danno, che agi' altri uomini facciano gli uomini, fono le
lodi, che fi danno troppo prefto agl'ingegni, che s'affaticano nell'operai'e. Perchè
facendo cotali lodi coloro gonfiare acerbi, non gli lafciano andare più avanti:
€ coloro tanto lodati, quando non riefcono l'opere di quella bontà che fi appet-
tano , accorando^ di quel bla/imo, fi dìfpe ratio al tutto di potere1 mai più bene
operare. Laonde coloro, che favj fono, devono affai più temere le lodi, che il
bìafimo; perchè quelle adulando, ingannano: e quefio, fcoprendo il vero, in/è-
gna. *Partendofi dunque Haccaccìno di Roma, per Jentìrfi da tutte le parti
trafitto e lacero, fé ne tornò a Cremona: e quivi, il vieglio che feppe e potè>
continuò d* efercitar la pittura: e dipinfe nel Duomo, fopra gl'archi di mezzo,
tutte le fio rie della Madonna, la quale opera è molto firmata in quella città
.
Fece anche altre opere e per la città e fuori, delle quali non accade far mcn~
zione
. Infegno co/lui l'arte a un ftto figliuolo, chiamato Commi Ilo, il quale at-
tendendo con più (indio all'arte, s'ingegnò di rimediare dove aveva mancato
la vanagloria di Baccaccino . Fin qui il Valari. Seguì la morte di quello
artefice, come lo fteflò Vafari afferma, nella fua età d'armi 58.
DI GIACOMO PAMPURINO, fa menzione Antonio Campi nella
fua Cronaca. Tenne quelli una maniera {leticata , onde non fa
di meftieri a noi l'eftenderci ih più parlarne. Ha dipoi quella città dati
alle nouVarti altri uomini di valore, de'quali nel proleguimento di que-
ft' opera, daremo affai difFufa notizia.
                        :
ANDREA
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..-- ,'•< ■                                            1- •                                                                      ';                      ,<-"".= •*>:..                                 2,0 I
ANDREA DEL SARTO
PITTORE FIORENTINO
Difcepolo di Pier di Cofimo 7 nato 1478. ^ 1530.
Iccome bene fpeflb fuole avvenire, che gli uomini dotati
dalla Natura di grand* animo, tuttoché mediocremente
inltruiu ne'lor meftieri, ponendoli a far gran cofe, ir*
effe talmente portino, che infine ne traggano alcuni
lode; così all'incontro s'o/Ferverà , che quelli, che tal
dono non poflèggono, quantunque di chiaro intelletto
e di profondo giudizio fiano, con aggiunta di grandi
fìudj, con cui poflbno operar miracoli nell'arte loro 5
cpntuttociò con una certa falfa umiltà fempre di Te medefimi troppo diffi-
dando » con non poco danno del mondo e di le ftefll, lafciano di metterfi a
que'cimenti, ne'quali potrebbono, fenz* alcun fallo, pervenire a gradi di
pregio impareggiabile. Tale appunto fu, a mio parere» il per altro non
mai abbaftanza celebrato Andrea del Sarto , gloria de*pennelli Fiorentini:
il quale contentandoli di effere arrivato al non plus ultra in tutto quello,
che e' volle fare nelT elercizio dell'arte della pittura, a cagione di quanto
io dilli» lafciò di fare, in benefizio ed efakazione di fé fletto, quel molto
e molto più che far poteva . Nacque dunque Andrea in Firenze, dì padre
fatto di profe filo ne, donde poi traile egli il cognome d' Andrea del Sartoi
quantunque il fuo vero cafato folle de* Vannucchi. Fin dalla fanciul-
lezza diede molti legni di.genio ftraordinario alla pittura; onde aven-
dolo a tal cagione il padre accomodato con Giovambarile, che eflèndd
Pittor groflblano, poco gli potè infegnare *, lo mife a (lare con Piero di
Cofimo, che in quel tempo teneva luogo in Firenze tra' migliori pittori,
Diedetì Andrea a ttudiare con mirabile atfìduità nella fcuola di tal maeftro,
e in tutii i cempi che gli avanzavano e ne'giorni fedivi, andavai'ene nella
Sala del Papa {a) a difegnare i due famofi cartoni di Michelagnolo, e di Lio-
nardo: ne'quali ftudj fi moftrò fempre di gran lunga fuperiore a' rnokiffi-
mi giovani Fiorentini e Forettieri, che in tal luogo, per lo fteffo effetto
concorrevano. Il perchè fattoli aliai pratico e nel diiegno e nella pittura»
trovandoli forte infaftidico da' trattamenti di Piero fuo maeftro» che era
uomo (come a fuo iuogo s'è detto) di natura ftravagantiifima e inconten-
tabile affatto , deliberò unirli col Franciabigio, giovane fuo amiciflìmo ,
ed in-
(a) La Sa a del 'Papa era il luogo ove folevano (lanziare i Tapi quando veni'
vano a Firenze, pò fio nel Convento di Santa Maria Novella . Vi fono fiati
cinque Sommi Pontefici ; in oggi quejlo 'Regio appartamento è feparato da
quello de' Frati, è incorporato nel Monafiero delle Olionacbe della Concezione
m via della Scala, ottenuto loro dalla GranducbeJJa Danna Eleonora di Tokm
do, moglie del Granduca Cofimo I.
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202 Decennale I. del Secolo IV. dalx^o. al \$oo.
edinfiemecon lui pigliare ftanza, dove l'uno e l'altro poteffe le proprio
opere condurre con intera quiete. Le prime pitture, che fpflero date a
fare in pubblico a Andrea (le quali però conclude a fine in divedi tem-
pi, e riufcirono fingolarifilme ) furono le dieci ftorie della Vita di San
Giovambatifta, a chiarofcuro, nella Compagnia dello Scalzo, dirimpetto
all' orto del Convento di San Marco de' Frati Predicatori : e avendovi
ixiefia mano, appena ne ebbe condotta alcuna, ch'egli montò in tanta
(lima e credito, che da indi ih poi gli furono ordinate moltiffime pitture
da diverti cittadini, che io ora lafcio di notare per brevità, facendo folo, <
com' è mio folito, menzione di alcune più confpicue. Per la Chiefa de*
Frati Eremitani, Offervanti di Sant'Agoftino fuor della Porta a San Gallo,
oggi, infìeme col Convento, distrutta, dipinfe una tavola a olio dell'Ap-
parizione di Grillo nell'Orto alla Maddalena, e due altre tavole, cioè una
con quattro figure in piedi, che fono Sant'Agoftino, San Pier Martire,
San Francefco, San Lorenzo, e due altre genuflette, Santa Maria Madda-
lena e San 3afliano; in un'altra dipinfe Maria Vergine, dall'Arcangelo
Gabriello Annunziata, e alcuni altri Angeliche l'accompagnano, focto
la qual tavola dipinfe Jacopo da Pontormo , allora difcepolo d'Andrea:
una predella, in cui fi portò egregiamente, e diede i primi fegni, di dover
riufcir dipoi quel grand' uomo, che egli riufcì. Quelli tre ftupendiffimi qua-
dri, nella demolizione di effa Chiefa e Convento, furono portati dentro alla
città, nella Chiefa di S.Jacopo de'medefimi Frati Eremitani, che già per
più fecoli Q dice S. Jacopo tra'Folli, perchè erano in quel luogo i folli del-
l'antiche mura di Firenze: e trovanti oggi quelle pitture, veramente ma-
ravigliofe, in potere del Sereniamo di Tofcana, nel Palazzo detto a* Pitti.
Opera delle mani d'Andrea fono le tanto celebrate ftorie a frefco nel primo
cortile de* Servi, avanti alla Chiefa della Santiflìma Nunziata, ^che gli furon
date a fare, coll'occafione e nel modo, che racconta il Vafari, che per
efler cofa curiofa, voglio io qui narrarla colle fue parole (Ielle. Dice egli
dunque così. Dopo quefte opere partendofi Andrea e il Branda dalla Tiazza
del Grano, prefono nuove flanze vicino al Convento della Nunziata
» nella Sapien-
za; {a) onde avvenne
, che Andrea e Jacopo Sanfovino, allora giovane, il qua-
le nel medefimo luogo lavorava di Scultura fitto ^Andrea Contuccifuo maeflro,
feciono sì grande e ftretta amicizia inficine > che ne giorno ni notte fi fiaccavano
/* uno dall'altro : e per lo più i loro ragionamenti erano delle difficultà dell' ar-
te ; onde non è maraviglia fé l'uno e l'altro fono poi flati eccedentijfimi, come
fi dice ora d'Andrea, e come a fuo luogo fi dirà di facopo. Stando in quel
tempo medefimo nel detto Convento de* Servi
, e dal banco delle candele un Fra*
te Sagrefiano, chiamato Fra Mariano dal Canto alla Macine, egli femiva molto
lodare a ognuno Andrea, e dire, clS egli faceva maravigliofo acquifio nella pit-
tura-, perchè penso di cavar fi una voglia con non molta fpefa : e così tentando
Andrea {che dolce e buon' uomo era) nelle co fé dell onore» comincio a moBrar-
______
                                                                                         gli >
(a) Sapienza è un principio di una gran fabbrica , fondata da Niccolò da liz-
zano, ma non profeguita, per efiere (lato impiegato il danaro in pubbliche
occorrenze^ in cui dipoi vi furono meffi i Leoni,
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^ANDREA DEL SARTO. ao$
gli, fitto fpezie di carità, di volerlo ajutare in cofa, che gli recherebbe cuo-
re e utile, e lo farebbe conofcere per sì fatta maniera, che e1 non farebbe mai
più povero, Aveva già molti anni innanzi, nel primo cortile de* Servi, fatto
Alefio Baldovinetti, nella facciata, che fa fpalle alla Nunziata, una Natività di
Crifto, come fi e detto di /opra
. E Co/imo Rojfelli dall'altra péne aveva cominciato
nelmedefimo cortile una floria, dove San Filippo
( Benizzi ) Autore di quelV Or-
dine de1 Servi, piglia l' abito, la quale floria non aveva Cofimo condotta a fine»
per ejjere
, mentre appunto la lavorava , venuto a morte. // Frate dunque
avendo volontà grande di feguitare il refiot pensò di fare con fuo utile, ebe
Andrea e il Francia, i quali erano di amici venuti concorrenti nell' arte, ga-
reggialo infieme, e ne faceffìno ciafeun di loro una parte; il che oltre aWef-
fere fervito beni/fimo, avrebbe fatto lafpefa minore, e a loro le fatiche pia
grandi
. Laonde aperto l'animo fuo ad Andrea, lo perfuafe a pigliar quel ca~
fico, moflrandoli, che per effer quel luogo publico e molto frequentato, egli
farebbe, mediante tale opera, conofeiuto non meno da'forestieri,che da* fioren-
tini : e che egli perciò non doveva penfare a prezzo nejfuno, anzi ne anco di
efferne pregato, ma più tofio di pregare altrui: e che quando egli a ciò non vo-
lere attendere
, aveva il Francia, che per farfi conofcere, aveva offerto il farle,
e del prezzo rimetterfiin lui
. Furono quefti fi imo li molto gagliardi a far e, che
Andrea fi rifohefje a pigliar quel carico, ejjendo egli marinamente di poco
animo; ma quefr ultimo del Francia
/'indujfe a ri/olverfi affatto, $* ad ejfer
daccordo, mediante una firitta, di tutta l'opera, perche niun altro vemrajfe
. Così
dunque avendolo il Frate imbarcata e datoli danari, volle che per la prima
cofa egli fegu'itajfe la vita di S. Filippo, e non aveffe per prezzo da lui altro
che dieci ducati per ciafeuna floria, dicendo che anco quelli li dava di fuo, e
che ciò faceva più perbene e comodo di lui, che per utile 0 bifogno del Convento.
Fin qui il Vafari. Le prime Itone, che e'faceffe, furono quelle, quando
San Filippo Benizj velli 1*ignudo, ed è derifo da i giocatori, che in quel-
l'atto fon fulminati dal cielo; Quando elfo Santo libera V indemoniata :
e la refurrezione del fanciullo , nel luogo appunto, dove in mezzo a i
fuoi Frati giace morto lo ftetìò Santo: e V altra, nella quale dipinfe i Fra-
ti Serviti, in atto di porre in capo a* piccoli fanciulli la vefte del Santo,
dove in perfona di un vecchio, veftito di roflo, appoggiato a un baftone»
ritraile Andrea della Robbia Scultore, nipote di Luca il vecchio, e final-
mente Luca figliuolo di Andrea. Finite quelle opere, avendo Andrea co-
minciato ad aprire gli occhj alla poca discretezza del Frate, determinò,
non ottante 1' obbligo fatto , di non voler più in quel lu.^go dipignere, fé
non gli era crefeiuta la mercede: e ne ottenne promeflfa dal Frate; onde
fi contentò di fa;e a fuo comodo e piacimento altre due Itone. Intanto
avanzandoli tuttavia la fama del fuo nome, non era ornai perfonaggio, che
non voìeffe pr >vvederli di fue opere: e fra le molte pel Generale de* Va-
Jembrofani, nel monaftero di San Salvi, fuori della porta alla Croce, die-
de principio a dip gnere il Refettorio, dove poi in capo ad alcun tempo
condufie a frefeo il aiaraviglioto Cenacolo, che è noto al mondo, per ef-
fere itato intagliato in rame, e tante volte ricopiato. Dipoi ad iltanza di
Baccio d'Agnolo Architetto, fece pure a frefeo dallo fdrucciolo di Gr-
fanmi»
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204 Decennale L del Secolo iK dèi 1500. al 1510.
fanmichelè, che va in Mercato nuovo, una Nunziata:.e per moltiflìmi
cittadini dipinfe a olio innumerabili quadri, che fon panati, col tempo,
d'una in un'altra mano, e molti di elfi fono flati comprati da Mercanti
Oltramontani a prezzi grandinimi, e portati in diverfe provincie. Dipoi
mene mano alle due ftorie, che rimanevano a farli da lui nel cortile de'
Servi. Nella prima figurò la Natività di Maria Vergine: nell'altra i Ma-
gi d'Oriente, che guidati dalla Stella, s'incamminano ad adorare il nato
Crifto, il quale, dopo lo fpazio di due porte, in un'altra lunetta vedefi,
come fi è detto difopra, dipinco per mano d'Alefib Baldovinetti. In que-
(l'opera, da man finiftra, fon ritratti al naturale Jacopo Sanfovino, Scul-
tore eccellentiffimo , in atto di guardare chi guarda la ftoria : a que (ti è
appoggiato altro uomo, che con un braccio in ifcorto, fra in atto di ac-
cennare : e queft' è lo fteilò Andrea del Sarto: accanto a loro, cioè die-
tro aj Sanfovino, vedefi una teda in mezz'occhio, ritratto al naturale
dell'AjolIe. Quefti fu quel FrancefeoAjolle, celebratiflimo Mufico, il qua-
le, dopo aver dato alla luce alcuni belliffimi Madrigali, portatofi in Fran-
cia circa l'anno 1530. quivi menò il rimanente di fua vita in gran pollo
e reputazione.- ed in quelle due ftorie, non è chi dubiti, che egli non
fuperailè ài gran lunga fé fteilò. Dipinfe poi una tavola per le Monache
di San Francefeo, e alcre molte. Deliberarono in que' tempi i Confoli
dell'Arte de'Mercatanti, che ad imitazione degli antichi Romani, fifab-
bricaflero di legname alcuni gran carri, con intenzione, che fé ne facefle
tanti, che ogni Città e Terra dello Stato aveflfero il fuo, pei* quelli con-
durre procelfionalcnence la macchia di San Giovanni, in cambio di alcuni
paliotti di drappo e ceri, che le Città, Terre e Cartelli facevan portare in
legno di tributo, parlando davanti a' Magiftrati. Fecefene allora fino al
numero di dieci, la maggior parte de' quali, coloriti a chiarofeuro, Andrea
dipinfe di fua mano. Per 1' arrivo a Firenze di Papa Leone X. che feguì
poi il dì 3. di Settembre 1515. egli dipinfe a chiarofeuro la facciata di
Santa Maria del Fiore, fattali fare di legname, oltre ad altri fontuoliflimt
apparati, con architettura di Jacopo Sanfovino, Colorì poi la belliffima
immagine di Crifto Salvatore, che allora ebbe luogo fopra l'Altare della
Santiffiraa Nunziata . Fino a quello tempo aveva Andrea attefo ad arric-
chire il mondo colf opere fue, di teforo ineftimabile; ma per efler' egli,
come fi è accennato da principio, perfona tanto timida e di poco animo ,
aveva fé mede/imo tuttavia mantenuto in iftaco di povertà, pofeiachè po-
co o nulla fi faceva pagare i fuoi lavori, quando fé gli porfe oceafione di
avvantaggiarli nel pollo di gloria e di fortuna. Tale fu 1'efler' egli flato
chiamato ai proprio fervizio dal Re Francefeo I. Vi andò Andrea, con-
ducendo feco Andrea Sguazziila fuo difcepolo: e avendo in quel Juogo
fatte opere maravigliofe per quella Maeftà, fu dalla medefima largamente
ricompenfato; e avendo il Re conofeiuta, non tanto l'eccellenza"de*fuoi
lavori, quanto la gran pratica, ch'egli aveva nel maneggiare il pennello,
e per l'ottima natura fua, che fapeva tanto bene accomodarli ad ogni colà,
pofegli tanto amore, che con doni e con promefie, fece ogni opera per
fermarlo quivi al Tuo fervizio: dove al certo farebbe egli in breve arriva-
to a
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ANDREA DEL SARTO. 1 205
to a gradi onoratiflimi e rìcchiflimo diventato, s'egli forte flato più uom<»
di quel che e'fu ; perchè non andò molto, che gli furon date alcune let-
tere, Scrittegli di Firenze dalla Lucrezia del Fede fua moglie, della quale
(che beìliilìma era oltre ogni credere ) andava egli tanto perduto, con
«flerne ancora molto gelofo, che ella Io guidava a fua talento; onde fu-
bito prefe licenza dal Re, con prometta di tornare fra certo tempo, e là
condurre la moglie, per poter con più quiete attendere all' opere fue .
Avuta licenza dal Re, con buona fornirla di danaro pel viaggio, fé ne
tornò a Firenze, dove flato parecchi mefi (pendendo, e nulla nell'arce fa*
eerido , diadQ fine a'fuoi danari. Lafciò panare il tempo, ordinato dal Re
pel fuo ritorno alla Corte, perchè la donna fua, alfa quale più premeva
far le comari coli' amiche e colle vicine, di quel che le importarle la ne-
celKtà del marito, e 1' impegno prefo col Re i fece tanto colle lagrime e
colle preghiere, che in fine lo condurle a non ufcir di Firenze:» fènza far
conto della parola data a quel Monarca, del quale perciò cadde in tanta
difgrazia, che maipiù non ne volle fentir parlare: e cosi rimateti Andrea
nella fua folùa povertà• Fece poi per Giulio Cardinale de'Medici* per
commiflìone di Papa Leone, una facciata della Sala grande del Peggio a
Cajano, dove rapprefcnio i Tributi» preferitati a Celare di ogni forte di
animali. Era 1'3111101523, infautto alla noftra città di Fitenze, per Cagio-
ne della peflilenza, quando il noftro Andrea fi portò colla donna fua a
Luco di Mugello, nel Convento delle Monache Camaldolefi: e quivi per
le medefime dipinte una tavola di un Crilto morto, pianto da Maria Ver-
gine, e fecevi San Giovanni, la Maddalena e due ApoftolW e quefta pit-
tura al certo fi conta fra le opere lue più maravigliofe; e in tal luogo di-
pinfe ancora altre cofe. Tornato a Firenze, oltre agl'infiniti quadri, che
fece (che troppo lunga cofa farebbe il deferivere) colorì a frefeo la bel-
lìflìma figura di sfuria Vergine, (opra la porta, che dal Chioftro grande,
entra in Chiefa della Santiffima Nunziata: la qua! figura fu poi detta co-
munemente la Madonna dei Sacco. Dipoi colorì la bella tavola, con quat-
tro figure, cioè San Giovambatifla, San Giovangualberto, San Michele
Arcangelo, Sari Bernardo, con alcuni putti, pel Generale de' Valombro-
fini, che fu pofta a Vallombrofa, nel loro luogo, detto le Celie. Dopo tut-
to quello diede fine al Cenacolo di San Salvi, di che ibpra parlammo, il
quale, per laiuattupenda bellezza, tu l'anno 1529. dopo le rovine di tutti
i Borghi della città, Monafterj, Spedali e altri edifici vicini a Firenze, anzi
del Campanile, Chiefa e parte dello ftefTo Monafìer© di San Salvi, fegui-
te l'anno 1530, per 1' allodio di Fitenze, fu fatto laiciare intatto, ìnfie-
me con un tabernacolo, che li vede ancor'oggi fuor della Porta a Pinti,
nel quale elio Andrea , pretto al Monaitero ch'era quivi, detto di San
Giulio alle mura de'Padri Ingiefuati, pure anch'elfo diftrutto l'anno 15 30.
aveva dipinta di gran maniera la Vergine» con Gesù e San Giovanni, con
altre teftebelliflìme. In ultimo, pei mandare in Francia al Re, colorì V Abra-
mo, in atto di facrificare il figliuolo, che poi dopo la fua morte fu com-
prato da Filippo Strozzi, e donato ad Alfonfo Davalo Marchete del Vafto »
che io mando in Ilenia vicino a Napoli : e diceli eflèr quefto quel maravi-
glio lo
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206 Decennale t. del Secolo IV. dal 1500. alt $10.
gliofo quadro, che poi tra portato in Ifpagna, poi tornato a Firenze in mano
de' noftri Sereninomi, (lette gran tempo nella Real Galleria dentro la fìanza
detta la Tribuna. L' ultimo lavoro, che facefie quello grande artefice, fu il
Segno della Compagnia di San Baftiano, dietro a'Servi, dove dipinte elfo
Santo da mezzo il corpo in fu, figura ignuda . Per la Compagnia di S, Iaco-
po, detta del Nicchio, fece l'immagine del Santo],-che fi"portava per Segno a
proceffione, Venuto poi l'aftedio a Firenze, ne! qual tempo Andrea molto
patì, fu fopraggiunto da malattia così precipitcfa, che non trovandovi al-
cun rimedio, maflimamente per aver'egli poco governo, perchè la mo-
glie fua, per timor della pefte, della quale in quel tempo li aveva in Fi-
renze un ben fondato fofpetto» ftavagli manco attorno ch'ella poterle; in
brevi giorni, quali tra'l vedere e '1 non vedere, l'anno 1530. le ne mori
nella fua età di anni quarantadue. Merita quefto grand' uomo lode im-
mortale, non folo per edere flato nell'arte della pittura uno de' più fu-
blimi artefici, che abbia avuto il mondo; ma per la gran preftezza e faci-
lità ch'egli ebbe nell' operare, con un gufto sì perfetto, che Ci può dire ,
col parere de'primi niseftri,che nell'infinite opere che e'fece, non fia chi
fappia trovare un errore. Fu la fua maniera graziofiflìma, con un colori--,
to facile e vivace, tanto a frefco, quanto a olio ; ed ebbe una maravi*
gliofa intelligenza dello sfuggir delle figure in lontananza , de'lumi e del-
l' ombre, vago nell' arie di tefte ; ne' putti e ne panni poi fu fingolarifllmo .
Potè in lui così poco l'ambizione e la flima di fé fteifo, a cagione della
timidezza della fua natura, che diede in eccedo contrario; onde facendo
le fue pitture a prezzi viìiiTimi, fé ne viveva patendo gP incomodi della
povertà,, mentre altri le comperate di lui fatiche, a gran prezzi vendendo,
faceva ricco. Fu il fuo corpo fepolto nella Chiefa della Santillìma Nun-
ziata, nella fepoltura della Compagnia dello Scalzo , in cui aveva egli di-
pinte le belle ftorie, di che fopra abbiamo fatto menzione ; e da Domeni-
co Conci fuo difcepolo gli fu fatto fare, per mano di RarFello da Monte
Lupo, un' alfai ornato quadro di marmo, il quale fece murare a memo-
ria di lui, in un pilaftro di quella Chiefa, con quefta intenzione, fattagli
da Pier Vettori, allora piovane.
ANDREJ® SARTIO
t/ldmtrabilis ingenti ^Vittori
, ac veteribus iliis omnium judicia
Comparando
'potNÌnìcus Comes Difcìpulus prò laboribus in fé inflituendo
Sitfceptis grato animo pò fuit
Vixìt mnos
x x x x 11, obiit AMD XXX,
Non andò molto però, che alcuni Operai di efla Chiefa, zelanti forfè,
oltre al bifogno, a titolo di-efler quella memoria fiata fenza loro licenza
in quel luogo pofta, fecionla levare ; ma perchè lenza il teilimonio de.'
marmi e degli epitaffi, hanno faputo le opere di Andrea, non folo man-
tener/! immortali, ma accrefcere per un corfo di fopra cento anni fempre
più la
4x ". ■
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ANDREA DEL SARTO. 107
più la fama; venuto P anno 1606. un Priore di quel Convento fece collo-
care nei mezzo di una parte del Chioftro, damilo Andrea dipinto, il ri-
tratto di lui, che di mano di Giovanni Caccìni, eccellente Scultor Fio-
rentino, vili vede al prefente, di bella maniera efpreflò, colla feguente
intenzione? ;
                      !
cAndrea Sartia Fiorentino Ti fiori celeberrimo,
Qui cum hoc veftibulum pi Stura tantum non loquente dccorejfett
*wU, Ac reliqms hujits venerabi/is templi ornatnentis
Eximìa artis fu<e ornamenta adjunxìjfit, in
Deìparam Vìrginem religiofe affeSus in eo recondi
Voluit. Frater Laurentius bujus C$nobii Prafe&fts
Hoc virtutis illìus & fui Patritmque grati animi
Monumentum rP.
MÙCVL
In che feorgefi chiaramente l'equivoco prefo, mentre io quefte cofe feri-
vo, da chi ha fatto l'aggiunta al libro delle Bellezze di Firenze, dove a
car. 431. dille; La teda di marmo nell' altra parte del cortile è il ritratto
d'Andrea fatto da Raffaello da Montelupo con bella induftria ad iftanza
di Domenico Conti fcolare d'Andrea coli' Epitaffio di Pier Vettori. Né
1' Autore fcambiò l'antico dal moderno, effendo la ftatua d'Andrea ftata
fatta per mano del Caccini l'anno 1606" più di quarantanni dopo la mor-
te dQÌ Montelupo; di chi foffe poi compolizione il moderno Epitaffio,
che affoluramente di Pier Vettori non fu> né potè eflére, perchè egli pivi
non viveva, non ho potuto ritrovare*
DELLE
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208
• " ' -I
x
DE
E
NOTIZIE
DE PROFESSORI
DEL DISEGNO
DA CIMABUE IN QUA
DECENNALE II
DEL SECOLO IV.
VAL JMDX. \Al WDXX.
QUINTINO MESSIS
PITTORE D' ANVERSA
detto il FERRA.RO.
Boriva nei ip$.
»ON è fcarfa la comune Madre Natura in difpen-
' far fovente le più belle doti dell'animo, anche a
|^ coloro, a cui toccò la mifera forte di nafcere al
ÌS mondo fra le ofeurità de* natali e fra le angu-
y^ ftje della povertà ; ma quefte tali miferie per or-
dinario fono di troppo impedimento a'loro fini;
e quindi avviene, che tanti e tanti, che forniti
di nobil genio, potrebbono avanzarli nella per-
fezione di alcuna bella virtù, fon forzaci contut-
tociò a menar la vita loro fra le tenebre dell' igno.
ranza . Non è già quefto in tutti mai fempre vero, perchè trovafi alcuna
volta taluno, che facendo gran forza a fé ftelto, col molto faticare o forTrire,
fupera
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QUINTINO MESS1S, ----- 209
fupera talmente tutte le difficulcà, che gli oppòne:% mlferia delTuo nata^
le, e là fcarfezza del iuo avere,; che finalmente con-grànde onore fi porta
a quel fegno, per cui Ja ftefla fortuna l'abilitò . Qaefto appunto avvenne
a QinntiiiO Meflìs Pittore d'Anverfaì il quale di un povero femjo, che
egli eràV arrivò ad effere uno de* più Celebri pittori, che avefle nel iuo
tempo la Fiandra. Nacque dunque Quintino nella città d'Anverfa, di pa-
dre, come fi crede» che faceva il meftiero del ferraio, o vogliamo dire
del fabbro. In queftofteffb me iti è re fi efercito égli fidò all'età di venti, o
come altri fu di parere, di trenta anni, alla quale tofto che fu pervenuto» fu
atfatìto da una così grave infermità, che dopò avere in gran tempo e cari
grande ftento, fuperato 1' imminènte pericolò della morteì rimafei'tanto
confumato e debole di forze, eh'egli ftimò non dovergli efìer più poffibìle
il ritornare alla gran faticadi maneggiare il ferro i che era lafua profeflìone .
Ma nientedimeno non potendo anche il fuo fpirito fermarli a così grotti
lavori, intraprefe di coprire e di circondare di ferro un pozzo, che è vi>
cino alla Ghiefa maggiore d^Ànverià* irì cui fece^ppafiìUl^eécÈllenza de!
fuo ingegno, per 1' artificio è delicatezza della fattura;!perché il ferro è
così ben maneggiato, con una infinirà defogliami é d'Ornaménti, che vi
fi veggono ancoia, che fin da quel tempo giudicò il rfiondo avvantaggio-
famente dell'Artefice, e conobbe, ch'egli era capace di altro impiego,che
di quello, a cui eglis'applicava. Della ftefla maniera5 fece un balauftro, che
è a Lovanio: e forfè avrebbe continovato in quél facicofò meftiero, fé le
proprie forze gliele aveiìèt'o permeilo. Il bùoti Quintino-fi affliggeva di
ciò• eftremaiuente;» non tanto- pel; d£rino^r>toptk>:y quatìtòj pei* fa necefiità
e delìderio; eh' aveva, d'alimentare éW fùoi1 fedo ri là propria madre , che
era di cadente età, e moke/ fi>doleva con gli atùiei cjie lo vifitavano : tra*
quali alcuno ve ne fu, che facendo rèfleflvòne -, che appuntò fi atvviqinava
ihCatnovale di quel!'anno» nel cjdale era antica ufanza ih quella città,
che coloroi che erano (lati tocchi dalla lébbra, ufcèndo da uno fpedale
loro destinato, proceflìonalmente fé ne andàfFero con una candela di le-
gno in mano ^intagliata e *ornatà con varj òtfhainerit^ difpenfando a' fan-
ciulli per la (kada alcund?imaìagirtetfé'di SaTitr, ftàtópate in legnò, £ mi-
niate, ficchè molte di quefte immagina abbisognavano loro!. Riflettendo,
dico,; a ciò* uno de*familiari di Quintin&::^e eéuofcenido il grande ingegno
di lui, il configliò,* che «dappoiché n^^-p^év^àptàfaticar" col rdaftello ,
e' fi doverle per l';aweniie applicare5 a quella5 Tòrta di lavoro di miniare
que' fantini.» Piacque a? Quintino il' eonfiglio/V $ rtòhr p'rfma ebbe il Tuo
male ceduto, al quanto, eli?e^fi miierad ope^ar£4s é^ ctosi bène gli riuFcU e
con tanto Tud:ge^io, ciaJe> inrbwe temob s' accefe di defideiMO di pattare
alquanto più larb endatofò di proposito ate ftudio5 de^ifegnòle^dellà pittu-
ra, non andò;mólto, xti'&gli co^W&icP ad1 operar Hrté, é;ffot meglior^e
poi pretto predo fecce utì oviate lituoptìó neM'artep Che ciò fotte vero, T.at-
tefta molto franca mèntei Carte Yanmandetf Pitto? Fiammingo,*che in,fuò
idioma ferirle di Lai-: e vi. aggiugne «ma Wfe-eiraoTtaz-av la quale r-fòrfè
più ehe la nectflità del guadagno •> fpinfe C^intifio^ai metterli alle graì\ fa-
siche, che el fece;poi*pef^divenir! ecxelleti^e WqMP«iefliei?Oi Dice e£fij,
-a\f« d({
                                                 O                                     che'l
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21© Decennale IL del Secolo IV. dal izio. al K20.
*^ ' ■ v ».                                                                        *<
che '1 giovane , ufcito del male, e datoli a miniare que* fantini, forfè non
abbandonando peli'aiietjco il meftiere del Fabbro, cominciò a vagheggia-
re uria bella fanciulla, con animo di pigliarla per moglie. Ma forte gli
flrigneva il cuore la concorrenza, che avevano i fuoi amori d' un altro
giovane, che efercitava l'arte della pittura : ali* incontro, la fanciulla, che
molto più amava Quintino, che il Pittore, avrebbe pur voluto, che'l Pit-
tore folle flato Fabbro, ed il Fabbro Pittore, come quella; che elfendo
per avventura civilmente nata, aveva molta antipatia con quel meftiere
tanto vile e baffo. Una volta nel parlar eh' ella fece domefticamente con
Quintino» li dichiarò con elfo, che allora ella avrebbe voluto efiere fua
moglie, quando di fabbro, ch'egli era, e*folle diventato un pittor valorofo,*
onde il povero giovane, forte intimorito, Cubito lafciata l'incudine e*1
martello, fi mife a far fatiche sì grandi nel diCegnare, e nel dipìgnere, {In-
diando giorno e notte, che in breve fece il profitto, che detto abbiamo.
Quello l'uccello venuto in tempo a notizia del celebre Poeta Lanfonio,
fu da lui cantato con alcuni fpiritofi e dotti, verfi in quel!; idioma Fiam-
mingo. Moltiflime poi furono le opere, che fece quello artefice : e fra
l'altre rimafe di fua mano in Anverfa una belliffima tavola nella Chiefa
della Madonna, e una nella Compagnia de' Legnaiuoli o Ebanifti : e in
quella era figurata la Depofizione della Croce di Grillo nudo, che fi. eo-
nofceva fatto dal naturale, e aveva maneggiato il colore a olio artifieio-
(ìflìmamente : le Marie e V altre figure appartenenti alla ftoria, elprime-
vano tutti quegli affetti ed azioni, che fi confacevano con quel mifterio-
fo fatto. In uno fportello, dalla parte di dentro, era San Giovanni nella
Caldaja bollente, molto ben colorito; e le gli vedevano attorno alcune
belliflìme figure de' mìniftri di giuftizia a cavallo. Neil* altro fportello
era la ftoria di Erodiade, che balla avanti ad Erode : le quali tutte vedu-
te in lontananza, apparivano affai finite, ma neh'accollarli fi vedevan fatte
di colpi e con affai buona franchezza, in che è maggiormente da ammirarli
l'ottima difpofizione del pittore in pigliar quel modo sì franco, e quali
da niuno ufato allora in quelle parti} mentre fappiamo, che ciò appena
può venir fatto a coloro, che cominciarono a darli al colorire fino dalla
puerizia . Filippo U Re di Spagna, fece far gran pratiche, per aver que-
llo quadro, offerendone gran danari ; ma feppero gli uomini di quella
Compagnia, con bella ed acconcia maniera, liberarli da tale richiefta.
Il uiedtfimo quadro, per la grande (lima, in che era colà, fu nel tempo
della deftruzione delle immagini, conservato intatto. Finalmente 1' an-
no 1577. nell* ultimo tumulto della città, fu dalla fteffa Compagnia ven-
duto -• e Martino de Vos, celebre pittore, peli'amore, eh' e*portava a
quell'opera, pafsò tali ufiej, e talmente.fi adoperò con chi faceva di bi-
sogno, che quantunque foflè flato venduto ad altre perfone, ne fu guafto
il partito, e comprato il quadro da'Signori della città, per prezzo di 1500.
celioni di quella moneta, non volendo, che sì bella gioja fi perderle.
Molte altre operetkhquadri fece Quintino, che furono in diverfi luoghi
traportate, e di tempo in tempo in cafe de» particolari fé ne fon trovati
de'pezzi,chepoi fono flati tenuti in gran venewzione. Fra quelli uno
1
                                                                                     «e ave-
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QUIETINO ME SS ÌS.           ài*
ne aveva 1* amator dell' arte Bartolommeo Ferrerie , in cui era una Ma-
donna molto bella. Nel Gabinetto di Carlo X. Re d'Inghilterra, erano
di fua mano i ritratti di Erafmo e di Pietro Egidio, in un medefimo ova-
to; l'ultimo teneva una lettera» che Tommafo Moro, flato, con ofcen te
di tutti e due, gli aveva fcritto, ficcome io trovo nel Felibìen, Autore Fran-
zefe, ne*fuoiRagionamenti, dove ancora fon portati alcuni vedi di Tom-
mafo Moro, in iode di elfi ritratti e del pittore. Appreflb i! Duca di Bu-
chingan e*l Conte d' Arondel in Inghilterra, erano più ritratti di mano di
Quintino. Appreflb un Mercante d'Anverfa, nominato Stenenjì, fi ve-
devano di Tuo bei ritratti : e fra gli altri uno, che rapprefenta un fianchi^
re colla Tua donna, che contano e pefano danari, fatto l'anno 1514, V|
ne erano altri, ove fon perfone, che giuocano alle carte . Nella Chìefa di
San Pietro di Lovanio, era una tavola di Sant'Anna; e coloro di quella
città, che ne fanno gran conto, hanno foftenuto, che quefto pittore era
nato appreflb di loro ; onore, contefo loro da que'd'Anverfa. Ebbe Quin-
tino un figliuolo, che fu anch' egli pittore e fuo difcepolo: di mano del
quale era in Amfterdam, nella ftrada detta Waermoesftraet, una pittura,
nella quale fi vedevano alcuni in atto di contar danari: ed altrove in An-
versa erano altri quadri, pure di fua mano, tenuti in grande ftima . Mori
finalmente Quintino nella fteflà città d'Anverfa fua patria, l'anno 1529,
e fu fepolto nella Certofa, préflo le mura della città, nella quale, con in-
taglio dì Tommafo Galle, fu dopo molti anni dato alle (lampe i] fuo ri*
tratto molto al naturale, fra quelli di altri celebratifluni Pittori Fiammin-
ghi, fotto il quale fi leggono i feguenti verfi:
Ante faber fueram Cychpeuss ufi ubi mecum
Ex aquo pi&or capit amare procus:
Seque graves tuditum tonitrus poft ferre filenti
'Pewculo objecit cauta pueÙa tnihì*
Pìftorem me feci t Amor: Tudes innuit illud
Exiguus , tabuli $ qux nota certa meìs.
Sic ubi Vulcanum nato Venus arma rogatati
Piftorem e fabrOifumme Poeta facis,
L'offa di quell'artefice, dopo cent'anni, furono ritrovate per opera di Cor-
nelio Vander Geeft, che aveva di Tua mano una Vergine, che molto (li-
mava, e fatte riporre a pie del campanile delia Chiefa Cattedrale di no-
ftra Donna d'Anverfa: e fopra fecevi elevare P immagine di Quintino,
fcolpita in marmo bianco, col feguente epitaffio;
QUINTINO MATSYS INCOMP ARABI US ARTIS P1CT0RIS ,
ADMIRATRJX GRATAQUB POòTERlTAS
ANNO POST OBÌTUM SPECULARI MDCXXIX.
E più baffo è fcritto fopra marmo nero in lettere d'oro:
Connubi ali $ amar de Mutcibre fecip Apettem
\ ■ , V .                                                                                      '., , ■ ■                                          ■ ■ . t :■: • 4-'-                                                                                         .,.■.. •
O a                                  FRAN-
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% i \ Decenne ih tféSecéo ip&ptalz $ !©. al 15 2 o.
FRANCESCO ^ ANACCI
:■; :■ . PI T T<&£ F I O à E M T-LìN'O^.-t,',
jDìfcepoh di Domenico del GrìllandaJQ, ntìto1477. >%" * 544*
RÀ* nioliti giovanetti di buojio fpiritb e genio alle belle
arti, Iceltidal Magnifico Lorenzo de' Medici, e medi
per impararle nel tuo, Giardino da San Marco, uno fu
Fr$ncefco. Granacci ,■ il quale in tale occaficme avendo
ofièrvato i maravigliofi progrefli, che andava facendo a
momenti Michelagnolo Buonarruoti, che fu uno de'
fuoicompagni in-cjuel luogo; ejvendo da ciò conghiet-
tur^, eh'egli foffe per ellere,rcprn^ poi fu, un prodigio
nell'arte, gli pofe ^antoaiettp, che npn potendoli mai dilcottar da lui,
tanto l'oflequiava, e tante: amorevoli #móftrazio ni gli faceva', che Io ftelTb
Michelagnolo, che per altro era giovane moipp ferip.-,'■ ritirato , e tutto
dedito a* fuoi ftudj, fu neceffitato corrifpondere a lui con un amore al-
trettanto (incero, e comunicar con elfo tutto quello, che fino allora egli
era arrivato a fapere; al che, aggiunto l'edere fiati infieme quefii due gio-
vanetti nella fcuola del GriU^|^J0v./0e^';«ì><^hie-']^hc6(eo in breve tem*
pò arrivò ad elfere {limato uno de' migliori giovani di quella fcuola : e
perch'egli aveva buon difegno, e rapito grazioiamerite coloriva a tempera,
fu meflb in ajuto di Davit e Benedetto Grillandai a finire la bella tavola,
cominciata da Domenico, per l'Aitar maggiore di Santa Maria Novella,
dopo che fu feguita la fua morte. Fece poi il Granacci molti quadri e
tondi per le caie di privati cittadini, e per mandare in diverfe provincie ;
tantoché lo fteflb Lorenzo de7 Medici, dopo aver trovata la nuova in-
venzione di quella forta di Mascherate » che e' chiamavano Canti, nelle
quali alcuna cola (ingoiare fi rapprefentava in tempo di Carnovale , di eflò
fi valle aliai, e particolarmente nella Mafcherata, che rapprelentò il trion-
fo di Paolo Emilio. Fece il Granacci, pe'fpntuofi appaiati, che (ì prepa*
ravano in Firenze l'anno 1513. per la venuta di Leone X. heiliffime in-
venzioni , e furongli date a fare bellifiìme profpettive per commedie.
Datoli poi aftudiare il cartone di Michelagnolo, molto crebbe in pratica,
e nella intelligenza dell*arte; donde avvenne, che lo dello Michelagnolo
lo chiamarle prima di ogni altro a Roma, in ajuto del colorire la volta della
Cappella di Palazzo per Papa Giulio lì. benché poi ne di lui né d'altri
volle quel grand' uomo continuare a fervirfì i come (ì dirà altrove . Tor-
nato a Firenze, dipinfe a PierfrancefcoBorgherini in Borgo SantoÀpofìo-
lo, nella fterTà camera,^doye,il Pontormo, Andrea e'1 Baechiacca avèvaà
dipinto, fìorie della vita di Gioleffo: e fppra un tettùccio altre ttorie del-
la vita del medefimo in piccole figure, con una belliflima profpetfiva.
Per lo fteiìò dipinfe in un tondp teTrinicà. Per la Chiefa di San Pier
Maggiore
f-.
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FRANCESCO GRANACCl. 213
Maggiore fece la tavola dell'Affinità, con varj Santi, che fu {limata da*
profeflori tanto bella, quanto che fé l'avene fatta lo fteflb Micheìagnolo;
ed è cofa, che affai dìfpiace agl'intendenti, che di quefta nobile pittura
fia flato tenuto sì poco conto, che annerita in molte parti dal fumo delle
candele, pare che ornai fi vada accoftando al fuo fine. Per la Chiefa di
San Gallo, già fuori di porta , per la Cappella de' Girolami , fece una
Vergine, con due putti» con San Zanobi e San Francefco ; e quefta poi,
fìante la demolizione di quella Chiefa e Convento, fu portata nella Chiefa
de'Frati Eremitani di S.Jacopo fra'Foni . Poi, con occafione, che il Buo-
narruoto aveva una nipote Monaca in S.Appollonia, e aveva fatto l'orna-
mento e '1 difegno di una tavola per l'Aitar maggiore, dipinfe lo fteflb Fran-
cefco alcune Itone di grandi e piccole figure a olio ; e un' altra tavola affai bel-
la, pure colorì per quella lor Chiefa, la qual tavola poi bruciò. Fece anche
per le Monache di San Giorgio, dette dello Spirito Santo, una tavola per
l'Aitar maggiore, dove dipinfe Maria Vergine, S, Caterina, S.Gio. Gual-
berto , San Bernardo Uberti Cardinale , e S. Fedele. Dipinfe ancora il Gra>-
nacci ftendardi di galere, bandiere, infegne e drappelloni : e fece molti car-
toni per far fineftredi vetro colorite, particolarmente pe' Padri Ingefuati,
detti della Calza. Fu il Qranacci uomo piacevole ,enelToperare diligente :
tenne conto del fuo, e non volle molte brighe, lavorando più per piace-
re , che per neceffità ; e quando lavorava, voleva ogni fuo comodo.
Vifte fefTantafette anni, e feguì la fua morte in Firenze 1' anno 1544,
Al fuo corpo fu data Sepoltura nella Chiefa di Santo Ambrogio, ,
GIO. ANTONIO BELTRAFFO
PITTOR MILANESE
*Dìfcepolo di Limar do da Vinci, Boriva nel 1500.
Uefti fu molto pratico e fpedito nell'opere fue, fra le qua-
li fi annovera una tavola dipinta a olio, che fu pofta nel-
la Chiefa della Mifericordia fuori di Bologna: nella qua-
le, con grandiflima diligenza, dipinfe Maria Vergine col
Figliuolo in braccio, e apprettò San Giovambatifta e San
Balliano; ed è in efla ancora , di naturale, ritratto il pa-
drone che la fece fare, in atto di orazione : e perchè riufcì
forfè di molto gufto del medefimo artefice, fcritfevi ii nome fuo, e 1'eflèr
difcepolo di Lionardo. Scrifie un moderno autore, che un Angeletco,
che fi vede nella parte più aita di efla tavola, folle colorito da Lionardo da
Vinci, nei che ci rimettiamo a'periti artefici, che abbiano effa tavola ve-
duta , Altre opere fece Gio. Antonio nella città di Milano e altrovei\ zi
4:
                                             O3                            GIROLAMO
»
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z 14 Decennale 11 del Secolo IV. dal i$\o. ah^zo.
GIROLAMO GENGA
PITTORE £ ARCHITETTO
P> URBINO
Nato nel 1476. jfc lyyp.
U quefto Pintore, in età di dieci anni in circa, poflo dal
padre all' arte della lana; ma in quella iua prima età
diede fegni così grandi d'inclinazione air arte della pit-
tura, che dallo fteflb fuo padre levato da quel meftie-
ro, fu porlo ad imparare a difegnare, prima da alcuni
maeftri di poco nome, e poi da Luca Signorelli da Cor-
tona, uno de'più celebri, che viveflero in quel fecolo
- -------— _-----. in quelle parti; e (tette con elfo molti anni, feguitau-
dolo in tutti i luoghi, dove egli era chiamato a operare, '-aiutandolo nel-
l'opere: e ciò fece particolarmente nel Duomod' Orvieto nella Cappella di
Maria Vergine. Ma perchè il giovane s'andava tuttavia più avanzando
nella pratica e nell'ottimo gufto del colorire, avendo fentita la gran fama,
che correva della bella maniera di Pietro Perugino, lafciato Luca Signorelli,
s'acconciò con elfo Pietro; e nel tempo delio ch'egli aveva fotto fua di-
fciplina il gran Raffaello fuo paefano, e amico del Perugino, guadagnò il
Genga la grande abilità ch'egli ebbe poi fempre nelle materie attenenti
alla profpetciva; e con quello pure e colla pratica della perfona di Raffael-
lo, e coi molto che egli itudiò poi nella città di Firenze, dove venne
appofta per tale effetto , fi fece così ben pratico, e prefe sì buona maniera
di dipignere, che potè poi, come lì dirà» operar affai con Timoteo delle
Vite, che feguitava Ja maniera dello fteflb Raffaello. Dipinfe nella città
di Siena molte ftanze della cafa di Pandolfo Petrucci. Servì Guidobaldo
Duca d'Urbino in varie pitture di fcene per commedie e apparati infieme,
col mentovato Timoteo; e con quefto fece la Cappella dì San Martino
liei Vescovado. In Roma nella Chiefa di Santa Caterina in ftrada Giulia,
dipinfe la Refurrezione di Crifto. Effendo egli già buon profpettivo, e
bene incamminato nell' architettura, diedefi in.eflà città di Roma a fare
ftudj grandi da quell' anticaglie ; onde divenne ottimo Architetto ; che
però furon fatte con fuo dilegno moltiflìme fabbriche, e fra quelle la
Torre del Palazzo Imperiale fopra Pefero, che fu itimata opera beilifììma;
e fi può dire, che con fuo modello e coiifiglio fi fortificarle quella città.
Edificò il Palazzo vicino all' altro foprannominato, ed il Corride)jo fopra
la corte d' Urbino verfo il giardino. Diede il difegno del Convento de-
gli Zoccolanti al Monte Baroccio, e di Santa Moria delle Grazie e del
Vefcovado di Sinigaglia. Portatoli a Mantova , reftaurò e rimodernò il
Vefcovado» e fece il modello della facciata del Duomo, nel quale fuperò
fé iteffo. E finalmente tornato alla patria, fatto già vecchio, in una fua
villa,
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GIROLAMO GENGA.          *i$
villa, chiamata le Valle, in età di fettantacinque anni agli 11« di Luglio 155 r.
criitianamente morì. Fu il Genga uomo univeifaliflkno, e fece molte
opere di pittura e d' architettura per altre città e luoghi, che per brevità
fi fono tralafcìate . Fu ottimo inventore di mafcherate e d'abiti-, né gli
mancò una lìngolar maeftria in far modelli di terra e di cera: Fu buon mu-
fico, ottimo parlatore, e nella converfazione dolcillìmo, e tanto cortefe
ed amorevole verfo i parenti ed amici, quanto mai defiderar fi porla : ed è
lode Angolare, dovuta alla bontà di quell'uomo, il non efleifi mai di lui
(entità cofa mal fatta,
>,                              ■ . "'•■                                             ■■ . 1 ■'■ ■■* ■ ' ■ \ ■ '■ ' '': ■ -' ì ■■'■'■■ ,;                                                                                  r ; : - iì ■                           ì
t                                       '                                              *■■,■: v * !■■■•'*                      f                                ■,■■>■                                                                                                                 :> " ■ ""'■''
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IVOS DI CLEEF
D E T T 0>'". :g JÓo'IÌkì; 1.1P A Z .fX J0; . .... >■ ".'
PITTORE D'ANVERSA
Fioriva ctrcM al 1510.
^^^3"^^^ Rovai?, che nell' tanno ^511. entrò fidk Compagnia de'
flfcJEf GsC Pittori d'Anverfa un certo Giù Ito di Cleves, una delle
tf^ii lrìp| Sette ProvincVé unite-, il qtfàlè fu poi dèfto 'Giufeppe
fe?^|§' M$!*ffl Pazzo: il padre fuo fu céVtò niaeftro Willem di *€leef
^IfvQ Kwjf pittore , che pure entrò in effa Compagnia 1' anno 1518.
^^^É-V^%& Atte^a ^ Vanmander, che quello Giudo, fu uno de'
jfc-n**™*^
          migliori coloritori, che avellerò quelle parti ne' fuoi tem-
pi: e che le opere fue erano tenute univerfàlmence in grandrflìma (lima,
perchè le fue figure parevano di vera e viva carne : e anche aveva Un bel
modo nel dipignere altre cofe; ma la troppo eccedente Mima ch'egli ave-
va di fé rreffo, talmente l'acciecò, che facendogli fempre credere, che le
proprie pitture dovettero valere di gran lunga più di quelle di ogni altro
artefice di fua età, e che non vi fofie prezzo, che adeguar le poterle» fer-
mandolo tuttavia più in limile apprenfione, fecelo talvolta quali, de lira re ;
onde ne acquiftò fra gli amici e profeflòri, nome di pazzo. Avvenne
una volta, in tempo che Filippo II. Re di Spagna fi maritò con Maria
Regina d'Inghilterra, che Giufto fi portò dacjuella Màeftà , affine dj darle
alcune cofedifua mano: e perchè ciò gli venale itìegliò effettuato, fi ac-
codò prima ad un pittore del Rechiatìiato AntonfS Moro* pregandolo di
aflìftenza e d' ajuto. Quefti gli promife di fare ógni Opera, affinchè le
opere fue venirtero ad avere adito alla perfona del Re; ma portò il cafo»
che in quel medefimo tempo fodero d'Italia mandati in quelle parti molti
quadri di diverfi infigniffimi maeltri, e particolarmente di Tiziano, i
O 4                                     quali
».
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216 Duennale % del Sècolo W. dal 1510. al 1520.
quali avendo confeguito da quel Monarca quel gradimento e ftima» che
loro fi conveniva, fecero sì» che il Moro, non pure potè fargli vedere le
opere di Giulio, ma né meno potè palTare alcuno uficio a lui favorevole .
Quello llravagantiffimo cervello diede allora in grandi (manie? ma aftaipiù
dopo ch'egli ebbe vedute le pitture di Tiziano, parendoli, che quelle,
polle a confronto colle fue, nulla valerlero. Erelèla col Moro, e molco
con parole il maltrattò, dicendogli, che non meritava d' aver a fare ufi-
ciò di proporre a Sua Maeftà pitture di un sì ^ran maeftro, quale era egli ;
e giunte tant' oltre coli' invettive, e tanto uicì de' termini della civiltà e
del dovere, che il Moro, fattovi vivo, e gettatofegH alla vita, gli mile ad-
dogo tanta paura, che il vile Giudo rifugìatofi fotto una tavola, non osò
più far parole; tantoché il Moro , veduta tal fua vigiiaccheria, fi partì ,
lafciandolo in quei pollo medefimo. Stato eh* egli fu così un poco, ro-
dendocelo la rabbia, diede mano a fare sì fatti fpropòfìti. Prefe della ver-
nice di trementina, e con quella invetriandoli il berrettino e '1 veftito, fé
n'andò perla città, facendoli vedere per le pubbliche Itrade, Inoltre,
avendo fino a quel tempo fotte diverte pitture in tavola a particolari
perfone» procurò di riaverle in mano,» con pretévto di volérle migliorare.*
e ritoccandole in ogni parte , in cambio di migliorarle, quafi del tutto le
guaito, con dolore e danno de'padroni, Andò poi ere (ce ndo talmente in
lui la frenesia, che a'parenti ed amici fu neceflario il rinchiuderlo. Era
di mano di coltui V anno 16*04. appreflò Melchior WyntgisMiddelborgh,
una immagine di Maria Vergine, e dietro era un be! paeie dipinto da Joa-
ohim Patenier. In Amfterdam > appreflò Sion L/us, era un Bacco aliai bel-
lo, ai quale aveva fatto i capelli canuti, difeoftàndofi in ciò dalla comune
.de*Poeti» che a Bacco, come donatore dell'allegria, danno una perpetua
gioventù» e fra quelli Tibullo;
Solìs aterna e& Phteho Baccboque Juventus.
ma per mio avvifo, volle il pittore con tale canizie lignificare, elTetr pro-
prio delle cadenti età il molto bere: o forfè ancora, che il foverchio,
preilo riduce 1* uomo a fuo fine. Non è noto il tempo della morte di
Giulio» il quale, non ha dubbio, che non fia {tato un valorofo.artefice,
e tale, che meritò, che il Lamfonìo faceiTe in lode di lui alcuni verii, da'
quali pare che fi raccolga, che egli avelie un figliuolo della ftefta prciefiio-
ne ; e fono i feguenti.
; :/{ '-,:.-■ ., ■ ' ' ■ : .:,;>.; , ,,";—,■'-■ • :'.o"; ?■* <•■-■■:■.,- •■■■'■. •, , ■,• ; * ' .4 ■ ' ,---
! JUSTO CLÌVENS2 ANTUERPJANO PICTORI
'n                     - ■,'«•■' ■                                              „■*■■-*                                                                                                        ..                                                     \ \                   ..-,... I , . .[                   ,                               T'~ - ;. *' ■ *■ ■-■.-!- .- ■ r                       fi' '              '■-, S                .. .' '
NO/ira nec Àwfices inter, te Mufa filebit »
, Belga*, Pittura non leve Jufte decus.
Quarti propria* nati tam felìx arte futjfes »
Manjtffèt fatmm fi mifero cerebrum*
*■.''■*                                 ' 1
\\ ;i .*.■;••' ',..> ::                                         / • ,                                                                       —"... ;'- •■-•<■-.
BERNARDO
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217
BERNARDO PINTURICCHIO
PITTORE PERUGINO
i
Difcepolo di Pietro Perugino, fioriva intorno al \$\o. :
Ernardo Pinturicchio fu uno di que' difcepoli del Peru-
gino, che al pari, e forfè più di ogni altro, imitò h
fua maniera. Ebbe grande abilità in difporre e ordinar©
opere grandi j onde tenne fempre apprettò di fé molti
maeftri in ajuto dell' opere * Dipinfe ad iftanza di Fran-
cefco CardinalPìccolomini, la Librerìa [a")dì Siena, fat-
ta da Papa Pio li. nel Duomo di ella città, Tennefi pe-
rò per cofa certa, che i difegni e cartoni di tutta queft' opera, fodero
fatti da Raffaello da Urbino, fuo condifcepolo» e di tenera età, che fino
a quel tempo l'otto la diibiplina di Pietro aveva fatto profitto {ingoiare e
maravigliofo. In quella dipinfe dieci rione di fatti d'Enea Silvio Picco-
lomim,che fu poi elfo Pioli, e fimiimente una grande ftoria fopra la por-
ta di effa Libreria, che corrifponde in Duomo, nella quale rapprefentò
la Coronazione di Pio III. pure della ftefla famiglia de'Pìccolomini. Fece
molte opere in Roma nel Palazzo Pontificio, che furon poi disfatte nella
demolizione di quegli edificj : ed operò anche molto per tutta Italia,
L' ultimo lavoro , ch'ei fece, o pure che cominciò, fu una tavola della
Natività di Maria Vergine per la Chiefa de' Frati di San Franceico di
Siena: e acciocché dipigner la poterle a fuo grand'agio e fenz'altri diver-
timenti, gli adeguarono que'Frati una camera Vota di ogni arneie, eccet-
tochè di un antico caffone, che per la fua grandezza non fi poteva muover
di luogo, fenza pericolo di farlo in pezzi. Il Pinturicchio, a cui dava gran
noja quell'impaccio, nellaftanza deftinata al fuo ripofo e a'fuoi ftudj, fece
di ciò sì grande fchiamazzo: e perchè era di nraniflìmo cervello , tanto fi
sbattè, e tanto que' poveri Frati inquietò, che fu loro forza, quali dilli
difperazione , il lare quell' arnefe in ogni maniera cavare di luogo,- e men-
tre ciò fi faceva» occorle, che rompendoli da una parte un pezzo di legno,
accomodato per occultare un certo antico fegreto, che era dentro al me-
defimo caffone, furon trovati cinquecento feudi d'oro di Camera: eciòfe-
guì a vifta de' Frati » che ne rimafero allegrillìmi; e quel che fu più, a vifta
pure
(a) Qttefla infigne Librerìa % a cut fi ha V ingreffo dalla Chiefa del Duomo,
epojU nella nave laterale deftra a Cotnu Evangelii dì quella Metropolitana»
è una delle pia belle coje di detta città, contenendo in fé un gran numero dì
Libri tutti da Coro, ripieni di bdlijjìme miniature, pofii fopra leggìi e
banchi di noce ottimamente intagliati: ed il pavimento di effa Libreria è
tutto dì marmo a mufaico dì pezzi minuti
, limile a quello della Cappella del
Cardinale dì Portogallo nella celebre 'Badia di San {Miniati al (Monte, poco
lontano dalle mura di Firenze
,
I
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2i8 Decennale. IL del Secolo IV. dal\$\o. al 1510.
pure dello fteflo Pinturicchio? per la qual cofa, per ufar le parole dell'Au-
tore , che la racconta, prefe il Pinturicchio tanto difpiacere, pel bene,che
aveva V importunità fua cagionato a que' poveri Frati» e tanto le ne ac-
corò, che gravemente ammalatoli, in breve tempo fi morì.
RYCKAERT AERSTZ
PITTORE DI WYCH OP D'ZSB
J)ifcepito flìfàhMorpdrt, fiato 1482.^1577,
EL Villaggio marittimo di Vych op d' zee , fu un povero
uomo pefcatore, che ebbe un figliuolo chiamato Rycka-
ert, quello di chi ora parliamo. Quefti da giovanetto,
trovandoli un giorno appreflò al fuoco , o in altra qualfL
folle occafione di farli male al fuoco, fi abbruciò talmen-
te una gamba, che non trovandoli alcun rimedio per lui,
al fine fu necefiario il tagliarla. Paffuto qualche tempo,
dopo fatta la perieolofa operazione, avendo egli prefo alcun miglioramen-
to, non potendo ancora andar per la cala, eonvalefcente , fé ne flava il
più del tempo a federe al fuoco ? e per palTar l'ore del giorno, pigliava
de* carboni dai focolare , e con efH fui muro andava difegnando figure a
modo fuo, per quanto poteva fare quell'età, fenz' aver mai applicato a
quella forte di Audio, L'ofTervarono i fuoi, e conofeendo in lui qualche
buon fegno d'inclinazione all'arte della pittura, e difperando ornai, che
e' potelTe metterli a far meftiero, dove abbifognarTe gran moto o fatica di
corpo, gli domandarono fé gli foffe piaciuto di metterli a quello del pit-
tore.- e fèntito che sì, fubito lo mifero nella fcuola di Jan Moftart, dove
fi mife a ftudiar con tanto fervore, che in breve diventò pittore valorofo:
e colorì di fua mano gli fportelli di una tavola, che aveva fatta Jacopo
diGio. Moftart, ne'quali dipinfe una floria de'fratelli di Giofeffo, venuti
in Egitto a proyveder grani davanti a Faraone. Fece anche molte altre
opere, che li diftefeio per la Frifìa, le quali del 1600. per qualfìfofte ca-
gione già fi vedevano in mal grado, e però ci è fiata lafciata di loro poca
memoria. Coftui dunque, come quelli, che amava molto la quiete, e col-
r opere fu e fi era guadagnato tanto, da non aver più gran bifogno, fé la
pattava in Anverfa , ajutando a dipignere, provvifionato, a diverfi pittori,
figure ignude, nelle quali forfè ebbe maggiore abilita, che in altre. Vide
lunghiffimamente, e nell' ultima fua vecchiezza gli mancò tanto la villa,
eh' e' fi ridulTe a fegno, che pigliava fui pennello colore in abbondanza
e tanto grò fio, che infognava raderlo dalle tavole col meftichino; onde le
opere
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RYCKAERT AERSTZ.          219
opere fue non erano più cercate da neffuno: cgfa,ehe. a lui molto difpk-
ceva, e non poteva rettarne capace; perchè rare volte concorre che i vec-?
chj conofcano i difetti dell'età. Trovafi effer'egli entrato nella Compa-?
gnia d'Anverfa Tanno 1520. Fu quello pittore tio^io prudente, e moltq
amico del leggere cofe divote . Ebbe moglie e figliuoli» acquali non mai
volle infegnar l'arte. Fu uomo allegro e piacevole, con che fi guadagnò
l'amore di ogni perfona.- ed ebbe una faccia si bella, e come noi fiam fo-
liti dire, sì pitcorefca, che V eccellente pittore Francefco Floris Io volle
sritrarre pel Santo Luca, che dipigne Maria Vergine, eh* egli fece per la
Compagnia de' Pittori, A cagione del mancargli una gamba, gii bifognò
fempre portar le grucce, che però fu per ordinario chiamato RYCK ME-
TRER STELT, che vuol dire, Ricco dalle grucce. Venne finalmente a
morte di età di anni novantacinque, circa il Maggio del 1577. lèi raefi do-
po llinvafione degli Spagnoli,
ANTONIO SEMINO
PITTOR GENOVESE
DifcepoÌQ di Lodovico 'Brea, nato circa al 1483.
kUantunque la nobiliflìma città di Genova negli anni più an-
tichi non li inoltrane così pronta ad abbellirli della tanto
applaudita arte della Pittura , quanto furono altre città
d' Italia, che per certo farebbe fiata quella una preziofa
aggiunta alle glorie di lei; none per quello, che ella fubi-
to , che per la dotta mano di Lodovico Brea Nizzardo,
il primo, che circa il 1470. vi cominciarle a operare con
lode, le fu da vicino moftrato il pregio, ella non defle fuori molti aperti
fegni dì tanto amore verfo sì bella virtù, che ben fi potette credere, che
ancor ella in breve folle per partorire uomini in grande abbondanza, che
la profetTafiero al pari d'ogni altra città. Uno de' primi fu Antonio Semi-
no, di cui ora parliamo, il quale nato circa il 1433. e ne'primi anni della
fua fanciullezza melìo nella fcuola del nominato Lodovico Brea, fi fece sì
valorofo, che in breve ebbe le migliori commiflìoni della fua patria, e
vi fece tali opere , che fino ad oggi fono appreffo gì' intendenti in qualche
fìima. Vedeii di fua mano, in Santa Maria di Confolazione, una piccola
tavola, fatta del 1516'. dove in un bel pa^fe campeggiala figura dell' Ar-
cangelo San Michele, Fece poi per la Chiefa di San Domenico, una ta-
vola di un Depofto di Croce In Sane' Andrea dipinfe infieme con Tera-
mo Piaggia, flato fuo condifcepolo, la tavola del martirio del Santo : e
parimente
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220 Decennale IL del Secolo W. dal \$io. ah$io.
parimente con quello fece pure nella Madonna di Confolazione alcune
©pere a frelco, e un'altra tavola di un Depofto di Croce del 1527. Chia-
mato a Savona dalla cafa Riarj, vi dipinfe la tavola della loro Cappella
in'San'Domenico: e poi del 1535-fece pe' meddìmi la Natività del Si-
gnóre, e un Dio Padre, e un tondo, che fu pollo fopra la nominata
tavola. E" di fua mano in -Genova-» negl'Incurabili, il Lazzero rifucica-
to : nel Duomo una cavolina col Battemmo di Grillo, che per effere l'Al-
tare ifolato, fi vede da due facce; e l'altra, dov' è la Natività di San Gio-
vambatifta, fu fatta per mano di Teramo. Siccome Antonio godè una
aliai lunga vita, così potè fare anche opere in gran numero, delle quali
non è rimafa notizia . Ebbe quello artefice grande inclinazione a far paefi,
e tempre eh'e'poteva, ne abbelliva le opere lue : e fu anche buon profpet-
tivo. Sarebbe flato ilio d elider io , che nella città fua patria, fi fondafTe
un' Accademia, dove $'inftruiiTero i giovani nell'arte; ma non potendo-
lo confeguire, non lafciò per quello di far sì, che Andrea e Ottavio fuoì
figliuoli, i quali egli applicò alla pittura, non arrivaflero ad eller pittori
di nome, mandandogli a ftudiare nella città di Roma; e fu quello, che
{limolò e quafi forzò Giovanni Cambiafo a darfi a quelli ftudj in età pro-
vetta, per la grande inclinazione; donde avvenne, che non folo quegli
divenne gran maellro, ma da lui ufcì il celebre Pittore Luca Cambialo
fuo figliuolo, che ha poi dati a quella patria molti gran maeftri nell'aite.
CORNELIS DI CORNELIS KUNST
PITTORE DI LEIDEN
Figliuolo e Difcepolo di Cornell $ Engelbrechten,
nato 1493. # 1544.
/$9ŅfeJ^ Acque Corneiis in Leiden I' anno 1493. di un tal Corne-
^S^^^Hfefij 1 is Engelbrechten, in quella cicca allora celebre Pittore:
%lK§ljl mffl e pervenuto nell' età di poterli applicare ad alcuna pro«
J§§ jjl^fi fe# feffione, fi àieds alio {Indio del dileguo e della pittura,
f|||§jp^|0y fotto la difciplina del padre, appretto al quale {lava an-
^O^Mi^gl cora Luca d' Olanda . dipoi tanto rinomato. Dopo
^*^ efierfi alquanto approfittato nell'arte, ma conofeendo
con quanta poca utilità e'poteva quella eièrcitare nella fua patria, allora
molto fcar fa di ricchezze, usò talvolta portarfi a Bruges in Fiandra, do-
ve pel concorfo de' mercanti e foreftieri, correvano gran danari, ed era la
fua pittura molto (limata. Qui tratteneva!! per qualche anno, quando più,
quando
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CORNELIS"DI CORNELIS. ut
quando meno, fecondo le congiuntore, che fé gliapprefèntavaRodi efèr-
citare fuo meftiere, onde vi fece molte opere. Dipinfe anche in Leiden,
fua patria: e l'anno 1604. vedevafi in cafa di Dirck Van Sonneveldt» che
in noftra lingua fignifica dal Campo del Sole, un portar della-Croce»
co'due Ladroni, ne' volti de* quali fi fcorgeva affai bene efpreffa la mefti-
21'a e '1 dolore, che pure anche appariva in queIJi delle Sante Donne: e fu
quefta ftimata una delle migliori opere eh' e'facedè mai. Era anche nella
fteffa cafa una Depofizione di Croce , di colorito accefo e ben lavorato.
Aéchtgen Cornelis Tuo figliuolo, allora in etè di fettantadue anni, aveva di
fui mano il ritratto <li lui, e quello della fua feconda moglie, in atto di
federe in un loro bel giardino, fuori della porta Vaccina; e in kmtanan*
za era fatta dal naturale, una veduta della città, dalla banda di quella porta.
Per un monallerò fuori di Leiden» in un borgo, chiamato il Borgo di Leida,
dipinfe molte tavole, che furon poi disfatte, quande* feguìla ribellione da
Spagna. Per divedi cittadini di fua patria dipinfe molti quadri, ed in par-
ticolare pel nobile Jacomo Vermy. Fece Cornelis da quefla all'altra vi-
ta paflaggio nel 1544. il cinquantelìmo anno della fua età.
LUCA CORNELISZ DE KOCCK
CHE IN NOSTRA LINGUA VUOL DIR CUOCO
PITTORE DI LEIDA
Fioriva del 1520.
Iccome fi poteva dire con verità, che Cornelis di Cor-
nelis Kunft, figliuolo di Cornelio Engelbrechtfén, ec-
cellente pittore, fofle veramente nell'arte della pittu-
ra erede della paterna virtù; così non farebbe contro
al vero l'affermare, che Luca Cornelisz, del quale ora
fi parla, non punto fi moftrafle inferiore al fratello nel
fuo operare. Nacque egli dello fteflb Cornelio EngeJ-
biechtsen Tanno 1495. e da eflb apprefe i precetti del-
' arte : e perchè la fua patria non gli fomminiftrava tante occasioni, quan-
te gli abbifognavano per poter co' pennelli oneftamente alimentarli» fu
coftretto talvolta (ciò che è vergogna di quefte belle arti il raccontare)
ad efercitarfi nel meftiere del cuoco, dalche prefe il foprannome di Kocck.
Fu quefto pittore, ne' fuoi tempi, molto ftimato, tanto nel lavorare a
olio , che a guazzo: e in Leida fua patria fece moke cole; ma partiqolair
me n te fi vedevano in cafa un tal' Aus Adriansz Knottr, che per fuo diletto
attendeva
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zn Decennale IL del Secolo IV. dal 1510. tf/1520.
attendeva ancora egli alla pittura, alcune tele fatte a guazzo affai ben fini-
te, con buona invenzione, ed efpreflìoned'affetti, appropriata all'azione
delle figure. Fra quefte era molto lodata una ftoria dell'Adultera Evan-
gelica. In caia di Jacotno Vermy erano pure alcuni fuoi quadri a guazzo.
Vedendo poi Luca di non poterli, per ifcarfezza d'occafioni, mantenere
in Leiden: e fentito» che r arte delia pittura era grandemente (limata in
Inghilterra, fotto la protezione di Enrigo Vili, che molto fé ne diletta-
va, deliberò d'abbandonar la pafria, e cosi infieme colla moglie e fette o
otto figliuoli eh' egli aveva allora, colà fi portò. Dopo tal fua partita,-
dice il Vanmandgr, non eflerfi avuta di lui altra notizia, fé non chea
Leiden venne un fuo bel quadro in mano di un mercante, chiamato per fuo
nome Hans de Hartoogh, che in noftra lingua fignifica Giovanni del
Duca : e che quando capitò ne' Paefi Baffi il Duca di Leycefter per Gover-
natore, condufle l'eco alcuni Signori Inglefi, i quali, per la cognizione
dell'operar fuo in Inghilterra, compravano quanti quadri fatti da lui, da-
vano loro alle mani,
GIOVACCHIMO PATENIER
DI DINANTE PITTORE
fioriva del 1 520,
E' tempi, che la città d'Anverfa fioriva per moke ricchez-
ze pel gran negoziare, che vi facevano i mercanti di ogni
nazione, che era circa al 1515. entrò in quella Compa-
gnia de'Pittori un tal Giovacchimo Patenier, che aveva
una maniera di far paefi molto finita e bella. Conduceva
gli alberi con certi tocchetti, come fé fofiero flati mi-
niati, aggiugnendovi belliflìme figurine, tantoché i fuoi
Paefi, non folo erano ftimati molto in quella città, ma ancora erano tra-
portati in diverfe provincie. Si racconta di un tale Hendrick Metdebles,
che in noftra lingua vuoi dire Enrigo colla macchia, ancora egli pittore
di paefi, in fulla maniera dello fteflb Giovacchimo, che fu folito in tutti
i fuoi paefi dipignere una civetta. Ma quello noftro Giovacchimo ebbe
un certo fuo fordido coftume, quale io qui non racconterei, s* io non
credeflì, che'l faperlo, potefle apportar qualche facilità maggiore a co-
nofeere le fue opere da quelle d'altri: e fé ancora Carlo Vanmander, Pit-
tor Fiammingo, che fece menzione di quell'artefice, nel fuo libro fcritto
in quéll' idioma, non aveffè ciò raccontato. Dipigneva egli dunque in
ogni fuo paefe, niuno eccettuato, un uomo, in atto di fodisfare a* cor-
porali
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GIOVACCHIMO PATENIER.' 213
porali bifogni della natura: e alcune volte fituavalo in prima veduta, ed
altre volte con più ftrano capriccio, lo faceva in luogo tanto ripofto,
eh' e' bifognàva lungamente cercarlo,e in fine fempre vi fi trovava tal figura
Fu coftui molto dedito al bere, ed era fuo più ordinario trattenimento*
la taverna, dove prodigamente, e fenz'alcun ritegno, fpendeva i fuoi
gran guadagni, fino al rimanerli fenza un quattrino; ed allora {blamente*
forzato da neceffità, faceva ritorno a*pennelli. Aveva un difcepolo, che
fi chiamava Francefco Moftardo, Pittore d'incendj ttimatiflìmo» al quale
convenne aver con lui una gran pazienza, perchè e'non fu quali mai
volta, che Giovacchimo tornaiTe dall'ofteria alterato dai vino, che non
lo cacciatte fuor di bottega; ma egli, che defiderava di approfittarli, tutto
diflìmulava. Alberto Duro fece così grande itinia de*paefi di Giovacchi-
mo,© del fuo valore in quella forte di lavoro, che una volta fi mife a fare
il fuo ritratto fopra una lavagna, con uno ftile di fragno, e riufeì tanto
bello, che e'fu poi da Cornelio Coort di Hoorn, città delle fette Pro-
vincie, intagliato in rame, fotto il quale fcrifie alcuni verfi comporti dal
Lanfonio. Molte opere di Giovacchimo furon portate a Midelburgh, che
poi l'anno 1^04, fi vedevano in cafa dì Melchior Wyntgis» Maeltro della
Zecca di Zeilanda , Fra quelle era un quadro di una battaglia , tanto fini-
to, che ogni più fquifita miniatura ne perdeva. Fu anche il ritratto di
Giovacchimo dato alle (lampe poco avanti a detto anno, con intaglio di
Tommafo Galle, e fotto co* feguenti verfi, comporti dal nominato Lari»
fonio :
Has Inter omnes nulla quod vivacius
Joachime, imago cernitur
Expreflà, quam vultus tui: non bine modo
Fa3um e$ quod iUam Curdi
In are dtxtra incidìt
» alterata fibi
Qua nunc tìmet mine amulam.
Sed quod tuam Durerus admirans manum»
Dum rara pingis, $• cafas,
Olim exaravit in palimpjefto tuos
Vultus abena cufpiàe:
Quas amulatus lineas fé Curtius
,
Nedtèm praivit cmms%
l
HEZZ1
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224 Decennale IL del Secolo IV. dali$\o. al1520.
REZZI DE BLES
PITTORE DI BOV1NES
Della [cuoia di Giovacchimo P atemer, fioriva circa il 1520.
Neera «juefto Pittore, che fu nativo di Boyines, Juogo della-.
Fiandra» vicino a Dinant, fu detto per foprannome de Bles,
che lignifica colia macchia, perchè aveva una ciocca di ca-
pelli interamente bianca ; feguifò la maniera di Giovaechw
mo Patenie?» V opere del quale molto iludiò, Ebbe un mo-
do di colorire diligentiffirno, che però nel fuo dipignere
-impiegava gran tempo. Ebbe talento particolare ne'paefi, che foleva fare
piccoli affai. In effi rapprefentava mafR, alberi e infinite figure, ed in ogni
paefe di pigne va una civetta, la quale alcune volte collocava in luogo
tanto Arano, che per molto minutamente 9: che fi offervaffe ogni parte del :
paefe, bepe fpeffo non fi trovava, e faceva di meftieri tornarne a cercare* -
finché finalmente, ove meno fi farebbe creduto, fi vedeva quefto animale.
Erano di mano di'quei!' artefice 1' anno 1604, in Midelburgh appreffo Mel-
chiorWyntgis, Maeftro di Zecca di Zeilanda, tre paefi aliai grandi, bel-
lifllmi, in uno de'quali era la (tona di Lot. In Amfterdam, appretto Mar-
ten Papembroeck, un paefe anch' eiTo grande affai, in cui Enrigo avuva
figurato un botteghino, che dorme fotto un albero, mentre molte feimie,
avendogli aperte le fcatole e feiori nata la mercanzia, cavatogli le calze e
i calzoni, fanno con effe varj gefti ridicolofi ; altre appiccano all'albero i
naftrì, altre fi pettinano, altre fi fpecchiano, una fi prova le calze, una fi
vefte i calzoni del mercante, ed una meffalì, un pajodiocchiali al nato, fida-
mente gli guarda quanto egli ha di fepperte*. Nella fletla città aveva Mel-
chior Moutheron un quadretto piccolo, affai finito, dove era la ftariade'
due Difcepolidi Grillo, che vanno in Boflaus, moUpartificiofamente lavo-
rati; e in lontananza aveva il pittore rapprerentati gli fteffi Pellegrini po-
lli a tavola col Signore. Colorì Io fteJffo molti quadri della Paffione , ed
altre opere fece, che ebbe la Maeflà dell' Iraperadore e altri Monarchi e
private perfone. Fu anche fuo particolar talento, ajutato in ciò dalla na-
tura, perch' egli ebbe un ottima vifta , il far figure piccoliffime, e quali
jnvifibili, e in grandiflìma quantità, in che veramente fu (ingoiare.
BERNARDO
S£S3II
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225
BERNARDO VAN-ORLAI
PITTORE DI BRUSELLES
Fioriva circa il 1520.
EL tempo, che operava in Roma il Divino Raffaello, vifle
ancora ed operò in ella città un valente Pittore di Brufelles ,
per nome Bernardo Van-Orlai. Quelli eflendofi a principio
fatta una maniera, che pendeva verfo il fecco, modo di di-
pignere antico : col darli poi a vedere e ftudiare le pitture
dello fteilo Raffaello e de' fuoi buoni difcepoli, come Giulio
Romano ed altri fìmili, quella manchevole maniera, mutò in altra molto
nobile e vaga. A quello artefice , tornato eh' e' fu alla patria , fu data la
cura di far condurre tutte le bellidìme tappezzerie , che i Papi, Impe-
radori e Re facevano fare in Fiandra, con difegni di pittori Italiani:
e non è mancato chi affermi, che alcune tappezzerie , in cui fon rappre-
fentate ftorie di San Paolo, che fi vedono nella Guardaroba della Maeftà
del Re di Francia, le quali furon fempremai [limate, fatte con difegno di
Raffaello, fofTero difegnate da Bernardo fopra alcune piccole invenzioni
dello ftelìò Raffaello. E' fiata anche opinione, che alcune altre belliffime -
tappezzerie , in cui fi vedevano le cacce dell' Imperatore Maffimiliano f
teffute con gran quantità d' oro, le quali furon già di Monsù di Ghifa,
e fono ftate credute fatte con difegno d' Alberto Duro, ancor' effe fieno
ftate inventate da Bernardo, forfè nel tempo eh' e' cominciava a miglio-
rare la prima maniera. Ma comunque fi fìa la cofa, giacché io non aven-
do vedute queir opere, non ne fo dar giudizio, egli è certo, che a que-
llo Bernardo, per la fua virtù, toccò a foftenere il carico di foprinten-
dere a tutte le opere di pittura e di tappezzerie, che dall' Imperatore
Carlo V. fi facevan fare in quelle parti, ficcome a tutti i vetri, che fi fé*
cero per le Chiefe di Brufelles. Ebbe coftui un difcepolo, che fu anche
fuo ajuto nel dipignere, che fi chiamò per nome JONS, gran pittore di paefi,
che dicono anche aver lavorato in dette cacce dell'Imperatore Maflìmiliano .
Fu fimilmente fuo fcolare PIETRO KOECK , nativo d'Aioli, buoniffimo.
pittore ed architetto, ii quale poi, come fi enarrato nelle notizie della
fua vita, fé ne pafsò in Turchia.
p                             BOCCACCINO
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%i6 Decennale IL del Secolo IV. dal 15io. al 1520.
BOCCACCINO BOCCACCI
PITTORE CREMONESE
Nato......#■ 1558.
Oceaccino Boccacci, detto Boccaccino, Pittor Cremonese,
fiorì circa il 1520. Tenne una maniera di dipignere fifa4
moderno e V antico, e nella fua patria ebbe fama di buon
pittore; tantoché divenuto oltremodo gonfio, pel con-
cetto di le fteflb, fentendo celebrare le opere, che in Roma
aveva condotte il gran Michelagnolo , colà apporta voile
portarli. E non prima l'ebbe vedute, che cominciò a par-
larne così male» che apportò non poca maraviglia agi'intendenti dell'arte.
Non andò molto, che a coftui fu dato a dipignere una Cappella nella Chiefa
di Sanca Maria Trafpontina, da coloro, che avendo di lui Formato qual-
che concetto, per quello folamente, che loro gliene aveva portato la fama
dalla fua patria, accrefeiuto dal fentirlo dare tanto alta ficura, e così ma-
giftralmente fuo giudizio fopra le opere di Michekgnolo, ma non ebbe sì
tofto finita e feoperta la fua pittura, nella quale volle rapprefentare 1* In-
coronazione di Maria Vergine noftra Signora , che fece dare nelle rifa
tutti i Pittori di Roma, e coloro principalmente, che dalle fue millan-
terie fi eran lafciati perfuadere ad averlo in qualche {lima; tantoché egli
divenuto ornai la favola di Roma, abbandonata quella città, colle trombe
nel facco, come noi dir fogliamo, fé ne tornò alla patria, nella quale fece
molte opere, delle quali è più bello il tacere , che il lungo favellarne.
Dirò folo, che le maggiori fra quefte, furono iftorie della Madonna nel
Duomo fopra gli archi dt mezzo. Infegnò coftui l'arte a Cammillo fuo
figliuolo, che gli fu molto fuperiore; e nell'anno 1558. ebbero fine i gior-
ni fuoi.
»                                                            11                                                         1 - ■ -•■ r . ... ■ l ■ ■ 1..---....... t ,..... I. —-. .....
Queffo nome dì Boccaccio fu uftatìjfimo per F Italia nel fé colo del 1300. che
dipoi, pafso anche in cognome
, 0 come fi dice, in cafato. Tal nome appunto
ebbe il Tadre del nojiro Fiorentino Cicerone
, Giovanni Boccacci, denomina-
to perciò il Boccaccio
, onor e/mgolari/fimo di Firenze fua patria» e del ca-
mello dì Certaldo, donde i fuoi maggiori, come egli atte Ola nel trattato
De
Flurainibus, traevano loro origine
JACOPO
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227
JACOPO PACHIEROTTI
PITTORE SENESE
Delta fittila di Raffaello, fioriva circa all' anno 1520.
Acopo Pachierotti, cittadino Sanefe, fu buon pittore, e fé-
guicò la fcuola di Raffaello, Fece alcune opere nella fua pa-
tria affai lodate. Nella Chiefa di San Criftofano, in cui
raffigurò Maria Vergine, con altri Santi: e in Santa Cate-
rina di Fonte Branda , colorì alcune ftorie. Due tavole fece
per la Chiefa di Santo Spirito, nelle quali dipinfe 1* All'un-
zione e Coronazione di Maria Vergine: e nella Compagnia di S.Bernard/no
mandò due altre tavole di fua mano, una della Natività, e l'altra dell'In-
coronazione dell' ifteffa Vergine. Nella Propofitura diCafoIe, in quel
territorio, fono anche fue pitture. Venneglì poi volontà di cercare altro
cielo: e lafciata la patria, fé ne andò in Francia, dove è fama,che molto
rifplendeffe poi la virtù fua.
'                           ».'", >.■ li .MM**MM, |           !<.<■■■......• >.!,., , „ lut|                            uri              ,            , ^                   ^ ( 1>(
I L C A P A N N A
PITTORE SENESE
J
E ANDREA Del BRESCIANINO
E suo FRATELLO
Fiorirono intorno al 1520.
L Capanna ne'fuoi tempi fi acquiftò buon credito nella fua
patria , a cagione di avervi fatto più opere grandi, che fu-
rono lodate. Fra quefte fu la facciata a ehiarofcuio del
Palazzo de' Turchi, rimpettp. a quello de' Popolefchi ; e le
figure, che rapprefentano le forze d' Ercole, nella facciata
e cala de' Boninfegni, poi de'Bocciardi, non lungi dalla
Piazza. Fu quefto artefice affai familiare del celebre Pit-
tore Baldaffar Peruzzi e di Domenico Beccafumi, al quale anche è fama,
che infegnafle i primi precetti dell' arte,
P 2                                    Ne*
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228 Decennale IL del Secolo IV. dal 1510. al 1520,
Ne' tempi di coflui fiorirono ancora in Siena ANDREA del BRÈ
SCIANCO ed un fuo Fratello, de' quali vedefi nella Chìefa di San Be-
nedetto degli Olivetani, poco lontana dalla città, una tavola finita.
GIO. ANTONIO DI JACOPO RAZZI
DETTO IL SODDOMA
PITTORE SENESE
Nato 1479. # *554*
Controverfiafra alcuni intorno al luogo,onde quefto arte-
Scambiò il
Vafan da
Vergelle .
calte I letto
alU città di
Vercelli .
Siccome
Politianum
Pulicciano,
caflelletto
nel Mugel-
lo : vi fu
chi credet-
te che folle
Montepul-
ciano nella
Storia Fio-
rentina del
Poggio.
fice traefle i fuoi natali. II Vafari nella vita,ch'egli fcrifle
di lui, dille, che fu da Vercelli ; e in quella , ch'egli fcrifle
di Mecherino nello fteflb tempo, lo chiamò Gio. Antonio
da Caravaggio. Ifidoro Ugurgieri lo fa figliuolo di Jacopo
Razzi, nativo di Vergelle, caflelletto dello flato di Siena;
e Monfignor Giulio Mancini in un fuo Manofcritto lafciò
notato, ch'egli folle di un certo fuo immaginato caftello, chiamato Riva-
tero, perchè in una denunzia, che fi trova aver fatto il Soddoma al Pub-
blico di Siena l'anno 1531. di tutti i fuoi beni, fecondo 1' ordine, che ne
venne allora in quella città, egli fcrifle Giovanni Antonio Soddoma di
Bucacuro; avendo il detto Mancini, fé pur non fu errore di chi copiò il
fuo manofcritto , ietto in cambio di Bucacuro , Rivatero : o pure errò
1'Ugurgieri, che notò la denunzia, fcrivendo Bucacuro, in luogo di Ri-
vatero.- e di quella parolaBucatmo da neflitno è flato intefo il lignificato:
ed io per me la Aimo una delle folite leggierezze e buffonerie, che furori
fempre infeparabili compagne di quefto artefice . La verità però li è , che
in Archivio della città di Siena, fra l'antiche fcricture, fi trova Magnificus
eques Oominus Johannes Antonini de Tiazzts de Verzè PiBor
, alias il Soddo-
ma, per Rogo di SerBaldaffar Corte 1534, Sicché pare, che lì pofla conclu-
dere coli'Ugurgieri, che per Ja parola Verzè fia flato voluto fignificare il
caflello di Vergelle ; e confeguentemente, che equivocarle il Vafari, il
quale veggiamo avere equivocato altresì in farlo nativo di due luoghi,
cioè di Vercelli e di Caravaggio, dicendo da Vercelli in luogo di Vergelle.
Comunque fi fia la cofa, dice lo fteflò Vafari, che coflui fu introdotto in
Siena da certi mercanti, agenti delli Spannocchi ; e che egli quivi li affaticò
in. ftudiare le opere di Jacopo della Fonte Scultore , altrimenti chiamato
Jacopo della Quercia, le quali allora vi erano in gran pregio. Giovanni
Antonio
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GIO. ANTONIO DI JACOPO 'RAZZI, 229
Antonio adunque fu così bene inclinato all'arte, è vi ebbe così buon gu-
fto e difpofizione, che dove e' volle far bene, pochi poterono far meglio;
ma come quegli, che ebbe ancora, e Tempre nutrì in fé fte/To io fpirito
buffonefco, col quale era folito farfi largo con ogni condizion di perfone |
non feppe anche tenerfi a fegno nelle cofe del meftier fuo> onde lavorò
bene, fpeflò fenza ftudio o applicazione: iafomma egli fece fempre tanto
bene quanto volle, ma non moltiflìme furon quelle volte, che fu di tale
umore. Operò in Roma, Volterra, Fifa, e più che in altra città, in Sie-
na, dove veggonfi , fra l'altre, alcune Tue pitture di ringoiar bellezza, delle
quali noi folamente faremo menzione, lafciàndo al Lettore il foddisraru
dell'altre fopra quanto ne fcrifle il Vafari. Primieramente per la Chiefa
di San Francefco fece una tavola di un Crhìò Deporto- di Crocci eolia
Vergine Santifilma tramortita; ed evvi un uomo armato, che voltando le
fpalle, fa vedere l'anterior parte nel luftro di una celata* che è quivi in
terra. Per la Compagnia di San Baftiano in Camolia dipinfe il bel Con-
fai one, che ufavan portare proceflionalmente, dove r^pjpréfeiitò la figura
di San Baftiano legato ali' albero . In San Domenico , alla Cappella di
Santa Caterina da Siena, ove la fua Sacra Tetta fi conferva, dipinfe due
iftorie, che tengono in mezzo il Tabernacolo, che contiene èflà Tefla:r
ed in quelle efpreffe fatti della medefima Santa, cioè: in una, a man delha,
quando avendo ricevuto le (limate, giace tramortita, e quella riufcl di
tanta bellezza, che ellendo veduta da Baldaifar Feruzzi, feceglì dire con
grande aflerzione, di non aver giammai veduto pittore, che,così bene
efprirneflè 1' affetto delle perfone fvenute e languenti, di quello, che il
Soddoma aveva fatto ; ficcome, fecondo quello, che ci lafoò fcritto l'al-
tra volta nominato Mancini, Annibale 1 Caracci,: nel veder la tavola di
San Francefco, ebbe anch'egli a dire, che il Soddoma, al certo, fra' Pit-
tori, fu di tanto buon gufto, che pochi de'fuoi pari eran foliti vederfi in
quel genere. L'altra ftoria, dalla parte finiftra, non riufcl di tanta perfe-
zione a gran fegno. Lodatiffima ancora fu una fua tavola dell' Adorazione
de'Magi, che fece per la Chiefa di Sant* Agoftino ; fopra una Porta della
città, chiamata la Porta di San Viene, in un gran tabernacolo, dipinfe a
frefco la Natività del Signore, ed in quella iftoria, nella perfona di un
vecchio, con un pennello in mano, ritraile fé (leffo. Sopra la porticella
dipinfe pure a frefco in un muro. Sopra la porta de' Manicotti dipinte
un Criflo morto in grembo alla Madre, opera condotta a fomma perfe-
zione. Colori molti quadri per Roma» e per diverfi cittadini in Siena..
e perchè egli molto fi dilettò di far ritratti al naturale, affai ne fece, che
farebbe lunga cola il descrivere. Fu eoftui un di quelli ambiziofi cervèlli,r
che vivendo capricciofamente, e lontano da'modi degli altri uomini, ed
in ogni cofa fingolarizzandofi, pare che cerchino la gloria loro in non al-
tro^che in farfi burlare,- onde non è gran fatto, che egli, col governarli a
capriccio, e da perfona poco affannata, fi conducete finalmente in tal mife-
ria,che effendo venuto , per così dire, in odio anche a fé (ledo, vecchio e
povero, fi condulTe a morire allo Spedale: e ciò fu l'anno fettantacinquefi-
mo di fua età» e della noitra fallite 1554. Furono difcepoli del Soddoma
o v 4
                                              P 3                                 Barco-
-ocr page 237-
$1$ Dtcw?t#le W. M Secolo IV. dal ipo. 0/1520.
JBartQlonjmep Neroni Senefe, detto* per fqprannome Maellro Riceio» che
fu, anqhe raarit^di m§ %$& figliuolan ^Wte4i qu&l poco, che apparta
ne tue a queft'arEi, rim,afe alla fu&mort$. Franche fu© dife©f>k©Io Girola-
mo , de«Q Giorno #1 §o4dpm,a ». ejhe mari in. giovenile età,
".- fi <:'f*rt't'jiw ■ ■ '.'wfi , .JU..JUII.1 u..,iii.ij ,ii,i-ii.i'jiij...i 1
TQiVtMASO ALESSÌ, dotto il FADING,
GALJEAgZQ CAMPI. BEK.NARDINORICCA, BETawm RICCO,
GALEAZZO PISENTI, dettq SABIONETA
PITTORI CREMONESI.
e.
^addietro fetta menzione di alcuni Pittori Cremonesi, che
poco avanti al 15001 fuiiono i parimi ad opepar© con affai lo-
devole maniera: tali furono Galeazzo Ribellò , Altobello
Milone, Bonifazio e Fcancefco Bembi, Giacomo PatBporino
e Boceaccirio Boccacci. Diròi adefio al cuna- cola di altri de-
lùdati-dalle fcuole dicoftoro. rJjfommafo Aleffi, detto il Fa-
dino, ficcome abbiamo, da Anton Campi nella foia ftoria, lìato amicifli-
ipp-di Galeaz&o Campi, padre delio, fteflo Antonio', ebbe una maniera
tanto limile: atlui, che; la pitture dell' uno né punto né poco fi diftingue-
vano da quelle dell'altro.
ALEAZZO CAMPI, fu buon pittore-, e. operò di quella manìe-
\ ra ,. che noi dichiamo, antica moderna: dico di quella de' primi-
tempi del Perugino, Giovanni Bellino, e fienili, che tenne alquanto del
fecco.... Vedefiperò di propria mano di quell'artefice il fuo proprio ritrae
cp, nellatanto rinomata Stanza de' Ritratti de' Pittori), nella Real Gal-
leria del Sereniflimo Granduca; il qual ritrattoè condotto di aflai buona
maniera, e quali in fui gufto, tanto riipettoalì* attitudine, quanto riflet-
to al vellire del noftro Andrea dei Sarto, il quale, nel tempo fteflb, che
fu fatta quella tal pittura, già fi era reto celebre per tutta Italia e fuori.
biella deretana parte della tela fi.leggono in lettere antiche romane fcrit-
te le feguenti parole. Ego Galeazius Campì Annorum 53. fi non me ipfum»
qma hmio dare > [altem ìmaginem me&m a me elabomtam Julio Antonia* &*
Vmcentio ^Antonio filiis meis relìqm pridie Iiius Aprìlìs MDXX Vlì
V.
Dipinfe egli per la Chiefa di San Sepolcro di Ferrara una tavola : e per
quella di San Domenico di Cremona ne colorì un'altra, della quale fa
menzione Francefco Scannelli da Forlì nel fuo Microcofmo della Pit-
tura. 11 Vkfari afferma, che egli dipigneife pure nella fua patria la faccia-
. -..
                                                                                       ta di
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GALEAZZO CAMPI.
231
ca di dietro di San Francefco. Altre pinture conduce quell'artefice in eflfà
città» le quali ne'fuot tempi furono molto lodate; ma in prodeflòditem*
pò fono (tate tolte di luogo, per eotlocarvetie altre moderne. I tre fi*
gliuoli di lui già nominati, feguitarono la pittura, Antonia e ¥inceriziO
Antonio riufcirono uomini di valore, e Antonio aggiunte alla pittura le
umane lettere, come a fuo luogo diremo.
BERNARDINO RIOGA, detto il RICCO, %aitò là maniera di
Galeazzo, ma fra aleute fue opere, cfee reftarono in Cremona> inerì
fi fc or gè eofa, che degna fia di «memoria.
GALEAZZO PISENTi, detto il SABIONETA > fasncn* egli m
quefti tempi, più {cultore In legno^ che pittore,
. -                                                                                                                                ■ -                                                                                                          .-■■.•» .»,■ •■ ..■■,
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A R TE FI CI
CHE IN Q.UESTQ TEMPO FIORIVANO
NELLA CITTA fri GENOVA
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E NEL SUO STATO.
INTONIO SEMINO , nato circa al 1485. avendo attefo alla
pittura appreifo a Lodovico Brea, Pittore Niz2àPdò,giunfe
a flato di qualche ftima nella tua patria, nella quale molto
operò. Colorì per la Madonna della Gonfokzione » in unti
piccola tavola, l'Arcangelo San M-feheléi per quella di San
Domenico un Depofto di Crocei e aeerefcitftelfcgli iè com-
miffioni, fece compagnia cor» un pittore, flato feo febndifcépólo, chiamato
TERANÒ PIAGGIA, col quale dopo il 153©.operò ihokò. Fecero vede-
re quefti due in Sant'Andrea il martirio del Santo: Snellii 4bprànìvominata
Chiefa di Santa Maria della Gonfolazionei dipihfero molto a frefco. Ghia-
mato poi il Semino a Savona* colorì per Riari la tavola di lbrCappella
in San Domenico, e Un mezzo tóndo, che fu ptìfto fopra ad efTa tavola.
Tornato a Genova, dipinfe per lo Spedale degr Incurabili la Aorta-della
Refurrezione di Lazzaro: pel Duomo fece la tavola di SanGiovambatifta,
in atto di Battezzare il Signore; ed un'altra tavola dello fteflb Santo vr
colorì Teramo Piaggia. Molte e molte furono le pitture, condotte da quefti
due fempre uniciffimi compagni, che fono fparfe per quello (lato : e pei
P 4                                     lo più
*»**^.!-Ws- ■*,-,.! — - .-^.--
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%| % Decennale IL del Secolo IV. dal 15 io. ah520.
lo.-più yeggonfi adornehdiiyaghiflimi p'aefi e graziofe profpettive, nelle
quali cofe fare, ebbero ambidue talento non ordinario. Morì il primo in
e^à decrepita , ma quando foflè la fine del fecondo, non è pervenuto a
notizia noto, :cnA .fategli* J f,,(if--mu:pì"vzt:;
fi:: :\:}71;7 f-ì'.r: ;.;. .?$;■ , n\-'\oi:j.ri a f :■:■ *./;£'■' r:< u r ; r.\.•■•:•, ..;~;t .';:nr"- ;..
GIrca a quelli medefimi tempi vifle pure in Genova NICCOLO COR-
SO, che nella Villa di Quarto dipinfe molto a frefco pe' Monaci di
San Girolamo , in Chiefa , nel Chiolìro e nel Refettorio. Quelli, fen-
^a (pogliarfi, però di quel modo di operare duro , che ufavafi in que'fuoi
tempi da' Genovefi Pittori, come altrove abbiamo detto, non lafciò di
dare nelle fue pitture, aperti fegni di pofledere un buon genio al più bel-
lo^, quandoché, colpa dell' efempio di ogni altro profeflbre di quelli pà-
tria, non gliele fofie fiata impedita l'operazione.
D' ANDREA MORENELLO , altro pittore di quel tempo, veddefi
.in San Martino di Bifagno una ben condotta tavola, da elfo fatta pe'
Fratelli della Compagnia di noftra Signora, in cui rapprefentò la Vergine
Santi/lima, in atto di coprire col proprio manto i fuoi divoci: e nella ftefla
Chiefa fece altre opere. Devono a quello artefice i Genovefi Pittori, la
Jode di efTere (lato fra*primi, che la crudezza della maniera incominciafle
a tralafciare alquanto, conche fu a parte con altri fuoi coetanei, di aprire
la flrada a quei che vennero dopo di lui, di fare il fimigliante, e più ancora.
FRA SIMONE DA CORNOLO, Religiofo dell' Ordine Serafico nel
Convento di Santa Maria degli Angioli, poco didante da Voleri,
anch' elio Genovefe, aggiunfe al fuo dipignere di figure, buona vaghezza
di profpettiva, come mofìrano le opere Tue nella nominata Chiefa di Santa
Maria degli Angeli: e particolarmente due tavole, che una nel Coro,
e rappreientano un Sant'Antonio di Padovane la Cena del Signore.
Oco dopo coftui, fiorì ancora FRA LORENZO MORENO, Religio-
fo dell* Ordine del Carmine, il quale nel 1544. dipinte a frefco fo-
pra la porta della Chiefa di fuo Convento, intitolata.noftra Signora del
Carmine, l'Annunziamone di ella Santillìma Vergine, la quale poi inoc-
cafione di nuova fabbrica (tanta fu la itima, che ne fecero quei fuoi Reli-
giofi) e con non minore diligenza, fu fegata in tre pezzi,giacché il trafpor-
tare la fmifurata mole del groffo muro, ov'eli*era dipinta, rendean* quali
impc flibile: con gran difpendio trafportata nel Ghioiìro, nella facciata
che è rimpetto alla porta, per la quale da efl'o Chioftrofi lcende in Chiefa :
e lo fteflb ancora fecero di un'altra ftia fattura, cioè di una Vergine in
abito Carmelitano fiata da Lorenzo colorita fopra la porta, che fepara il
Convento dalla pubblica flrada, che collocarono nel portico, che è dalla
porta, per cui fi entra nel primo Chioftro.
MAESTRO
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. 233
MAEST R O
AMICO ASPERTINO
PITTORE BOLOGNESE
;                           Fioriva circa il 1510.
BBE quello Pittore i primi infegnamenti dell'arte dal Fran-
cia Bolognefe: dipoi datoli aftudiare le opere didiverfi, nei
vagar eh' ei fece per tutta l'Italia, fi formò una maniera a
modo fuo, da-tutte l'altre diverfa, come quegli, che aveva
anche un cervello così torbido, Urano e fantaftico,che non
punto lì confaceva con quello degli altri uomini. Usò egli
(ludiare indifferentemente il buono e'1 cattivo, forfè a fine di ammaliare
gran materia, per aver molto da mettere in opera.eprefto sbrigarli di ogni
gran faccenda, come fu poi fuo ordinario colmine, e forfè anche guidato
da una certa fua ftranillima opinione , che foffero degni di molto biafimo
coloro, che nel luo tempo fi davano allo ftudio della maniera di Raffaello;
quafichè, com' egli diceva a ciafeuno, non avefTe dato la Natura tanto ca-
pitale da poterfene fare una da fé, che folle propria fua; quella poi proc-
curando di accompagnare con una buona pratica nel ditegno. Noi però
non temiamo di affermare ,che gli fortiife bensì il farli una maniera di proprio
capriccio, ma non già l'accompagnarla con buon difegnos e di ciò fanno
fede i molti difegni di fua mano, che fi trovano fra gli altri degli cccellen-
tiilìmi pittori, ne' Libri dei Serenifiimo di Tofcana, raccolti dalla glo-
riofa memoria del Serenifiimo Cardinal Leopoldo, ne' quali vedeli cam-
peggiare aflaipiù il capriccioe la fantafticheria di quella mente, che la imi-
tazione del vero. Moltiflìme furono le opere, che fece coftui nella città di
Bologna e fuori, a frefeo e a olioi fra le quali ii vede del buono e del
manco buono, e anche del cattivo, forfè ( come di lui ditte il Guercino)
perch'egli ebbe i pennelli da tutti i prezzi: e forfè ancora, perchè fimili
frravagantiflìmi cervelli e di poca levatura, non mai ftanno in un medefimo
affettò, e per confeguenza in un medefimo gufto. Fra le fue migliori pit-
ture fi annoverano; Una Madonna l'otto il portico degli Ercolani in Ga-
llerà: una tavola nel Refettorio de' Padri di Santa Maria Maggiore, dove
figurò Maria Vergine col fanciullo in aria, e un Santo Vefcovo, Santa Lu-
cia e San Niccolò, in atto dt donar le palle d'oro a tre fanciulle, le quali
nella fteiTa tavola figurò inginocchioni. E'Umilmente, avuta in conto di
buona pittura, una facciata della Libreria di San Michele in Bofco, dove
vedefi l'Eterno Padre, Gesù Grilla CrocirìfTb, e Io Spinto Santo in forma
di colomba. Vi è Adamo genufleftb, con molte figure di Patriarchi e dì
altri Santi del Nuovo e Vecchio Teftamento, e Dottori. Si portò ancora
affai
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2J4 Decennale IL del Secolo IV. dal 1510. ali 520.
affai bene in alcune facciate di cafe, delle molte, che fece in Bologna, fra
le quali beiìiflima fu una di chiàroicuro in fulla piazza de' Marfìij, dove
fono affai fpartimenti di ftorie, e un fregio di animali, che combattono
fra di loro, condotti con gran fierezza ed artificio. Dipìnfè in Lucca fto-
rie della Croce e di S.Agoftino nella Ghiefadi SanFridiano, tutte piene
di Urani capricci, con molti ritratti d' uomini cofpicui di quella città.
Operò molto in Roma ed in altre città d' Italia. 11 Vafari nello fcriver
eh'e* fece alcuna cofa di coftui, fi fervi di notizie sì proprie, che veramen-
te la fece da pittore, quanto da dorico, avendo con poche parole dipinto
un' uonKrdi fimil taglio, tanto al vivo/che pare propriamente , che nel
leggere fi Vegga lui fteffo ; onde noi non abbiam difficultà di portarle in
quello luogo, colte a vèrbo a verbo. Dice egli dunque così, Dipignew
ìAmico con ambedue le mani a un tratto, tenendo in una il pennellò del chia-
mo
, e ne II7 altra quello dello fcuro. £lta quelcFera più hello e da ridere> fi è»
€he[landò cìnto* aveva intorno intorno la coreggia piena dipignattì pieni dì
colorì temperati; dimodoché pareva il Diavolo di San Maccarìo confutile tan-
te ampolle: e quando lavorava con gli occhiali al nafo
, avrebbe fatto rìdere ì
faffit e majjìmamemefe e* fi metteva a cicalare
, perche chiacchierando per ven-
ti
, e dicendo le pie firane co/e del mondo, era Uno fpaffo ilfattojuo. Vero è,
che e1 non mò dir bene di per fona alcuna, per vìrtuofa o buona eh' ella fofié, a
per bontà che e1 vedejfe in lei di natura o di fortuna»
Fin qui il Vafari,
Segue poi a dire, eh'egli ebbe gran rivalità con Bartolòmmeo da Bagni-
cavallo, a concorrenza del quale, ma alquanto pèggio di lui-, fece una
Adria della Vica di Crido, cioè la Refurreziònè ; e verametàtlè nell'inven-
zione di quefta, quanto in ogni altra fuà opèftt, Campeggiò la flravaganza
del fuo cervello, avendo figurato i faldati impauriti, in paizzè e ftrahe at-
titudini . Ma quèlch' è peggio e molto reprehfibile ih chi dipigne fàcre
ftorie, fu l'aver figurato mólti di elfi diacciati e morti dalla pietra del Se
jtolcro, caduta loro àddoffo, lenza avere di Quella particolàr circodànza
altro rifeòntro, che'l proprio capriccio, '<4ft$M!e:Màe^rovÀ'rffcf6anchealla
Scultura, e per la Chiefa di San Petronio fece un Grido morto in braccio
di Kiccodemo. Giunto finalmente all' età di ieffant* anni diede volta ài
cervello, della quale infermità poi fi riebbe, fé pure non fu vero quello
che allora fi diffé, che quefta folle data una finta pazzia.
ìfì £' ìil y^>l'.                      > :"-''*V-;-'. ■■■?'.!•,."; l'iv.. ,,{•' ■ ìi:.:>.:. -,!            ; ,"•• : i'.            ; ;<. i'. .-•■
('*■..,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      ,                                                                                                                                              ,                                                                                                                                                                                                                                                                                         "                                                                        ,'<,'"'"
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CROCCHIA
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CROCCHIA
PITTORE URBINATE
Difiepo/o é Raffaello da Urbino,, fioriva circa il i$ié. ,
Infermano-gli artefìciìdello Seat© diUrbinc*,che queftodifcepolo
di Raffaello. nufciiFe buon maeftro : e che fia di fua mano il qua-
dro tornea intavolai» che & vede»nella Chiéfa de' Padri Cappuc-
cini* a mare mmic&aM'ennure?,.dover è ftgurac&Maria Vergine con
Gesè Basubinao hn.collo; ma noi* avendso noi veduto né quefta
riè altre opere di tal maelbzo, ne rimettiamo la fede a' periti di quel
luogo.
m
MARCO ANTONIO
FRANGIA BIGI
DETTO
IL FRANGI A BIGIO
PITTORE FIORENTINO
T>ifiepola dì JMaviotto Albertinelli, nato 1483, 0 *!*$•
Opo avere il Franciabigio ricevutii princìpi dell'arte dall' AI-
.; bertinelli,edefTeru* colle proprie*fatiche acquHtatobuon cre-
dito , furongli date a fare'alcune opere in pubblico, una del*
l le quali fa un San Bernardo e una Santa* Catenina» da Siena, a
fVefcoy nella Chiefa di San Pancrazio de* Monaci Vallombro-
fàrìi. Fece^poi a olio una Vergine, con Gesù» per la Chiefa
di San Pier Maggiore; e '1 tabernacolo di Sant* Job dietro a' Servi, dove a
freico figurò la Vifitazìone della Madonna, e alla medefima Compagnia
dipinfe la tavola dell' Aitar maggiore. Colorì ancora li due angeletti che
nella Chiefa di Santo Spirito full' Altare di San. Niccola, fi veggono da'
lati
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23 6 Decennale IL del Secolo IV» dal i$ io. al 1520.
lati dell'immagine dei Santo, che in que' tempi fu fatta di legno con mo-
dello di Jacopo Sanfovino. E anche dipinfe i due tondi, dov' è la Nun-
ziata» e le ftoriette della vita del Santo; nella predella della tavola delle
quali opere fu molto lodato^, perchè in effe, fìccome poi fece in alcune
altre, fi sforzò al poflìbìle di feguitar la manierad'Andrea del Sarto, con
cui tenne fua fìanza molto tempo. A concorrenza del medefimo, nel
cortile dinanzi alla Chiefa de'Servi, dipinfe la fioria dello Spofalizio di
Maria Vergine , con San Giufeppe.- ed occorfe, che avendo i Frati di
quel Convento j coli' occafione ài certa folennità, voluto fcoprirla fenza
faputa del Francia-bigio, al quale ancora reftavano a finire il bafamento e
altro» che a lui fofle paruto neceflario,* effo fé ne chiamò sì fattamente
difguftato, che fopraffatto da collera, iubito avutane la nuova, fé ne an-
dò al luogo della pittura, efalendo lui ponte, che ancora non era intera-
mente disfatto, benché fofle fcoperta l'opera, prefa una martellina, per-
coflè alcune tede di femmine e un* ignudo, che egli aveva figurato, in
atto di rompere una mazza, e quali interamente le {calcinò, e fé non che
da'Frati e da altra gente concorfa al rumore fu egli ritenuto, ]' avrebbe
disfatta tutta, né maipiìi, anche per doppio pagamento ftatogli offerto
da' Frati, volle raccomodarla. Onde non eflèndofi trovato né allora né
poi, alcuno eccellente pittore, che vi abbia voluto metter la mano, per
la reverenza, in che è fiata tempre tenuta quell'opera , elfa fi è rimala in
quel modo Iretfò, nel quale dal pittore fu iafciata. Per la Cappella de' Cor-
bizi in San Pier Maggiore, dipinfe poi la piccola tavola di Maria Vergine
Annunziata, che fino ad oggi vi fi conferva. Fu opera delle fue mani un
Cenacolo pe* Frati del Beato Gio. Colombino, detti della Calza (Reli-
gione (tata a' dì noftri IbppreiTa ) nel Refettorio di Ior Convento, pretto
alla Porta di San Pier Gattolini • e nel Cortile della Compagnia dello
Scalzo, dipinto da Andrea del Sarto, fono di fua mano gli ornamenti
di tutte le pitture, e due ftorie della Vita di San Giovambatifta, cioè
quando il Santo piglia licenza dal padre per andare al deferto: ed il me-
defimoSanto fanciullo, in atto d'incontrarfi con Gesù, Maria e San Giu-
feppe, le quali ftorie non aveva potuto fore Andrea, per effere (iato chia-
mato m Francia. Dipinfe nella Sala della Villa del Poggio a Cajano, a
concorrenza d'Andrea del Sarto e di Jacopo da Pontormo, una facciata
con iftorie de'fatti di Cicerone. Ad iftanza d'Andrea Pafquali, eccellen-
tiflìmo Medico Fiorentino, fece per Io Spedale di Santa Maria Nuova
una bella Anatomia. Operò ancora il Francia-bigio in figure piccole otti-
mamente : fece ritratti molto al vivo, e intefè molto di profpettiva.
Fu grande amico degli ftudj dell'arte; onde ne'tempi della ftate, non la-
fciò mai parlar giorno, che e' non difegnaffe uno ignudo dal naturale,
tenendo in fua ttanza uomini a tare/Tetto falariati. Non ebbe gran con-
cetto di fefteflb; anziché avendo vedute alcune opere di Raffaello, feppe
così ben contenerli, che non mai volle ufeir di Firenze, non parendogli
per verun conto di poter concorrere con uomini di sì rara virtù. Non
era però egli di così mediocre valore, quanto la fua modeftia il faceva pa-
rere »• e avrebbe fenza dubbio la nofira città, oltre alle tante opere da
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MARCO ANTONIO FRANCIABM. 23f
eflb condotte, ye<|&teiS^4|^^##^fiP^?^B^g%^)eP^? fe Pero
la morte , nel più bello del fùo operare, cioè hella tua età d' anni qua-
rantadue , non Tavelle tolto da, quellomondo # il che feguì appunto
r anno 1524.
: ..'■ !
«■*
G I O NICCOLA
pittor Perugino |.
Tìifcepalb diTietm Perupnè, fi crede farìffe W/1520.
Ece Gio, Niccola in San Francefco di Perugia Tua patria una ta-
vola di unCrilìo nell'Orto ; e in San Domenico la tavola di tutti
i Santi per 1» Cappella de' BaglìonL* e colorì a frefeo alcune ito-
ne di San Giovambaùfta nella Cappella del Cambio,
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DE PROFESSORI
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DA CIMABUE IN QUA
HI
DECENNALE III
D E L S E COLO IV.
D^LiWZJXX AL MDXXX.
GIULIO ROMANO
T^ifcepolo ed Erede di 'Raffaello da Urbino, nato 1492.^1546.
Univerfale opinione degl* intendenti dell' arte,
che Giulio Romano, tra* moltifiìmi difcepoli, che
ebbe il gran Raffaello da Urbino, folle il migliore.
Queft* artefice fu dotato dal cielo di una natura
gioviale e docile, a cagion della quale, effendo
dolciffìma la fua convenzione, e non ordinaria
r integrità de' fuoi cofìumi, fu dal maeftro fìngo-
larmente amato.- ed oltre a ciò, fé ne fervi il me-
de/imo in ajuto nelle più importanti e più rino-
mate opere fue; e fra quefìe nelle Logge Papali di
Leon X. dove fi dice, che dipigneffe di fua mano la dona della Creazione
di Adamo e degli Animali, l'Arca, il Sacrifizio ed altre. Fecegli anche
operare nella Camera di Torre Borgia, e in molte ftorie della Loggia de'
Chigi. Faceva eflb Raffaello V invenzioni e i difegni di diverfe architet-
ture,
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GIÙ LIO RÓM ANO.           z^
ture : e a Giulio poi gli faceva tirare e rimifurare In; grande; onde av-
venne, che egli diventò quel buon Pittore e Architetto, che è noto :
Dopo la morte óqI maeftro, finì, infieme con Gio, Francefco , detto il
Fattore, fuo condifcepolo, moke opere di lui, rimafe imperfette . Fece
il difegno del Palazzo e Vigna fotto Monte Mario, detto di Madama, pel
Cardinale Giulio de'Medici, poii Clemente VII. e fimilmente del Palazzo
fopra il Monte Janicolo per Baldaflàrre Turinì di Pefcia, nel quale an-
cora dipinfe di fua mano molte florie de'fatti di Numa Pompilio, che fi
trova forfè già in tal luogo fepolto : e fece anche il difegno di molte al-
tre fabbriéhe della citta di Roma, Dipoi, per opera del C Baldaflàrre
Caftiglione, che molto l'amava, fu mandato a*fervigj del Marchete di
Mantova fuo Signore, pel quale fece di opera ruftica il modello del Pa-
lazzo del Te, e vi dipinfe di fua mano florie di Pfiehe e de* Giganti t
Rifece più fìanze del Ducale Palazzo, e vi aggiunfe varj abbellimenti.
Coll'ajutodi Rinaldo Mantovano fuodifcepolo, vi dipinfe la guerra Tro-
iana : fece il modello della Villa di Marniirolo: e per le cafe de' partico-
lari e chiefe della città, condurle molte pitture: e in fomma l'abbellì tan-
to di fabbriche, fatte con fuo difegno, e di altre opere di fua mano, e
con fua induftria feppela così bene difendere ed affieurare dalla inondazio-
ne del Pò, che in quef tempi molto la travagliava, che dal Duca fu or-
dinato, che niuno de\cittadmi poterle in effa fabbricare fenza il difegno
diluì. Edificò per fé medefimo, nella fterìa città, una bella cafai rincon-
tro alla Chiefa di San Barnaba, dove effendo fatto ricco, abitò fino alla
morte. Veggionfi di mano di quelP artefice difegni infiniti, perchè oltre
a molti, che gli occorfero fare per P opere, gli bifognò tuttavia difegnare
invenzioni di fabbriche, e pitture da farli in divedi luoghi, oltre alle
molte, che egli condufle, le quali in,Italia e in Francia furono ftampate
in rame. Dilettoli! oltremodo dell'antiche medaglie, di cui fece una nu-
merofa, e molto preziofa raccolta. Occorfe finalmente, che eflTendo mor*
to in Roma Antonio da San Gallo, Architetto celebratiflìmo, che afli-
fleva alla fabbrica di San Pietro, fu richiedo Giulio di volergli fuecede»
re in tal carica; ai che fare, egli incontrò infinite diffieultà, e da coloro,
che in Mantova governavano, e dagli amici e da' congiunti. Or mentre
egli le andava induftriofamente fuperando, già rifoluto di rimpatriare, e
godere dell'onore offertoli, fopraggiunto da grìxe infermità, mll' età fua
di anni cinquantanove, diede fine a quella vita mortale, e nella nomina-
ta Chiefa di San Bernaba fu onoratamente fepolto .
GIO.
s
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24Ps DecennakllL del Secolo \V\ dal \ 520. al 153 o.
GIO FRANCESCO PENNI
detto I L F AT T ORE
*t>U | t.-^iIsf*»#fi%.ti J:M <>--■ / - •■* ,-■ *\-.- ***/»■, <#w ! ,- -y ri >?>..■,■.-'.{ .■■<                             m -..-,■ '.fU>i* 5 - ...                                                ■■ ■ ■
PITTÓRE FIORENTINO             ?
nbiftWi)Ìà ed Erede di Raffaello da Urbino.            -
ih %y nmoml\^>%. 4# 1528.
Occò in forte a quefto Artefice di efler meflb, fin da pic-
colo fanciullo, nella feuola del gran Raffaello, come noi
un'amo di dire, per fattorino; onde fino da quella età fu
chiamato il Fattóre, cognome, che poi ritenne per tutto
il tempo di (uà Vita. E perchè fu giovane di buona natura,
meritò, che 'Raffaello, in vita,fé lo téneffe come figliuolo,
ed in morte, lo lafciaffe^ infieme con Giulio Romano, altro fuo amato
difcepolo, erède delle fué facilità. Fu gran difegnàtore, e tanto ne' dU
fegni, i quali ufavà di terminare con gran diligenza, quanto nell'opere,
imitò affai la maniera del maeftro-, al quale, con altri fuoi condifcepoli,
ajutò, nelle logge rie' Leoni, e a' cartoni per gli Arazzi della Cappella
del Papa e del ConciCtofo. Operò bène di paefi e di profpettive, e fu il fuo
colorire tanto a frefcòvche a: tempera e a olio, molto lodevole. Dipinfe
a monte Giordano in Roma una facciata a chiarofcuro ; e in Santa Maria
dell' Ànima un Sari Criftofano'alto otto braccia, con un romito dentro
una caverna. Ajutò ancora al maeiìro nella Loggia de'Ghifi in Trafte-
vère, ed in molte tavole e quadri: e dopo la di lui morte, infieme con
Giulio Romano, finì moke delle fue opere, che rimafero imperfette, e
particolarmente quelle della Vigna.del Papa e della Sala grande di Palazzo.
Venùtofene poi a Firenze, fece per Lodovico Capponi, fui canto di una
fila villa, detta Mont'Ughi, fopraV erra canina, lontano un miglio dalla
città, fuori della Porta a San Gallo, un tabernacolo, che ancora oggi fi
conferva, dove figurò Maria Vergine con Gesù. Andatotene a Napoli
vi fi trattenne qualche tempo, appreffo a Tommafo Cambi Fiorentino,
che molto lo favorì, e vi fece opere affai, e guadagnò gran danari,- ma
come quello, che molto fi dilettava di giuoco, mandando fempre ad un
medefìmo paffo le perdite di quello, co'guadagni del fuo meftiero, giun-
to all'età di quarantanni, e fopraggiunto dalla morte, ebbe poco che
penfare a provvederu* di erede,
JACOMONE
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f
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... 241
J A CO M O N E
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DA FAENZA PITTORE
» «                                            '■                           , ■                                                                         ?                                *■■■. , * f -, ■■■;,                            ■•*■' ,v 6 f *
Diftepolo di Raffaello da Urbino, fioriva circa al 1530........
EL tempo, che Raffaello Sanzio da Urbino, coli'opere
maravigliofe del fuo pennello, fpargeva in Roma e per
tutto il mondo fama di fé, come di artefice rariflìmo,
o per dir meglio, unico nell'arte della pittura, venivan
da tutte le partì richiede fue pitture ; e quelli, a'quali
non toccava in Torte di ottenere originali di fua mano,
fi affaticavano per averne le copie, delle quali oggi molte
fi veggiono in ogni luogo; onde era neceflario, che alcuni giovani della
fua fcuola, mentre ftudiavano dalle pitture di lui, in un tempo fieno fo-
disfaceffero a coloro, che tali opere addimandavano. Uno di quelli fu
Jacomcne della città di Faenza , il quale , mentre vifle Raffaello, molte
ne fece, e forfè anche dopo, e con tale ftudio talmente fi approfittò, che
potè elìer di non poco giovamento nell'arte a Taddeo Zuccheri, il qua-
le, dopo che (tracco dalle noje e dagli ftrapazzi, ricevuti da giovanetto
nella cafa di Gio. Piero Cabrefe, fiato ih Roma fuo primo maeftro, con
effò Giacomone fi accomodò. Moke ancora furono le opere inventate da
Giacomone, e particolarmente in Faenza, dove alcune fé ne veggono
fino dell'anno 1570. ed io le porterò in quefto luogo, fecondo la notizia
avutane dal Conte Fabrizio Laderchi di quella città, Cavaliere di religioiì
coftumi, efperto nelle buone arci, e dotato di tutte quelle rare qualità,
che pofion defiderarfi in un fuo pari: il quale, mentre io ferivo, dopoal-
cuni anni di fervizio di Gentiluomo della Camera della gloriofa memoria
del Sereniffimo Cardinal Leopoldo di Tofcana, che molto amava la fua
virtù, è nella ilefla carica parlato a fervire il Sereniffimo Principe Fran-
cesco . Nella Chiefa dunque de' Padri Domenicani tono di fua mano la
Vergine Annunziata, due Profeti, ed alcune florie del Teftamento Vec-
chio: e nel Refettorio de'medefimi eran dipinti moki Santi di quell'Or-
dine, i quali, a cagione dell'umidità di quel luogo, fono andati male.
Nella Chiefa di San Giovanni Evangelifta de' Padri Agofliniani, dentro
al Coro, è dipìnto lo fletto Santo: e all'Aitar maggiore una Santa Maria
Maddalena, che dagli Angeli è portata in Cielo; e vi è San Girolamo e'1
Beato Giovanni Colombino. All' Aitar maggiore della Chiefa del Paradtfo
una Madonna , con Gesù, San Giovambatifta e San Francefco .• e in San
Pietro Celerino, pure all'Aitar maggiore, è di fua mano un San Giovam-
banda, che mofira il Cielo ad un Monaco, che gli ila vicino inginocchio-
ni, con San Giovanni Evangelifta, San Matteo, San Pietro Celerino,
e San Benedetto, Nella Chiefa di San Giovanni è la Creazione di Ada-
mo ed Eva , e la cacciata loro dal Paradifo Terreftre ; in Santa Chiara
Q_                                    una
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% 4 % Dece finale III del Secolo 1K dal 1520. al 1530.
una Madonna col Bambmo Gesù, San Gregorio, ed un altro Santo-
nella C«?nfratqrnita di Santo Rocco la Deposizione di Crifto dalla Croce:"
in quella della Madonna degli Angeli la Vergine Alluma; e nella Confra-
ternita della Nunziata , ali' Aitar maggiore, una Madonna con Gesù Bara-
bino, con appretto due Santi,
PRETE DA URBINO
Di/cepola di Raffaeli® da Urbino, fioriva nel 1.520.
RÀ imoltiflìniifuggetti, che d'ogni flato e d'pgni condizione
1 goderono la umartitlìma cortefia del gran Raffaello da Urbino,
negl'infegnamenti dell*arte della pittura, uno fu un cerco
Prete da Urbino, che anche fu fuo parente, ed uno delli
tre, fra*quali Raffaello venuto a morte, diftnbuìlecofefue.
Tali furono effo Prete, Giulio Romano, e Giovanfrincefco*
detto il Fattore, tutti fuoi difcepoli. Fiori anche in quelli tempi un al*
tro difcepolo di Raffaello, detto il PISTGJA, delle opere del quale non
fi e potuto aver notizia,
J ERO N IMO BOS
LODOVICO JANS
E J A COMO RAZZET;
Fiorivano f/e/1520.
Ssendo certa cofa, che ogni buon pittore, neir operar
fuo, cerchi al poilibile di farfi imitatore della natura
e del vero, è degno di ammirazione il vederli contut-
tociò fra molti artefici maniere tra di loro tanto'diver-
fe, e che col folo feguitar che e* fanno i dettami del
proprio ingegno, fi faccia ciafcheduno miglior maeftro
nei proprio modo, dì quello farebbe talvolta riulcito,
s'egli aveffe feguitato la maniera altrui. Quefto fi vi-
de particolarmente in Jeronimo Bos , il quale fiorì in Fiandra nella città
di Shertoghen Bofch, che in Latino vale Stiva 'Ducum, ne' primi tempi,
che
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JERO NIMO B OS.           HI
che que' maeftri vi cominciarono a dìpignere alquanto lodevolmente; fé
non che U fuo panneggiare fu più franco di <jueii&> £he per ognuno al-
lora in quelle parti fi coftumava, che era fecco © di pieghi tùóìio fpeffe .chiamate
e replicate. Fu anche piùfpedito nei maneggiare il pennello, facendo le S«JSS!
fue pitture, quali alla prima , fopra tavole ingeriate: e usò, avanti di "«««pie-
comineiare a dìpignere effe tarole ? dar loro fopra un colore di carne, |aìchj"e
fopra il quale diftendeva i colori. Fu anche diverfiflimo da ogni altro
geritosi tempii e Valente affai iteli' inventar capricci ài cofe eftrema-
mente terribili 1 ipàveritofe, come larve* (piriti, tfrégherie, maleficj, ed
altre rapprefentazioni infernali e diaboliche, benché attendere ancora ad
ogni altra fbrtad* invenzione. In Amfterdam èra ditrhhò di queft' uomo
l'anno 1604. una Vergine, che va in Egitto, dove fi vedeva San Giufcp-
pe, in atto umile, domandar della ftrada ad un Contadino, e Maria Ver-
gine graziofamente fedente fopra un giumento : in lontananza era una
rupe, in cui egli aveva rapprefentato, intorno ad un*ofteria* molte biz-
zarre figure, che facevano ballare un' orfoyàcìèorripagnàte da altre belle
curiofità . Era pure in Atìa&erdàm un' altre tavola dei Limbo de* Santi
Padri, liberati dal Signore: e poco dittante fi vedeva la perfona di Giuda
ftrafcinàtà per una corda, appiccatagli ftrettamente al collo da maligni fpì-
riti, ovvero figurata pel càpeftro, con cui Ci diede là morte ; ed era cofa
curiofa il vedere la bizzarria e varietà di que' moM infernali, e quanto
naturale pareva il fumo e la veduta dell' ofcure èaree*r£de'dannati, che
in pòca didanza da quel luogo appariva. Vedévafi pure in quella città
di fua mano un Grillo portante la Groce, nella quale egli aveva ufata più
moderiia, aftenendofi dalle molte baje, che era Volitò nelle fue ftorie rap-
prefentare » fonerò qualunque fi voleifero , In Haerlèitì, in cafa Giovanni
Dietringereni erano alcuni Santi in certi fporteMi, e ih tino era un Santo
Monaco, che difputava con un Eretico » facendo porre fopra il fuoco al-
cuni libri dell' una e dell'altra religione .- e fi vedeva il libro del Santo
volar fuori delle fiamme, e gli altri bruciarli. Facevano anche bella vedu-
ta le legne* e alcuni libri inceneriti, il tutto imitate mafavigliofamente .
Il volto del Santo appariva grave e modefto; laddove gli altri erano arci-
gni e fcompofti. Nell'altro sportelloera uri miracolo, dove fi vedeva un
Re caduto in terra. Nella nominata città di Shertoghen, èrano ancora
fue opere, come in altre città di quelle parti : e fino nell'Efcuriale di Spa-
gna furono collocate fue pitture, e tenute in gran prezzo. Qucfto è
quanto fi ha di notizia di Jeronimo Bos.
Nella (ìefia città di Shertoghen , fu ancora un certo LODOVICO
JANS VANDENBUS, che era molto valente in far frutte e fiori, che
fingeva in alcune caraffe di vetro, con molta pazienza e imitazione del
vero, facendo apparire fopra i fiori la rugiada, e quegli animaletti, che
fon (oliti volarvi fopra. Valfe ancora nelle figure; e di fua mano fi vede-
va in cafa di Melchior Wyntgis a Midelburgh un belliflìmo San Girolamo,
quattro tondi grandi, alcuni fuochi incendiari, frutti, fiori e altri pezzetti
di quadri affai belli »,
                                                                           ?
Q.2                                    Vi fu
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244 Decennale HL del Secolo IV. dal 1520. al 1530.
-;* Vi fu ancora un certo JACOMO RAZZET, di mano del quale era-
no alcuni vetri beniffimo dipinti. Di quefti nuir altra notizia fi ha, fé non
che e' fu paefano de' foprannominati due Pittori.
<., t /■*-■ .n>i,'i ., ; '.. ,''■..,- ! : .-,:■ ■■..'.;•;.;■ ;'.. ' Ci ì 1-'?•'■'»; ì i.- i .'" * :' : : • ■ '- ' .'■!. ,•'■ !'?.' - »
frtff—*ww»n ni 11 ftmrY———■■ 11                 ' *«»■——»»—i                                    ,                    nM ^•■■MfiwpwyafBaH^'fif'wir'--™'M""WBwiw" i' '' —■«■»*»..
BALDASSARRE PERUZZI
;                      ORIGINARIO DI FIRENZE
PITTO-R E EARCHITE T T O
Difcepolo di Rafael/o da Urbino, nato in Volterra
Vanno
14.81. •# 1536.
I quefto fingolarifiìmo Artefice, onore della città di Siena,
e anche polliamo dire di Volterra e di Firenze , fcrifle
tanto il Vaiati con sì buone e ficure notizie, che a noi
poc* altro rimati da notare, fé non quanto è neceffario per
l'affluito noftro, che è di foddisfare all' univerfatità del-
l'iftoria, col dare anche di coloro, de'quali fu da altri fcrit-
to, una fomraaria informazione. Ev dunque da faperfi,
come in quegli antichi tempi, ne'quali la nota città era molto travaglia-
ta dalle civili difcordie, un nobile cittadino di effa, chiamato Antonio
Peruzzi, defiderofo di quiete, fi portò alla città di Volterra, dove fermò
fua ftanza , e Tatlno 1480. li accasò. Di fuo matrimonio nacque un fi-
gliuolo, che fi chiamò BaldafTarre, quegli, di cui ora parliamo, e di una
figliuola, il cui nome fu Vergtnia. Occorfe poi il caio del Sacco di quella
città, a cagion del quale, almifero Antuniofu d'uopo, dopo aver perduto
tutto il fuo avere, partirli* ed a Siena, con fua famiglia rifuggircene, e
quivi iua vita menare in gran penuria. Ma perchè, veriflìrna cofa è , che
bene fpeflb più giovano per una buona e virtuofa educazione de' piccoli
figliuoli, e per ifvegliare in eflì il desiderio delle virtù, le domeftiche fco-
modità, o vogliamo dire una certa tal quale neceftltà di quello, che gli
agi e la foverchia abbondanza non è lolita di fare ; Baldallàrre il fan-
ciullo, che dotato era da natura di un bel genio a cofe di difegno, per
desiderio di follevar fé fteffo e la cafa, diedefi prima alla pratica di perfone
dell'arte, e poi con tanto fervore agli ftudj della medelima, che poi potè
fare gli altri progreflì, che fon paioli al mondo. Delle prime opere, che
coftui condurle in pittura, oltre ad alcune cofe in Siena, fu una Cappel-
letti, non lungi dalla Porta Fiorentina, nella nominata città di Volterra .
Dipoi fé ne andò a Roma, e fatta amicizia con Piero Volterrano, che
operava colà per Akflandro VI. Sommo pontefice , fi acconciò appredo
»                                                di lui,
&
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'BALDASSARRE P E RUZZI. 245
di lui: poi flette con un* ordinario pittore, che fu padre di Maturino*, la-
vorando per eflo ; e finalmente avendo dato faggio di sé, cominciò ad eflervi
adoperato. Dipinfe in Sant' Onofrio, e in Santo Rocco a Ripa : poi fu
condotto ad Qftia, dove in compagnia di Cefare da Milano, dipinfe nel
Maftio della Rocea, a chiarofcuro, ftorie militari de' Romani antichi.
Tornato a Roma, e incontratoli nel favore e procezionedi Agoftino Ghi-
gi, potè , con fuoi ajuti di colla, trattenerli in Roma a maggiori fludj
dell'arte fua, e particolarmente dì cofe di archicectura, per le quali non
gli fu di poco giovamento la concorrenza di Bramante, che in que' tempi
faceva gran figura. Molto ancora fi applicò alla profpettiva ; onde dipinfe
poi le belle cofe, che fi veggono di fua mano in Roma, toccanti cale fa-
colta .• ed inventò le nobili profpettive per le commedie, che fi fecero ne'
tempi di Papa Leone, le quali, per fuggir lunghezza , e perchè da altri
furono raccontate, tralafcio. Avendo egli dipinta la facciata della cafa di
MelTer'Ulille da Fano, con iftorie di Ulifle; cominciò ad entrare in credi-
to d' uomo Angolare nella pittura ; né minor gloria gli procacciò il bel
modello, che egli fece di fua invenzione del Palazzo di Agoftino Ghigi »
il quale egli medefimo dipoi adornò al di fuori con iftorie di terretta; fic-
come vi dipinfe le profpettive della Sala, e V iftorie di Medufa nella log-
gia in fui giardino: dove alcune cofe condufle ancora Fra Baftiano del
Piombo, delia fua prima maniera; e dove fece anche il gran Raffaello da
Urbino la Galatea rapita da i Marini. E' di fua mano la facciata, dipinta a
profpettive, della cafa che fu di Jacopo Strozzi, per andare in Piazza Giudea.
Dipinfe per Ferrando Ponzetti o Puccetti, poi Cardinale, la Cappella nel-
la Pace, con piccole iftorie del Vecchio Testamento, ed alcune figure
grandi : e per la medefima Chiefa condune la belliflima ftoria di Maria
Vergine noftra Signora, che fale al Tempio, e tennefi alla maniera di
Giulio Romano e di Raffaello .Coiroccafione,chefu dato il battone di Santa
Chiefa al Duca Giuliano de'Medici, dovendoli dal Popolo Romano fare
il folenne apparato, fu a Baldaflàrre data incumbenzadi fare uno de* fei
gran quadri, alto fette canne, e largo tre e mezzo, in cui rapprefentò
quando Giulia Tarpea fece il tradimento a'Romani ; e fece la profpetti-
va per la tanto celebre commedia, che allora fu recitata: ed anche infi-
nite altre architetture e prolpettive, le quali tutte cofe furono ftimate le
migliori, che fi fofiero vedute in quelle fede . Per Francefco Bozzio, vi-
cino alle cafe degli Altieri, dipinfe la facciata con iftorie di Celare, nel
fregio della quale ritratte al vivo tutti i Cardinali allora viventi, e li dodici
primi Imperadori, Chiamato a Bologna a fare il modello della facciata di
S. Petronio, fu ricevuto nella cafa del Conte Giovambatifta Bentivogli, nella
quale fece modelli, piante e profili belliflìmi per quella fabbrica, operan-
do ad oggetto di non rovinare il vecchio, ma di adattarlo con bella gra-
zia alle fue nuove invenzioni. Mentre che egli fi trattenne in quella cafa,
fece pel detto Conte Gio.Batifta un maravigliofodifegno a chiarofcuro delia
Natività di Crifto, e vifita de' Magi, che poi fu da quel Signore fatto met-
tere in opera in pittura da Girolamo Trevigi ; e oggi fi conferva V ifteflb
difegno, come cola rariffima, in Firenze dagli eredi del Conce Profpero
Q^j                             Bentivo-
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z$6 Decennale III del SecoloIV. dal 1510. al 153 o.
Ben ciy agli, fra l'altre cofe di gran pregio, che pòfiiede quella nobiliifima
caia in (ìmil genere, come quella che faTempre araatrice di quefte belle
arti, ficcome di ogni altra virtù. Fece fimilmente Baldaftàr Peruzzi, per la
Ch efidi San Michele in Bofco, il difegno della Porta : e quello del Duo-
mo di Carpi, nella qual città diede principio all'edificazione della Chiefa
di San Niccola: e furono ancora con fuo difegno fatte le fortificazioni
della citta di Siena. In Roma molte bellifilme fabbriche furono fatte con
fuo modello, e molte ancora coli'a (lì (lenza di lui ebbero loro fine, che
da altri erano (late incominciate. Parve che al pari di fua virtù fofle que-
fto artefice accompagnato dalla difgrazia ; imperciocché piccioli furono
per lui gl'infortunj, che detti abbiamo, a paragone di quei tanti, che gli
convenne foftenere dipoi nel rimanente di fua vita. Trovavafì egli tuttavia
in Roma Tanno 1527. quando occorfe il fiero cafo del crudele faccheggia-
mento \ onde al povero BaldafTarre, oltre alla prigionia in mano degli Spa-
gnuoli, toccò a foftenere, per opera de' medeiìmi, grand'ingiurie e ftrapaz-
zi. Avendolo poi quegli riconofeiuto per pittore e per uomo Angolare*
gli bifognò per guiderdone de i pefllmi trattamenti, far loro il ritratto di
Borbone fteflo , fiato loro condottiere, che poc'anzi a cofto della propria
vita, fcarfa ricompenfa della di lui crudele malvagità, aveva fatto tanti
danni, e pollo in tante lagrime quella fempre gloriola città. Fatto eh' egli
ebbe il ritratto di Borbone, prefe la ftrada per ritorno a Siena, dove, a
cagione di nuova invafione, patita in quel viaggio da' malandrini, o dagli
fparfi foldati, giunfe finalmente fcalzo e ignudo; ma perchè egli portava
con feco le fieno, e confeguentemente il gran nome acquiftatofi in Roma r
e la propria virtù, non gli mancò chi fi teneiTe a grand' onore di rimetter-
lo bene in arnefe, e provvederlo decentemente in tanta fua calamità.
Poi vi fu provvifìonato dal pubblico\ ma fermati che furono i rumori, e
purgati i fofpetti, egli fé ne tornò a Roma, dove più che mai diedefi agii
fludj di architettura e delle matematiche; e cominciò a fcrivere un libro
delle antichità di Roma, ed un Comento di Vitruvio, facendo luogo per
luogo difègni e figuie per efprefììone de'concetti di quell'Autore, in quel-
ito temp'o fece il difegno per un Palazzo de'Mafiìmi, da fabbricarli in for-
ma ovale, con un veftibolo di colonne doriche nella facciata dinanzi.
Venuto finalmente V anno 1536'. e del noftro artefice il cinquantefimo-.
quinto, trovandoli egli aggravato dalle molte fatiche, fopraggiunto da gra-
vilume infermità, fece da quell'ali' altra vita paflaggio, e nella Chiefa delia
Rotonda, accompagnato il fuo corpo da tutti 1 profeiTori, fu fepolto predo
al luogo, ove, già al cadavere del gran Raffaello era fiata data fepoltura.
La morte di quello'uomofìngolarefu di eftremo dolore agl'intendenti, e di
duino ineftimabile alla città di Roma , a cagione delle grandi opere , par-
ticolarmente d'architettura, pubbliche e private, che doveano aver da lui
incominciamento e fine: e molto ne patì la Bafilica di San Pietro, per la
cui terminazione egli era fiato deftinato da Paolo III. in compagnia d An-
to io da San Gallo. Fu BaldafTarre Peruzzi gran difegnatore, inventore
maravigliolo, e molto imitatore della maniera di Raffaello. Veggonii ì
fuoidifegni, tocchi d'acquerelli a chiarofeuro, Con numero grandifiìmo di
figure,
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BALDASSARRE PERUZZI. 247
figure, e abbigliamenti nobili, nella raccolta della gloriofa memoria del
Serenilfimo Cardinal Leopoldo di Tofcana. Molti furono i difcepoli di
Baldaflarri nella pittura e architettura, e fra quefti un tal Francefco Se-
nefe, Virgilio Romano, Antonio del Rozzo, il Riccio, l'uno e l'altro
Senefi, e Giovambatìfta Peloro architettò. Ricevette anche da Baldaffarre
buoni precettici architettura, un certo Tomraafo Pomarelli, cittadino
idi Siena, il quale talvolta operò in compagnia di lui : e dicefi, che al tem*
pò di Pandolfo Pctrucci, penfando i Senefi di fare un foftò, che doveva
giugnere fino al mare, edi portici della Piazza, ne fuffero con mvenzio*
ne del Petrueci delineate le piante dallo ftefTo Pomarelli: ficcome quelle
ancora del primo e fecondo ricinto della mede/ima città. Ancora fu (co-
lare del Peruzzi, Girolamo, detto Momo da Siena, che operò òqiiq in pie
tura, del quale fi videro molte cote in Roma, e particolarmente la Cap-
pella della Trasfigurazione in Araceli, e un quadro (òpra la porta delia
Sagrestia in folla maniera di Raffaello; ed aveva anche dipinto dietro al-
l'Aitar maggiore nella Chiefa di San Gregorio: ed è certo, che fé a quefto
artefice non avefle Ja morte troppo pretto troncato il filo della vita , egli
farebbe pervenuto in quel!' arte a gran legno. Cecco Sanefe fu pure di-
fcepolo del Peruzzi, e fece in Roma l'Arme del Cardinale di Trani in
Piazza Navona, ed altre opere,
ni^pHBW)a^BWiBa^a^^B.l^B_MV-----------I '      I — -:......, T -- ......__      ......._______--„—___—
ARTEFICI
CHE FIORIRONO IN QUESTO TEMPO
NELLA CITTA DI GENOVA
E NEL SUO STATO.
AZZARO CALVI, figliuolo di Agoftino, nella fcuola di
Perino dei Vaga attefe alla pittura, ed in quell'arte fu fotto
la protezione di Agoftino Doria affai adoperato. Pel mede- -s
fimo dipinfe le facciate del fuo Palazzo, con iftorie di fatti
d' uomini di quella nobiiiflìma cafa . Fu anche fua piteura
una facciata di una cafa vicino alla Piazza Pinelli, con ifto-
rie di UlhTe, quando, per non reftare ingannato dal canto delle Sirene,
fecefi legare all'albero della nave. Al Duc3 Grimaldi cqlorì due Salotti
nel fuo Palazzo, rimpetto alla Chiefa di San Francefco, con fayole di Fe-
tonte e d'Apollo. Altre iftorie dipinfe nel Palazzo di Franco Lellaro:,
é molte opere fece in quello de'Bandjnelli Sauli. Fu chiamato a Monaco,
ove nell'anno 1544. molto operò in ferviziodi queiPrincipe; enei 1547,
Q 4                                portatoli
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248 Decennale III. del Secolo IV. dal 1520. al 1530.
portatoli a Napoli a'fervigj di quel Re, ne riportò V onore della facoltà
di potere aggiugnere all'armi di fua cafa la tefta di Moro bendato* infegna
propria di quella Maeftà. Giunfe coftui fino allVeftrema vecchiezza, e in
età di ottantacinque anni, ancora coloriva a frefco e a olio, in modo non
difprezzabile; benché egli, a cagione di difgufti avuti, per eflTere flato il
fuo pennello, dal Principe Dqria luo gran protettore, pofpofto a quello
del Èergamafco e di Luca Cambiofo, negli ornamenti che difegnavanfi di
fare nella Chiefa di San Marco, come uomo invidiofo ch'egli era molto,
pel corfo di ben venti anni, fi fofle aftenuto dai dipignere, e in quella
vece avefTe attefo all'arte nautica, alla quale, aggiunta ad un genio mar-
ziale e fiero, aveva avuta da natura non ordinaria inclinazione.
PANTASILEO CALVI, fratello del fuddetto Lazzaro, fu anch'egli
pittore, dettegli non pochi ajuti in tutce le opere fue pel tempo eh V
vùTe» onde col fuo morire lafciollo in guai, e ciò feguì appunto in tempo,
che Lazzaro eftendo già divenuto molto vecchio, aveva più che mai di
bifogno della di lui affìftenza; ne altro lappiamo di quello artefice.
*—^*——— ————mmtm———— ——————■"— ——--------——1——1-------------------r i..........i._.r... .. i i ---------------———
JAN CORNELISZ
VERMEYN DE BEVERWYCK
PITTORE
Tìifcepolo di Cornelis, nato 1500. 4fc 1559.
Acque quello artefice in Beverwyck, non molto lontano
da Haerlem, Tanno 1500. Il nome del padre fuo fu Cor-,
nelis : appreifodi lui imparò i principi dell' arte,e lì fece
così valente, che fu pollo a'fervigj dello'mperarìor Car-
lo V. il quale lèmpre lo volle appreffò di fé in tutti i
fuoi viaggi. Conduflèlo a Tunis in Barberia, dove, per
efler'egli buon Geometra ed Architetto, efapere anche
ben levare di pianta, fi valfe di lui nelle cole campali,
facendogli, neli' occafione di pone afledj, mifurare i ter-
reni, e rapprefèntare in pittura tutte le proprie azioni di guerra, e fra quelle
l'affedio e*1 lieo della citta di Tunis, delle quahinvenzioni poi lì fervi quella
Maeftà per far vaghe e ricche tappezzerie. Si videro belle opere di coftui in
Atrecht in Fiandra nella Badìa di San Vaes; in Brufelks erano ancora alcuni
bei quadri e ritratti al naturale, oltre a quelli che erano nella Chiefa di Santa
Gudula,
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JAK CORNEIWZ,         2t&
Gudula, (lati poi o guafti o portati via .Coftui fece fare il proprio fepol-
cro nella Chiefa di San Goricks, pqreiriBrufelies, e nella più alta parte
era un Dio Padre. Quefto fa poi trafportato jn Fraga appreffo Han s Wer-
mein Aio fratello, che fu gran valent'uomp nellfarte dell'orefice, ed ec-
cellente modellatore, di cui lo flcffo Carlo V. fi ferviva e avevalo in gran-
de {Urna. Nella fteflà Chiefa era una Natività del Signore, e un Crifto
ignudo in piedi, con una mano fui petto, opere aliai lodate. Il ritratto;
di quello artefice, fatto da lui medefimo, fi trovava l'anno 1604. a Mirici-
borgh in Zeelandt, appreflb Maria fua figliuola» vedova dì Piéter Cappoeni*
in noftra lingua Pietro de'Capponi, ^ottimamente lavorato. Nel raedefiii
mo quadro del ritratto , dalla parte di dietro, era una lontananza con uni'
veduta della città di Tunis, fatta dal naturale, colle guardie de' foldati,
ed eflb a federe, in atto di dipignére : appreflb a lui era una donna graffa
ignuda > con un taglio in un braccio .Vi era ancora il ritratto di Maria, fua
feconda moglie, affai ben fatto. Quella donna aveva per ciafeheduna ma-
no fei dita; ma o forfè fubito nata, o dipoi, le erano ftate levate le due dita
minori ^ e beniflimo fi feorgeva nella pittura il luògo della congiunzione di
effe dita tagliate. La medefiuia Maria fu dipinta al naturale dal padre in
(uà gioventù in abito Turchefco, perchè godeva di vederla ideile volte/in
quel modo veftiea; e con tal vefte la conduceva ogni anno alla folita prò*
ceflione della principal fetta di Bruielles, chiamata Emgangh. Era ancora
appreflb efla Vedova, fatto dal naturale, un ritratto di un bambino, che
aveva bellifiìmi capelli: e un trionfò di mare, fatto da fuo padre, con
molte figure ignude affai belle. Fu quello Giovanni Cornelisz ftrectiflìmo
amico e compagno di Giovanni Schoorel : e l'uno ci1 altro comprarono
gran beni nella Noortolandia. L'Imperadore fpeffe volte fi pigliava gufto-
di far veder coftui ad alcune Dame e Signori, perchè era di grandiiUma
datura e beniflimo comporto, ed aveva una barba sì lunga» che ftando
ritto, poteva peftarla coi piede: ed era cola guftofa il vedere alcune volte,
quando e' viaggiava a cavallo appreffo a Principi e Cavalieri, che il vento
gliele follevava e batteva loro nel vifo. Tenevane Giovanni gran conto,
e ogni mattina impiegava alcun tempo in pettinarla, e a cagione di quella,
era chiamato Ansdelia barba. Morì queft' artefice in Brufeiles l'anno 1559,
della fua età cinquantanove ofeffantai e nella Chiefa-tli SanGoricks, fu
iepolto. 11 ritratto di lui, intagliato da Tommafo Galle, fra'iritratti de-»*
gli altri celebri pittori Fiamminghi, fu dato alle flampe poco avanti al 1ÓQ0.
co'feguenti redi, compoiti da Domenico Lamfonio : .» _
i , ' '.', ■■ . " ■■ : ■'' :r'.':                                  . , ;:::;, ;r/-.':;,' :-'-; ■,■:: ■;. «'di ;s t.. . : ,t i
•. : ■: ; .■ .              ; -" ..                -; . ; , . ; : ■ fi*. ■-.. &.0&1. nai^ non
Quos borni nes, qua non majus loca pfaxiti.fr ttrbcs%
Vifendum Ime qui e quid & Orbishabeti                  h
Dum terra fequi tur quemari te Carole Càfer,
'Fingeret ut dextr& fonia fafla f#*t ; t*
Q$* mox Attalicis fulgerent aurea textis*
\Materiem artifici fid fuperante manti
Hec mh
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ijcr Decennale ÌÌL del Secolo 1K dati 52 o. al\$^ o.
^                 Nec viinus ili e fua\ fpeMacuU prtbuitàne f'\ '
nmj fcht              Cetjo eonfpkuus vertice grata tibi^^ LÌ:
■*%0i            Jujfus prolixa de te èia voluminaifarbéS . .i>k f e
Oflentare fiso $ pendala è$ affitte fidci^
** f ? s> .J f; 5 ■: .                  ;.-j4 K .'„]■ ì-ì > - j- , -ti ;f ■ . tv «* *, ■/.** * t *.M I ^/-JB :■■'■■.* : / lo >P ;. * ".?&,.* -.* ;^ ■" - ■" * ■ ì h,? ' ■: %- .«*
a                               -                                                                                                                                                **> ì* -. -! * >i" ■ * i ■ y                                             . ,. ■.                                                                            , .
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JO A N DI MA BUS E
:;::„:■.: j ^...Vf f"4'<T-T::$.-r.e ■■..'. 'ih'..Hr ht:
Difiepolo di Luca• d\0lmfa, fioriva nel T524.
U Giovanni della città di* Màbùfé; ed effend'ò flato ricevuto:
nella ibuola da Luca di libìda , ^diedefi appreso di lui a ftu-
diar l'arte del difegnò, con ^cttìFatezzà e diligenza, quanta
mai ie ne adoprafle alcun altro giovane in quefto tempo;
. Quefti, nella fua gioventù fu perfona allegra, ma contucto-
ciò non lalciò mai di affaticarti, per avanzarli neir arte » per
giugner poi là, dove tendevano i fuoi penfieri. A tal fine, dopo qualche
tempo volle peregrinare per V Italia * ed altre Provincie e Regni, con che
acquiftò tanto di fàpere, che epbe il vantò di effere il primo, che ripor-
tafle in quelle parti di Fiandra il vero modo di ordinar le ftorie, e fare
gì* ignudi e putti, col;buon gufto Italiano, i quali avanti a lui non vi erano
ancorain molto«fo. Fra le opere, ch'ei fece, la principale e più ftimata,
fu una gran tavola, che fu porta fopra 1' Aitar maggiore di una Ghiefa di
Midelburgh,' gq'• i'àoi sportelli, che ^er la lóro grandezza, nell' aprirli,
eran fatti pofare fopra certi ferri adattati Vqtieil' effetto nel fuolo. Vive-^
va in quei fuoi tempi in Anverfa il celebre Alberto Duro, il quale venne
apporta aMidelbur^i a veder quellatavola, il cl>e ridondò in non poca glòria
delMabufe^ É/Abate r che la fece ùH^ìwM^MHti^ di Bourgoigncn/>
che morVl'«anno-1^24. Aveva il Mabufe rapprefentato in quefta tàvola
una Depofizione di Crocè, è fpefovi gran tempo, e lavoratala con in-
dicibile artificio; ma portò il càfò, che etTendo caduto un fulmine, non
folo incendiò e rovinò e0a tavola, ma la Chiefa medefima, recandone
con gran dolore tutta la città, per |a grande (lima in che era appreflb di
ognuno quella bejliopéca. Dopo la morte di quefto artefice, rimafero in
effa città alcuni pezzi di tavole con immagini della Vergine, ed altre; ma
principalmente nella ftrada di Langhendepht, in cafa del Sig. Magrius,
era una rapprefentazipne di Crifto deportò di Croce» con figure grandi,
tanto bene ordinate, e così pulitamente finite, e con abiti di drappi sì
belli e naturali, che era una maraviglia. Similmente la tovaglia, colla quale
calavano il S. corpo, e tanto quella, che i panni e veftimenti, facevano
*
                                                                                       pieghe
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pieghe bèlliHi WC» Vedeyanii ancora fgffOdll.aJTef £i idi dolore ne Ile* ligure,.
Appreflò un àtnator.idétt'&rte., qhiaa^ato;McteiiÌQ«dVìni;gis, era una bella
Lucrezia,. IrJiÀtiìfterd4fì& ,.iA ligi:«iWarraoe^-4$ ^afar**!* Marten Papem-
broeck, era una tavolaci Adlmàe4£v^ir^«i:e,grande, ma più. alfa* che
lunga, con figure quali al naturale, aflài belle e ben finite, della quale
opera furono al padronerofFerri gran danari ;: In cala Joan Nicker, pure
in Amfterdam, era una gran tavola de* fatti di un Apoftolo , dipinta a
ehiarofeuro, che parava fatta fenza cploréi e a quella tela dov'ella era
dipinta, aveva il Mabufe data unic$rt^
                                che pel mol-
to piegare che fi faceva^ n§n mai-nWsntoJ gnaitava. Stette quell'artefice
al fervizio del MarchefedLVeren > aj qu$Ie;djpjnj[è Maria f uà moglie, per una
Vergine ,che teneva in braccio il Bambino, ritratto d'un proprio figliuolo
del Marchefe e della (Iella Maria. Quell'opera fu (limata tanto bella, che
a comparazione di efia ne perdevano tutte l'altre fue pitture; e fino all'an-
no 1604. fi vedeva si ben confervata, che pareva fatta allora. Andò poi
quello quadrò in mano del Signore di Froimont in Goude, ficcome altri
ritratti di fua mano furon portati a Londra. In Wùhal, in Galleria ,
era un quadro con due ritratti di fanciulli, lavorati con grande artificio.
Avvenne una volta, che mentre il Mabufe flava in fervizio del Marchefe ,
per non fo quale occafione di viaggio, convenne al medefimo ricevere
nella propria cafa Cado V. onde per fegno di oflequio e di allegrezza,
volle veftire tutta la fua gente di Dommafco bianco. Mabufe ebbe il fuo
dornmafeo prima degli al tri j ma perch' egli era un'uomo, che poco (li-
mava fé fterfh, e tanto meno la roba, lo'vendè l'ubico, e diedene il prez-
zo agli amici. Quando poi fu pervenire io 'mperadore, il povero Mabtjfè,
non avendo più nò Tabito né i danari da provvedetene un altro, fecefi
una toga di foglio bianco, e la dipinte fopra di fiori a modo di domtna-
feo, tanto bene e al naturale, che era una maraviglia il vederla, di che il
Marchefe prefe grande ammirazione. Aveva egli allora in fua Corte, ol-
tre al Mabufe, un molto dotto Filofofo, ancoraeffo pittore; e uno, che
operava bene in poefia. Quelli tre parlarono un giorno rimpetto al Pa-
lazzo, in tempo che lo 'mperadore era alla fineflra : e vedendogli il Mar-
chefe, che (lava dopo di lui, domandò a SuaMaellà, qua! de' tre le pare*
va il più bel dommaico; lo'mperadore allora poie l'occhio nel veftito del
pittore, quale appariva molto bianco e bello, e fiorito con maggior va-
ghezza degli altri, e già voleva dare a quello la prima lode, quando il Mar-
chefe gli feoperfe l'accidente e Tinduftria del pittore, che tanto gli piacque,
che volle averlo attorno alta tavola quando mangiava ; e più volte in tale
occafione volle toccar quell'abito colle proprie mani, quafichè nònfinifle
di credere al teftimonio degli occhi proprj, che gliele facevan parere di
dommafco vero . Fu il Mabufe uomo pio, paziente, ed in ogni fua opera
diljgenttfiimo; ma tanto a caio, e difprezzato di fua per fona, che p.iutto-
fto pendeva nel fordido; a cagione di che, e anche dall'avere "un afpetto
bmbero e trillo, nel paflar eh'ei faceva una volta da Midelburgh» fu per
fofpetto fatto prigione; e nel tempo di fua prigionia fece alcuni difegni di
matita, o altra materia nera, belliinmi. Seguì.finalmente la fua morte nella
città
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taftfz Decennale IH. del Secolo IV. dallato, al i53 o.
città di Anverfa, il primo dì di Ottobre del i$% 2. e nella Chiefa Cattedrale
della Madonna fu onorevolmente fepoko. Il ritrattò di lui fu poco
ovanti al 1600. dato alle ftampe, con intaglio di < Tommafo Galle » con ag-
Jtà\t?ì&"i U:
giunta de* feguenti vedi, compofti dal Lami omo ;
Tfrgw 0<&0 nofiris facìum dkere (Mabufi
Verfibus ad graphken erudiiffè tuum.
Nani qui s adafpeMum pigmenti* polii tu $ alter
florida ÀpeUeis illiner et tabulisi
t/irte aitisi efio*, tua tempora cede fictttm
Wenkuli dttfiot* par tibì rarus erit*
o;_'ih,n QY: Y^'tq Hu*b oT:i\Y'A)
ì 1 j M : '."\)Cm,i . ■.':,3^' vi* iì~i -il
ART
PITTORE DI FRISIA
v J Fioriva nel 1522.
A Frifia non fu mai così addiacciata, ch'ella non produ-
cefle alcun* odorofo fiore , con che poterle abbellirli il
mondo. Tale fu Jan Swart, celebre pittore,che in no-
flra lingua diciamo Giovannino Nero: e altri ancora,
de' quali fiamo pur ora per dare alcuna breve notizia.
Nacque Giovannino in Groeninghe nella Vrieslandt,
du @mkvi ^S^'tiS^é^* c^e vuo* ^'ire Pae^e addiacciato, e da noi detto la Frifia.
                              Malto alcuni anni in Goude; e fu nel tempo, quando
Joan Scoorel venne in Italia, cioè del 1522. o 1523. Attefe a dipignere
jpaefi e figure ignude, e nell' una e nell'altra operazione feguitò la maniera
dei nominato Scoorel. Venuto poi in Italia, e flato alcuni anni a Vene-
zia, prefe ( flccome lo Scoorel aveva fatto) un' altra maniera al modo
Italiano. Non fono a noltra notizia i molti luoghi, dove furono mandaci
i fuoi lavori di pittura; ben1 è vero, che ufcìrono dalla fua mano alcuni
intagli in legno, cioè: certi Turchi a cavallo, con loro archi, frecce e
limili, che fono aflai ben fatti: un Grillo predicante ad infinito popolo,
che T afcolta dalla barca. Quefto maefìro ebbe un difcepolo, che fi chia-
mò ARIAENPIETERSZ CRABETH , il padre del quale fi chiamava
Krepelpieter. Qmefli imparò sì prefto,che in gioventù avanzò il maeftro.
Andò in Francia, e dopo enervi flato alcun tempo, morì nella città Au-
^ufto-'du-^um» e ^u & 8ran danno all' arte, perla fua grande efpettazione. Vi fu
num.Aù- ancora un tal GORNELISZ, nato in Goude, difcepolo di Hemskerck »
tua* che dipinte affai bene al naturale. Quelli nella fua gioventù fu aliai dedito
vi
                                                                                            ali'
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.                JAN S.WART. xav,:\ &&
ali* ebrietà; ma comechè frequentava affai la corte ,' vinto da uà certo
prudente rifpectd e timore delle beffe, facendo forza a fé fteflb, fi mutò
a gran fegno. Ma non faprei già io dire il perchè coftui, Bell' abbando-
nare il bere, perdeflè ancora l'arte,,perchè da ,11 in poi, non maipiù die-
de in nulla; le non volefllmo dire, che il paflaco difordine già gli avelie
guaito talmente il cervello, che e* non folle pòi più a tempo ad approfit-
tarli dell'emenda. Fu anche un gran pittore al naturale un tale HANS
RAMESBIER* che in noftra lingua vuol dire* Giovanni Birra di San Re-
migio;, così detta, perchè circa il tempo della fella di quefto Santo, fan-
no in quelle palaci la birra per bere l'inverno, .Quefti fu Alemanno,
e difcepelo di Lambert Lombardus. Anch' egli nella fua gioventù fi gua«
ftò pel troppo bere; contuttociò arrivò egli all'età di pretto a cent'anni:
fc ih Amfterdam, dove aveva fua abitazione* finila fua vita. Fu ancora Ipeti fif^
ur* altro SIMONE jÀCQBScWGoude , difcepolo di Carel d* Iper inipri.'
Fiandra, chedipinfe ancor egli bene al naturale. Di fua mano era ran-
no 1604. in Haerlem, apprélfe a untai Willem Tibout, che fu motto
miV incendio di Haeriem ,; tift ritratto sfatto con grande ardire. E mede*
fimamente della città di Goude; fu uh CQRNELISZ DE VISCtfER.
che in noftra lingua vuoi dire Pefcatore, che fu un cervello ftravagantiflì-
mo, ma dipinfe bravamente ai naturale, del quale aliai fi potrebbe dire.
Mori coftui in viaggio marittimo nei venire d'Amburgo.
':■"'■'"■ t'ìQVj'iùira'l itiijji ■: .:r :■■- jb y'"j '> ■ i'j.;s>y 1 ■' H':.rì ei'b , { ■ oNhH <
te» in.iiit»—»è—ti'             ; li 1 iì il li mitwiyè»- i ' "' —11 111 iri ■ -un ; rmméammtm^'mmmmmmmmmmm^^^ym*
% " •                                                         r. -                                                                                          ■ ■ '
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J O A N SCHOOREL
PITTORE DI SCOOREL IN OLANDA
N un Villaggio, detto Schoorel , vicino ad AIckmaer nel-
rOlaifda, nacque l'anno 1495. al primo di Agofto Jan, che
dal nome della patria, fu cognominato Schooreh ed era an-
cora piccolo giovanetto, quando perduti per morte i prò?
progenitori, rimafe alla cura di altri parenti ed amici, ì
quali fino all'età di quattordici anni nella città dlAlc^e-
macr Io fecero attendere alla lingua Latina, Ma il fanciullo non poteva
refiftere ad un naturale impulfo, che del continuo V accendeva di defide*
rio d'imparar l'arte del difegno; e non vedeva mai una pittura, eh*e*
non s'ingegnane di copiarla in quel modo, che poteva fare allora un fuo
pari, che non mai aveva veduto matitatoio o pennello. 11 limile faceva di
altre cofe naturali; e con un certo fuo cultello o temperino, conduceva
nel legno alcuni fantocci di rilievo, che avuto riguardo alla tenera fua età,
erano
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'& 54 Decennale Ut, ielSuùlo IV dui 1520. al 1 $3 0.
èfano degni di lode; Per fuétto era égli diventata iti fpaffo di tutti i
Cuoi compagni di fetiola» i quali, com'è foiko di quel!? età; fi pigliavano
tdntb gufto di lui j eh' e* ilo$ fé gli poteviri mai torre # attorno. Segui-
tando dunque il fanciullotal fùo divertimmo*andà la cofa tanf oltre?,
che i parenti di lui l'applicarono 4 quell4arc«i lotto la difciplina di Wil-
lem Cornelisz, ragionevol pittore di Haetlèm, il quale lo prefe con pano
di tenerlo folatnetìte tre anni i é quando lo Schootel non avelie pfcrfeva-
rata a ftar eoi* lui tutte tjtièlitèmpo , doveteti® i parenti date ai pittale
una, tal convenuta lfic%ni^he.. recefi ferittura, la quale il maetta ri-
£òfè in una fui t>òt& di cuojo , In pròceffd di tempoet venne il pittore
affai gelòfòcoljgìovaribtto^oòtel > per qualche utilità, che da elfo ripor-
tava.' e tuttavia ftàva còri tinlòfe ch'e'nofr fi p&nifle di cafa. fuai? che pie'
*ò affai frequentemente* nei tornar che faceva a cafa briaco; perl;h? egli
era Uòmo molto dedicò at bere», minaceiàv^il'fanciullo * dicendogli r Schoo-
rel tu fai ctoi i& ti porto ira tafea, ptrò non te ne andare, perchè fé tu
mm& Vài tifalo vedere quèlehé*o- fa piò faték*tuoiparentij tantoché vien u-
^TO&fe ^u^fto^rafnUd ?ritìiptovel© iV %Uu©1©m ima; Cerati' inverno,
*&£ tórav^a -grajiiiventò, cavàisl deft ramerete.la -{feruta di qjaèìifcbofhw ifectìe
aiitè fòprà'Un pt^nte di legntìr e fatto^flè-mrlk pezzi, diede* loro la vìa fo-
prà i'aè^Ua, fperandò, che boi non trwatffi pièqiìel fòglio r farebbe una
volta anche finÌECf quel chtàffor,fiecdme ieguì ^ percliè il maeftfò: avendo
perduta la carta, dipoi non fi arrificava più a parlare; ma non per quello
lo Schoorel, che fino da queir età era di animo affai ragionevole e difere-
to, fi partì dal maeftrov- Diedofi egli éut^-»®- «^olto da fenno»aUo ftudio
dell'arte, e fino i giorni feftivi, quando non iftava aperta la bottega, fé
ne andava fuor?detla cittì, di(e|nlindb Reduce, bofeàglie ^d ogni altra
cofa, che, alla Campagna te gli rapprefetìtava, che fotte curtìpfa S e ionie
noi ufiamodire,pittorefca; come quegli che operava,fecondo un'occulto
dettame della natura e interno gufto, chele portava no all'ottimo: ed era
il difegnar fuo di una maniera al tutto diverfa dagli altri pittori -, onde non
è maraviglia, che egli pobcrefciutp in età e irviftudio, dopo eflere fiato in
Italia, portaffe in quelle patti un sì beli fare, che fu detto comunemente
diluì, effere ftato egli quello, che faceva la guida, e portava la lanterna
agli altri artefici 1 V^nne intanto la fine di treanni^ che doveva ftare eo$
Willettì Gòtnelisz, quando egli licenziatoli da e ito còrcefe mente, fi portò
in Affiftcrdam , appreffo un tale Jacob Gornellsz, gran difegnatòre e vagò
coloritóre. Quegli veduti i talenti del giovane, lo ricevè con dimofirai-
z ione di (lima,: e pofegli amore dai figliuolo; ed ogni anno, pel fuo lavo-
rò, davagli molti danari i permettendogli ancora in certi tempi il fare
alcune eofe per fé: e cosilo Schoorel aveva qualche danaro. Aveva que-
llo fuo maèftro una belli film a figliuola di dodici anni, nella quale pareva,
che la* altura avefle ripofti tutti i fusi doni, tanto di fpirito, quanto di
bellezza. Di quella il giovane s' invaghì, ed ella corrifpondeya a lui.
Non potè però queft*amore far sì, che egli, per defiderio di perfezionarli
più neil' arte» non lafciafle queir abitazione e 'I maeftro; taiuopiù che fi
petfuafe» che non mai gli farebbe potuto riufeire l'averla per maglie, fj
Ì..--VJ-.
                                                                                    e'non
<
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. /,%0 AN SCH 0 OJe EL, *f f
e* non fi Fof& fatto un gran valentuomo; e così partitoii di lì» fi? ne an-
dò a (lare con un altro rinomano Pintore» chiamato Janniin di Mabuiè f
ehe dava al fervìzjo di Filippo di Borgogna » Vèfcovo di Utrecht j ma non,
gli fece però que%partensia dimenticar Marnar* ver fu la figliuola del Cor?
neliss. E perchè il Mabufè era fregolato ne! itivàte, e Tempre flava negli
alberghi e in Culle liei, e bene fpeflb convenivaa Schoorel pagare per e|To,
e anche metterli in pericolo della vita, yi il trattenne pochiflìmo» e li partì
alla volta di'Colonia ; e di là andò a Spira» dove trovò un Sacerdote,il
quale faceva bem di architettura e pittura, da cui cereohdOmparar queir
Sartie 4 ed allineo riero fece-egli a lui alcuni pezzi di quadri di fua mano.
pi Spirai fé ne andò ih Argentina, e di là a Baltica, c-yifitò tutts le$an-
ie« feùole de'Pitcori^ben ricevuto da tutti e benjpremiato de'fuoiiayo^
rfj perchè oltre al'bperar bene, e*faceva più iti una Settimana, che altri
ih un mefe* e però (landò poco per luogo, eontuttociò operava affair
Andò in Norimberga, città di Alémagnav e lì fi trattenne alcun tempo
appreffo il famofo Alberto Duro, per defìderio di più imparare» ma per^
che in quegli anni aveva Lutero, colle fuefalfs dottrine, cominciato a
metter lottofopra tutte quelle parti, che per avanti iìs ine, davano nella
Cattolica pace; parendo a Schoorel, che Durerò" comiftoiaiTe alquanto ad
intrigarli ancora egli in quella eau&, per renerfi lontano da'pericpli, fi
partì dì Norimberga, e fé n'andò a.Jkiers inCarinzia, dove lavorò per
alcuni Signori : e quivi fé ne flava con un Barone, grande am3tor della
pittura, il quale lo rimunerò, non folamente con doni e altre cofe, ma
arrivò a fegfro di volergli dare una lua figliuola per moglie, il chefarebbf
flato un gran bene per lui • Ma V amore, eh* ei confcrvava tuttavia a quella
fanciulla d'Àmtterdam, lo ritenne dall'accettare il gran partito: e piytto-
fta prefo nuovo vigóre, cercò di farli tuttavia maggior uomo, acciocché
tornando là, poteffe poi averla per moglie . Di lì andò a Venezia, e vi
prefe conoscenza con alcuni pittori di Anverfa, e particolarmente con
un tal Dan el di Bomberga. Mentre eh* egli era in quella città, s'abbattè
in un Religiofo, nativo di Goude d'Olanda, uomo molto venerando ,Jche
era grande amatore dell'arte della pittura. Con quelli fece ftretta amicizia
e familiarità; fé n'andò in Gerufalemrae, effendo egli allora in età di venr
ticinque anni; prefe con le tutti gli arnefi da dipiénere, e fulle navi fa*-
ceva ritratti di diverfi perfonaggi. Scriveva in un luo libro tutte le gior-
nate del viaggio. In Candia, Cipri e altre provincie, difegnò paefi e v/e»
dute, piccole città, cartelli e montagne. Arrivato a Gerufalemme, fece
tolto amicizia col Guardiano del Convento di Sion, che apprefìò i Tur-
chi era in gran conflderazione. Con elTo viaggiò per tutti que? Santi luo-
ghi. Vide il fiume Giordano, e tutti colla penna gli difegnò, infieme co'paeli,
pe'quali pattava. Avrebbelo il Guardiano volentieri tenuto quivi un an-
no, ma non volle compiacerlo. PromelTeli bene alla fua partenza di Ge-
rufalemme, di far per lui un quadro nella nave, e mandargliele, (ìocome
fece, e di Gerufalemme, e di Venezia gliele mandò: e fu la ftoria di San
Tommafo, che pone le dita nel Cofhto di Crrfto. Quello quadro fu po-
rlo nellaChiefa del Prefepiodi noftro Signore, dove fino dell'annot3§4.
ancora
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156 Decennale lì], del Secolo IV. dal t pò, al 153 o.
ancora lì trovava, come depofero alcuni, che vennero dà quelle parti*
Aveva àncora dipinta dal vero, la fteflà città di Gerufalemmer, della quale poi
fi fervi in qualche tavola, doverapprefento ftprie Evangeliche, come fa*
rebbe a dire ; quando Grillo difcende dal monte Oliveto verfo la città ;
quando predica fopra lo fteflb monte e limili. Ancora dipinfe il Santo
Sepolcro. Nel tornarfene alla patria, fece il proprio ritratto, e ritrafle
alcuni Cavalieri Gerofolimitani. Due anni avanti, che'1 Turco pigliale
la città di Rodi, fi era egli nella medefima città trattenuto appretto il
MaeuVo dell'Ordine de?Teutonici, da cui ben trattato, feceVi la pianta e
la fituazione della città. Arrivato a Venezia, poco vi fi trattenne» perchè
volale {correre a vedere molte altre Provincie d* Italia. Fermofli per qual-
che tempo in Roma» dove cominciò, a difegnare tutto.1- antico » tanto dì
figure, che dì rovine » e l'opere di Michelagnolo e di Raffaello ; onde fin
d'- allora crebbe il fuo nome appreflb di molti. Occorfe intanto, che fu
creato Papa il Cardinale d'Utrecht, che fu Adriano VI. in tempo ch'egli
era in Ifpagna; ed efifendofi porta occafione allo Schoorel di fàrfegli co*
nofcere» acquiftò tal grazia appreflb di lui, che gli fu fubito dato il ma*
neggio di Belvedere ; Quivi fece alcuni quadri perlo fteflb Papa, ed ;il..r|*
trattò di lui alnaturale » che fu portato a Lòvànio, nel Collegio eretto dal
medefìmo Papa. Quello buon Pontefice, dopo aver regnato un anno e
otto meli in circa, fi morh onde Schoorel, dopo aver finite alcune pit-
ture in Roma, le ne tornò alla patria. Arrivato a Utrecht, fu prefo dà
gran dolore, perchè ?gli fu darà la nuova, che la figliuola del fuo maeftro
d' Amfrerdarn era, (lata maritata ad un' orefice ; onde il povero giovane
vide in un punto fallito ogni fuo difegno, e perduta quali ogni fatica,
chea poco altro aveva egli sindirizzata» che alfine di abilitarli all'effettua-
zione delie tanto cìefiderate nozze. Stettefi in Utrecht con un certo Pro-
pollo di Gudemunfter, chiamato Lochorft, uomo di corte, e grande ama»
tore dell'arte. Quelli dipigneva a olio e a guazzo. Quivi lo Schoorel dipinfe
V entrata di Crifto in Geruflilemme, colla città al naturale, e vi fece molte
figure de* fanciulli Ebrei ed altri, che (tendono i rami e le veftimenta a' pie*-
di del trionfante Signore. Fu quella tavola, che aveva i fuoi fportelli »
collocata nella Chiefa Cattedrale, alla quale fu donata da'parenti del Pro*
pofto di effa , In quel tempo feguì una follevazioue nella citte, fra alcuni
partigiani del Vefcovo» e quelli del Duca diGueldria» onde lo Schoorel,
per fuggire il tumulto, fé ne venne in Haerlem, dove dal Comandante
dell'Ordine di San Giovanni, che fi chiamava Simon Saen, grande amico de*
pittori, fu benricevuto e ben trattato. Per quelli fece alcune opere, che fino
dell'anno 1604. fi trovavano in quel luogo : particolarmente una ftoria di
San Giovanni che battezza, dove fi vedevano beiliifirne figure di vaghi afpetti,
un bei paefe e molti ignudi per battezzarli. Aveva egli già acquattata gran fa-
ma in quel luogo,quando lì rifolvèa pigliarvi cala ; che però gli furono date
a fare dipoi molte tavole per altari di quelle Chiefe ; ed una,, che doveva fer-
vire per l'Aitar maggiore della Chieia vecchia di Amtìerdam, in cui rappre*
fentÒ unCrocififio 1 dell' invenzione della qua! tavola fé ne vedeva un'altra,
pure in Amfterdam detto anno 1604. Fu poi chiamato a Utrecht da' Signori
r ..»:."i
                                                                                       * del
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JOAN SCHOOREL. t$f
dei Collegio di S. Maria, Chiefa fondaca da Enrico V. Imperadore » dove fece
una cavola per la maggior Cappella, con quaccro fporcelli, il primo de' quali
doveva egli, come gli fu ordinaco. dipignere per una prova. Ricraflevi aleu*
ne perfone al naturale ; ne' primi due fporcelli figurò Maria Vergine, col Barn*
bino e S. Giufeppe, lo'mperadore inginocchionì » in abito imperiale, col
Vefcovo Conradus, pontificalmente vellico ; ed altre perfone vi ri tratte, che
per comandamento dello 'mperadore avevan fatto abbellire quella Chiefa :
e vi era anche un beiiillìmo paefe. 1 due alcri fportelli tenne alcuni anni:
incanto dipinfe alcune cele a guazzo » grandi quanco erano i due fportelli , in
una rapprefentò il Sagrifizio d'Abramo, con un bel paefe. Quefte tele fece
poi comprare, infieme con altre opere di Schoorel, il Re Filippo l'an no 1549 •
eoi Peccalo ne di trovarli nella Fiandra, e di paftaggio in Utrecht, e fé le portò
in Ifpagna. Era di mano di coftui, in Amsterdam, un Crocidilo con belliflì-
mi fportelli, fatto nel miglior tempo. Gli fportelli fatti in Utrecht, e an-
cora una bella tavola in Goude, infieme con molte altre belle opere fuet
furon l'anno i$66. rotte e abbruciate dalla plebe. A Marchien, belliflìma
Badia in Artefia, era una fua bella tavola, con San Lorenzo fopra la grati-
cola; una dell' undicimila Vergini, con due fportelli: ed una con fei,
dove aveva rapprefentato il martirio di Santo Stefano. In Utrecht, nella
Badia di San Vaes, dietro all'Aitar maggiore, era una tavola con un
CrocifilTo, con due fportelli. In Haerlem, appreflb Geert WiJiemsz Sco«
terbosch, era un pezzo di quadro piccolo, dov'egli aveva rapprefentato
quando la Vergine offerfe il Figliuolo nel Tempio nelle braccia di Simeo-
ne, con molte figure. Nella Frigia, in una Badia, chiamata Grootouwer,
era una tavola della Cena del Signore, con figure al naturale, e le facce
ancora degli fportelli dipinte . In Malines, città tra Rrufeliesed Anverfa,
era un Mercante,che avea corrifpondenza a Roma, chiamato Willem Pie-
ters, il quale collo Schoorel aveva contratta grande amicizia : fece egli
per coftui alcuni be'pezzi di quadri. InBreda, pel Conte Enrico di Naffàu,
e Rene de Chalon, Principe d' Oranges, fece alcune opere . Fu poi chia-
mato dal Re di Francia Francefco L per andare al fuo fervizio, con gran
promefle: ed ei ricusò, perchè non volle mai obbligarfi nelle Corti; anzi una
volta, che gli piacque raccomandare un certo architetto al Re di Svezia
Guftavo , gli mandò col medefimo a donare una bella immagine della Ma-
donna, di fua mano, la quale fu da quel Re tanto gradita, che non ifde-
gnò lofcrivergli una lettera di proprio pugno, in ringraziamento, invian-
dogliela accompagnata con un ricohiflimo regalo, che fu un'anello di gran
valore, con altre fimili cofe e una slitta, con tutti i fuoi arnefi pel cavallo :
quella appunto, colla quale foleva fua Maeftà andar fopra il diaccio, con
un formaggio di Svezia di dugenco libbre di quel pefo, del noftro dugen-
tofèflTantafei. Lo Schoorel ricevette la lettera; ma bensì aperta , per elfere
(tata intercetta, e prefo il regalo. Fu queft? artefice affai famigliare a tutti
i Cavalieri della Fiandra, perchè all'arte della pittura, aveva congiunto
la mufica e la poefia. Era buon rettorico, e componeva ben le commedie
e canzoni, Tirò bene d'arco, e parlò molte lingue francamente, ciocia
Latina, l'Italiana, Franzefe e Tedefca, oltre alla fua nativa. Fu liberale
R                                    del fuo,
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% jS Decennale ìli del Secoh IV. dal 1520. al 1 £3 o,
del fuo* dtfpiriio allegro e vivace »• ma giunto ad urta certa età, fu così
tormentato dalla podagra, che divenne veeehio avanti il tempo. Final-
mente pervenuto ali' età di feffantaÉette, anni fé ne andò a vita migliore
V anno 15,60- a' fei di Dicembre . Rimafe di fuoi diicepoli il pittore 5i Fi-
lippo Re di Spagna Antonio Moro, il quale* pel grande affetto, che gli
portava , volle due anni avanti eh* egli morifle, cioè i' anno 155& farne
il ritratto, lutto il quale ferule i feguenti vedi ;
tAd(bdit bic arti dècm> hute Ars ipfa decaref»*
Quo morì ente worì e& fróe quoque vi/a fibi\
1...........ili» Il I ir ■1111                              .....                        Il             il 11                ' -il                            I                                                   --------------------"-' "                  ' --------*                        '               *""" "             Hill-
MARTEN HEMSKERCK
PITTORE D' OLANDA
Difiepolo di Jan Schorel, nato 1498. •$* 1574-
N un povero villaggio d* Olanda , chiamato Hemskerck ,
nacque l'anno 1498 quello Martino, che poi dalla patria fu
cognominato Hemskerck. Suo padre fu un tale Jacopo Wil-^
lemsz, uomo di campagna, il cui ordinario meftiere fu il
murar le cafe a* contadini ; ma benefpeflo, per mancanza di
lavoro, era chiamato da'medefimi, in ajutodi loro faccèndev
fino a mugner le vacche/Martino, da piccolo fanciullo, fi mife ad impa-
rare il difegno appreffo un tal Corneiis Willamsz, che fu padre di Lucas
e di Floris» che pellegrinarono in Italia, ftudiarono in Roma e altrove, e
riufeirono ragionevoli pittori . Il padre del fanciullo, che per avventura
non parlava più là coli'ingegno, non aveva in molta ftima l'arte del dipi-'
gnere ; onde tolto il figliuolo da quel meftiere, lo prefe in fuo ajuto a mu-
rare, andar per opera a mugnere» e fare altre cofe, di quelle, che ufano
di fare i contadini. Non è poffibile a raccontare , fino a qual fegno di
dolore giugnefTe il povero figliuolo, vedendoli richiamare da un'arte si
nobile, e di grandìflìmo fuo genio, a flato e fervigio di tanta viltà, e da
lui tanto odiato; onde, deliberò fra fé fteflb, di cercare occaiione di rom-
perla col padre, per poter poi, con alcuno apparente pretefto, levarli da
quello improperiofo lavoro: e un giorno, nel tornare che ei faceva da
una Ralla, dovagli aveva munte alcune vacche, portando il vaio del lat-
te fopra la tétta, nel parlar vicino ad uri albero, procurò, a bello Audio,
che'ì vafo percotefie in uno de' rsmi ; onde il vafo cadde a terra, e il
latte fi fparfe fui terreno. Veduto ciò il padre, non folo lo fgridò be-
.ftialmente, ma prefo un legno , gli corfe dietro per percuoterlo; ma il
giovanetto,
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MARTEN HEMSK.BRCK. 159
giovanetto, che era bene in gambe , fuggendo come il vento, tolto gli
fparì di vifta. Per quella notte non tornò a caia, ftandofi, come potè i!
meglio, in una capanna di fieno. La mattina» quando ei credette che'l
padre folle andato al lavoro, fé ne tornò a cafa .* e fatto fi dare alla madre
alcune cofereile da mangiare, e certi pochi quattrini, fé ne partì. In quella
giornata pafsò a Haerlem e Delft, e quivi fì fermò, e pofefi di nuovo al*
l'arte del dìpignere appretto un certo Jam Lucas. Diedefi il giovane tan-
to di propouto a ftudiare, che in breve tempo acquiftò molto . Ma aven«
do poi intefa la fama, che dappertutto correva dell* eccellente pittore
Jam Schoorel, per la bella maniera di dìpignere, ch'egli aveva portato
d'Italia, tanto fi adoperò, che e'trovò modo di efler ricevuto in Haerlem»
fatto la fua difciplina. Quivi con altrettanta diligenza feguitò i (boi (lu-
di, finché apprefe si bene quel bel modo di operare, che le cofe di Mar-
tino, quali non più fi diftinguevano da quelle di Schoorel; onde egli,
come fu detto allora, forte ingelofito del difcepolo, procurò con bella ma-
niera di levarfelo d'attorno. Allora Martino, pure in Haerlem, andò a
ftare in cafa un certo Pieter Janfopfen, dove foleva abitare un tal Cornelia
Vanbcrens teyn. In quefta cafa fece diverfe pitture, e fra l'altre un Sole
e la Luna, in una ftanza dalla parte deljetto; e uno Adamo ed Eva, tutti
ignudi, grandi quanto il naturale, le quali opere gli guadagnarono, ap-
preso al padrone di quella cafa, grande amore e ftima. Quindi partitoli,
fé n'andò a ftare in cafa un tale Joos Corneiisz orefice, dove tra' molti
lavori, fece una tavola, in cui rapprefentò Santo Luca, che dipigne Ma-
ria Vergine al naturale, col figliuolo Gesù in braccio, nella quale pure
tenne la maniera di Schoorel; e appreno al Santo Luca figurò un poeta
coronato, con che fu creduto volefTe lignificare l'amicizia , che dee edere
fra la Pittura e la Poefia, Eravi ancora uà Angelo, in atto di tenere in
mano una torcia.- l'attitudine di Maria Vergine, e 1'azione del Santo»
erano efprefle tanto al vivo, che e*non fi poteva dir più; e la tavolozza
de' colori pareva veramente, che ufeiflè fuori del quadro . Era Martino,
quando fece quella bella opera, in età di trentaquattro anni, come appa-
riva notato nella medefima. Di quefta tavola fece egli un dono alla Com-
pagnia de' Pittori, perchè avendo già deliberato dì partirli d'Haerlem per
venire in Italia, volle Jafciaryi di le quella memoria. Quello quadro» fi-
no del 1604. era flato confervato da Ouericheyt di Haerlem, nella corte
à&\ Principe. Partitori dunque d' Haerlem, per defiderio di far maggiori
ftudj, e di veder 1* opere de' gran maeftri, viaggiò molto per 1' Italia, e
finalmente fi fermò in Roma, dove trattenuto in cafa di un Cardinale,
vi fece molte cofe.' Quivi difegnò tutto l'antico, tanto di ftatue, quanto
di edificj e rovine, e tutte 1* opere del gran Michelagnolo. Occorfe un
giorno, mentre che egli era fuori a difegnare , che un giovane Italiano
entrato furtivamente in camera fua, gli rubò due bclliflìrne tele colorite,
di che egli prefe grande afflizione: poi avuti buoni indizj, colle buone
diligenze eh* ei fece, riebbe il fuo. Querto accidente però fu cagione, che
egli non feguitaffe aliare in Roma, almeno per qualche tempo di più,
com'era fuo penfiero* perchè lofpettando, che dagli amici o parenti del
Ri                                     ladro,
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a (So Decennale IH. del Secolo W. dal 15 2 o. al 15 3 o.
ladro, non gli venifle fatto alcuno affronto » e perchè fi trovava anchte
avere avanzato qualche danaro» ebbe per bene il partirfene, e pigliare il
viaggio veifo la patria , eflendo ftato in Roma tre anni. Portò con fé una
lettera di raccomandazione di un giovane» che egli aveva lafciato in Ro-
ma , grande amico fuo e del padre» indirizzata a Delfc ; e giunto a quefto
lu go, li fermò- a cafo in un di quegli alberghi» che in quelle parti fervo*
no p.n* raddo to di male femmine » dove fi faceva mercato di ogni furfan-
teria : e di quefto particolarmente era padrone queir uomo fanguinario,
di cui parlammo nelle notizie della vita di Giovanni Fiammingo. Era in
effo albergo una infinità di a Raffinamenti di poveri viandanti» a* quali era
tagliata la gola» e fpogliati di panni e danari» erano i loro cadaveri fepoltl
in una fona, che poi fu trovata piena di corpi marti; tantoché una fi-
gliuola di quefto grande affollino, per non veder più una così abominevole
crudeltà, e perchè ali* incontro 1* affetto paterno non le lafciava Sco-
prire tali delitti, fu* per così dire, sforzata a fuggirli col nominato Gio-
vanni a Venezia» come dicemmo. Voleva pure V Hemskerck alloggiare
in quel luogo , da lui non con-ofeiuto per quel eh7 egli era \ tantopiù, che
da un'amatore dell'arte ». a cui per avventura era diretta la lettera di racco-
mandazione» chiamato Pieter Jacobsz, era a ciò confortato v ma come volle
la buona forte fua, in quell' iftante le gli prefentò pronta occafione d'im-*
barco, ed egli fé ne partila medefima fera del fuo arrivo in Delft. Tor-
nato a cafa , già aveva lafciata la prima maniera di Schoorel, ma però al
giudizio della maggior parte de' pittori , non aveva megliorato, Fu alcun©
de'fuoi difcepoli, che una volta gli dille, efter 1* opinione de*Profeflòri»
ch'egli operai! e meglio in fulla maniera di Schoorel, che quando tornò di
Roma; ma egli fiera tanto invaghita del modo di fare Italiano» che non
fece di ciò alcun conto. Di quefto artefice era nella corte del Principe»
nella gran Sala, una tavola delia Natività di Grillo, ed una della Vibrazio-
ne de* Magi, dov* egli aveva fatti moltiflimi ritratti» e fra quefti il fuo
proprio: e di fuori la Nunziata, e nella figura dell'Angelo, fopra la vefte
di fotto, aveva lavorato in fuo ajuto un certo Jacob Rawuaert, che allo.
ra era fuo difcepolo, come egli medefimo raccontò a Carlo Vanmander>
Pittor Fiammingo, che tali cole ci lafciò feritto. Nella Chiefa vecchia
d' Amfterdam erano di fua mano due fportelli doppj, dov' era dipinta la
Paflìone e la RelFurrezione di Crifto. La tavola di mezzo rapprefentava
un Crocififfo, e fu opera di Schoorel. Nella città d'Alcmaer era V an-
no 1604 di mano di Martino una tavola dell'Aitar maggiore della Catte-
drale, dentro la quale era il Crocili tìo, e negli fportelli, nella parte di
dentro, la Pafiìone , nel di fuori la ftoria di San Lorenzo. In Delft era*
no ancora molte fue opere nella Chiefa vecchia e nuova: nella Chiefa di
S. Aech, era una tavola d'Altare de' tre Magi, nella parte di mezzo
della quale aveva dipinto uno de'Re, e ne' due fportelli gli altri due: nel
di fuori aveva figurata la ftoria del Serpente a chiarofeuro. Di queft'opera
ebbe egli per pagamento un'annua entrata di cento fiorini; perchè,
come quello che era uomo timorofo, e fempre ebbe paura (come noi fo-
gliamo dire ) che non gli mancafle il terreno fotto, fi ftudiò fempre di
farfi
\
-,
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MARTEN HEMSKERCK. 261
farli entrate per durante la fua vita. Nel Villaggio di Eertswout nelli
Horchollandia, all' Aitar maggiore» era una tavola ornata d* intaglio , con
due fportelli doppj dentro era la Vita di Gesù Crifto, e di fuori la Vita
di San Bonifazio. A Medemblick era ancora di fua mano una tavola alla Ai-
tar maggiore. Pel Signore d'Arfendelft fece due fportelli da altare, iri
uno la Refurrezione, e neir altro la falitadel Signore al Cielo. Neil* Haya,
città * dove abitava il Principe d'Oranges, nella Chiefa grande, in una Cap-
pella del Signore Arfendelft, fece moltifTune opere con molti ritratti al.'
naturale; e fra quelle 1* Univerfal Giudizio, con gli altri Noviflìmi, cioè
la Morte, l'Inferno e 'l Paradifo, con gran copia d'ignudi. Nelle quali
opere fi fece ajutare al nominato Jacob Rawuaert fuo difcepolo, al <juale
diede per mercede, contando, tante doble, finché il pittore dine, batta.
Ebbe Paurxe kempenaer, e poi Melchior Wyntgs , un quadro lungo,
dove aveva rapprefentato un Baccanale, che lì vede alla ftampa, e fu una
delle migliori opere, ch'ei facefie dopo il fuo ritorno di Roma. Appreflb
Aernort di Berenfteyn, era un bel Paefe, con una lontananza, dove fi ve*,
deva San Criftofano. E veramente fu quell'artefice univerfale, e operò
bene in ogni cofa,- intendeva bene l'ignudo; e fu sì buono inventore,
che fi può dire, in cerco modo, che egli empierle il mondo di fue in-
venzioni ; e moftrano le opere fue, non eflèrgli mancata ancora una buo-
na pratica nelle cofe d'architettura. Non è così facile a raccontare la gran
quantità di ftampe, che fono ufcite dalle fue opere, inragliate da Dirick
Volckersz Coornhert; e fopra quelle lo fletto Dirick fi fece valentuomo,
perchè operò co'precetti e afMenza dello fteflb Martino, benché Martino
da per fé dello non intagliafle. Quello Dirick fu uomo fpiritofifTìmo, e
faceva di iua mano quanto e1 voleva. Fra l'altre cole, che egli intagliò ,
furono le (Ione de' fatti dello 'mperadore; ma quella, dove il Re fu fatto
prigione, fu intagliata da Cornelio Bos, alcun tempo dopo il fuo ritor-
no di Roma. Ma tornando a Martino, egli prefe per moglie una belliflì-
ma fanciulletta, chiamata Maria Jacobs Coning Docater, che vuol dire,
Maria di Jacopo figliuolo di Re; e per onorare quello matrimonio, iRec-
torici di quella patria, recitarono» nel giorno delle nozze, una lielliflìma
commedia, ma dopo diciotto meli quefta giovane fi morì. Tre o quat-
tro anni dipoi 1' Hemschcrck dipinte gli fportelli della tavola, che era
nella cafa del Principe in Haerlem, dove rapprefentò la ftrage degP Inno-
centi . Dipoi prefe un' altra moglie attempata, non bella, né d'affai, ma
molto ricca di roba e danari, benché più abbondante di voglie , a cagion
delle quali convenne a Martino far molte fpefe. Pervenne quello buono
artefice all'età di fettantafei anni: e finalmente l'anno 1574. a' primo di
Ottobre lafciò la prefente vita, dopo eflere (lato ventidue anni Operajo
della Chielà d' Haerlem: e nel tempo che la città fu affediata dagli Spa-
gnuoli, erafì, con licenza del Configlio, trattenuto in Amflerdam, in cafa
un tale Jacob Rawuaert. Fu il fuo cadavero fepolto nella Chiefa Catte-
drale in una Cappella dalla parte di Tramontana. Aveva egli in fua vita
fatto buona ricchezza, per aver guadagnato affai, e non avere avuto fi-
gliuoli ; onde prima di morire fece belliffime limofine, e lafciò alcuni
; - -,
                                       R 3                              terreni,
s
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%6i Decennale 111. del Secolo IV. dal i 52 o. al 153 o.
terreni, le rendite de'quali volle, che doveflero fervìre per annue doti
di fanciulle da maritarfi, con che quelle doveflero andare a fare alcune
nuziali cirimonie nella Chiefa, dov'egli foffe fepolto, il che fu efeguito,
A Hemskerk, fui cimitero, fopra il luogo,dov*era flato fotterrato il pa-
dre fuo, morto in età di fettanc'anni, ordinò, che fi poneffe una pirami-
de, fatta a foggia di fepolcro, di pietra turchina, fopra la quale foffe i!
ritratto dellotte.flb fuo padre, con una iferizione in Latino e in Fiammingo
idioma. Bravi un puttino ritto fopra alcune offa di morto, in atto di ap-
poggiare il fìniftro piede ad una torcia accela, ed il deftro ad una tefta di
morto, con una iferizione, che diceva CO GITA MORI* Sopra que-
llo era Tarme fua, cioè una mezz'Aquila da man delira, e dalla finiftra un
Lione, e per di fotto a traverla, un Braccio nudo, con una penna o
pennello nella mano. Nella parte fuperiore dei braccio era un*alia , ed il
gomito pofava fopra ad una tartaruga : con che volle forfè efprirnere il pit-
tore i'avvifo d'Àpelle, di non dovere 1' artefice edere o troppo lento o
troppo veloce nelfoperar fuo ; e perchè e' volle che fempre viverle quella
memoria dì fuo padre, obbligò al mantenimento di effà il medefitno luo-
go, al quale egli aveva iafeiaù i terreni, fottopena di dovergli reftkuire,
ogniqual volta e' foffe mancato nella dovuta cuftodia di eflò. Fu Martino*
come abbiamo detto, uomo timorofiffirno , e per paura di non perdere
quanto aveva, o foffe per incendio o per furto o per altra cagione, usò
di tener fempre cucito ne' fuor vediti gran quantità di doble . Dalla fteffa
caufa addiveniva, che egli nel tempo della Feda maggiore de Ila fua patria,
per la quale ufavanfi fare grandiflirne fparate , per defìderio di vederle,
e non eflèr colpito, fé ne andava in cima della torre. Fu anche valentiflì-
ino in dileguar di penna . Reftarono due ritratti di lui medelìmo, fatti a
olio, che Tanno 1604. conlèrvava Jaques Vanderherck fua nipote; ma
grandihlma quantità di fue belle opere, dopo la refa d'Haerlem, furono
prefò dagli Spagnuoli, con precerto di volerle comprare , e mandare in
Ifpagna ; ed altre, in quella refa , furon del tutto rovinate e guafle , dimo-
doché può dirfi, kche la Fiandra in poco tempo ne rimaneffe del tutta
fpogliata.
GIOVANNI
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2ÓJ
GIOVANNI CAMBIASO
PITTOR GENOVESE
Di/cepoio di Antonio Semino, nato al 1495. 4fa ....
lovanni Cambialo, nato nella Valle di Polcevera, poco di-
nante da Genova, imparò egli l'arte nella fcuola di Anto-
nio Semino, pittore di quella patria, aflai lodato in quel-
la età; avendo poi ftudiata la maniera di un tale macftro Car-
lo, difcepolo dei Mantegna, fecefi sì pratico, che moke
cofe ebbe a fare di fua mano in ella città, per pubblici e
privati luoghi, guadagnandoli lode avere, con un fuo
nuovo rnododidipignere, tolta via in gran parte una certa crudezza, che
avevano le pitture de* maeftri in quei tempi in quelle parti, nelle quali
poco o nulla potevano 1* arti più belle avere allignato, a cagione delle
civili difcordie, da cui Cogliono effere per ordinario, appena nate, fvelte
o recife. Furono i primi lavori di quefto artefice, per quelle Riviere, ii\
gran parte a frefco, finché nel 1523. dal Principe Doria gli fu fatto dar
principio ali* pitture del fuo bel Palazzo, facendo anche cola venire ap-
porta i celebri pittori Ferino del Vaga, Domenico Beccafumi e Antonio
Pordenone: le opere de' quali recarono sì fatta maraviglia a Giovanni,
particolarmente quelle di Ferino, che datoli ad oflèrvarne il più bello,
interamente mutò fua antica maniera , ed a quella dello fteffò Perino sì
bene fi accodò, che non vi è oggi, chi vedendo le pitture di elfo , non
lo creda ufcito da quella fcuola. Furono V opere di Giovanni, per lo più
fparfe per divelli luoghi della Riviera, e per le cafe di particolari citta-
dini, Dipinfe.ancora a chiarofcuro, e fu bravo modellatore, ("olito a di-
re, che non può gìugnere a gran perfezione nella pittura colui, che non
lì è per qualche tempo bene efercitato nella Plafttca . Veggono* luoi dile-
gni, fatti con un modo del tutto nuovo, che da Raffaello Soprani vien
detto proprio di lui, benché altri a Bramante Architetto da Urbino, at-
tribuitalo : e fu di dilegnare le umane forme per via di cubi , o fia di
quadrati. Fu padre e maeftro, fin da'primi principi, di Luca Cambialo,
detto altrimenti Luca o Luchetto da Genova , il quale tenne gran tem-
po in ajuto, dopo averlo condotto fino a quel fegno d' eccellenza, alla
quale egli medefìino non era potuto pervenire. Terminò finalmente que-
llo artefice il corfo di fua vita, in iftato di decrepitezza, la lei andò di fé
degna memoria, ed alla patria onore.
Fiorì ancora in quelli medefimi tempi, in efla città di Genova , un cer-
to JACOPO TAGLIACARTE, mentovato dal Soprani, e di cui
anche parlò Cammilìo Leonardo, celebre Medico, Sptccb, dì Pitture Cap iu
l.
111. Quelli fu affai lodato in effigiare, con bella e induftriofa maniera,'
R 4                                     nelle
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&Ó4 Decennale Uh del Secolo IV. dal 1520. 0/1530,
nelle pietre più dare, invenzioni e piccole figurette; maèftranza ufatéjjià
dagli antichi Greci e Romani: e nell' incavare eziandio cofe sì fatte, di
ehe hanno, fino a* tempi noftri, data teftimonianza molte opere fue, eli-
ft enti appreib i Tuoi concittadini, ed alcuni figilli molto belliffimi, la-
vorati in preziofe gemme, che è quanto abbiamo di memoria della virtù
di quello artefice t
ANT. DEL CERAIUOLO
PITTORE FIORENTINO
*Difcepohdi Lorenzo di Credi> fioriva circa*li 520.
Rattennefi Antonio per molti anni ad imparar P arte coUr
Lorenzo di Credi, dal quale apprefe a far ritratti al natu-
rale, con sì buona foraigli&nza, che ne fu molto lodato ;
benché per quel che fpectava al* difegno, non giugneftero
al più perfetto: (e pur fi può dire, che ritratto, fenza
il requifito di perfetto difegno, pofìa dirli fomigiiante , e
in confeguenza degno di molta lode , Dipoi fi pofe a ftaw
re appreffo a Ridolfo delGrillandajOr come queglii, che avendo grandi e
molte oeeauoni di operare molto bene, anche impiegava i giovani della-
fua (cuoia r in città e fuori, come fi dirà al-luogo fuo . Fece dunque An«*N
tomo1 in Firenze, per la Chiefa di S. Jacopo tra' foni, una tavola di uri
CrocifiiTo, con Santa Maria Maddalena e San Francefeo : e per quella
delia Santiflìma Nunziata, una tavola con un San Michele Arcangelo colle
bilance- in mano, la quale, pochi anni fono, fu levata dalla Cappella dcy
Beni vieni r nobtl famiglia Fiorentina ? oggi eftinta, dove erafituata, e po«-
fta da uno de'tati delia Cappella del Crocifitto, accanto alla Sagreftia: ed
in luogo di quella fu collocata in efla Cappella già de' Benivieni, e oggi
di Cario Donati, una grande e bella tavola di mano di Simon Pignoni,
Pitcore Fiorentino, dilcepolo del Paffignano, che al prefente vive , ed
opera in Firenze, con applaulo degl' intendenti ; nella quale, con vago
colorito e bella invenzione, ira figurata Maria Vergine col figliuolo Gesù
in gloria ed eflò San Michele Arcangelo, in atto di ritogliere dagli ar-
tigli del comune inimico, un piccolo fanciullo, che rifuggendoli per pa-
trocinio all'Angelo fuo Cuftode, vedefi da quello benignamente accolto
e difefo. E aggiungevi un Santo Antonio da Padova, in atto di adorazione
alla Madre di Dio, e alcuni Angeletti, opera veramente lodatiflìma.
Il quadro poi del San Michele Arcangelo di Antonio del Ceraiuolo» ul-
timamente fu pure levato dalla Cappella del Crocinflo , e pollo in una
ftanza
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ANTONIO DEL CERAIUOLO. ,7.6$
Ganza del Convento, coli* occafione di eflèré fiata abbellita èfla Cappella *
per darli luogo in effa al Corco di S. Fiorenzo Martire giovanetto: e nel-
lo fteflo tempo fono (lati ripieni gli fpazi laterali, con due gran quadri»
coloriti per mano di Bernardino Poccetti: che in uno è rapprefentata 1* ul-
tima Cena del Signore cogli Apofloli; e nell'altro il Purgatorio, tolti da
i due fpazj, che già erano fopra gli organi* avantichè fi finifle di adof
nare la foffitta della Chiefa medefiraa.
«a
FRA BARTOLOMMEO
detto FRA CARNOVALE
Ttiftepolo di Rafaello da Urbinoy fioriva circa //1520._.t
Sci quefto Pittore dalla fcuola di Raffaello, e fecefi eccellente
nelle profpcttive, più che in altra cofa. Affermano i profef-
fori dello flato d' Urbino, effe? di fua mano in effa città,
nella Chiefa degli Zoccolanti, a man dritta dell'Aitar mag-
giore, una grande ftoria, con una bella profpettiva; e ap-
prendo divede perfone trovarli altri quadri di profpettive.
Il Vaiari dice, che egli, nella fletta città, dipignefle la tavola della Chiefa
di Santa Maria Dolabella. Quefti fu quel Fra Bartolomoieo da Urbino,
che infegnò l'arte del difegno e della pittura a Bramante da Cafielduran-
te, che riufcì poi fingoIarifHmo architetto.
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ABATE
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2.66 Decennale III. del Secolo IV. dal 1520. al 153 0.
ABATE FRANCESCO PRIMATICCIO
-PITTORE, SCULTORE E ARCHITETTO
^BOLOGNESE
Dtfiepolo di Giulio Romano, fioriva circa il 1520.
ELL* antica e nobil famiglia de' Primaticci, nacque in Bolo-
gna Cjuefto valente artefice, il quale nella fanciullezza fu da'
Tuoi maggiori applicato alla mercatura ; ma perchè tale ap-
plicazione non punto fi confaceva con gli alti penfieri, che
il nobil giovanetto raggirava per la fua mente, deliberò di
darli tutto all'acqueo della beli' arte del difegno, fottopo*
ìiendofi in primo luogo alla disciplina d'Innocenzio da Imola, pittore in
quel tempp in Bologna, affai riputato; pofcia tirato dalla bella maniera,
che fotto j precetti del divino Raffaello, fi era acquiftato Bartoiornmeo,
detto il Bagnacavallo, che in que'tempi pure operava in effa città di Bor
logna , incominciò ad apprendere da lui i principi del colorire; tantoché
andatofene a Mantova, dove il celebre Pittore Giulio Romano dipigneva
pel Puca Federigo il Palazzo del Te ; anch'egli fu annoverato fra'molti
giovani, che gli ajutavanoin quell'opera ; fìetcefi con effp per lo fpazio di
lei anni» dopai quali già fi era acquiftata fama del migliore di quanti in
quella {cuoia maneggiaffèro pennello : e quel che è più}, fecefi cosi valen-
te nel modellare e5 lavorare di ftucchi, che condurle nello (tefifa Palazzo
per quel Principe, due belliflìme fregiature di una gran camera, dove rap-
prefentò 1' antiche milizie de' Romani ; e di pittura fece altre cofe, con
difegno del maeftro, che gli diedero gran fama , nontanto in quella città,
quanto in altre, dove torto giunfe il fuo nome, e fecefi molto caro a quel
Principe. Incanto arrivò in Parigi, al Re Francesco, la notizia de'beliitTi-
mi ornamenti, fatti fare dal Duca in effò Palazzo del Te,- onde volle lo
fteflb Re, che il Duca gli mandarle colà alcuno artefice eccellente in pit-
tura, e nel lavoro di ftucco, a cui potevlèro far fare opere degne dell'ani-
mo fuo. Il Duca gli mandò il Primaticcio, e ciò fu l'anno 1531. Giunto
che fu a quella Corte, mifefi a fare opere belle-, onde riportò la gloria di
effere il primo che vi lavorarle bene di ffucchi : ed anche vi acquiftò cre-
dito di buon pittore a frefco, nonoftantechè poco avanti fo/Te andato a'
fervigj di quel Re, il Roffo, Pittor fingolariffimo Fiorentino, che moke
belle cofe vi aveva fatte di fua mano. Dipinfevi il Primaticcio molte ca-
mere e logge, e fecevi altri lavori Iodatiflìmi, de' quali noi non portiamo
dare una precifa contezza . Or qui non dee a chiccheflìa parere ftrana
cofa , che nel prpfeguire, eh' io fo pur ora le notizie di quefto artefice,
fia per farlo parer gelofo, oltre al bifogno, della grazia àcl fuo Signore ,
e pur troppo foverchiamente appalfionato verfo fé ffeflo, in ciò che alla
Z17:
                                                                                           ft*flìa
/
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1
ABATE FRANCESCO PRIMATICCIO. 167
(lima'del proprio valore appartiene: cofe tutte, che il Vafari* non fèppe
o induftriofamente tacque, per non perturbare 1* animo dì un tanto vir-
euofo» che ancora viveva in Bologna» quando egli fcriflè di lui, é anzi fi
affaticò molto in lodare le qualità dell'animo fuor e'I Malvagia, che nella
fua Felfina Pittrice ha ricopiato appunto ciò che di (Te il Vafari, feufan-
dofi dì noti potere e per la lontananza del tempo, nel quale vhTe, e del
luogo ove dimorò il Primaticcio, dirne più, anche con aver veduto ciò
che notò di lui il Feiibien, V ha lafciato nel pollo fteflb, che lo lafciò il
Vafari ; non dovrà, dico, parere Arano quanto io fon' ora per ifcrivere,
col vivo teftimónio della penna di un noftro cittadino, che (lette in Fran-
cia ne* tempi del Primaticcio, e parla di fatto proprio. Dell' anno dun-
que 1540. era arrivato alla Corte di Parigi, chiamato dal Re Francefco,
per opera del Cardinale di Ferrara, Benvenuto Celimi Fiorentino, cele-
bre fonatore di ftrumenti di fiato , (ingoiar itfimo nell'arte dell; orificeria,
eccellente intagliatore di medaglie, e non ordinario fcultore, e gettatore
di metalli, difcepolo del Buonarruoto, uomo forte, animofo e robutto, al-
trettanto ardito nel parlare, quanto, per natura, eloquente, di parole ab-
bondante, e fecondo il bifogno alla difefa e ali-offefà fempre preparato
e pronto: il quale ancora ebbe per coftume, Con una troppo fregolata
fincerità, di dire il tuo parere a chi fi-folle, anche di ogni più fublime gra.
do e condizione, menando, come noi ulìamo dire, la mazza tonda a tutti:
a cagione di che, e di alcune fue fmoderate bizzarrie» aveva l'ottenuta in
Roma, (otto Paolo IV. una tormentofa e lunghidirna prigionia, dalla qua-
le t a cagióne di altre moire virtù, che per altro eì poflèdeva , era ftatp,
per uficj dello uevTo Cardinal di Ferrara, e dello ftellb Re, poco avanti li-
berato. A queiU dunque aveva il Re Francefco allegrata, una provvifione
di 700. Scudi l'anno, quella appunto, colla quale era fiato in quelle parti
trattenuto il famofiffimo Leonardo da Vinci; ed erangli (late ordinate dal
Re dodici ftatue d'argento, che dovevano fervire di candelliere, per iftare
attorno alla fua menta: e altre gran figure di metallo, con molti altri or-
revole lavori Or qui bifogna prima,che fappia il mio lettore, che cottui
dell'anno 15Ó6. quattro anni avanti alla fua morte, che feguì poi in Firenze
l'anno 1570. avevafertiie in gran parte di proprio pugno, un grofib e affai
curiofo ìblume.di tutto il corto della fos vita, fino a quel tempo, il qual
volume oggi li ritrova, fra molte degniilìme e fingolari memorie, nellaLi^-
breria degli Eridi di Andrea Cavalcanti, che fu Gentiluomo eruditismo,
e delle buone arti amico. Di quello manoferitto, parlando pure del Cel-
lino, fecene menzione il Vafari, ma il detto Vafari, che pure feppe
e fiere al mondo queft' opera, per mio avvifo, non la vide e non la tede;
perchè fé ciò fojflè feguito, egli vi avrebbe trovata una certa maniera di
parlare della propria perlona fua$ che io non fo poi, come gli fotte po-
tuto venir fatto il dire del Cellino, anche così in generale, tanto bene»
quanto ei ne dille, fé noi non voleflimo credere, che ciò egli facelfè, per
rendergli bene per male, o veramente, perch'e* n'avelie paura, perchè
egli era u >mo delie mani, e di tal forta di colore, come noi fogliamo di-
re» che fanno egualmente fcuotere le acerbe e le mature ; ma ciò fia detto
per pai-
0
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% (58 Decennale Uh del Secolo IV. dal i fio, al 1530.
per paffaggio•■..' Conclude adunque il Cellino in queir opera, che quelli
fua venuta in Francia, e i gran lavori, ne'quali egli fu Cubito impiegato »
non furono di molto gùfto del Primaticcio, che già appreffo al Re B ert
guadagnato credito di primo virtuofo in quelle arti ; onde al Cellino toccò
poi accadere in molte difgrazie ; ed ebbe anche a liberar fé'(tetto; violente-^
mente dà non poche perfecuzioni, che del continuo gli preparavano colo-
ro, a cui premevano |gli avvantaggi e di guadagno e di gloria del Erimatic-
cjo. Il racconto è curiofo, e per la fincerità e feroplicità, onde egli è por-
tato, e per altri titoli ancora. Ne io faprei meglio esplicare ciò che ei vol-
le , fé non col portare in quello luogo le ftefle parole di Benvenuto ; e per-
ciò fare concedaroifi 1' incominciare che io farò alquanto dalla lontana»
non tanto perchè meglio s'intenda l'origine delle male fodisfazioni feguite
fra quelli due, quanto per dare» con tale occafione, diverfe notizie di cofs
feguite in que'tempi, degne di faperli. Dice egli adunque così;
^Avendo fra le mani le fuààette opere, cioè il Giove d'argento già w-
minciato, la detta Saliera d'oro, il gran Va/o d'argento, le dette due Tede di
bronzo, fai lecitamente in efie opere fi lavorava. Ancora detti ordine a gettare
la ha/a del detto Giove, quale feci di bronzo, ricchifftmamente piena d' orna-
menti, infralitali ornamenti ifcolpii, in bafforilievo, il ratto di Ganimede :
dall'altra banda poi Leda e
7Cigno . Quefia gettai di bronzo, e venne beniffh
mo: ancora ne feci un'altra fimile per porvi fopra la flatua di Giunone, afpet-
tandoài cominciare que(la ancora, fé il Re mi dava l* argento da poter fare tal
co fa•'. Lavorando foìlecìtamente
, avevo mefj'o di già infieme il Giove d'argento ;
ancora avevo mejfo infieme la Saliera d'oro, il Vafo era molto innanzi, le due
Teffe di bronzo erano già finite
. Ancora avevo fatto parecchi operette al Car*
dinaie di Ferrara; di più, un vafetto a? argento, riccamente lavorato
, avevo
fatto per donare a Madama di Tampes
. A molti Signori Italiani, cioè il Sig,
Piero Strozzi, il Come d" Angui 11 ara, il Conte di Ti figliano , il Conte della
Mirandola, e molti altri, avevo fatte molte opere: e tornando il mio gran?.
Re, come io ho detto, avendo tirate innanzi beni/fimo quelle fue ; il terzo gior-
no venne a cafa mia con molta quantità della maggior nobiltà della.fua Corte*
e molto fi maravigliò delle tante opere, che io avevo innanzi e a così buon por-
té tirate: e perchè era feco la fua Madama di Tampes, conùnciaroup a ragio-
nare di Fontanablò, Madama di Tampes dìjje a Sua Mae fi a, ch'egli avrebbe
dovuto farmi fare qualcofa dì bello per ornamento della fua Fontanabtò
.
Subito il'Re dì (fé : egli è benfatto quel che voi dite, e adejfo adejfo mi voglio
rifolvere ,che là fi faccia qualcofa di bello : e voltato/i a me, mi cominciò a do-,
mandare quello, che mi pareva di fare per quella bella Fonte. A que fio io prò*
pop alcune miefirnafte, e ancora Sua MaeUà dijje il parer fuo
; dipoi mi dijfe,
che voleva andare afpajjo per quindici o verni giornate a San Germano dell' Aia,.
quale era dodici leghe difcoflo da Parigi: e che in quefio tempo io faceffi un
modello per queSa fua bella Fonte, con le più ricche invenzioni che io fapejfi,
perche quel luogo era la maggior ricreazione eh'egli aveffe nel fuo Regno-, però
mi comandava e pregava, eh' io mi sforzaci di far qualcofa di bello: ed io santo
glipromeffié Vedute che ebbe il Re tante opere sì innanzi, diffe a Madama di
Tampes i
%
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ABATE FRANCESCO PRIMATICCIO. 169
Tampts : lo non ho mai avuto uomo il quella profeffione» cbe pia mi piaccia,
ttè che meriti più a* ejfer premiato di qucfio-, però bifognapenfare di fermarlo $
pento'egli /pende affai, ed è buon compagnone, e lavoraaffati ondeè necejptà»
the da per not ci ricordiamo di lui : si perchè, fé confiderate, Madama» sante^
volte* quante egli è venuto da me,m quanto io fon venuto quìmwìonha mai
domandato niente; il cuor fuo fi vede efier tutto intento all'opere, e'bi/ogna
fargli qelche Bene prefio, acciocché noi non lo perdiamo
. Diffe Madama di Tarn-
pesi lo ve lo ricorderò*, e partironfi. lo mi mejjt in gran follecitudineintorno
all' opere mie cominciate '. e dì più me (fi mano al modello della Fonte» e con fol-
lecitudine lo tiravo innanzi
. In termine d'un me/e e mezzo il Ile tornò a Po»
rigi : ed io, che avevo lavorato giorno e notte, l'andai a trovate, e portai mec§
il mio modello. Erano di già cominciate a rinnovar/le diavolerie della guerra
infra V Imperudore e lui, dimodoché io lo trovai molto confufo : pure parlai
col Cardinale di Ferrara, dicendogli, ch'io avevo meco certi modelli, i quali mi
avevacommeffb Sua Mae Ha-, così lo pregai» che fé e* vedeva tempo di dir qual*
che parola, perchè fipoteffero moffrare » credevo che il Re rì avrebbe prefo mol-
to piacere
. // Cardinale propofe i modelli al Re, il quale venne fubito dove efff
erano. In prima io aveva fatto la porta del Palazzo di Fontanabelio : e per alterare
il manco co io potevo l'ordine della porta, che era fitta a detto palazzo, quale
v era grande e nana» di quella lot mala maniera Franciofa » la quale era poco più
d'un quadro, efopra effò un mezzo tondo fitacetato a ujo dì manico di caneftro
; e
perchè in quello mezzo tondo il Re defiderava d'averci una figura, che figurale
Font ambiò; io detti beUijjìma proporzione al vano: dipoi pofi fopra detto vano un
mezzo tondo giùfio, e dalle bande feci certi piacevoli riffaltt, fatto i quali ,
nella parte da baffo , che veniva a corrifpondenza di quella di fopra
, pofiun
zocco, e altrettanto di fopra: e in cambio di due colonne, che moftrava che fi ri-
cbiedeffèro» fecondo le modinaiure fatte di fitto e di fopra, avevo fatto un Sa-
tiro in ciafeun de' fiti delle colonne
. Qjtefti era più che di mezzo rilievo, e con
un de* bracci mo/lrava di regger quella parte » che tocca alle colonne : neW altro
braccio aveva un grojfo baffone, conila fua te/la ardito e fiero» qual moffrava
/pavento a' riguardanti. V altra figura era fimi le di pofitura, ma era diver/ù
e varia di tefla, ed alcune altre tali coffe aveva in mano : una sferza con tre
palle, accomodate con certe catene, òebbene io dico Satiri
» quefli non avevano di
Satiro altro» che certe piccole cornetta, e la tefla caprina» tutto il re fio eroi
umana forma. Nel mezzo tondo avevo fatta una femmina, in bell'attitudine ,
a dìacere
. Quefta teneva il braccio manco fopra il collo di un cervio, quale era
una deW impre fé del Re: da una banda avevo fatto, di mezzo rilievo, certi
eaprioletti e porci cignali » e altre felvaggine di più baffo rilievo: dall'altra ban-
da cani, bracchi e levrieri di più forte, che produce quel beUijffmo boffeo, dove
mafie la Fontana. Avevo dipoi tutta queffa opera riBretta in un quadro ab-,
lungo: e negli angoli del quadro di fopra» in ciafeuno, avevo fatta una Vittoria
in baffo rilievo, con quelle facceUìne in mano
, come hanno ufato gli antichi.
Di fopra al detto quadro avevo fatta la Salamandra, propria impre fa del Tte^
con molti ornamenti a propofito della detta opera» quale moftrava d'effere d'or*
ime fonico
. Veduto il Re queflo modello, fubito lo fece rallegrare, e lo divertì
daqjue' ragionamenti faBidiofi, in eh'egli era flato più di dite ore. Vedutolo i§
liete
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j^*> Bhenfmk Iti M $Mò W. dal t $& ^1530.
liete amo moJo^ gli fio^^t a^tmmodeUo, quale punto non affettava, pa-
rendogli d'aver veduto affai opera%n quello . Quefio modella èra grande più di due
braccia* nel quale avevo faitontnafontana, in forma dyun quadro perfetta tcon
hettiffime fiale intorno, quali s'intraffegnavano i'una nell'altra, cofa che maipià
mm straveduta in quelle parii
* e rariffimamente straveduta in quefte. In mezzo
& detta fontana avevo fatto un fodo, il quale fi dìmoftrava un poco più alto detta
fontana te fopta quèfio fido avevo fatto, acorrifpondenza, una figura ignuda di
molta bella grazia* Quella teneva una lancia rotta nella mano de/Ira ^elevata in
alto i e la finiftra teneva in fui manico unaSorta,fatta di beUiffimaforma-* pò-
fava in fui pie manco t ed il ritto teneva in fu un cimiere ^riccamente lavorato^
irinfu i quattro canti della fontana avevo fatto in fu ciafiuno una figura afe*
dere, elevata con molte fu e vaghe imprefe per ciaf cuna ■. Cominciòmmi a do»
mandare il Re, che bella font afta era quella* dicendomi, che tutto quello* che
mvem fatto alla porta, fenza domandarmi dì nulla, egli l'aveva intefo ; ma che
quefto
'-j febbme'gli pareva bellijfimo *: ridila non intendeva: e ben/apeva* ch'io
non avevo fatto come gli altri fa occhi, cife/ebbene facevan eofo con qualche poca
di grazia, lefacevano fenzatfignificatónèffùm
. * A quefio, mefftmìgià in ordine,
tifpoficbe efiendo piaciuto il mio fare,volevo bene, che altrettanto piacefiè ti mia
dire* Sappiate, diffi, Saera Maeftà, che tutta queft* opera piccola è beniffimo mi*
furata a piedi piccoli, qualmettendo poi in opera, verrà di quella mcdefimagrazia
»
che voi vedete. Quella figura dimezzo fi e $i- piedi. A quella parola il Re fé
grandìjjìmofogno di maravigliatfi: ediofoggìunfi; Eli' è fatta per figurare lo Dio
Marte: queff altre quattro"figurefonfatte'per•VinUrdi^he fi diletta e favorifcs
tanto Vojlra Mae/là. QueBa a man de/Ira e figurata per la Scienza di tuttele Jet
n
Bere ; vedete eh7 ella ha il fuo cantrafegm > qual dimofira la FUofòfia, l con tutte
le fue virtù compagne : quefi altra dimoerà éjjere tutta fArte del di fogno, cioè
Scultura, Pittura^ e Architettura*, quefialtra ì figurata per la Mufica, qual
fi conviene per compagnia a tutte quefie feienze
. QueS* altra, che fi dimofira
$amo gratae benigna, è figurata per la Liberalità, che fenza lei non fi può
dimoflrare nefiuna di quefte mirabili virtù
. Quefta. Statua (li mezzo, grande,
è figurata per Vofka maeftà ìBefia, quale è un Dio Marte , effondo Voi fola
bravo nel mondo; e quefi a bravura Voi V adoperate giù fi amente e fintamente,
in difenfione della gloria Voftra. Appena egli ebbe tanta pazienza , che e' mi
lafoiaffe finir di dire; che levata gran voce, diffe: Veramente io ho travato un
nomo fecondo il cuor mio. E chiamò i Tefaurieri ordinarj, e gli diffe, che mi
provvedejfero tutto quel che mi faceva di hfogno
, e foffè grande fpefa quanto fi
volefie: poi a me dette in fuUafpalla colla mano, dicendomi: Mon Amy , che
vuol dire, Amico mio
: lo nonfo qualfia maggior piacere, o quello d* un Prin-
cipe d'aver trovato un uomo fecondo il fuo cuore, o quello di quel vinuofo,
# aver trovato un Principe, che gli dia tanta comodità, ctì egli poffa efprime-
te ifuoi grandi e virtuofi concetti* lo ri fotofit che fé era quello, che. diceva
Sua Maeflà, era Hata maggior ventura la mìa: Rifpofe ridendo: Diciamo che
ella fia eguale: e partimmi con grande allegrezza, e tornai alle mie opere.
Volle la mia mala fortuna, eh' io non fui avvertito di fare altrettanta comme-
dia con Madama di Tampes
» che fapute la fera tutte quefte cofe , ch% eran cor fé
dalla propria bocca del Re, le genera tanta rabbia veleno fa nel petto, che con
4w--.
                                                                                          ifdegno
H
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<ABBTE ERANCESCO PRIMATICCIO. 271
tfdegmtlk diffidi $& 'Benvenuto maavejfemoftra &&F*flm* ni avrebbe dam
eaufa di ricordarmi di lai a /ito tempo k & Re mi valle ftufm:e, mQ nulla s\apz
piccò, lo che talco fa tntefi, ivi a quindici giorni, ck*girat*\ ft*h^$&$&)*&*
a Rotano e Biffa, dipoi erano,ritornati4 San Germaw; dell'Aiti prefi quel
bel vqfetto, eh' ioavevo, fatto a riqu/fizione de Ih detta>, Madama di Tampes »
penfindo, che donandogliele, doveffi riguadagnare fa fua\ grazia. Cosi la portai
mecoi e fattole intendere per una fuà nutrice, allaquale moBrai il vafo.,cblia
t avevo fatto per lafua Signora, e che ia glielo volere donare; la detta nutrice
mi fece carezze fmifurate, e mi dijfe, che direbbe una parola a Madama» la
quale non era ancor ve flit a: e che fubito detta , gliele metterebbe in camera»
La Nutrice èffe il tutto a Madama, la quale rifpofefdegmfamente : Ditegli
»
che afpetti i io ho intefo . A q ne fio io mi veflii di pazienza, la qualcofa m\ è
difficili(fima; pure ebbi pazienza infino dopo il fao de finora ; e venuta poi
./■ ora
iarda, la fame mi cagionò tanta ira, che non potendo più t'efifiere » mandatole
devotamente il canchero mi cuore, di quivi mi partii, e me n1 andai a trovare
il Cardinal di Lorena
, e gli feci prefente del détto va/a* racsomandmdomi falò,
che e1 mi teneffè in buona grazia del Re. Dtfje, che e1 non bifognava, e quando
fojfe bifogno, che lo farebbe volentieri. Dipoi chiamato umfuo Tefauriere, gli
parlò nell'orecchio
. //detto Tefauriere ajpetto ch'io mi partìjfi dalla prefenza
del Cardinale
» dipoi mi dijfe ì Benvenuto . venite meco, eh1 io vi darò da bere
un bicchier di buon vino: al quale io diffi, nonfapendo, quello che fi volere di-
re , dì grazia*. Monfignor Tefauriere, fatemi donare unfol bicchier di vino e, un
èoceon di pane
» perchè io veramente mi vengo meno-, perchè fino flato da quèfta
mattina a-buon otta, fino a quejforacbe voi vedete, alla porta di Madama di
Tampes, per donarle quel bel va/etto d'argento doratoi e tutto gli ho fatto in^
tendere : ed ella per ijlraziarmi fempre, mi ha fatta dire , che io afpettajjì *
Ora- m* era fopr aggiunta la fame, e mi femivo mancare
» e ficcarne Iddio ha va*
luto, ho donato la roba e le fatiche mie, a chi molto meglio le meritava
: e non
®i chieggo altro, che un poco da mangiare, che, per e (fere io alquanto Coìlorofo ,
f»' offende il digiuno di forte, che mi faria cadere in terra/venuto. Intanto
tempo, quanto io penai a dir queBe parole, era comparfo il mirabil vino, ed
altre delizie da far colazione , tantoché io mi ricriai molto bene
, e ria-
vutigli fpiriti vitali, m* era ufeita la Bizza. Il buon Tefauriere mi porfe
igq.
feudi d* oro , a'quali io feci refifienza di non gli volere in modo neffuno. An-
dollo a riferire al Cardinale, il quale dettogli gran villanie, gli comandò che
me gli face fé pigliare per forza, e che non gli andaffe più innanzi altrimenti.
Il Tefauriere venne a me crucciato ; dicendo, che mai più era fiato gridato per
V addietro dal Cardinale: e volendomegii dare , perchè gli feci altra refifienza»
mi diffe, che me gli avrebbe fatti pigliar per forza. Io prefi i danari, e volen-
do andare a ringraziare il Cardinale, mi fece intendere per un fuo Segretario*
che fempre ch'egli mi poteva far piacere, che me ne farebbe di buon cuore: e io
me ne tornai a Parigi la medefima fera . Il Re feppe ogni cofa, e dettero la
baja a Madama di tampes, il che fu caufa di farla maggiormente invelenire a
far contro di me, dove io portai gran pericolo della vita mia, come fi dirà a fuo
luogo ; Sebbene molto prima io mi dovevo ricordare d'Ila guadagnata amicizia
del più virtuofo , del più amorevole, e del più damefìico uomo da bene, che mai
io cono»
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*7* Decennale.UL del Secolo IV, dallato.al 1530.
io eomficeffi al mondo ; queftìfi fu Mefis. Guido Guidi 9 eccellente Dottore Me-
dico, e mbil cittadin Fiorentino
, Per gl'infiniti travagli, pottimi innanzi dalla
perverfa fortuna, f avevo alquanto lafctato indietro, eh' io mi pen/àvo per
averlo di continuo nel cuore
, che e* baftajje ; ma avvedutomi poi, che la mia vita
mn iftava bene fenza lui, in que'miei maggior trovagli, perchè mi fife d'aju-
90 e conforto* lo menai al mio catte Ilo, e quivi gli detti ma ftanza libera da
per fiei così ci godemmo in/teme parecchi anni. Ancora capitò il Vefcovo di Pa-
via , cioè Monfig nor de1 Rojfi, fratello del Conte di San Secondo
, Quefio Signo-
re io levai di full' offerta, e lo me/fi nel mio Gattello, dando ancora a lui una
ftanza libera, dove benijfimo flette accomodato co' fiuoi fervitorì e cavalcature
,
per dimolti mefi. Ancora altra volta accomodai Mefs Luigi Alamanni co'figliuo-
li
» per qualche mefe. Pur mi dette grazia Iddio, ci? io potejjìfar qualche pia-
cere agli uomini grandi e virtuofi. Col fopraddetto Mefs. Guido godemmo l'ami-
cizia quanto io là fletti, gloriandoci fipeffo in/teme, che noi imparavamo le virtù)
aUefpefe di così grande e maravigliofo Principe, ognun di noi nellafuà profef*
filone. lopojfo dir veramente, che quello eh1 io fia, e quanto di buono e beUo\io
m'abbia operato* è flato per caufa di quel Re
. Avevo in quetto mio cafiello un
giuoco di palla da gimeare alla corda
» del quale io traevo affai utile, mentrechè
io lo facevo efercitare. Erano in detto luogo alcune piccole flanzette , dove abi-
tavano diverfe forte £ uomini, infra'quali era uno Stampatore molto valente
di libri* Quetti teneva quafi tutta la fuà hot tega dentro nel mio caflello
; ed è que-
gli, che ttampo quelprimo bel libro di ^Medicina a Mefi Guido. Volendomi io
fèrvirc di quelle ffanze, lo mandai via, pur con qualche difficulta non piccola.
Vi Bava ancora un maeflro di Salnitri', epercb' io volevo fiervirmi di quette pic-
cole flanzette per certi miei buon lavoranti Tede fichi, quefto maettro non voleva
alloggiare
; ed io piacevolmente più volte gli avevo detto, ci/ egli m'accomodajjh
ielle mieflanze, perchè me ne volevo fierv'tre per abitazione de' mìei lavoranti
perfiervizìo del Re. Quanto pia umile parlavo, quefla beflia tanto piùfuper-
t>o mi rifpondeva. All'ultimo poi io gli detti per termine tre giorni, di che egli
fi rifè, e mi dìjfe, che in capo di tre anni comincerebbe a penjarvi. lo non fa-
pevo, che co/lui era dome/lieo fervitore dì CMadama di Tampes, e fé e' nonjoffe
flato, che quella caufa di Madama di Tampes mi faceva un po' più penjare alle
cofie, che prima io non faceva, P avrei fiubito mandato via; ma volli aver pa-
zienza que' tre giorni, i quali pajfàti che furono , prefi Te defichi, Italiani e
Francefif colle armi in mano, e molti manovali, che io aveva, e in breve tem-
po sfafciaì tutta la cafia
, elefiue robe gettai fuori del mio coflello. Equefl' atto,
alquanto rigorofio, feci* perei/egli mi aveva detto, che non conofeeva perfiona
d* Italiano tanto ardita, che gli avefle moffo una maglia del fuo luogo. Però di-
poi il fatto coflui arrivò
» e io gli diffì ; Io fono il minimo Italiano del? Italia,
e non t' ho fatta nulla appetto a quello, che mi batterebbe P animo di farti, e
eh' io tifaròfie tu parli un motto fiolo: e dijfigli altre parole ingiuriofe
. Que-
JP uomo, attonito e fpaventato
, dette ordine alle fise robe il meglio che potette :
dipoicor fé a Madama dì Tampes, e dipinfie un Inferno: e quella mia gran ne-
mica
tanto maggiore quanto eli'era, più eloquente e più d' affai lo dìpinfe al
Re, il quale due volte* mi fu detto
, fi ebbe a crucciar meco, e dar male com-
mefconi contro di me; ma perchè Arrigo Delfino fuo figliuolo» oggi Re di Francia
,
aveva
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ABATB FRANCESCO PRIMATICCIO. 275
aveva ricevuti alcuni di/piaceri dà quella troppo ardita Donna* injleme colla
Regina dì 18avana* foreìla del Re Frane efco* con tanta virtù mi favorirono ,
che il Re convertì in rifo ogni cofa
,* ti perchè» col vero ajuto aV Iddio , io paffai
una gran fortuna
. Ancora ebbi a fare il mede/imo ad un altro ■ fintile a quello,
ma non gli rovinai la capa: ben gli gettai tutte le fue robe fiorai per la qual
cofa Madama di Tampes ardì di dire al Re : lo credo* che queflo diavola
una volta vi faccheggerà Parigi, A queBe parole il Re adirato rifpofe a Ma-,
dama * che facevo molto bene a difendermi da quella canaglia , che mi volevano,
impedire ilfuofervizio
. Crefceva ognora maggior rabbia a quefta crudel doti"
na * onde chiamò a fé un pittore * il quale slava per ijlanza a Font ambiò
» do-
ve il Re flava quafi di continuo. Qiiefto Pittore era Italiano e "Bolognefé, e pel
Bologna era conofciuio. Pel nome fuo proprio fi chiamava Francefco Primatic-
cio. {Madama di Tampes gli dìfie > cti egli dovrebbe domandare al Re quell'ope-
ra della Fonte, che Sua ZMaeflà aveva rifoluta a me *e ch'ella con tutta la fua
pojjanza ne l'aju ter ebbe: ecosì rimafero daccordo
. Ebbe queflo Bologna la mag-
giore allegrezza cb' egli avefie mai* e tal cofa pronte fé fìcura* cotti ut toch'ejfa
non fojjè fua profefftone * ma perch'egli aveva affai buon difegno, e s'era mejfoin
ordine con certi lavoranti» i quali s'erano fatti fitto la difèiplina del Roffo, Pittore
nojlro Fiorentino* veramente maravigliofijfimo valentuomo; ciò che coftuì fa-
ceva di buono* l' aveva prefo dalla mirabii maniera del detto Rojjh, il quale
era di già morto
. Potettero tanto quelle argute cagioni * col grande ajuto di
Madama di Tampes* e col continuo martellare giorno e notte, or Madama, ora
il Bologna agli orecchi di quel gran Re * e quello che fu potente caufa a farla
cedere* eh'e Ha ed il Bologna daccordo diffbno: Come è egli pofftbile* Sacra Maefià ,
che volendo, * che Ttememtto faccia dodici fatue d'argento * delle quali non ba anche
finita una faccia poi quell'altra operai 0 fé voi l'impiegate in una tanto grande
imprefa, è di neceffità ,che di quefl'altre* che tanto voi defìàerate * per certo voi
ve ne priviate; perchè cento valenti/fimi uomini non potrebbon finire tante grandi
opere* quante queflo valentuomo ba ordite* Si vede efprejjo * ch'egli ha gran vo-
lontà di fare *la qual cofa farà caufa* che a un tratto Voflra Maefià perda lui e
l' opere > con molte altre fintili parole. Avendo trovato il Re in buona tempera
,
efjogli compiacque di tutto quello che domandavano, e per ancora non s'era mai
moffrato né difegni* ne modelli di nulla di mano del "Bologna,
Fin qui fon parole del Cellini, il quale, dopo aver raccontato diverfi altri
cali, occorfi alla fua propria perfona in Parigi, fegue a parlare in quella forma .
■Nonavendo io ancora ri prefo il fiato da quello ineflìmabil pericolo, che ella
me ne mejjè due a un tratto innanzi . In termine di tre gioì ni tni occorfe due
cafii a ciafeuno de* quali fu la vita mia fui bilico della bilancia
. Qtiejìofi fu,
che andando io a Font ambiò a ragionar col Re* che mi aveva fatto fcrivere una
lettera* per la quale voleva, che io faceffi le (lampe delle monete di tutto il fuo
Rogito: e con e fa lettera mi aveva mandati alcuni difegnetti* per mofirarmi
parte della voglia fua ; ma ben mi dava licenza, che io facefit tutto quello* che
a me piaceva ; io aveva fatti nuovi difegni* fecondo il mio parere, e fecondo
la bellezza.dell' arte: Così giunto a Fontanablb * uno di que' Tefaurteri* che
avevano commìfftone dal T&e di provvedermi* che fi chiamava SHonf della Fa,
fubito mi diffe : Benvenuto > il flotogna pittore ha avuto dal Re commiffione
J|
t«Vv'A                                                             S                                                fare
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2J4 DecemalèUl del Secolo IV. M t$i o. al153 0*
fare il voflrogran Colo fai e tutte le eòmmìfioni # chJ egli et aveva dato per voi,
tutte ce h ha levate, e datecele per luì* tA noi ha faputo grandemente mah*
e ci è par fi* che quefia voflro Italiano molto temerariamente fifia portato ver fa
di voi, perchè Voi già avevi avuta l'opera per virtù de* voflri modelli e delle
vojlre fatiche
. Coflui ve la toglie t filo per favore di Madama di Tampes: e fi-
no ormai dimoiti mefi, chy egli ha avuta tal commiffione, e ancora non s\ è ve-
duto , che e' dia ordine a nulla, lo maravigliato di(fi% Come è egli pòfbile,
che io non abbia mai [apulo nulla di quefloì Allora mi diffe, che coli ut l'aveva
tenuta fegretiffima, e che e' ? aveva avuta con grandiffima dìfficultà, perchè il
Re non gliene voleva dare; ma la fiUecitudine di Madama di Tampa, foto glie-
ne aveva fatta avere, lo firn itomi a queflo modo offefo, e a così gran torto, e
veduto formi un opera, la quale io mi avevo guadagnata colle mie gran fati*
che, difpoffomi di far qualche gran cofa di momento coli' arme, difilato andai a
trovare il'Bologna, che era in camera fica e ne'fuoi 8udj. Fecemi chiamar den-
tro, e con certe fue lombardefche accoglienze, mi domandò amai buona faccen-
da m" aveva condotto quivi. Io difit, una faccenda buonijfima e grande
. Que-
fl> uomo commeffe a'fuoifervi tori, che portafiero da bere, e di fé : Prima cbe
»o*
ragioniamo di nulla, voglio, che noi beviamo infieme, che così è'IcoUume dì
Franerà. Allora io difit: Oiefier Francefcofippiate ,che que'ragionamenti, che
noi abbiamo da fare infieme, non richieggono il bere in prima, forfè dopo fi pa-
tria bere. Cominciai a ragionar fico dicendo: Tutti glt uomini, che fanno prò*
felli ne d'uomo da bene \ fanno l' opere loro in modo, che per quelle fi conofie,
quelli effere uomini da bene , e facendo il contrario, non hanno più tal nome.
lofi, che voi fipevi, che il Re m> aveva dato da fare quel gran Colofo, del
auaìes' era ragionato diciotto mefi: e ne voi né altri mai s'era fatto innanzi a
dir nulla fopra ciò; per la quul Cofa, colle mie gran fatiche, io mf ero moflro
al Re, il quale piaciutigli i miei modelli, quefta grande opera aveva dato a
fare a me, e fon tanti mt(i,che non ho fintilo altro: filo quefla mattina ho intefi,
che voi ravete avuta, e toltala a me, la qttal' opera io me la guadagnai cernie*
mar avvito fi fatti, e voi me la togliete filo colte vane voflre parole A qwslo
il Bologna rifpofe e di fé* 0 Benvenuto, ognun cerca di fare tifatto fuo m tutti
i modi che fi può
: fi il Re vuol così, che volete voi replicare altroì gettate via
il tempo , perchè io l' ho avuta fpedtta, ed è mia
. Or dite voi ciò che volete,
edio
»'ascolterò. Di fi cosi: Sappiate, Mefs. Francefio, eh' to avrei da dtrvt
molte parole, per le quali, con ragion mirabile e vera, io vi far et confi fare,
Che tali modi non s'ufino, quali fon cotelli, che voi avete fatto e detto, infra
efi animali razionali; però verrò con brevi parole al punto della conclone,
ma aprite eli orecchi, e intendetemi bene, per eh' ella importa
Cofiut fi volle
rimuoverei federe, perchè mi vidde tinto in vifi e grandemente cambiato
.
lo difTu che non era ancor tempo di muoverfi, che fi e fé a federe, e che m'afcol-
taffè' ' ecfora io comincivi dicendo così
: Mefier Francefio, voi fape$e\, che l'ope-
ra era prirna mìa
, e che a ragion di mondo egli era paffuto ti tempo, che neffuna
né doveva pia parhre
. Ora io vi dico , che mi contento, che voi facciate un
modello
, editti oltre a quella che ho fitto, ne farò un altro t dipoi lo portere-
mo al noflro gran Re: e chi guadagnerà per quella via il vanto d avere opera*
u meglio, quello meritamente farà degno del Colofo :efea voi toccherà a
> i.                      -                                                                                                                                                                                             j
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ABATE FRANCESCO PRIMATICCIO. 275
farlo, io deporrò tutta quella grande ingiuria, *é# wi «' avete fatto, e bene
dirovvi le mani -, come pie degne delle mia, d* una tanta gloria
. Sicché riman-
ghiamocosì, e faremo amici, altrimenti noi faremo nìmicii e Dio* che ajuta
femprela ragione% ed ioche le fi fi rada* vi moftrerei in quanto grande errore
voi foBc. Di fé Aiefs. Francefco: L'opera è mia, e dappoicb'ella mf è fiata da-
ta t io non vo' mettere il mio in compromeQa
. tA coietto io rifpondo, Mefs.
Francefco, che dappoiché voi non volete pigliare il buon verfo, quale è gìufia
e ragionevole, io mi moftrcrò queft'altro, qual farà come il voflro, che è Inatta
e di/piacevole
. Vi dico così, che fi io finto mai in modo nefiuno, che voi par-
liate di quefla mia opera, io fuétto v' ammazzerò come un cane: e perchè mot
non fiamo né in Roma, né in Bologna, né in Firenze, qua fi vìve in un'altra
modo
. Se io fo mai, che voi ne parliate al Re o ad altri, io v1 ammazzerò ad
agni modo
. P enfiate qual via voi volete pigliare, quella prima hmna eh* io
diffi, 0 quell'ultima cattiva ch'io dico. Quefi'uomo non fapeva né che fi dire,
né che fi fare : ed io ero in ordine per far più volentieri qtieW effetto al farà,
che mettere altro tempo in mezzo. il detto Bologna non di fé altre parole eh
quefle : Quando io farò le cofe, che dee fare un' uomo da tene, io non avrò
una paura al mondo. A queff 0 iorifpofi: Bene avete detto', ma facendo al con-
trario , abbiate paura, per ch'ella v'importa : e fuétto mi partii da lui, e an-
damene dal Re, e con Sua MaeBà difputai un gran pezzo la faccenda delle
monete, nella quale noi non fummo molto daccordo ; perché cfjendo quivi il fuo
Configlio, lo pervadevano, che le ?nonete fi dovefkrfare in quella maniera di
Francia, ficcome elle s' eran fatte fino a quel tempo-, a' quali io rifpofi, che
Sua Maeftà m'aveva fatto venir d3Italia, perchè io le face(fi opere, che ftejfiro
bene : e che fi Sua Maeftà mi comanda/fi in contrario , a me non comporteria
l'animo mai dì farle* *y4 quefio fi dette fpazio per ragionare un'altra volta,
e fubito io me ne tornai a 'Parigi
.
                                                               ì
Fin qui il Celimi 1 e più abbatto fegue n dire.
L'altro giorno venne a Tarigi il Bologna appo fi a, e mi fece chiamare da
Mattiodel Nafaro : andai, e trovai il detto Bologna, il quale
> con lieta faccia
mi fi fece incontro, pregandomi, che io lo volejfi per buon fratello, e ch£ maipiè
parlerebbe di tale opera, perchè e' conofeeva beni/fimo, che io aveva ragione >
Dipoi fegue a dire.
Mentre* che queft' opera fi tirava innanzi, io compartivo certe ore del
giorno, e lavoravo in falla Saliera e quando fui Giove, per efter la Saliera te*
vorata da molte e più perfine, che io non avevo comodità per lavorare fui Gio-
ve , di già a queHo tempo io l'avevo finita di tutto punto
. Era ritornato il Re
a Parigi, e io l'andai a trovare, portandogli la detta Saliera finita
, la quale,
ficcome ho detto difipra, era in forma ovata, ed eradi grandezza di due terzi
di braccio in circa, tutta d' oro , lavorata per virtù di cefi Ilo : e ficcarne io
                 *
di0, quando avevo ragionato del modello, avevo figurato il Mare e la Terra, a
federe l'uno e l'altro, che s' intramettevano fra di loro le gambe a gurfà del
mare, che frammette certi rami fra la terra, e la terra fra
7 mare. Così pro-
priamente aveva dato loro quella grazia : al Mare aveva pò fio nella mano de*
Bra un Tridente, e nella finifira una Barca fittilmeme lavorata, nella quale
fi metteva la falina
. Erano fitto a quefta figura quattro cavalli marini, che
S 2                                      fino al
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276 Decennale ìli. deir Secolo W. dalfi 520. alt 530.
fino al petto e le zampe dinanzi erano dì cavallo* e tutta la parte dal rnezt®
indietro* era dì pefce
. Quefie code di pefce con piaeevol modo s'intrecciavano
infieme:inful qualgruppo fé'deva in bella attitudine il detto Mare , che aveva
intorno motte forti di pefce e altri animali marittimi : l* acqua era figurata
colle fue onde
» dipoi era benifjìmofmaltata delfuo proprio colore, Per la Terra
avevo figurata una bellijjima donna
, col corno della fua dovizia in mano» tutta
ignuda come un mafchio, Neil7 altra fua fini/Ira mano avevo fatto un tempietto
bordine Jonico
, fottiliffimamente lavorato, e in quefla avevo accomodato il pepe.
Sotto queHa femmina avevo fatti i pit) belli animali» che produca la terra: e
ifuoi fcogli terreffri avevo par tefmaltati
» e parte lafciaù doro. Avevo dipoi
fofita e inveflita quell'opera in una bafe debano nero, d'una certa accomodar
$a grojfezza, con un poca di goletta* nella quale avevo compartito quattro fi-
gure d? oro, fatte di fin che mezzo rilievo» e figuratovi la Notte e'I Giorno
,
f Aurora e la Sera : e quattro altre figure della medefima grandezza* fatti
fé'quattro Venti principali. In quefio tempo il Bologna Pittore fopr addetto,
dette ad intendere al 'Re* eh1 egli era bene, che Sua Mae/là lo lafciajfe andari
fino a Roma* e gli face/fe lettere dì favore
» per le quali egli potèffe formaredi
quelle belle prime anticaglie » cioè il Laoconte, la Cleopatra, la Venere, il Co-
modo , la Ztngana e P Apollo
» QueHe veramente fono le più belle co fé r che
fieno in 'Roma' e diceva al Re, che quando Sua Maeflàavejfe dipoi vedute quelle
maravigliofe opere, allora faprebbe ragionare dell' arte del Difegno ; perchè
tutto quello, ch'egli aveva veduto di mi moderni, era molto difcofto dal ben
fare di quegli antichi. Il'Re fu contento, e fece gli tutti i favori, che egli di-
mandò. Così andò nella Jua malora quejla betìia, non gli e/fendo baffuto la vi-
0a di far colle fue mani a gara meco, Prefe quel Lombardejco tale efpe diente i
€ contuttoché egli benijftmo l*aveffe fatte formare, gliene riufcì tutto contraria
effetto
, da quello che s'era immaginato ; la qual co fa fi dirà dipoi a fuo luogo.
Akrove poi dice» cosi parlando del Re.
» Egli ritornò a Parigi, e l'altro giorno, fenza che io l' andajfi a incitare-,
da per fé venne a cafa mia, dove fattomegli incontro , lo menai per dher/e ftan~
ice, dove erano diverfe forte a" opere : e cominciando dalie co/è più bajje, gli
morrai molta quantità d* opere di bronzo : dipoi lo menai a vedere il Giove
d'argento, e gliene moflrai come finito, con tutti i fusi ornamenti. Dipoi la
menai a vedere altre opere d* argento e d1 oro, e altri modelli per inventare
opere nuove. Dipoi alla fua partita > nel mio prato del capello, fcoperfi quel
gran Gigante,
E più appreffo:
                                              ;
Intanto, con gran fattecitudhte, io finii il Giove d*argento* colla fua bafe
dorata, la quale io avevo pop a fopr a uno tocco di legno i e in detto zocco di
legno avevo commeffo quattro pallottole pure di legno, le qualifiavano pia che
mezze nafcofè nelle loro caffè, in foggia di noce di baie/Ira. Erano que fi e co fé
tanto gentilmente ordinate, che un pie col fanciullo, facilmente per tutti i ver fi,
fenza fatica al mondo, mandava innanzi e indietro, e volgeva la detta (tatua
.
Avendola affettata a mio modo, andai con efia a font anòbio, dove era il Re,
ìn que/lo tempo il fopr addetto Bologna aveva portato di Roma le fopr addette
fiatae
> * l'aveva con greu fatteci? u dine fatte gettar di bronzo. lo che non fa»
pevo
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ABATE FRANCESCO PRIMATICCIO. 277
fievo nulla di queBo, sì perchè egli aveva fatta quefla faccenda fegretamente i
eperchè Font anobio è difcoflo da Parigi quaranta miglia
, però non avevo potuta
faper niente. Facendo intendere al Re, dove e1 voleva ch'io pone/fi il Giove;
efiendo alla prefenza Madama di Tampes, Jifle al %e, che non vi era luogo
più apropofito per metterlo, che nella fuà bella Galleria. QueBafi era, come
noi diremmo in Tofcana, una loggia, o sì vero androne, più pr e fio androne fi
patria chiamare, perchè loggie noè chiamiamo quelle fianze, che fono aperte da
una parte. Era quefla fianza lunga molto più di cento puffi andanti, edera or-
nata e ricchiffima di pitture di mano di quel mirabil Rojfq noBro Fiorentino : e
fra le pitture erano accomodate moltifiime parti di fcultura, alcune tonde , al-
tre di baJforilievQ
. Era di larghezza, di paffi andanti, dodici in circa. Il foprad-
detto Bologna aveva condotto in quella Galleria tutte le fopr ad dette opere ami-
*t che fatte di bronzo, e bemffimo condotte» e T evea poBe con belli fimo ordine
elevate in fulle loro bafe; ficcome difopra ho detto. Qjtefle erano le pia belle
cofe tratte da quelle antiche di Roma
. In quefla detta fianza io conduffi il mio
Giove: e quando io vidi quel grande apparecchio , tutto fatto a arte, io da per
Pie di fi: Quello fi'è come poffare infra le picche
: era Iddio m* ajuti. Mefìolo
al fuo luogo, e quanto io potetti, benijfimo acconcio, afpettai quel gran Re
che venìjje. Aveva il detto Giove, nella fua mano deflra, accomodato ilfuo
fulgore, in attitudine di volerlo tirare, e nella fini (tra gli avevo accomodato il
mondo. Infra le fiamme avevo con molta deflrezza commejjo un pezzo d* una
torcia bianca
•• e perchè Madama di Tampes aveva trattenuto il Re fino a notte
per fare uno de due mali, o che egli non venijj'e, o sì veramente, che l'opera
mia, a caufa della notte fi moflraffe manco bella: e come Iddio promette a
quelle creature, che hanno fede in luì $ ne avvenne tutto il contrario! perchè
faptofi notte, io accefila detta torcia, che era in mano al Giove, e per e fere
alquanto elevata fopr a la te Ha di detto Giove, cadevano i lumi difopra , e;
facevano molto più bel vedere, che di dì non avrien fatto
. Comparve il detto
Re colla fua Madama di Tampes, colla Delfina fua figliuola, e col Delfino
, oggi
Re, col Re di Navarrafuo Cognato, con Madama Margherita fua figliuola, e
parecchi altri gran Signori» i quali erano ifirutti appoftada Madama di Tampes,
per dir contro di me
. E veduto entrare il Re-, feci fpignere innanzi da quel
mio garzone Afcanio, già detto, incontro al Reil detto Giove
; e perchè ancora era
ciò fitto con un poca d'arte, quel poco di moto, che fi dava a detta figura, la fa-
ceva parer viva', e lafdatomi alquanto dette figure antiche indietro, detti prima
gran piacere agli occhi dell'opera mia. Subito difie il Re
, quefla è molto più bella
cofa
, che mai per neffurfuomo fifia veduta*, ed io, che pure me ne diletto e in-
tendo, non avrei immaginato la centefima parte . Que* Signori, che avevano a
dire con tra di me, pareva che e1 non fi potejfer faziare di lodarla detta opera, Ma*
dama di Tampes di fé arditamente : Non vedete voi quante belle figure di bronzo
antiche fon pofte pia là, nelle quali confiBe la vera virtù di quell'arte, e non in
quelle bajate moderne ì Allora il Re fi moffe, e gli altri feco
, e data un' occhiata
alle dette figure, e quelle per efjer lor poflo il lume inferiore, non fi mostravano
molto bene. A queflo il Re dijfe-. chi ha vaimi disfavorir quell'uomo, gli ha
fatto un gran favore
.
'•'■"'"-•«' s . ••-'•" '•"• • GIOVANNI"
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278 Decennale 111 del Secolo IV. dal\$%o. al i$3'o.
GIOVANNI SPAGNUOLO
DETTO LO SPAGNA
PITTORE
Difeepoh di Pietra Perugino, fioriva fino al 1524.
lEppe così bene queft' artefice approfittarli de' precetti di
■ Pietro fuo maeftro, che fra' difcepoli, che egli lafciò vivi
alla fua morte, egli riufcì fenza fallo il migliore, malfima-
mente in ciòr che al colorito appartiene. Stette in Pe-
rugia qualche tempo • e poi vinto dalle perfecuzioni de'
malevoli ed invidiofi artefici, che a grand*onta fi recava-
,.i, 1......... _ no la virtù d'un uomoforeftiero, come egli era, deliberà
quindi partirli, e portarti a Spoleto: e accafatovifi onoratamente, fu an-
che aggregato alla cittadinanza di quella città; e non tanto in efla, quan-
to in molte altre dell' Umbria, lafciò memorie della virtù fua. Per la Chie-
fa di Cotto di San Francefco in Afcefi, dipinfe la tavola di Santa Caterina ,■
ad ifìanza del Cardinale EgidiaSpagnuolo: ed una pure ne colori in San
Damiano. Nella Chiefa di Santa Maria degli Angeli, nella Cappella pic-
cola» in luogo, dove feguì la preziofa morte del Patriarca San Francefco,
dipinfe alcuni Compagni di etlo Santo, con altri Santi in mezza figura,
attorno ad un'immagine di rilievo di eflo San Francefco, i quali colori
con molto buon gulìo.
GIOVANNI NANI DA UDINE
CITTA* DEL FRIULI
P IT TORE
Difeepoh di Raffaello da Urbino, nato 1494. # 15<?4*
ilovanni Nani da Udine, nella fua puerizia, fu portato vee-
: mencemente da due inclinazioni: una delle quali fu il pia-
cere della caccia d' ogni forra d1 animali volatili e terrettri;
e l'altra dell'arte del difegno. Laonde accoppiando infieme
1' uno e 1* altro genio, fino da quella tenera età, ritraeva a
maraviglia i quadrupedi e gli uccelli. Laquai cofa oflervata
dal padre, promettendofi, ficcome poi feguì, che'l figliuolo fofle per far
gran profitto nella pittura, fentitalafama, che in Venezia e fuori correva
• 1 , "'
                                                                                     di Gior-
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G10 PAN NI NANI, a79
di;GiorgIone, colà 1» inviò, t trovò modo di porlo air arte, fotto la fifa
difeiplinà: e datovi per breve tempo, pe* buoni uficj e protezione del-
l'eruditifllmo Baldaffarri Caftiglione, Segretario del Duca di Mantova, e
ftretto amico di Raffaello da Urbino, fu levato da quella feuola, e con-
dotto a Roma, fu mefib in quella del medefimo Raffaella. Quivi in Dre.
ve tempo acquiftò tanto, «he fra la gran comitiva d'altri giovani, che
vi itavano apprendendo l'arte, niuno ve n'era, eheglifofle fuperiore.* e
fra l'altre fueabilitadi, feguitandó l'antico genio, dipignevasibene ogni
forta d* uccelli, che in poco tempo ne conduflè un libro intero, così bel-
lo, e con tal varietà d'animali,che fu poi 1- unico fpafTo e trattenimento
del medefimo Raffaello fuo maeftro. Occòrfe in quefto mentre, che nel
cavarli in Roma , fra le rovine del Palazzo di Tito, furono ritrovate al-
cune antichifiìme abitazioni rimafe fotto terra, tutte dipinte con diverfi
capricci di figure, animali, ftoriette, e campi, framezzate di vaghi orna-
menti di ftucchi baffi! e furon quelle, che da' fotterranei o grotte, dove
fi ritrovarono, diedero il nome a quelle, che furon fatte dipoi a loro
imitazione, di Grottefche . Videle Giovanni, infieme con Raffaello, e
tanto fé ne invaghì, che difegnatele molte volte, fé ne fece pratichiflìmo
maeftro, e dipoi le colori con sì bella e varia invenzione, che non ebbo
pari ; ed inoltre tanto s'adoperò coli' ingegno, che gli venne fatto di ri-
trovare il modo di comporre gli ftucchi bianchi, per adornamento delle
medefime, a fimilitudine degli antichi, feopertifi in quelle rovine, come
detto abbiamo . Di quelle cole lì fervi Giovanni, per ordine di Raffaello,
nelle volte delle Logge al Palazzo Papale; dove anche dipinfe le ftupende
grottefche, con ogni forta di animali, frutte, fiori, e d'altre bizzarrie,
che vi fi videro, con maraviglia di tutta Roma» Dalia vaghezza e novità
di queft' opere, ebbe principio il dipignèrfi a grottefche, che per mezzo tefchevi-
di cololrò, che Giovanni allora tenne in fuo ajuto, fi fpàrfe per tutto il J.™vioale
mondo, Dipìnfe ancora in molti altri luoghi in efia cicca di Roma , e mJ^m.
fece molti cartoni per arazzi e grottefche, teffuti poi in Fiandra, i quali
fervirono per le prime danze del Conciftoro. Lavorò *di ftucchi la facciata
di Giovambatifta dall'Aquila da Piazza San Pietro , e la Loggia della Vi-
gna di Giulio, Cardinal de* Medici, fotto Monte Mario. Mandato da
Raffaello a Firenze, ad iftanza dello fteftb Giulio, allora Clemente VII.
fece nella Sagreftìa nuova di San Lorenzo, gli ornamenti della Tribuna,
cioè alcuni quadri sfondati, che appoco appoco diminuirono vérfo il pun-
to di olezzo, dove fi veggono mafehere, fogliami, rofoni e altri orna-
ménti di Ciucco beliiffimi. In Firenze abbiamo di fua mano lo ftendardo,
coli' immagine del gloriola Sanf Antonino Arcivescovo, che tino al pre-
fente fi conferva nella Chiefa di San Marco de* Frati Predicatori, manda-
tovi per la Canonizazione di eflb Santo, Fu Giovanni uomo di fmgolar
bontà e molto timorato di Dio. Ebbe, come è detto, grande inclina-
zione alla caccia de' volatili, nella quale riufeiva a maraviglia, per la fi-
curezza ch'egli aveva nel tirar colla baleftra e coH'archibulo, Ed è fama
ancora, che egli foffe 1* inventore del bue di tela, dipinto, che ferve di
coperta a'tiratori, per non eflere » uel tirare che fanno, dalle fiere veduti.
S 4                               Molti
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2.8t> Decennale Ut del Secolo IV. dal i $zò. al153 o.
Molte altre opere fece Giovanni, che al noftro (olito fi tralafciano per
brevità; e giunto finalmente all'età di fettant*anni, l'anno 1504. le ne
pafsò al Cielo.
GIO. MARIA CHIODAROLO
PITTORE BOLOGNESE
^Dì/cepolo di Francefio Francia, Fioriva circa al 1500.
i-..''■>
I un altro dilcepolo di Francefco Francia fa menzione il
Baldi. Quefti fu Gio. Maria Chiodarolo, il quale, fecondo
il Bumaldo, fu anche Scultore, e lavorò intorno all'Arca
di San Domenico, nella città di Bologna. Ajutò al mae-
ftro, al Cofta, ed all'Afpertini, nella Chiefa di Santa Cecilia,
nelle ftorie della Vita di quella Santa : e diconfi ancora, che follerò 4i
fua mano le pitture nel Palazzo della Viola fotto le Logge.
tm
GIROLAMO DA CODIGNUOLA
PITTORE
#
Difiepolo di Raffaello da Urbino, fioriva nel 1520.
* 1
Uefto Pittore fece molti ritratti al naturale d' uomini An-
golari de'fuoi tempi, in Roma, in Bologna ed in altre
altre, fra'quali quello di Giulio IH. di Monsignor di
Pois, morto nella città di Ravenna, e di Maffiiniiiano
Sforza. Dipinfe con maeftro Biagio Bolog-nefe, tutta la
Chiefa di San Michele in Bofco , nella quale fece elfo
una tavola,- che fu polla alla Cappella di San Benedetto.
Dipoi colori moke cofe nella Cappella di mezzo della
Chiefa di Santa Maria Maggiore ; e nella Chiefa di San Giufeppe de'Servi
fuori di Bologna , dipinfe la tavola dell'Aitar maggiore, dove figurò lo
Spolalizio di elfo Santo, con Maria fempre Vergine. In Santa Colomba
di Rimini, a concorrenza di Benedetto da Ferrara e di Lattanzio., colorì
una
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GIROLAMO DA CODIGNUOLA. 281
una tavola di Santa Lucia; e nella tribuna maggiore dipintela Coronazfo-
ne della Madonna, i dodici ApoLtoli, e' quattro Evangehih. fo^atofi a
Napoli, fece in Monte Oliveto la tavola de* Magi, nella Cappella di Mon-
fignor Vefcovo Aniello, e in Sant' Aniello un' altra fimile , con Maria
Vergine, San Paolo e San Giovambatifta :. e nella medefima citta lece
molti ritratti al naturale. Aveva quello pittore, già pervenuto ali età di
feflàntanove anni, co' fuoi lavori, e coli' ajuto di un parco e auftero
vivere, mena infiemebuona lbmtna di danari, co'quali tornatoli a Roma»
fu da alcuni fuoi finti amici, o vogliami dire veri mmici, configliato, pec
tuftoriia di quella fua cadente età, a pigliar moglie. Fecelo l'impruden-
te vecchio; ma uva 1* ebbe appena condotta-a cafa, che fi avvide, come
ne lafciò fcricto il Vafari, effergli flato pofta accanto per ifpofa una vitu-'
perofa meretrice, per opera e comodo di coloro, che avevano manipolato
V impiaftro ; di che accortoli il povero uomo, s'accorò canto, che in bre-
vi giorni di dolore fi morì.
POLIDORO CALCARA
DA CARAVAGGIO
E MATURINO FIORENTINO
PITTORI
Difcepoli dì Raffaello da Urbino, fiorivano nel 1525.
ON mandò mai la Natura al mondo alcun lume di prima
grandezza in qualfifotìe o arte o feienza, che efla non in-
tenderle, per mezzo di quello, partorire altri iplendori,
in gran numero, per ifgombrare da'fecoli prefenti e da*
futuri ancora, le caligini dell'ignoranza, e fargli godere
della luce, che feco portano le operazioni lodevoli degli
uomini virtuofi; onde non è maraviglia, che al rifplender
che fece in Roma, in tutta Italia e fuori, il valore nell'arte della Pittura
del g'-an.Raffaello da Urbino, bea pretto fi vedeflcro forgere tanti e così
eccellenti artefici, che ben fi potea dire avventurato, non folo quel feco-
lo e quito ordente, ma altri an:ora, a'quali, per l'avvenire, la fpietata
tirannia del tempo, non toglierà così pretto l'effer partecipi delle fingo-
lariflime opere loro. Uno di quefti per certo fu il celebrauffimo Puhdoro
r
                                                                                daCa-
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ì$2 Decennàlèttl. del Secolo 1E dal 1520. k/153 o.
dà Caravaggio di Lombardia, che fi può dire, che fino dal ventre della
madre portafle col genio T abilità," e {letti per dire, in queuVarte là mae-
ftrià medefima. Chiedi, nato di umiliflimi;parenti, afìretto da povertà,
fu neceffitato ad efercitare fino all'età di; diciotto anni il meftieré del ma-
novale, in quel tempo appunto, che in Roma la Tempre gloriofa memo-
ria di Leo'lì X. faceva fabbricare le Logge. Nel eóminciarfi p.oi quelle a di-
pignére da Giovarìni da Udine e dagli altri, lòtto la fcorta di Raffaello,
il giovanetto fòrte portato da natura, non potè eontènerfi di non dar fuo-
ri il gtah genio, ch'egli aveva a quell'arte; e fatta amicizia con tutti què*
pittóri, è più che ogni altro, con Maturino Fiorentinot tanto s'avanzò
nell'intelligenza degli ottimi precetti di quel/a» cji£ in pochi mefi diede
di fé ftéflb non orditiàtio ftuporè , e in difegno e in invenzione avanzò
tutti gli altri giovani di quella fcubla. Era però il colorito, tanto del Ca-
ravaggio , quanto dèli* infepanbile fuo compagno e imitatore Mat?r$ho,
non tanto vivace ed allegro, quanto quello degli altri lóro condifcepoii ;
alla qual cofa avendo P uno e V altro fatta refieflìone, e oflervato, che
Baldaflàrri da Siena aveva dipinte alcune facciate di cafe a chiarofcuro,
deliberarono (pigliando ftrada più corta) lafciar le difhcukà del colorito,
e attenerli con grande CUidio a tutte l'altre parti della pittura, col rap-
prefentar femprè l'òjpere loro foiamente in chiarifcuri. Fatta quella de-
liberazione, fecero quelli due una così ftretta comunione e di volontà, e
d* opere e d'avere, che fé non fofle (lato poi il facco di Roma, non avreb-
be avuto forza per dividerla, altri che la fletta morte. La prima opera che
faceflero, fu una facciata, in efla città di Roma, a Monte Cavallo, rim-
petto a San Silveftro, nella quale furono ajutati da Pellegrin jia Jvlodana»
che era aliai avanzato nella pratica, e diede loro grande animò. Un'altra
ne fecero rimpetto alla porta del fianco di San Salvadore in Lauro, Di-
pinfero una fto ria dalla porta del fianco della Minerva, e una facciata a Ri-
petta fopra Santo Rocco, dove feciono vedere una quantità di moftri ma-
rini , lavorati con grande artificio. Dieronfì poi a Itudiare l* antichità di
Roma, che non reftò cofa o fana o rotta eh'efla fi fofle, che e* non dife-
gnaflero; donde cavarono l'ottima maniera ed invenzione de'chiarifcuri,
che fecero poi , come può dafcuno riconofcere dall' opere medefìme.
Fecero fulla Piazza di Capranica una facciata colle Virtù Teologali, e un
bel fregio fotto le fineftre, con altri vaghi componimenti, In Borgo nuo-
vo dipinfero una facciata a fgraffio: un' altra fui canto della Pace ; una
nella cafa degli Spinoli verfo Parione; una del trionfo di Cammillo, con
un'antico facrifìcio vicino a Torre di Nona. Verfo Sant' Angelo una bej-
lifiima facciata colla ftoria diPerillo, meflò nel Torodibronzo, da fé in-
ventato; fecero in una cafa della ftrada, che va all'immmagine di Ponte;
un'altra alla Piazza della Dogana, allato a Santo Euftachio, con belliflìrae
battaglie: e in fomma tante e tante ne dipinfero, che troppo lungo fareb-
be il defcriverle. Lavorarono nel giardino di Stefano del Bufolo, ftorie del
Fonte di Parnafor ed in altre cafe di nobili perfone , fecero infinite pit-
ture di camere, e fregi afrefco e a tempera; tantoché fi può dire, in un
certo modo* che non rimanerle in Roma cafa, vigna* o giardino, dove
quefti
:....'■..
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PULIDORO CALDARA. \ 283
quelli due gran maeftri non facefTero opere, Occorfe intanto lo ftrano
cafo del Sacco di Roma 1' anno 1527. onde rifuggitoti ognuno, chi qua e
chi là, Maturino ancor* egli fi fuggì, e poco dopo, a cagione, come li
crede, de* gran difagi patiti in quelle comuni miferie, fopraggiunto da
morbo peflilenziale, nella fletta città di Roma finì i giorni fuoi, ed ia
Santo Euftachio fu fepolto. Pulidoro fi portò a Napoli, dove pel poco
gufto, ch'ei trovò in quella gente, delle cofe di difegno e di pittura , a
principio, poco ne mancò, che non fi ; raoriffe di fame, eflendofi fino
condotto a lavorare a giornate con certi pittori ; pe'quali fece di fua ma-
no, in Santa Maria della Grazia, nella Cappella maggiore, un San Pietro:
e per un Conte dipinfe una volta a tempera, una facciata, un cortile e
logge, che tutte riufeirono opere maravigliofe. In Sant' Angelo, aliato
alla Pefcheria, fece alcuni quadri ed una tavola a olio. Ma vedendo fi-
nalmente non efler'egli, e la propria virtù in quella città più che tanto
ricevuta e fumata, fé n? andò a Meffina, dove gli fu dato molto da ope-
rare a olio, e fece gli archi trionfali, coll'occafione della parlata di .Carlo V.
dairimprefa diTunis, e molte altre pitture, Defìderava egli vivamente
di tornarcene a Roma, ritenuto da tal refoluzione folamente da una jìoiv
na, che egli troppo teneramente amava. Ma in fine prevalendo in lui
l'amordi Roma all'amor dell'amata, rotto ogni laccio, deliberò di colà por-
tarli ; ma non già gli riufd il veder Roma, perchè fu fopraggiunto da una
morte miferabile, le crediamo a quanto ne fertile il Vafari, colle feguenti
parole j
          ,':.-» -<n m-;ji C u,                         -.hvì 1
Levò dal Banco una buona quantità di danari, cP egli aveva, trifilato
ai tutto fi partì
. Aveva Pulidoro tenuto molto tempo un garzone di quelpaefe*
il quale portava maggiore amore a1 danari di Pulidoro vxb€ alai
; ma per aver-
gli così fui Banco* non potè mai porvi fu le munii e con effi .partìrfi ; per lo cha
Caduto'in un penfiéro malvagia £crudele
y deliberò la notte fegueme, mentre
the dormiva, con alcuni fuéi Congiurati amici dargli la morte, e poi partire
i danari fra loro
< £ così fui primo forno ajfalkolo » mentre dormiva forte * fj&r
tato da coloro, con una fa/eia kfirangoiò, e poi datogli alcune ferite, lo la*
feiarono morto; e per mojlrar che effi non l* avejfero fatto
» lo portarono fu la
porta della dotìna da Polidoro amata, fingendo
> che 6 iparenti 0 altri, in cafa
P ave fiero ammazzato . Diede dunque il garzone buona parte di danari a que'
ribaldi
, che sì brutto ee ceffo avevan Commefloy e quindi fattigli partire, la
mattina piangendo
. andò a cafa un Conte , amko deliftaeflto morto ì majpér- di-
ligenza > che fi face (fé in cercar molti dì chi avejje cotal tradimento commejfo
,
non venne alcuna cofa alla luce. Ma pure, come Dio volle, avendo la natura e
la virtù a fdegno d'efier per mano delia fortuna percojfe, fecero a uno, che in-
tere jfo non ci aveva, dire, che impojfibile era, che altri
, che tal garzone V aveffh
Raffinato
. Perlo che il Conte gli fece porre le mani addojfo : e aUa tortura mef.
folo, fenza che altro martirio gli de fero, confefsoil delitto, e fu dalla giu/lizia
condannato alle forche, ma prima con tanaglie infocate, per la ftrada, tormen-
tato, e ultimamente fquartato * Otta non per queflo tornò la vita a Pulidoro
,
ne alla pittura fi refe queW ingegno pellegrina e veloce, che per tanti fecoli non
era più Hata al mondo ; per lo che
, fé allora chi morì, avejfe potuto morire
con lui
\
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|Ì4 Decennale HI. del SecoloIV, dal 1520; al\$$o.
con lui, farebbe morta l'invenzione,, la grazia e la bravura nelle figure, delfar-
te> felicità delia natura e della virtù, nel formare in un corpo così nobile J^i-
rito* e invidia & odio crudele di così ffrana morte nel fato e nella fortuna fua:
la quale * febbene gli tolfe la vita, non gli torta per alcun tempo il nome.
Furono fatte l'esequie fue folennijfime
, e con doglia infinita di tutta {Meffina >
€ nella Cbiefa Cattedrale datogli fepoltura l'annoi$4-1*
Tale dunque fu 1' infelice fine di quelli due grandi artefici, i quali,
per la gran virtù loro, meritano di rimaner per feropre nella memoria de-
gli uomini. Furono Pulidoro e Maturino braviflimi neh"operare» come
ben inoltrano le loro pitture : e quantunque Maturino non folle così effi-
cacemente portato dal genio e dalla naturatile cofe dell' arte, quanto Pu-
lidoro; contuttociò, e colla pazienza e col lungo ftudio, e coli' imita-
zione dell'opere del compagno, fi portò sì bene, che l'uno e l'altro in-
ficine, condurlero fempre le cofe loro, fenzachè apparifiè fra effe differen-
za alcuna. Furono! primi, che pel grande ftudio fatto fopra tutto Iden-
tico-, arrivaflero ad efprimere eccellentemente gli abiti, le tìfonomie, i là-
crificj, i vafi, V armi, ed ogni altro ftrumento facro o profano, ferven-
doli di elfi con sì efatta offervanza degli antichi coftumi, che hanno dato
gran gufto » ed anche qualche lume agli eruditi. Il tutto poi fi vede accom-
pagnato con invenzione, varietà, nobiltà e difegno tanto eccellente, che
già quafi in duefecoii trafcorfi, non fi fono vedute pitture in Roma* che
fieno fiate e fieno tuttavia tanto ftudiate de ogni nazione, quanto quelle
di coftoro, che véramente hanno moftrato agli amatori dell' arte , il mo-
do di farli univerfali in ogni forte di lavoro? e ne vanno attorno infinite
copie in iftampa» (Quella loro eccellenza però fu intorno a' chiarifcuri,
bronzi e terretta ; perchè nel colorito valfero tanto poco, che, quel che
fi vede in Roma di loro mano, che fono alcune poche cofe, non punto
gli diftingue da ogni altro pittore> Ben' è vero, che Pulidoro, pel temr
pò , eh' ei vifle in Medina, ebbe tante occafioni di dipignere a olio figu-
re colorite, che nell'ultimo della vita fua, avendovi già acquiftata buo-
na pratica , vi fece opere lodevoli: e fra 1' altre fu filmata bellifliraa e
di vago colorito, una tavola di un Crifto portante la Croce, ognun gran
numero di figure, appropriate allàitoria, che fu l'ultima opera, che vi
facefle; perchè poco dopo egli, pergiufto e occulto giudizio a Iddio» fece
V infelice morte, che fopra abbiamo raccontato,
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PITTORE F10 R E N TI NO
jDifcepolo di Gio. Antonio Sogliani, fioriva circa il 1530,
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Uefto Pittore fece moke opere per tutta la città di
J| Firenze, e come quello, che copiava bene, anche
in ciò fu adoperato ;■ Aveva Andrea del Sarto di-
pinta per Tuo diporto una bellifllma tefta del Salva-
tore, fimile a quella, che pur di fua mano fi vede
fopra l'Altare della Santiffima Nunziata, febbene
non tanto finita . Quefta tefta venuta in mano di
Don Antonio da Pila, Monaco degli Angeli, che
fu molto amatore de'virtuali, la fidò in mano di
Zanobi, acciocché una copia ne facetTe per Barto-
lommeo Gondi, che molto la defiderava-, ma o perchè il Poggino ne co-
pialle più d'una, o come fi Gaffe* andò sVfattamente la cofa» che dopo
averne
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$8jS Decennale IV delSecololK dah^o. 0/1540.
averne fi Pigino fajcta \f&>$&^Mbho C^ ne yiéera molte altre $er la
cittì diFirenze■', lei^ali |fèrò furono, e ^Cterltì^gijs^^ri^PWJone.
mia»........#!■»—iwii'inn" " ni ' 1...... nan—m ' 1 i.....1 iV»wW»iir>»iiSiM»*«*>*»*^»»t 1 ii          in. il 1 11 ili«t^wmH^ìm»«MMMMaHimnMaC»
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Di/c^ùlo di Libérale Veronefe > fioriva circa ti 1532.
,,;t »'; V ',,.1 '.J f "■ *:' ì i r                  ,;* >
Eguìtò la maniera dì Gio. Francefco Caroti fuo fratello,
JyDipìnfe nella; Cliìefa di San Bartolommeo di Verona,
alcune Sante: in San Giovanni, prefTo al Duomo, in
^ Jqhà tavola piccola un San Martino. Fece il ritratto di
% Marc!, Antonio déila^Torre Pittore, ed altri ritratti di
naturale. Difegnò le piante dell' anticaglie di Verona,
gli >Archi trionfali e il Gòloffeo, che furon ripofte nel
libro dell'Antichità di Verona* dato alle ftampe da Torello Saraina, e
fu uno de' raatftri del lamofiflimo Paol Veronefe.
j,i,/kli>.:,*, ,>■■-„ ./. k!.
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P IT T O RE VERONESE
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Dìfcepdo di Liberale Veronefe 9 fioriva nel 1536.
Quello Pittore, nella fua fanciullezza, fu dato qualche prin-
cipio nelF arte, nella città di Venezia, da Giorgione; ma
perchè fino da quell'età ebbe égli uno fpirito fiero, e molto
dedito alle riffe, avendo contefa in Venezia con una tal
perfona» malamente la percoiTe» onde gli bìfognò, lafciatt
tli fludj del difegno, a Verona tornarfene, dove, per la
pratica, ehe'aveVa in maneggiare tìgnì fotta d'armi, e per le fue per altro
avvenenti maniere» fu talmente accarezzato da que'Nobili, che facevano
- ssìì
                                                                                 a gara
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FRANCESCO TORBIDO.* zij
«gara per chi lo potefTe avere in converfazione, ch$ dato bando al dife*
gno ed alla pittura, in breve fi ridufle in iftato, come fé mai difegntxo
non aveffe. Poi, a perfuafione de* medefimi, rimeflbfi all' arte, fotto gli
ammaeftramenti di Liberale, in breve, perla vivezza del fuo ingegno,
non folo rifarcì il perduto, ma divenne valente pittore. Tenne Sempre
la maniera del fuo maeftro Liberale, non lanciando però nel colorire sfu-
mato, che faceva, d'accoftarii al modo di fare di Giorgione. Dipittfe a
frefco in Verona la Cappella maggiore del Duomo e la volta, con dife*
gno di Giulio Romano, perchè così volle il VefcovoGio. Matteo Giberti»
che tale opera fece fare, ed in effa dipinfe ftorie di Maria Vergine," Operò
in Santa Maria in Organo, in Santa Eufemia ed altrove. Colorì la facciata
della cafa de* Manuelli dal Ponte nuovo, e di Torello Saraina, che fece il
libro dell'Antichità di Verona; e fìmilmente in Frioli la Cappella mag-
giore della Badia di Rotazzo? e operò in Venezia. Fu ottimo coloritore
e diligentìffimo, e perciò molto lungo nell' operare. Non lafciò mài an-
dar lavoro, ch'èi non accettane; onde fra il molto fuo pigliar caparre
per far opere, e tardi finirle, e l'eflere alquanto manefco, ebbe che dire
Con moki di mala maniera, e fpeflò trovoflì in brighe, febbene mai non
gli mancarono gli amici in gran copia, e uomini di tutta (Urna per lette-
re e per nobiltà, fino alla Tua morte, che gli fegui in età molto grave,
nella città di Verona, nelle cafe de'Conti Giudi, che fino da'primi fuoi
anni avevanlo amato e favorito.
v\; , ..■'...; ;j , ir; . ;
ANDREA FELTRINI
PITTORE FIORENTIO          !
detto ANDREA DI COSIMO
Difcepolo di Cofimo Rojjelli, fioriva w/1538. ,
OPO, che il Morco da Feltro Pittore, ebbe f^tti grandi
ftudj per I' anticaglie e grotte della città di Roma , per
fegnalarfi, come fece, nel bel modo di di pigne re grot-
tesche, vennefene a Firenze. Ricevertelo nella propria
fua cala Andrea Feltrini,che fino allora, fotto la difci-
plina di Coiimo Roifelli, aveva attefo alla pittura, ed
a lungo andare avendo oflervata la bizzarra e nuova ma-
niera del Morto, talmente s'invogliò di quell'arte, che a quella in tutto
e per tutto fi diede; onde in breve tempo, non folo operò ottimamente
di grot-
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*8$ DeahnkleIK d0i$mh\ÌK:Mx,5l®r al154°-
di grotceiche ; maLquelle arricci di molte e belle invenzioni, Incomh>
ciò a fai*, le fregiature maggiori pivi copiofe e piene, di maniera al tutto
diverta :dall*- antica, < accompagnandole con figure. Inventò caprìcciofo
modo didipignere le facciate delle cafe, che oggi fi dice a fgrafho, quale
io non fafiei meglio deferì vere-, che colle proprie parole del Vafari,;: dice;
egli dunque,. <&o$miCaniiwiMa dar princìpio di far ìe facciate delle cafe e
palazzi iteli' intonacato della calcina » mefcokta con nero di carbonpeflo? ovve*.
ro paglia abbruciata
s chequi /apra quefto intonacato frefeo dandovi di bianco,,
^disegnatele grottefche con quei par tintemi
» eh' et voleva > fopra alcuni xar-
toni, spolverandogli (opra P intonaco y veniva con un ferro a graffiar fopra
quello t talmen teche quelle facciate venivano dìfegnat e tutte da quel ferro, e poi
rafehiato il bianco de'campi di quefte grotte/che, che rimaneva feuro, le ve**
nìva ombrartela»,er colferro medefima. tratteggiando con buon difegno, tutte
queW opera comacquerello liquido i come aequa tinta di nero andava opibrandò,
the ciò mofira una cofa bella, vaga e ricca da vedere.
Fin qui il Vafari,
Di quefto modo dipinfe egli in Firenze la facciata della cafa de'Gondi in
Borgo Ognifianti t quella deV Lanfredini lung? Arno, tra '1 Ponte a Santa
Trinità e la Càrraja verfo Santo Spirito, quella de'Sertini da San Miche-
le di piazza Padella, oggi detta degli Antinori, quella già di Bartolommeo
Panciatichi fulia piazza degli Agli, oggi de' Ricci, e la facciata dellaChiefa
della Santi (lima Nunziata foprg il primo Chioftro. Fu Andrea molto
adoperato in occafione di nozze e d'efequie, e d' ogni altra forte d* appa-
rato, e affai operò per la Sereniffima Cafa de' Medici. Sono in Firenze ,
per le cafe de' particolari, lavori infiniti di fua mano, di fregiature, fof-
fitte, caflbni, forzieri e fimili, tutti belliflimi. Fece con molta grazia,
varietà e bellezza, difegni di ogni forte di drappi e di broccati, che ag-
giunti alla nobiltà della materia ed eccellente maeftria con che fi fabbri-
carono fempre nella città di Firenze fimili cofe, riuscirono defjderatiffimi
per tutto il mondo. Fu però Andrea uomo tanto timorofo, che mai
non volle pigliar lavoro fopra di le, non ballandogli l'animo, dopo fatta
1* opera, di farli pagare, al contrario di tanti, e poi tanti, che dopo ef-
ferfì fatti pagare, mai non lavorano, e piuttolìo volle in bottega far la fecon-
da, che l'ultima figura, benché in verità nel fuo meftiere non avefie
pari. Dalla medefima cagione derivò il conofeer che fece così poco la
propria virtù,, che potendo con poca fatica farli ricco; contuttociò fian-
co Tempre al lavoro come un giumento, fecefi pagare fcarfiflìmamentc.
Fu malinconico per natura, al che aggiunta l'incettante applicazione alle
cofe dell'arte. fu più volte in pericolo di efier per forza dell» umor malin-
conico, portato a male refoluzioni dì fé, pur tuttavia volle Iddio ajutar
la bpntq. di efìo, perchè fu fempre dagli amici e compagni atMito ; finché
ridotto^ allieta di felTanjaquattrQ anni gravemente infermatofi,.fe ne pafgò
avita migliore, „v                                      ,n
-sin- y*rJitr: v .èv:*'.si =1 ti ;sjm jv&ìà oh .svs ::--*-ìv:>> te;: otri ti
ormi ni ti] .?.<,-» - *.;.* ,«f, ';'■,up ih ù::h/j--;ui'è ,i • ,mfu
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GIULIO
!'., ■ .;. »
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289
GIULIO CAPORALI
PITTORE PERUGINO
Diftepolo dì Benedetto Caporali fio Tadref fioriva ml\$\o.
A prima applicazione di Giulio fu nelP efercizio della pittura ;
ma elTendofi il padre fuo, che nella fcuoladi Pietro Perugino
fi era molto avanzato in quell'arte, dato in tutto e per tutto
all'architettura, a legno di aver dato alle ftampe un tuo Co-
mento di Vitruvio: o folle volontà del padre, o particolare
inclinazione del figliuolo # diede/i anch' eflo a limili ftudj.
""........""'             ~i----------ttìtiìiilm mi m-rmifTii - fini •........ ri ■■ ■■■ ■---------miiMi'iijiiijiuur iéiifti--------------~~"—r--.^----------t — -,---■—., ■„                    - . «,..,„ Ml„..*.., ,■■>.,-
LORENZO VECCHIETTI
SCULTORE S E NESE
Nato 1524 #• 1582.
EBE la città di Siena in quelli tempi un Lorenzo Vecchietti,
che fu Scultore, e Gettator di metalli aliai lodato. Di ma-
no di coftui è il Tabernacolo di bronzo, con ornamento di
marmo, dell' Aitar maggiore nel Duomo della ftefl'a città ;
ficcome ancora la figura del Grillo ignudo colla Croce in
mano, che è in full'Aitar maggiore dello Spedai grande.
Diede compimento al Battifterio con alcune figure, eh* e' vi lavorò con
fuo fcarpello.* ed ancora diede fine ad una (loria di metallo, che vi aveva
cominciato il celebre Scultore Donatello, accomodandovi alcune figurec-
te, ftate gettate dal medefimo, ma non ripulite. Le figure del San Piero, e
del San Paolo , che fi veggono alla Loggia degli Ufìziali in Banchi, gran-
di quanto il naturale, fon pure opera della mano di quello virtuofo arte-
fice, il quale l'anno 1582. in età dis8. anni diede fine al mortai corfo del
viver fuo,
- n
T                              FRANCE-
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'V
scjo ^Decennale IV. del Secolo 1K dal i53 o. al 1540.
F R A N C ESCO D' U B E R TIN O
detto IL BACCHIACCA
PITTORE FIORENTINO
Difcepolo di Pietro ^Perugino, morì nel1557.
OPO l'efferfi quefto Pittore bene approfittato nella fcuote
di Pietro Perugino, nell'arte della pittura, fu in Firenze
molto adoperato in ogni forte di lavoro, mercè dell'efler
egli univerfaliflìmo, ed oltre ogni credere, diligente, e
nelle figure piccole, fra i migliori, che ne' fuoi tempi
operaflero. Fu amiciffimo di Baftiano da San Gallo, Pit-
tore e Architetto, detto Andatile * e ancora di Jacone»
eccellente Pittore de'fuoi tempi, e con eflì moke cofe dipinfe. La con-
verfazione di quefto Jacone, conciofllacofachè fofife alquanto feoftumata e
plebea, non ebbe però forza tale di punto fregolare il buono e consuma-
to vivere di Francefco» il quale tenne fempre vita molto lodevole. Con-
versò con Andrea del Sarto, e ne riportò ajuti validiffimi nelle cofe del-
l'arte. Opera de' fuoi pennelli fono le ftoriette, che tuttavia fi veggiono
nella predella della tavola de' Martiri» fatta da Giovanni Sogliani già per
la Chiefa di Camaldoli di Firenze, che oggi è nella Chiefa dì San Loren-
zo * e fimìlmente le ftoriette della predella dell' Altare del Crocififlb nella
flefla Chiefa . Si trovò il Bacchiacca con gli altri eccellenti Pittori del fuo
tempo, a dipignere nella bella camera di Pier Francefco Borgherini, fpal-*
ìiere e cadimi: e nella cafa di Gio. Maria Benintendi. Fece anche molti
quadri di piccole figure a diverfi cittadini, i quali poi, come cofe prezlo-
fifiìme, gli mandarono in Francia e in Inghilterra . Volle la gloriofa me-
moria del Granduca Cofimo I. che molto lo (limava, averlo a' fuoifervizj,
in riguardo maflìmamente di un (ingoiar talento, che egli aveva di ritrarre
al vivo ogni forte di animali. Per quefto Principe dipinfe egli uno
Scrìttojo, dove fece gran quantità di uccelli ed erbe di rara qualità» con-
dotte a olio maravigliolamente, Per le tappezzerie, che queir Altezza fece
fabbricare di feta e d'oro» compofel' invenzione di tutti i mefi dell' anno,
in proporzione di piccole ligure, nelle quali fi portò così bene, che fu
creduto» che in quel fecolo, neflun* altro poteffe operar meglio. Quelle
furono mefle in opera dall' eccellente maeftro Giovanni Rodo Fiammingo.
Dipinfe a grottefche una grotta di una fontana d'acqua nel Palazzo de*
Pitti. Fece i difegni di un letto Reale, che ordinò quel Signore doverli
condurre di ricamo e perle, con tutte ftorie di piccole figure e d'animali,
da Antonio Bacchiacca, fratello del nofiro Francefco, uomo infigne in
fimil facoltà: il qual letto poi fervi per io Sposalizio del Sereniflìmo Gran-
^
                                                                                        duca
/
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.0.
FRANCESCO D' UBERTINO. a9r
duca Francefco e della Sereniflìma Giovanna d* Auftria. Quefto Antonio
fu così eccellente in quell' arte del ricamare, che non temè la dottiffima
penna diMeflerBenedetto Varchi, comporre in lode di lui un bel Sonetto,
cui mi piace recare in quefto luogo, ed è il feguente :
tAntonìo ». i tanti, così hi lavori ,
Che voflra dotta* mano, ordifee e te (fé,
Lodi v' arrecati si chiare e sìfpefe,
Che piccoli appo voi fieno $ maggiori:
Chi è, non dico» tra i più baffi cori,
Ma fra ì più alti ingegni, il qual ere de (fé ,
Che poca fesa, e pie col ferro ave fé
Agguagliato il mar tei, vinto i colori ?
Onde fuperbo e pien di gioja parmi
                                            :
L'Arno veder, che fé felice chiami,
E dica : i figli miei m* benfatto bello.
I Bronzi al gran Cellin deono: i marmi
Al Buonarruoto : al Bacchiacca i ricami:
Le pietre al Tajfo ; al Bronzino il pennello.
Vedefi il ritratto al naturale del Bacchiacca, infieme con quello di Jacopo
da Pontormo, celebre pittore, e di Giovambatifta Gello, famofo Accade-
mico Fiorentino, fatto per mano di Aguol Bronzino, nella bella tavola
degli Zanchini, dove eflo Bronzino rapprefentò la fcefa diCrifto al Lim-
bo . Molte altre opere , che per brevità fi tralaiciano, fece il Bacchiacca
fino alla fua morte, che occorfe V anno 1557.
GIROLAMO LOMBARDO o LOMBARDI
detto il FERRA RE. S E
SCULTORE E GETTATORE DI METALLI
Difcepok> d'Andrea Confutò dal M. a San/ovino, fioriva neh534.
ON manca alcun moderno Autore, che dica, che fino la
Santa memoria di Papa Giulio II. della Rovere , nutrifle/
nella fua mente un affai nobil penfiero, il quale fu d' orna-
re, con regia magnificenza, la Santa Cafa di Loreto. Noi
fappiamo però, che in vita di quel Pontefice non fu dato
à;tal penfiero adempimento, forfè perchb era rilerbata dal
cielo, un' opera sì degna e di tanto onore della gran Madre di Dio, ad
un cuore, il più generofo e magnanimo, che abbiano veduto i fecoli Cri-^
•"••-•*
                                      T 2.                                  ftiani?
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2 9 % Decennale IV. del Secolo IV. dal 15 3 o* al 1540.
ftiani t e quèfti fu la Santa memoria di Leon X. di Cafa Medici. Quello gran
Pontefice, avendo data forma al nobile concetto, con difegni e modelli
di Bramante, Architetto fingolariflimo, ordinò a'Miniftri della Santa Cafa,
il far commiflìone di bianchi, neri e mifchi marmi, d' ogni forte, a Garra*
ra, Firenze, Orvieto ed altrove. Dirozzatele pietre, furono quelle, che
potevan condurti per quella parte» ben pretto traghettate in Ancona.* e
non era ancor pallata la metà del Mele di Maggio dell' anno 1514. primo
del Pontificato di Leone, che a Loreto n'era (fata condotta una gran par-
te i onde lì fece luogo a fua Santità di provvedere a quella gran fabbrica
le necefiarie maeftranze. Di Carrara e di Fifa furon fatti comparire tren-
ta de* più pratici fcarpellini, e fermati più intagliatori; ed il tanto rinoma-
to Andrea Contucci dal Monte a Sanfavino ne fu dichiarato Capomae-
Aro e Scultore. Diede egli mano all' opera con gran premura j ma non
giunfe la vita di Leone, né tampoco quella d' Adriano, che gli fuccefle
nella fuprema dignità, al tempo, ch'ell'avefle avuto compimento. Morto
Adriano, ed afeefo al Soglio Clemente VII. s* accrebbe grandemente que-
ito nobiliflìmo lavoro, concioffiachè egli di gran proposito vi lì applico*
Già atterrato 1' antico muro erettovi da'Ricanatefi, cavate le fotte e'1
terreno per ottocento feflantafei canne Romane, tra fondo e d'attorno alla
Santa Cafa, avendo prima ben fafaate e ricince con travate fofpef© l'o-
pra terra le Sacre mura, erano fiate ben ferme e ftabilite le fondamenta ,
e già s'eran condotti a fine molti intagli d' architetture e teniture per
queir ornato; quando correndo 1' anno 1529. il Contucci venne a morte,
dopo aver condotte di fua mano molte nobilifiime opere dì fcultura, ed
altre incominciate e non finite. Stetteiì quello grande edificio fenz' alcu-
no o poco avanzamento, fino a dopo Paflèdio di Firenze; e finalmente
fu da quel Pontefice eletto in luogo d'Andrea, per primo Scultore,Nic-
colò de' Pericoli, detto il Tribolo,Fiorentino, al quale, per mezzo d'An-
ton da San Gallo, che foprantendeva a quella fabbrica , fu ordinato il
portarli a Loreto, per tirare avanti le fculture , che rimanevano a farli*
lafeiate imperfette dal Sanfovino. Invioflì egli dunque a quella volta cori
tutta la fua famigliale feco condufiè moki uomini di valore nell'arce fua.
Tali furono Simone di Francesco, detto il Molta, ottimo intagliatore di
* marmi, Raffaello Montelupo, Francefco da San Gallo, il giovane, Simo-
ne Ci'ili da Settignano, Ranieri da Pietra&nta, e Francesco del Falda; e-
con elfi, ficcome io trovo, vi fi condufle ancora un tal Domenico Lamia,
detto il Bologna, e finalmente il noftro Girolamo Lombardi, inficine con
Frate Aurelio fuo fratello. Dopo che il Tribolo vi fu fiato per qualche
tempo, nel quale aveva con maraviglio!© artificio dato fine alla bella Ila-
ria di marmo dello Sposalizio di Maria fempre Vergine, incominciata da
Andrea Contucci; ed aveva anche condotto la belliflima ftoria della Trasla-
zione della Santa Cala: e fatto più modelli di cera per dar fine a i Profeti*
che,dovevano aver luogo nelle, nicchie; fu dallo fieflb Papa Clemente or-
dinato a lui, e quali a tutti gli altri maeftri, il tornartene in fretta a Firen-
ze , per quivi, fotto la feorta del gran Michelagnolo Buonarruoti, dar
fine a tutte quelle figure, che mancavano alla Sagreftia e Librerìa di San
Lorenzo,
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GIROLAMO LOMBARDO. 293-
Lorenzo, per poter poi anche finire, col difegno dello fteflb Michelagnolo»
la facciata-, che però fu da Roma rimandato a Firenze il Buonarruoti, e {i^tnò
Fra Gio. Angiolo, acciocché gli ajutafle a lavorare i marmi, e facefle al- delia fac-
euna ftatua, fecondo l'ordine, che ne avefle avuto da lui; ed allora fu, chiedi
che eflb Fra Gio. Angiolo fece il San Cofìmo, che infieme col San Damia- s. Loten-
no del Montelupo, tiene in mezzo la ftatua di Maria Vergine col Bambi- Sa Miche-
no Gesù, incominciata da Michelagnolo, che oggi vediamo in efla Sa- l?8Jl®loIj'j
greftia di San Lorenzo; di modo tale, che per quefta nuova rifoluzione del
Ricetto del-
Papa, rimafe l'opera della Santa Cafa con poca quantità d'uomini eccel- ^tòrena
lenti ; ma non per quello fu, eh' e' non fi concinuafle tuttavia ad operare con clemente»
altri, che vi reftarono : e fra quelli fu il noftro Girolamo Lombardo,/ ftu JJJJ^'JJ!
mato un de* migliori artefici, che aveffe partorito la fcuola del Sanfovtno. /<*«*, co-
Quefti adunque, prefa abitazione in Recanati» ed accafatovifi, dalla par^ ™eìia la-
tenza del Tribolo, fino al 156®. atcefe a condurre opere per quel Santua-ffcriz/aon0er.
rio. La prima, eh'e' facefle, fu una figura d'un Profeta di br
aCCia tre e ra di ella
mezzo, in atto di federe, che eflendo riufeita una bella ftatua, fu collocata kibreria«;
m una nicchia verfo Ponente, e diedegli tanto credito, che gli furori poi
date a fare cinque figure di Profeti, e riufeirono tutte bellìflìme ftatue.
Finì la bella ftoria de' Magi, che dal Contucci fuo maeftro era ftata cornine
eiata, per collocarfi fopra quella del Prefepio e de' Paftori, non ottante
ciò, che ne dica il Serragli, che l'attribuifee al Montelupo, il quale forfè
potè eflergli flato in ajuto in quell'opera. Fece poi, fecondo ciò che
-afferma lo fteflb Serragli, il bel Lampadario, che pende dietro alla Santa
Cappella .• l'immagine di bronzo di Maria Vergine dì Loreto, che fi vede
nella facciata della Chiefa : e le quattro nobiliflìme porte della Santa Cafa,
con figure e mifterj del nuovo Testamento. Gettò ancorai due cornucopj,
per foflenere le lampane avanti all' Altare del Sagracento, e la tavola o
Menfa di marmo , dell' ifteflò Altare , co' candellieri di metallo di al-
tezza di circa a tre braccia , pel medefimo Altare, i quali adornò di fo-
gliami e figure tonde, con tant'artifizio, che fu (limata cofadi tutta ma-
raviglia. Ebbe quello Artefice un Fratello Religiofo, chiamato Frate Au-
relio. In compagnia di quello, io trovo, che Girolamo fece di metallo
un grandiflimo e belliflìmo tabernacolo per Papa Paolo III. che doveva
efler pollo nella Cappella del Palazzo Vaticano, detta la Paolina. L'An-
gelica , nelP Origine di Recanati, dice, eh' e' lo fece per Papa Pio IV. e che
queftV opera fu poi mandata nel Duomo di Milano. Carlo Torre nel fuo
Ritratto di Milano, fa menzione del gran Tabernacolo di bronzo della
Cattedral Chiefa, del quale dice fofle fabbricatore Francesco Brambilla:
e foggiugne» che nel feno di elio tabernacolo è una cuftodia in forma di.
torre, foftenuta in alto da otto Cherubini inginocchioni, e da otto An-
gioli grandi quanto il naturale, il tutto di bronzo, che fu avuta in dono da
Pio IV. Sommo Pontefice. Ed io lafcio ora ( fé pur fi tratta dello fteflb
tabernacolo ) il dar giudizio fopra tal diveriità di fentenze, a chi farà di
ciò meglio informato di quello, che io mi ila. Dice anche lo fteflb Ange-
ìita, che un fimil tabernacolo, benché non tanto grande, facefle Girola-
mo per la città di Fermo. Che poi fofle di fuo modello e getto la ftatua
T 3                                 del Car-
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294 DecennaleIV. dei Secolo W. dal 1530.^/1540.
del Cardinale Gaetano, che fi vede nella Chiefa della Santa Cafa, fu dal
citato Serragli detto con errore,- perchè tale (tatua fu fatta da Anton Cal-
cagni fuo difcepolo, e non da lui» ficcome nelle notizie della vita di efio
Antonio abbiamo ad evidenza dimoftrato. Ebbe il Lombardi quattro fi-
gliuoli , Antonio » Pietro* Paolo,e Jacopo» i quali tutti attefero alla fcuì-
tura ed al getto : e per quanto ne fcrifle il nominato Serragli, condufièra
di bronzo la porta di mezza della Chiefa della Santa Cafa, con figure e
florie de'fatti de' noftri primi Padri» eoa nobile ornato. Corre fino a*
preferiti tempi la fama, che Girolamo Lombarda foflè ì" unica cagione »
che nella città di Ricanati fi fondafle un Collegio de* Padri della Compa-
gnia di Gesù; perchè avendo avuta cognizione o forfè pratica col Padre
Santo Ignazio loro Fondatore,e con molti fuor figliuoli, ne parlava sì al-
tamente, che moffe i Ricanatcfi a far tale rifoi azione », a benefizio della pa-
tria loro*.
BERNARDINO GATTI
DETTO IL SO J A R O
PITTORE CREMONESE
^Difcepolo del Coreggtof morì 1 57 yr
Ernardina Gatti, detto it Sojarov ornamento della città: di
Cremona fùa patria ( non oftante, che altri abbia detto, che
foffe da Vercelli) ebbe i fuoi principi nel!5afte dal Covra-
no pittore Antonio Allegri da Coreggio t e come quelli »,
che fu da natura provveduto d'un'ottimo giudizio, per co^
nofeere ed eleggere ferapre il migliore, e d'una mano attilli-
ma a conformarfi colle più difficili maniere de' maefiri eccellenti, tanta
apprefe i precetti di quel gran lume dell'arte, che finalmente riufcl uno
de' migliori artefici della terza fcuola di Lombardia * Tenne una maniera
di gran gufto , di forza e rilievo , e molto finita;& difegnò così bene , aé
imitazione del rnaeftro, che alcuni iuoà difegni fi fon talvolta cambiati
con quelli del Coreggio. Fece opere intigni a olio e a frefeo, e in gran
quantità , avendo egli avuta vita iunghifiìma. Sue pitture fono fiate por-
tate per tutta Europa, e particolarmente in Ifpagna e in Francia, oltre alle
innumerabili, che fi vedono per la Lombardia; e volendo io ora dar no-
tizia alcune » incomincerò da quelle, che egli fece nella fua patria Cre-
mona , le quali veramente meritano ogni lode, In San Pietro de' Canonici
Regolari
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..;.;-,; ZE'RNA'RDINO GATTI.X: 29;
Regolati Lateranenfi, nel Refettorio, è una grande ftoria a frefco delffli-
racolo di Crifto del (aliare le turbe : e nella Chiefa de* medefimi la tavola
dell'Aitar maggiore, In San Sigifmondo, fuori di Cremona, nella volta,
è una bella ftoria dell'Afcenfìone di Crifto. yedefi anche nel Duomo, fra
l'altre ftorie della Paflìone, fatte da dìverfi eccellenti maeftri, una pure
di fua mano, quantunque di maniera alquanto diverfa dalla tua confueta.
Nella Chiefa di S.Pietro dipinfe la tavola dell'Aitar maggiore, colla ftoria del*
la Natività di Crifto, opera, che rifplende frale fue migliori. In San Do-
menico mandò una fua tavola d' un Crifto morto, fatto di gran forza.
Nella Chiefa de*Monaci di San Girolamo, fuori di Cremona, nella tavo-
la della prima Cappella a man deftra, rapprefentò la Vergine Annunziata.
Nella città di Piacenza, nella Chiefa della Madonna di Campagna, rim-
petto alla Cappella di S. Agoftino, dipinta dal Pordenone, è di fua mano un
San Giorgio armato, che dagl' intendenti fi ftima la migliore opera, che
egli facefle mai: ficcarne ancora fono opera del fuo pennello f altre pit-
ture de* fatti di Maria Vergine, ftate iafeiate imperfette dal Pordenone,
co i dodici Apoftoli, i quattro Evangelici, e diverfe figure d'Angeli.
E*quell'opera onorata da' profetfòri dell'arte , con quefta lode, d' eflferfi
egli nella medeiima laputo così bene conformare al modo del Porcino?
ne, che vi lavorò alcuni Profeti e Sibille, con certi putti, che il tutto
pare eflere ftato fatto da una fola mano. In San Franeeieo della fteffa città
ammirali la beli' opera del Crifto flagellato alla Colonna ; e in San £ Anna
due grandi ftorie della vita e fatti di Gesù Crifto. In Vigevano furono
rmandate alcune piccole tavole di fua mano, molto belle. Dopo, che il
Sojaro ebbe aliai operato nella patria e per le città vicine, fé n' andò a
Parma , dove fece lavori ftupendi, In Sant'Agata è una fua tavola. Nella
Madonna della Sceccata finì la nicchia e l'arco, reltato imperfetto per
la feguita morte di Michelagnolo Senefe;epoi mede mano alla grand'olie-
ra della Tribuna maggiore, che è in mezzo a detta Chiefa, dove dipinfe a
frefco r A (funzione di Maria Vergine, e fecevi altre opere di grande ftima.
Morì finalmente Bernardino l'annodi noftrafalutei575. iafeiando imper-
fetta una delle più belle pitture, che ufeiffero dal fuo pennello. Tale fu una
tavola a olio nel Coro del Duomo di Cremona, alta cinquanta palmi .do-
ve efprelTe l'Aflunzione in Cielo di Maria Vergine, con gli Apofloli, la
quale , così abbozzata eom'eU'è, è cofa maravigliofìflìma a vedere. Ebbe
quello pittore molti difcepoli, uno de1 quali fu lo Sprangher Fiammingo,
come abbiam detto nelle notizie di lui. Ancora fu fuo discepolo un fuo
nipote, chiamato Gervafia Gatti, che fece molte opere aiTài bene intefe,*
ma non già del gufto e perfezione di quelle del zio. Ebbe genio particolare
a i ritratti,, de i quali fece mokiffimi, e affai fomiglianti ; né fu quali Prin-
cipe , o altro titolato di quelle parti, che non folle da lui dipinto. Di mano
eli coftui è una tavola in Sant'Agata di Cremona; e fua ancora è la tavola
dell'Aitar maggiore de'Gefuiti. Un fuo quadro fu polio nel Coro della
Chiefa di San Niccolò, altri nel Coro della Ghiefa di Santa Elena, e di
quella di San Lorenzo, in San Ffancefco, in San Girolamo fuor di Cre-
mona e altrove. Fioriva quell'artefice del 1570,
T 4                               GIULIO
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z<)6 Decennale IK del Secolo IV. daV\ 530. al 1540.
Gì U L I OC AMPI
l           PITTORE CREMONESE
Tììfeepolo di Giulio Romano, fioriva nel 1540.
Iulio Campi, ornamento e fplendore della terza fcuola di
Lombardia , fu figliuolo di Galeazzo Campi, pittore ne0
fuoi tempi affai lodato , dal quale imparò i princìpj dell'arte *
Accenna il Vafari in alcune poche righe, che egli feri (Te di
lui, che egli fi attenere alla maniera del Sojaro, come mi-
gliore di quella di Galeazzo .• e ftudiaffe alcune tele, ftate di-
pinte in Roma da Francefco Salviati, per fare arazzi, che dovevano man^
darfi a Piacenza al Duca Pier Luigi Farnefe. Antonio Campi, fratello di
Giulio e fuo difcepolo, e per conseguenza meglio informato del Vafari,
nella fua Cronaca afferma , ch'egli imparale 1' arte da Giulio Romano.* e
quello dobbiamo credere elfer la verità, benché poffa eflere anche molto
vero, che egli dal padre aveffe i princìpj. Soggiugne il Vaiari, che egli
ajutafle a Giulio nelle grandi opere nella città di Mantova, il che pure è
aflai probabile, perchè fi vedono alcune pitture del Campi, fatte col ga-
llo d; quel maeftro. Dicefi, che le prime opere, che faceflè Giulio l'opra
di fé, folTero alcune grand' iftorie nel Coro della Chiefa di Sant' Agata
Cremona fua patria, nelle quali rapprefentò il martirio di quella Santa »
in cui fi vede imitato grandemente il buon modo di dar tondezza alle figu-
re, che tenne il Pordenone: è ancora in quefta Chiefa una fua tavola a,
olio; e ancor giovane colorì tutta la Chiefa del Carmine fuori di Sonzino,
terra del Crernonefe . Dipinfe in Santa Margherita norie a frefeo della
Vita di noftro Signor Gesù Crifto, nelle quali, com'io diceva, fi feorge
un non fo che della maniera di Giulio Romano. Colorì poi più facciate
di cafe, irfieme con Antonio e Vincenzio fuoifratelli minori. Fece alcuni
quadri a olio, a' quali, con altri di Bernardino Campi, fu dato luogo in
certi fpartimenti di Mucchi medi a oro, nel Duomo nella Cappella del San-
tiffimo, e una tela a tempera colla ftoria di Affilerò, che fervi per coperta
dell' Organo ; ficcome ancora fece la pittura a olio deli* Altare di San Mi-
chele Arcangelo. Vedefi una fua tavola in San Domenico; altre fue ope-
re in Sant' Agoiìino, Chiefa degli Eremitani, ed in San Francefco. due
tavole in San Lazzaro, luogo di fua fepolcura, come diremo; una tavola
in Sant'Angelo, e due belliffìme in Sant'Apollinare Fuori della città di
Cremona circa un miglio, è un Monastero, già de'Monaci di San Girolamo,
.Religione oggieftinta: la Chiefa è d' una fola navata, con cappelle sfon-
date, con atrio , cupola e tribuna, il tutto fu dipinto per mano di tre
artefici,che furono ftimati i migliori, che aveffe in quei tempi quella città,
cioè Cammillo Beccaccino, Bernardino, e '1 noftro Giulio, il quale vi fece
I.
                                                                                   la tavola
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/
r ^ G / UL10 CAMPI.            197
la tavola dell' Aitar maggiore a olio, opera degniflìma, per la gran copia di
figure, e per altre fue nobili qualità .* ed al parere de'periti nell'arte» non
è inferiore a molte di mano degli ottimi maeftri Veneti, Furono dipìnti
anche da Giulio Campi nelle mezze lune, con quattro facre ìftorie-,-|
quattro Dottori della Chiefa, i fregi e profpettive: e in un altro para-
mento, dipinfe la venuta dello Spirito Santo fopra gli Apoftoli, figuro
belliffime, che effendo vedute di fotto in su, fanno eonofcere quanto
valeflè l'arte in coftui: ficcome una Vergine Annunziata » predo al fine-
ftrone, e alcuni fregi di putti. Luigi Scaramuccia, nel Tuo Libro delle
Finezze de' Pennelli Italiani, parlando di quelle pitture , dice cosìS
Subito fi diedero a confederar e V opere famofe de fuddetti Campì* ma quelle dì
Giulio più dipintamente riconobbero efièr degne di maggiore reputazione di
quelle detti altri due. Su le prime rifletterono fopra il volto della navata di
mezzo, e viddero coje ajjai fuperbe ; ma ne'bracci della Croce» o lati che vo»
gliatn dire , della Cappella maggiore» dimolto ebbero che confederare di pia
efquifito, e fpecialmeme né" quattro fpazj, ove rapprefentati fianno i quattro
Dottori della Chiefa, dello fiejfo Giulio, ne' quali parve avejfèfatto ogni sforzo?
onde Girupeno molto ammirato fé ne Bava nelV efaminare una sì facile , ben
fondata e maefirevole maniera: ed ebbe a dire ejjèr tale, da poterjj paragonare
aqualfivoglia altra de'Pittori Lombardi, da e fio fino attor a vedutale per appunto
gli fu referto da un di que' Monaci * che molti foreflieri intendenti e pratici
ojjervano lo Beffo: ed ejjer e fiati i Campì in molte co fé de1 principali Pittori »
che s'imbevejfero da fewio il buon gujlo del Careggio,
Fin qui Luigi ■
EN anche di mano del Campi in quella Gitela la tavola de' Santi Apoftoli
Filippo e Giacomo. In Mantova, nella Chiefa di San Pietro, rimoder-
nata con difegno di Giulio Romano, dipinfe ilCarapila tavola della Cap-
pella di San Girolamo. In Milano fono molti belliflìmi parti dell'ingegno
tuo? nella Chiefa della Paifione del Convento de' Canonici Regolari è
una tavola a olio di un Grillo Crocififfo, appreso la Vergine, con altre
Marie, San Giovanni Evangelica, e Angeli attorno. In.quella delle Mo-
nache di San Paolo, quattro florie della Converfione e altri fatti, nella quale
opera fu aiutato da Antonio Campi fuo fratello e difcepolo. In Santa Ca-
terina delle Monache Agoftiniane, in una Cappella a mail delira, è una
tavola di Santa Elena. In quella del Monaftero di Sant'Orfola delie Mo-
nache Francefcane Scalze, ilquadro dell'Aitar maggiore, dov'è un Grillo
morto. Nella Chiefa de'Canonici Lateranenfi, nell'ultima Cappella, una
tavola a olio con Grillo in Croce, appretto la Vergine, e San Giovanni:
e negli archi fon pure di Tua mano, fatte a tempera, le Marie, in atto di
andare al Sepolcro. Infinite altre opere fece egli per diverfi luoghi vicini
alla fu a patria, oltre a gran numero di quadri, che furon portati in Ifpa-
gna, in Francia, ed in altre parti dell' Europa. Ebbe molti difcepoli, e
fra quelli Vincenzio e Antonio fuoi fratelli, de'quali parleremo a fuo luo-
go , Non è già vero, eh' egli foii'e Maeftro di Sofonisba Angofciolay e del*
l'altre fue forelle, come accennò il Vafari nella vita di Benvenuto Garofalo;
benché ella copiale molti quadri di Giulio, come moftrererao nelle noti-
zie di lei. Pervenuto finalmente, che fu quelV artefice in età aliai matura»
con
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298 Decennale* M del Secolo lV$Jàl\$$o. al 1540.
córt gran dolore degli amatori delibine, fé ne pafsò da quefta all'altra pi*
ìifsV mete di Marzo l* anno 1572. fu il'fuo corpo j con gran pompa, ac?
compagnato, non lolo da tutta la nobiltà di Cremona, ma ancora da Ema-
nuel di Luna» Governatore di quella città, che l'avea grandemente ama*
to: e afferma l'altre volte nominato Antonio Campi fuo fratello nella fua
ftoria, tóhe quello, con gli altri Cavalieri, in quella pia azione, non po-
tevano3 ritener k lagrime ; e finalmente nella Chiefa di San Nazzario gli
fu dato ìonorevole sepoltura. Fu quello nobile artefice valorofo nel dipi-
èrlére afbÉcp, a olio, e a tempera , diboniflìmo difegno, miglior colora
tò> è jièile figure grandi, e nel fòttinsù conobbe pochi fuperiori a fé.
Fu ancora buon* architetto, e colori bene architetture e proiettive, e in
fommà fu unìverfaliflìmo in tutte le facoltà delle noftre arti>
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PIETER AERSEN
PITTORE D' AMSTERDAM
Ttiftepoh di Jan Mandm , nato 15*9. -$■ 1563.
Jletro d'Arnoldo, che per la grande ftatura del fuo corpo,
^ tanto in Italia, che in Fiandra, fu detto Pietro Lungo.
13 Nacque ih Amfterdam Tanno 1519/1 fuoi parenti furono del
paefe di Purmer, luogo poco dittante da quella gran città.
Il padre fuo, che abitò in Amsterdam, voleva tirarlo
avanti pei fuo meftiero, che era di far le calze ; ma la
madre, che lo vedeva inclinato alla pittura , non volle
mai acconfentirea e diceva al marito, che quando mai
ella avefie creduto di condurfi a vivere col filare, voleva ad ogni modo
feguitare il genio del fanciullo, che era di fare il pittore; tantoché il
marito, per aver pace con lei, fi rifolvette a compiacerla. Il primo mae-
ftro di Pietro fu un certo Alart Claeflèr, che in quel tempo era de* migliori
pittori di Amfterdam, il quale anche ritraeva al naturale, 11 giovanetto,
fin dal principio de'fuoi ftudj, fu affai ardito nell'operaie, e aveva la ma-
no molto franca, il perchè pretto cominciò ad acqui Itar eredito. Dìceiì,
che didiciaflette o diciotto anni egli fé n'andafìe a Boilìc in Annonia, per
veder pitture di varj maeftri, accompagnatovi con lettere del Governato-
re di Amfterdam. DÌ lì fi portò ad Anverfa, dove fi mife a ftare con un
certo Jan Mandin di nazione Vallone ; In quefta città orele moglie , e en-
trò nella Compagnia de' Pittori. Ebbe un genio particolare a dipignere
cucine, co»Ogni forte d'arnefl e robe, appartenenti all'imbandire de' ban-
chetti ; le quali cofe, per la gran pratica, ch'egli aveva fatto fin da fanciullo
rtw
                                                                                            nei
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P l E TE R AER $ E JV y         ^99
nei maneggiare i colori, faceva parer vere. Maifuaiie'he affai valente in
rappresentare in pittura ogni altro fan-concettò.- Per l'Aitar maggiore
nella Chiefa vecchia, o vogliamo dire della Madonna d'Amlterdarn» fece
una tavola ordinatagli dal Maeltro de' Cittadini, che era allora Jons Buy#t>
uomo affai reputato» il quale, per la parse delia Città ,, s'era trovala
date il giuramento ai Re Filippo. Nei mezzo di quella gran tavpjaavev^
figurato il Tranfito di Maria Vergiate, e gli iportelli feguitavano la fa>fi&;
nella parte di fuori di pluf e la. V&a oV Magi, con alcuni putti ben colo-
riti* e fu il cofto di tutta jqueft' opera duemila feudi. Prefe poi a (uh
tavola dell'Aitar maggiore della Chiefa nuova, per lacuale era ftatc* fri-
ma chiamato Michel Cocxiedi Malines» che avendo veduta la bella tavola
di Pietro» e feritilo il prezzo della medefima, che a lui pareva poco, s'ersi
licenziato, con dire, che chi aveva fatta quella, avrebbe fasta anche que^
ft'altra. In efla drpiniè ia Natività del Signore, e,,nef quattmifporteHl
J'Annunziazione di Maria Vergine , la Circoneifione ,ii tre Magi;, ^
un'altra Horia, e nel di fuori era la Decollazione ai Santa Qateràfl*'. Qpr
fio belMimo quadro fu poi intìeme con altri^ovìnaipvegua(U># quan$io^*ìiT
irrotte furono le Sacre Immagini : e uno deki<5c4.'fi yedeya in Amflerdani
il cartone grande quan tu» l'opera , arisneggiato (ron?*tan«afr#neftezza>te|ie
ben faceva conofeere di qua! perfezione folle Hata la pintura. PelCoWr
vento de'Certofini a Delft, fece un CrociMò,.e«egUfportelli la £fc&U
vita del Signore, colla Vifita de' Magi, e di fupra i quattro Evangèlici.
Un' altra fimil tavola fece per la Chiefa nuoya dì Delft, tcifopra gli/por-
telli la iloria de'Magi, l'Ecce Homo ed altri hexi sx^k^i. ÈtrX^WWQ
ed altri luoghi colorì moke belle cavole, ddìt quali in dftm^^tw^^
come accetta il Vanmander, rimanevano più di venticinque cartoni in «afa
t&un certo Jaques W;aJravenvVtn Amfterdam erano abehe pàìt^ep?^ d|
quadri figure quanto il naturale. Nel la Gotte é' Ola ad#, app«efe :-^q
certo Ctecs, era la iloria «de'Oifeepdn, càejralnno in Emtus /; Aja *&£aj JafrJ
Eietersz Reael, erano alcuni quadri di Glorie diGiofeffo?;Ci>l^«It^^^7
nelisz pittore inHaerlem, aveva un quadro della ftoriadi Marta. Era an-
cora inNoort nella parte d'Olanda verfo Tramontana a Warmenhvyfen
una tavola da Altare, con un Crocifidò, dove fra Falere figure era molto
lodata quella d? un Carnefice, il quale con un ferro rompeva le gambe a'
Ladroni, e negli fportelli eran cole appartenenti alla ftona. Quella bella
opera, nel tempo della follevazione del 1566 contuttoché dalla Donna di
Sonneveldt in AIckmaer ne foffero offerti 200, feudi, mentre il Popolo
arrabbiato la condùceva fuori di Chiefa, pei* farla in pezzi, fu da'conta-
dini calpellata e infranta co*piedi, finché fi ridune in minute parti : ed inve-
ro fu una gran difgrazia del povero Pietro il condurfi a vedere quafi tutte
le più bell'opere fue rovinate da quella gente . Di quelle egli fpeflb fi doleva
amaramente, vedendo d'aver quafi perduto infieme con effe nel mondo la
memoria del proprio nome: e nel trovarfi, eh'e'faceva fpelìb con quella
mala brigata, ne fece talora cosi gran rammarico, che fi vide più volte in
pericolo di farli ammazzare. Pervenuto finalmente quello valentuomo
all'età di feuanta fei anni, nel giorno de'due di Giugno del i$6$. pagò il
comune
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3<?ò DecennaklV. del Secolo IV. dal 153OH0/1540.
comune debito della Natura. Fu queft* artefice uomo rozzo di tratto e
&■ afpetto*» ond' è, che fé non ione fiata la fua virtù , farebbe egli flato
poco ftimato. Tenne un modo di veftìre tanto abietto, che li trovò al-
cune volte chi, coli'occaìione dell'ordinargli alcun lavoro andava alla fua
bottega, credendolo un macinatore di colori, o altra vile perfona, gli
domandò dove foue il maeftro. Ber ordinario fi fece pagar poco le fue
ogère. Non ebbe gran pratica in far figure piccole, ma benes) nelle mol-
to grandi, ove confiftono le maggiori difficoltà dell1 arte. Fu buon pro-
spettivo/ornò beniffimo le fue figure, fece bene i panni e gli animali.
Gran parte de* fuoi quadri furon comprati da Jacob Raeuwaert ; ed una
bélliffima cucinav dov^egli aveva ritratto ai naturale il fuo fecondo figliuo*
lo, in età di piccolo bambino, ebbe un tal Ravert in Amfterdam. Di Pie-
tro Ltibgo trcivb aver fatta una breve menzione il Vafari nella feconda
e tér^i'pàrt^, per notizia avuta di lui, com'egli fenile, da Gio. Bologna
da Dovei, e da Gio.1 Stradai, con quelle precife parole s Pietro Àrfen,
dettò PìemLmgo, fece una tavola.con fue ale netta fua patt ia d'Amfterdam*
demrovi là noftra Donna
, ed altri Santi $ la quale tuti opera cojìo aooo. feudi.
Di quello Pietro ne'rimaiero tre figliuoli ; il primo deV quali fu Pieter
Pietersz, il qute fusgr^w pittore ;e imitò aliai la maniera di fuo padre e
maeftro, e fu fótito far molto dal naturale, come quegli, a cui poche oc-
casioni fr prefentarono di far quadri grandi. Morì in Amfterdam d'età di
anni fefTantadue 1- anno 1603. laiciando di fé gran fama, non tanto pel
valore riell1 arte della pittura, quanto per l'eloquenza e dottrina fua»
avendo attefo anche alle lèttere. Il fecondo fu Aert Pietersz, uomo, che
fino ♦dalla fua gioventù operò bene in pittura, e fu molto pratico in far
ritratti al naturale , febbene ebbe ancora buonifiìma abilità nelle itorie.
IDirick Pietersz, più giovane otto anni d'Aere, fu anch'egli difcepolo dei
padre; e operò a Fontanablò in Francia . Quelli nell' ultima guerra avan-
tial ^6*lo. fu ammazzato, Pieter il primo Mciò un figliuolo, che fu an-
CQta egli pittore ì e feguitò la maniera del padre ; *
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J PITTORE D I "M A LINE S
Difcepùlo di Bernàert di "Brufelles, nato 1497. # 1592.
jpj» Acque quefto rinomato artefice nella città di Malines V an-
Dffil no 1497. Crefciuto in età, fece l'otto la difciplinadi Ber-
nàert di Brufelles, diligentiflimi ftudj, per giugnere alla
perfezione dell' arte del dipignere. Se ne venne poi ia
Italia; e in Roma ftudiò le opere di Raffaello, e nella
Chiefa vecchia di San Pietro dipinfe una Refurrezione.
____________Operò in Santa Maria della Pace, ed in altri luoghi della
ftefla città. Tornoffene pài alla patria. accafato con una donna di tanto
fuo genio, che godendo con efia una tranquilliflìma vita, potè, fenz* al-
CAm difturbo, attendere, a tutto fuo piacere, alle cofe dell'arte. Quella
poi mancatagli, prefe altra moglie, della quale non ebbe figliuoli. Fra le
opere principaliffime di quefto artefice , fu una tavola da Altare nella
Ghiefa della Madonna di Halfetnbergh* tre leghe lontano da Brufelles»
in cui aveva rapprefentato un Crocififfo, con tanto artifizio e maeftria»
che molti amatori dell' arte concorrevano bene fpeflò a quella Chiefa, per
vedere tale opera. Quella tavola fu poi, a tempo de' tumulti di Fiandra»
da un tal Thomas Werzy Mercante dì Brufelles, portata in Ifpagna (dove
anche aveva portate molte altre belle cofe in tal genere) e venduta pel
Re Filippo al Cardinal Granvela. Era in Brufelles ancora di mano del
Cocxie, nella Chiefa Cattedrale di Santa Giulia, una belliflìma tavola, in cui
era figurato il Tranfito di Maria Vergine, che pure fu venduta in Ifpa-
gna a gran prezzo. Ad un Altare di Santo Luca, attorno ad una tàvola
fatta da Bernardo fuo maeftro* aveva egli dipinto due fportelli,i quali ,
nel partir che fece di Fiandra il Duca Mattias, volle portar con fé come
cofe rariflime. Dipinfe per la Chiefa Cattedrale d'Anverfa la tavola di
San Sebaftiano, Similmente per la nominata Chiefa di S. Gula in Bru-
xelles» una ftupenda tavola della Cena di Crifto Signor noftro, e altre
moltiflime opere fece nel lungo corfo di fua vita, colle quali divenne
ricco; e fra gli altri beni, eh' egli acquiftò nella città di Malines fua pa-.
cria, furono tre bellilfime cafe* anzi piuttofto tre gran palazzi. Ebbe
quefto artefice una bella maniera di colorire, edalle fue figure dava gran
naturalezza, particolarmente quando erano immagini di Maria Vergine e
de' Santi . Neil' inventare non fu molto ricco. Erafi egli ajutato affai
coli'opere Italiane, avendo anche pollo in opera molte cofe di Raffaello»
fopra le pitture del quale egli aveva fatto tutti i fuoi grandi ftudj. Onde
quando Girolamo Cock meffe alla ftampa le lìeffe opere di Raffaello, il
Cocxie fi trovò in grandi anguftie, vedendofi feoperte pe!r non fue alcune
maraviglie figure, delle quali egli s'era fervito nella nominata tavola del
,-,/                                                            Tranfito
?
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3:©^ Decennale IV. del Secolo IV. dal 1530. al ! 540.
ififp divaria tergine in^jGiulia a Brufelles, iGiunto che furMi-
©fiele al no^antefiméquiotó anno- della*, fu* età* avendo poco? avanti «Ite
alcune opere nella cafa o palazzo della città, cadde da una tcala, o da un
ponte di tavole, dove forfè egli s'era meflb a fare alcuna cofa in pittura»
e di tal caduta morì Panno 1592,
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, MARTEN, E WILLEM
DI CLEEF PITTORI
I:»j ti Borivano mi 1533/--giiJ'T:(^::3r^r/iF^
Ella città di Clevia fu in quelli tempi un certo pittore
chiamato Hendrick, che attefe a dipigner paefi. Que-
lli viaggiò per l'Italia e altre provincie, fempre ritraen-
do al naturale paefi e lontananze, rovine, ed ogni; altra
bella cofa fatta dalla Natura o dal cafo, fecondo quello
eh' egli itimava eflere a propolito per l'arte Tua* ma
alTai gli giovò?per farli valentuomo, oltre allo ftudio
delle cofe naturali^ l'eflèrgli data alle mani gran quan-
% ; tità di dilegni di fimili cofe, fatti da un tal Melchior
Lorch, che era dato molto tempo in Costantinopoli » da' quali è fama i
eh* egli cavaflè aflkiffimo; e tanto quelli che gli ftudj fuoi proprj, furono
T anno 1604. dati alle ftampe • Fu queir Hendrick un gran coloritore, e
talmente imitò tei maniera di far paefi di Francefco Floris, che quelli di
Francefco fi Cambiavano co'fuoi : e pare, che tanto egli, quanto Marti-
no fuo fratello, foffero difeepoii dello Iteflb Floris. Andò poi in Anverfa,
dove 1? anno 1533-1 :iì trova rfere entrato in quella Compagnia de' Pittori :
e a-nói non è notoil tempo, nel quale feguì la fua morte.
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           ,.t\;-( ur.i . • .-=';. I
MARTINO fuo fratello fu difcepolo di Francefco Floris, e avvezzo;
ai operare in cofe grandi : poi fi diede a >dipignere figure piccole, 1
facendo molti pezzi di quadri di Tua invenzione, pec particolari cittadini,:
e finì molte opere d' Hendrick Tuo fratello.i, Dell' ahiiitti di coftui fi vai--;
fero molto per far figure ne' lor paefi Gillis;di Coninsgloo, ed altri pittorir
di, paefii Fu afiài tormentato dalla podagra* onde non mai potè ufeire,
dalla patria , come il fratello aveva fatto. E pervenuto ali' età di cin->
quant'anni, finì di vivere
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WILLEM
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WILLEM DI CLEEfi»*Q 30*
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VV1LLEM DI CLEEF loro fratello, fu gran Pittore di:figure grandi,
e morì molto tempo avanti al 'itfooj I figliuoli di Marten furono
GilHs, Marten, Joris e Claes, quattro fratelli, che tutti furono buoni
pittori. Marten partì di Spagna per V Indie; Joris e Gillis pretto mori-
rono; il primo aveva una buona inclinazione a far piccole figure ; Claes
viveva tuttavia in* Anverfa Panno KJ04.. né altro lappiamo di loro.
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PITTO RE E ARCHITETTO
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Boriila ilei 1540,
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IRÀ* Pittori più degni di memoria, che partorì cicca il prin-
cipio del palato fecòlo la Fiandra, menta il fuo luogo Lam-
bert Lombardus *.nativo di Luyeh* cittàinon molto^oti^
tana da Maftrich; perchè non {blamente fu pittore affai ,in-
gegnofo, buono architetto, intelligente prafpétttv/o^ e buon
fikribfo; ma perchè fu maeftro di molti eccellenti pittori»
fra' quali furono FRANCESCO FLORIS WILLENKCYGv che in no-
Ura lingua vuoi dire Guglielmo; Saffo, e HUBRECHT GOLTXIUS,
che%niica.'Uberto d' oro, e molti altri. Pellegrinò per avarie Provincie
de? Faefi Baffi: fcorfe rAiemagna e la Francia: e ovunque trovava antiche
fculture, vi faceva fopra molto fiudio,- anzi ferivano j che egli in limili
antichità arrivane a tanta pratica, che diftingueva in qual parte del mon-
do , e in qual tempo effe fculture erano fiate fatte. Di;che fia la fede ap*
preffo r autore, che tal cofa fcrifle, che fu l'altre voice nominato Van*
ma-nder Pittore fiammingo. Veiane in Italia , e Stette in Roma, donde
pel grande ftudiar che vi fece, fi partì affai migliorato: e tornatofene'iflY
Fiandra, levò quali del tutto quella barbara maniera, che ufavano già fino
dagli antichi tempi in quelle parti gli architetti. Di mano di quefi? uomo
fi veggono molte cofe in iftampa, e fra V altre una Cena di Crifto di bella
invenzione e componimento. Finì il fuo vivere in Liegi Iranno 1560,
La vita di quefto pittore fu latinamente ferina da Domenico Lampioni© e
e data alle ftampe in Bruges da Uberto Goltzio del 1565. ina a me non è
fiato potàbile il rintracciarla; onde poche notizie potrò dare diluì*
Fu poco
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j 04 DecennàliiE M Secolo IV. M %$& al i540.
Fu poco avanti al móoo. dato alla luce ilfuo ritratto, [tàm paco con inta-
glio di Tommalb Galle, fotto il quale fi leggono i feguetiti verij. /
» rr#*'■#?rf-l <*■ > *■*" .»** ii4 ','■■■ l                                                            ■■.'■..,./ ' ■* •* -•■ ■■" .-                                              ■ « ,. '' "/.                         ,.                                                                                          * *■                          . — ..
1 oib'itj Eìogium ex merito quod te, Lombarde > decebah n
a, ìU :
         ! sic-' Non libet Me paueì* textre verfieulis.         -\niV, ; >
.noi ihComìnet hoc ea cbarte (legifi rio/fra merewur) '
De te> qtiam fecit Lampfoniana grapbis*
aai»aj,n—» 1......■■»—nm* i ni i in ■ IMI ■! Il II nulli l'imi i.....IWIJli         >»■■»
FRANS MINNER BROES
E ADTRTrPITTORI DI MALINES
CHE FI®R 1 VANO IN QUES11 TEMPI.
Vendo fatta menzione di alcuni buoni Pittori di Gaude,
conviene ancora far memoria di altri, che furono in quelli
tempi in Malines» tra Anverfa e Brufelles. Uno di coftoro
fu FransMinnerbroer, che in noftra lingua diremmo Fran-
cefilo? Frate Minore. Fiorì egli in circa il 1540. e fu molto
pratico nel fare a olio, EraT anno 1604. di fuà mano nella
Chìefa della Madonna una Vergine che,vain Egitto: il paefe rapprelen*
tava un'orrido deferto, e tanto quefto che le figure, erano molto belle.1
Fuori-di'- MàlinèsViP^edb alla Madonna df Hansrryche , era una tavola
colia ftòria di Maria Vergine falutata dal£ Angelo, e una Viiitazione di
Santa Elifabetta. Erano in qUefteftòrie alberi belliffrmi..... e
Francefco ebbe un difcepoìo pure di Malines, che fi chiamò FRANS
VERBEECH, die | fu Pittore pratico neli' a guazzo , e imitò la maniera
di Jeronimo Bos. Nella medefima città era di fua mano un San Criftofa-
no, con molte figure attorno. In Santa Caterina era efprefla naturaliilU
Diamente la parabola della Vigna. Fece molte opere, che andarono in
diyerfe parti. Fra P altre un paefe, veduto ini tempo d'Inverno, lenza ne-
ve e diaccio, ma con gli alberi fpogliati di foglie, e le lontananze fece
vedere, lenza nebbia o aria groifa, molto al naturale . La maggior parte
dell'opere dì coftui furono di fefte» danze, nozze;e altre azioni, che fi
fanno in campagna da' contadini.
• a Vi fu ancora un tal VINCENT GELDERSMAN affai bravo Pittore,
Le dueuo- di mano del quale fu una Leda, mezza figura, con due uova ; una Sufan*
canofi£fto-na e una Cleopatra* delle quali fi veggid.no diverfe copie pel mondo, le
re» e Poi- qualiopere aveva lavorate a olio. Nella Chìefa Cattedrale di San Rom-
iuce" boutÌ?nella Cappella de'Cavalieri, era l'anno 1604. un Crifto deporto di
Crocè; dove aveva figurata Maria Vergine e la Maddalena, in atto di
* oq u
                                                                                piagnere
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^tJNCENT GELDERSMAN. 30J
piagnere Copra i piedi del Signore » opere molto lodate dagli artefici.
Nelli ftefla Cappella aveva dipinte ftorie del Vecchio Teftamento, die
erano appretto ad altre fimili , fatte per mano d' un pittore Tcdefco.
Ancora era in ella Città un certo HANS HOGHENBERGH, che
in noftro idioma vuoi dire Gio. Montagna alca, che morì l' anno 1*44.
Di Aia mano fi vedeva l'entrata di CarloV. in Bologna di Fiandra.
Ancora un tal FRÀNS GREBB£> • che noi diremmo Francefco
Granchio: di mano del quale era nella Cfuefa'de' Padri Zoccolanti» pur
di Malines, all'Aitar maggiore, un quadro della Paffione del Signore, fatto
a tempera, con fuoi fportelli ; nel mezzo li vedeva k Groce, € in etto
aveva dipinti bellimmi ritratti in fulla maniera di Quintin de Smets, che
è lo (ledo , che Quintino Manefcalco » del quale abbiam parlato a lungo,
fotto nome di Quintino Meflis. Quefto Frans fu perCona ricca, e per or-
dinario feguitò la maniera di Luca d'Olanda. Seguì k fua morte l'an-
no 1548.
                                                                                  * . ' : :
CLAES ROGIER, o vogliamo dire Niccolò Ruggieri, fu gran pit-
tore di paefi. Poco dopo vi fu un certo HANS KAYNOT, chiamato
il Sordo, perchè tale era veramente. Quelli fu più eccellente del Rug-
gieri, e operò in fulla maniera di Joachim Patanier, benché averte im*
parata l'arte da Matteo Cuoco d'Anverfa ; Vi fon poi (tati altri pittori,
de'quali fi farà menzione fotta i loro tempi.
■ ;,.;■■               ■ :,.; r .                             . >                            .,. ■ .-; „;■.«■?■ >..£..'J&1$ e-- O-JvTI >J sì-?ii *>-*'£ ;% ■*-,*r\<-±4 ■- ■■ •■
                   j .,-■.— . . ^                      ~ - '■■■ >. ■ .,. >                                                  -- • ------------wt-^/i >■■■ »                  1 m
JAN M O S T ART
PITTORE D* HÀERLEM
''?■/* ..*...■;:                 ,              «                                       -,                     . ■               .            :■ ; ■ « -.-■;■-■' -             .K .■. , ■.,»..,,.*.....-„                 , I            ;, ,...--. .?. "., . '... * .:, ** *> *#
Fioriva tieliZAo, r\'^'À'\t^L jC,^
.'■.;<>.; *» ! ,i ;■> ,< ; • .v,*. ; - , .... . * vJ buU >>f JUtU te ..ì!*1j ■ ^,:i4j(j< . ■yjtll » -I
Iccome in Italia le città di Firenze, di Venezia, e di Roma i fu-
rono Tempre in gran pregio, perigli eccellenti uomini, che
effe diedero alle noftre arti, così in Olanda fu Tempre in
grande ftima la città di Haerlem, pe' molti, che di efTa riusci-
rono eccellènti in tali proteflioniìj Fra queftt fu Jan Moftart»
nobile di quella città» il quale, fino dalla fua fanciullezza*
tirato da una grande inclinazione al difegno, fi pofe focto k-diCbiplina di
Jacob di; Haerlem valente pittore. Aveva Giovanni avuto un fuo antét
nato, di cui riteneva il cognome di Moftart, il quale egli aveva acqui-
(lato per fé, coli'occafiane di eflèrfi trovato colf Imperador Federigo, e il
Conte di Glovis, nel tempo ch'egli andò in Terra Santa; perchè nella
prefa di Damiaten, da altri detta Pelufia in Egitto, moftrò sì gran valori
nel combattere coli'arme bianca, che la plebe ignorante , per ifcherzo
'7 i)
                                          V                                gli diede
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glidiede'ilnomè^uomo^^
Checche fi fia di quièta; veriffima cofà è> che égli per1$ fua bravura fu*
da 11' Imperadore dichiarai:o rvobile, e; gli furòn date per arme tre Spade in
campo roiTov che fu po& la fùa ordinaria infegna e de' fiioi'. Giovanni
dunque, del quale parliamo, non folamente fu un gran pittore, mala
uomo difereto, benigno e manierofò}: e perciò fu amatfo affai, dalla; plebe
non foM ma anche dalla nobiltà i e finalmente fu dichiarato Pittore di Ma-
dama Margherita \'là Sorella dell'Arciduca Filippo, primo di quefto nome,
Re di Spagna, ePadre di Carlo V. Effendo in quello fervizio, ftudiò-tan^
to in fasfi ben volere da ognuno, che oltre all'effere fìat© fempre datata
ben vitto.£ granfe- a tal légno di grazia colla Eadrona fua, che ovunque
eli' andava, doveva effer fempre ancora egli. In diciott' anni > eh' egli
flette in-quella Corte, fece molte opere : e perchè era fingolariffìtno in fac"
ritratti alnaturale, Squali faceva parer vivi, ritraffe molte Dame e;Ga<-
valieri. Tornatotene poi in Haerlem, fu fempre la fua ftanza frequenta-
ta da perlbnaggi d'alto affare; In quena città in càia un eerto Jacopynen
erano l'anno 1604; alcune tavole, e fra quelle una tavola da Altare, con
fua, predella, dov'era rapprefentàto il Natale di Crifto, opera affai cele*
forata da' profeffori... In eafa di un fuo nipote, figliuolo'di un-Tuo-figli-uo--
Io, fi vedevano molte coie di fucinano. Niciaes Suyckeff, che è quanto
dire in noftra lingua Niccolò Zucchero , aveva uri pezzo di quadro #un
Ecce Homo, grande quanto il naturale, e più che mezza figura, dove era-
no alcuni ritratti fatti al vivo.- e per uno di que'foldaci, che teneva lega-
la la perfona di Grillo* aveva ritratto un tal Pier Muys, cioè Pietro To*
pò , birro di quella città, che per eflèr calvo di tetta e di brutto alpetto,
ftimò molte? appropriati a ràp^re(entarc|'t#figura. Eravi ancora un qua-
dro ^i;un bainehetco degli Dei:- e ùnpaefe/ehe rappreferìtava PIndie* con
molte figure ignude e abitazioni, fatte ali* ufo di quelle parti. Quefto però
non era interamente finito » Vi èra ancora il ritratto della Cohteffa Jacoba
e del Signor di iBorfele fuo marito, con abito all'ulanza antica. Vi era
pur di fua mano il ritratto èi fé fteffo, che fu quafi l'ultima opera, ch'ei
faceffe, Erafi egli figurato ignudo » in; atto umile, genufteffo, colle mani
giunte, dalle quali pendeva una corona. In lontanza era un paefe, fatto
al najDuraièv e nell'arra fi vedeva Grill© fedente, in atto di gìtì$èar£ ; eia
una parte aveva figurato il demonio, che V acculavajavanti al Tribunale
d'Iddio; dall'altra parce aveva fatto vedere un'Angelo, in atto dicnieder
per lui mifericoTdia. In cala di Jacob RavaTt in Amfterdam , era pur di
fua maim una bella figura di San t'Anna. Appreffo di Floris Lehoterbófch,
Conigliere neli'Malavlttc^o* della Corte d* Olanda\ era un Abramo con
Sarra,-4gàè ed llm^elsep^t grandezza di pfo che mezza figura, Con belìi
abitili ©acconciature ammodo antico. Jficafadi JanGlaeszEittore, difee-
polodi Gornèjis Gorneliszv 'tra l'altre^co(è età un San Griftofano, con
un paefe affalgrande. Nella Gorte del Principe era un Santo Uberto, fatto
con glande ofervazione del naturale. Affai'grandi e belle opere di Mo-
lla rt ariero inHaerlemVinfieme;colla (uà cafa, in un grand'incendio,che
s? appiccò in queia città. Fu quello pittore uòmo di giudizio, fpiritofcj
e valente
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V
JAN M 0START,          307
e fajente nel? operar Tuo, tantoché Marten Hemfckerck > Pittore celebre»
era folito dire afleverantemente, che Moftart aveva fùperato tutti gli altri
maeftri, ch'egli aveva conofciuto: e fi racconta, che Jan di Mabufe, pu-
re anch' egliottirno pittore, il pregane una volta d'andare ad ajutarglr
nell'opere della Badia di Midelburgh; ma il Moftart, per non lafciare il
fervido di quella gran Dama e PrincipefTa, della quale egli anche, fecon-
do alcune fcritture, che furon trovate in efia caia» era flato dichiarato
Gentiluomo, recusò di farlo. Segui la morte di lui fra il 1555. e il i$$6.
effendo egli d'affai buona età. --n?
                         <•<-:■;■'                     >o ovì
MICHEL' ANGIOLO
S C UL T O R E             7"
Fioriva circa al 1540.
Acque quefto artefice nelle parti della Schiavonia, dove dimorò
gran tempo, e molto operò. Venutofene a Roma, vi fece al-
cune cole. Avendo poi Baldauarre Peruzzì, ad inftanza del
Cardinale Hincforth, fatto il difegno per la fepoltura di.Ur-
bano VI. per la Chiefa di Santa Maria dell* Anima della Nazione Tede-
fca, fecelo efequire ad eflb Michel'Angiolo, che aliai lodevolmente la
cond-ufle.
' ni ■ 1 M11 ■! 11 in mi 11 ii" « ■umili 1 1——11— mimm/mm■» ———»«y»* ■' > ' i un ■ «^i—*, «——^»^>»—n»i■!■£
A L D E G R A E E
INTAGLIATORE E PITTORE DI SOEST
■■» * C/M , J- '■"'■.••«"•- i id E*:.iC*0Ì ih»5ìó f.i *ti,'J;:fl'j£ l«i-'J6B*OÌ Li MÌ3
iw/'w hitòrno at i<5$"
■. .1 ,;                     . ...f ':.«.• •$£<!;. J .fri OTTE i.t^^TTn _> I '.;".* M u<«^ = ,1.,."
?.'/'.. J         '•"'''""# i,ì' ■•'. "*'.-.'             ': ■ \ . 4f '$ 'isti Ì '*> vfcVlft ,'*Ì ì?tt«l
Ldegraef, celebre Pittore, e Intagliatore» fi dice che fofle
nativo di Venfalias e fé pure non ebbe origine in quel luo-
go, almeno vi fi trattenne qualche tempo, dimorando nella,
città di Soeft, ptto leghe lontana : da Munfter. Insquefla
fece molte opere in pittura per quelle Ghiefe* e partico*»*
larmente per la Chiefa vecchia, dove fino all' anno 10*04,
era una bella tavola della Natività di Crifto. Molte fue-pitture lodatimi
me ebbe lac^ttà di NpremburghVe altresì quelle provincia* Saràcoftuit
~Vitx;u
                                          v 2                      ,               fempre
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jo)$ DecémtòeW.MSetotelV 4ét$$o. 0/1540.
iempre traemorabjle fé* Menimi intagli* che ufcirono di fua mano s tali
fono alcune florie di Sufanna, ed altre di.femmine nude, ed altre d'Er-
cole , dodici grandi carte di Baccanali-, e firmila dal ff0. al i £§t, Vedefi
nelle fue ftampe gran varietà 4' arie di tefte, ed' abiti in filila, maniera di
Luca d' Olanda . Segui la mòrte di quello artefice nella nominata città di
Soeft, dove anche fu al fuo corpo data fepoltura. Non è a noitra notizia il
proprio luogo di effa; ma folamente,che ( fecondo quello, che ìafciò fcrittó
in fuo idioma il Vanmander Pittor Fiammingo ) iopra e(To luogo fu da un
fuo compagno di Munfter fatta fare una lapida, colla tetta e arme appun-
to» che Aidegraef era folito improntare nelle fue opere.
WILLEM KE Y
PI TTO RE DI BR ED A
Difìepoh dì Frans Floris, fioriva mi 1540. •$- 1568.
Villem Key , che in nóftro idioma diremmo Guglielmo
Matto, fioriva in Anvérfa l'anno 1540 del qual tempo
fi trova, che entraffe in quella Compagnia de' Pittori : e
aveva fua abitazione vicino al luogo, detto la Boria, che è
il iuogo de'Mercanti," Quefti, nella fua gioventù, apprefe
1* arte dal celebre Pittore Francefco Floris, e poi fi pofe
appreiTo Lamberto Lombardo di Liege, Operò bene al
naturale» ed ebbe lode in quelle parti di diprgnerc con più dolcezza di
qualunque altro fuo coetaneo, benché non riufeiffe così fpiritofo, quanto
era il Floris. Nel Palazzo della città d'Ahverfa era già un quadro di fua
mano, che gli fu ordinato dal TeforieroChriftoflfel Pruim, dove aveva
fatti i ritratti, grandi quanto il naturale, de* Signori della città; e difo»
pra era un Crifto, con Angeli Quefto quadro l'anno 1570*. nel tempo
che la ibldatefca Spagnuola diede fuoco al Palazzo, renò preda di quel
grande incendio. Nella Cattedrale aveva dipinta una ftoria, dove aveva
rappreientato Gesù Crifto, in atto di chiamare a fé le fue creature, colle
parole Venite ed me omnes qui iab&rmis &e. Vedeva!! appreffo al Signo-
re gran copia d'artefici d' ogni meftiere, che s' ingegnavano d'accoftarfi
a lui* e quefto quadro pure ancor elfo perì mi tempo delle Ribellioni:
ciocché mi perfuado feguiffè ancora ad un'altra bella tàvola, che era pur
di fua mano in quella Chiefa, doV era dipinto il trionfo di Crifto. Fece
-il ritratto del Cardinal Granvela, e quello afìcora del Duca d'Aiua: e oc«
corfe» che mentre egli alla prefenza del Duca lo ftava lavorando, quan-
tunque e* non fofle beniflìmo efpetto in quella lingua, egl'-intefe un cer-
to difeorfo, che concludeva effer già (tato determinato, eh' e'lì facefle
'ù,::.\ù%ì                                           ::                                                     morire
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.-            WILLEM £EY.           3oj
morire il Conte di Egmondt, e il Conte di Hoorne cori altri Signori ;
onde Guglielmo, come quegli che era tenero di cuore, e molto amava la
nobiltà, e anche, come vollero alcuni, per l'orrore, in che egli ebbe Tem-
pre la faccia del Dùca d'AIva, s'atterrì di tal maniera» e tanto s'accorò»
che infermatofi gravemente, appunto lo fteflò giorno, che furono fatti
morire, che fu il dì 5, di Giugno del 1568. ancor eflb fi morì, benché
altri fofle d' opinione , che ciò feguiflè alcun giorno avanti. Fu quefto
artefice dotato di ottime qualità naturali, oneftiffimo ne'coltami e nelle
parole. Tenne fèmpre P arte in gran riputazione ; e perchè gli furono
pagate le opere affai, fece anche buone ricchezze. Abitò un magnifico
palazzo, e Teppe bene accoppiare la prudenza con un difcreto rifparmio,
colla magnanimità di un molto nobile trattamento della propria perfona:
e Jafeiò di Te, in ogni conto, gioconda ed onorata memoria.
al
LUCA G A SS E
;!.:.;••;, ,,■:..'../',;.;!,, . :,<;. r.non ai li ivi !.:£.> . £3<oV Ci :'3f/p fi
biortvatcirca ti 1540/ . ;                       mu
Sferva il Vanmander, Pittor fiammingo, che i pittóri de%
Paefi Balli, fino al fuo tempo, fi guadagnarono più rinoman-
za in Italia, per V inclinazione, e pel genio particolare, che,
ebbero, non tanto in far Paefi f che per dipignere figuregran-
di : il che non fi può negare » perchè, molto di loro furo n fatti
operare in Italia, e furon ricevuti con lode, molto più loro
paefi, che loro figure. Un di coloro* che fi portarono mol-
to bene , fu Luca Gaflel d'Helmon , che abitò in Brufelles, dove anche
morì; e lavorò a olio e a guazzo, ma poche furono le opere fue. Futpar^
ticolare amico del Lanfonio , dal quale meritò di efler celebrato cori
eruditi verft. Fu il ritratto di quefto artefice intagliato poco avanti al
10*00. e dato alle ftampe fra quelli degli eccellenti Pittori Fiamminghi,
che aveva intagliato Tommafo Galle.
                         & : / ^ ,
i.<: . ;,..-.. ' .1 .i ■ •'.:■■ •.■:.»:*:■» ;u..»-: .■•-i-:, ti. [h C il '-'..■- - - ' *q C •■ - *Jv-:: tf»
ii'.-; i;' . ■...£'..« .■.'?..'.., 7 &H. ..ih'.. .; ì i C ./Li .,.'. ... "'.;.;■■• <■ ; 'I :it'U;'i [ìi {y> £ ;a
V 3                              PIETRO
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I f f Decennali !PR delSecéo IV. dal i 53 o. al 1540.
PIETRO KO E CK
^PITTORE E ARCHITETTO D' ALEST
CITTAV DI FIANDRA
<ffl*rtQ nel icco.
RA le molte città della Fiandra * che fi vantano di aver dato
al mondo fegnalati Pittori, ha anche il fuo luogo la città di
Aleft, per avere avuto per fuo cittadino il celebre uomo e
ingegnofo Pietro Koeck. Quelli apprefe tal profeflione da
Bernardo di Broflel , e riufcì difegnatore e pittore molto
ardito, tanto a olio, che a guazzo. Si portò valorolamente
in dipigner cartoni per tappezzerie. Se ne pafsò poi in Italia, e nella
fcuola di Romafpefe qualche tempo, facendo grandi ftudj in difegnare e
mifurare architetture. Tornatofene poi alla patria, prelè moglie, che
pretto gli mori. Avvenne, che elTendo egli rirnafo folo, un tal Vander
Mocieny mercante di Broffel, che mercantava tappezzerie, lo configliò
a Jafciarfi condurre in Costantinopoli, dove fperava di far con lui, in
quelle parti» gran guadagni in limili lavori e mercanzie; onde egli pafsò
a quella volta. Quivi il mercante glifecedipignere alcune cole, per inoltrare
al Gran Signore ; ma perchè lo 'mperador de* burchi non volle figure
umane, né d'animali» gettò via lafpefa, il viaggio e'1 tempo d'un anno
che vi fi trattenne, altro non riportando a cafa, che alquanto di pratica
fatta nella, lingua Turchefca ;I Nel tèmpo, eh'e'fi trovava colà sfaccenda-
ta, perchè non poteva vivere fenz' alcuna cola fare, fi pòle a difegnare
eda, città di CoftantinoJ3oli, con moki Itiò^hi vicini, che fi videro pòi in
ift^rnpa intagliati in legno, in fette pèzzi, dove apparifcono rapprefentate
molte azioni die?Turchia Nel primo, come il gran Signore cavalca colla
tua guàrdia de'Giannizzeri ed altri; nel fecondo, una fella di maritaggio
alla Turchefca, e '1 modo di condurre e accompagnaiei la Spola, con fo-
natori di divedi ftruraenti» è perfone, che alla loro maniera vanno ballan-
do: nel terzo, cornee' fanno a feppellireti loro morii fuori della città;
nel quanto V< una fefta della Luna nuova: nel quinto, il modo di lor man-
giare e federe alla menla ; nel fedo, il modo di viaggiare: nelfettimo,
il loro portamento alla guerra. In queftì intagli fi veggiono belliflìme azioni
figure , femmine molto vaghe, bene abbigliate di panni ed acconciature:
e nell'ultimo pezzo è il ritratto di lui medefimo, in abito di Turco, col-
ì' arco in mano, e accenna ad uno, che gli Ita vicino, con una lancia
lunga a foggia di bandiera. Dopo tutto quello tornò Pietro al tuo paefe,
dove prefe la feconda moglie, che fi chiamò Mayken Verhobft Berleners.
Di quella tale ebbe una figliuola, che fu poi moglie del rinomato Pietro
Brughel fuo difcepolo. In quello tempo, cioè del 1549. compofe alcuni
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PIETRO K.0 ECK.          311
libri d' architettura, di geometria e di prospettiva: e cómecftèegli era
dotto e bene efperto nella lingua Italiana» traduffe i libri di Sebastiano)
Serlio in lingua Fiamminga # la qual fua bella fatica portò in qùe' paefi
grande utilità ; perchè, eóil'ajuta di efla, recarono corrette poi le opi-
nioni e gli errori di coloro, che allora vi operavamo dell' antica e goffa
maniera Tedefca.* e rimafe anche aperta la ftradaalla migliore intelligenza
de'cinque ordini di Vkruvioj e v'incominciò labùbrtà maniera, ponen-
dofi fine all'altra; benché tal miglioramentod*oprare fófle poi in parte
corrotto da altre maniere, che vi furon portate di G£ritìania,„ e dà que*
maeftri tanto quanto accettate. Dipinfe egli tool te tavole e ritratti: e fu
pittore della Maeftà Gefarea di Carlo V. nella fervitu del quale morì nella
città d'Anverfa l'anno 1550, La fùa vedova moglie diede alla lucè i fuoi li-
bri d' Architettura l'anno 1583. Ebbe un figliuolo naturale, che fi chia-
mò Paolo Vanaelft, che fu ecceìfeHte nei éofifot le ofefedi Gio. Mabufe,
e dipinfe con gran diligenza càraffe^dt fìo^i. Abito>è inori in Anverfa, e
la moglie di lui fi rimaritò a Gielis Vati Coftiifcitloó pitròr celebre, che
operò di paefi, con animali, fatti mólto al tiVO V ih gran copia. Il ritratto
di Pietro Koeck fu poco avanti al lÓQo.-dàt© alle (lampe» intagliato da
Tommafo Galle, e fotto ad elfo fi lèggono i (sguànci verfi ;
Pi fior eros, nec eras tantuvh Petre, Ti fior, ^AloJIum
-Qui faeis kac Orbi
, notius arte tuum.
Multa fed acce (fi t multo ars tibi parta labore,
Cujus opus pulcras edificare domos
.
Serlius bòne Ita/os : ìu ; Serie delndè bilinguis
Interpres
, 'Belgas Francigenafque doces.
GIOVANNI detto l' OLANDESE
PITTO R E D' A N V BRS A
, * , -..... (; i, i 4 - .                i ... \ vu mO«               I * * ■■• ■* *'*'■* •■-' -' J * W ■' '■ '- . H$-<j i ■ H          ' , i &.
Mòti nel i*4ó. ; ;,oi:;:;
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j*t(ii' :; ^T D,'« :.-h >; *                        > i-i' ■■*. 'i ''.."             .
lovanni, detto 1* Olandefe, nacque in Anverià * e$
crede, che l'opere di lui cominciaffero ad aver nome
circa 'li 590. Ne' Paefi Baffi fu (limato (ingoiare in di-
pignere sguazzo e a olio i e particolarmente Paefi, fo^
pra i quali fece grandi ftudj , ritraendogli al naturatóì
Era foiito ftarfene preflò ad una fineftra di cdfa fuai^i
quivi coloriva cielo e campagne. Fu il fuo dipignere,
tanto alla prima, che bene fpeflofi valeva, per ifeuro o mezza* tinta, della
medica delle fue tele; imitato poi dal Brughel, che in akani luoghi dava
V 4                                il colore
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312 Decewafe 1K del SecoklV- dal i yjb. al 1540.
il colore tanto tenero, che vi appariva bene fpeflfo il colore della ftefla
meftica * ^be moglie > la quale continuamente viaggiava a'mercati di
Brabanza e di Fiandra» incettando quadri in diverfe città, quelli poi ri-
vendendo con gran guadagno ; che però il marito fi ftavaacafa, e goden-
do dell' induftria di lei, non folo aveva gran comodità d' applicare alle lue
picturer ma anche di pigliarfii fupi ripofi, perchè ebbe pochiflìma voglia
defatigare. e per ordinario dipìgneva poco. I fuoi paefi però non punto
cedono in bontà a tutti gli altri de'maeftri de'fuoi tempi: e fi trova, che
fra alcuni ritratti di celebri Pittori Fiamminghi, che furon dati alle (lam-
pe, con intaglio di TommafoGalle, poco avanti al 1600. fu dato luogo
anche a quello dell' Olandefe, che morì in Anverfa fua patria l'anno 1540.
e Domenico Lamfonio compofe fopra di lui i fegucnti vedi.
Propria Edgar um laus efi bene fìnger è r uva \
0 Aufoniorumbomwespingere,/tve *Deos. d t
Nec mirum : in capite Aufontm, few Belga cerchi um
Non temere ignava fertur balere marni.
>
\Malutt ergo manus Jani bene pingere rura
Quam caput» aut bommes* aut male [ciré Deos.
■wft!BaflHtfWBSiWBeiiitfEWWMWaBMawaiKfcMy»a^BB«a^                                        iiiir«fri — nw^ ihihimh, ■■.■■r...r*Éinir.......■lÉBirn—iiiTi-i i----■-- ,-—,■■------          , nmmmmm^m *■ i **|**,,,"I""1W
MARCO DA SIENA
PIT TORE
; Difcepolo di "Baldaffarre Teruzzi, fioriva circa al 1540.
Pprefe i principi dell* arte quefto buon pittore da Mecherino:
poi fatto BaldaflarrePeruzzifiperFezioiiò in modo, che potè
molto operare, e con gran lode in Siena fua patria e fuori.
Efercito Parte fua in Roma appreso Pierin del Vaga : e fra
T altre cofe, che egli vi condurle di fua mano, furono alcune
pitture nella Cappella della Rovere alla Trinità de'Monti,
in compagnia di Pellegrino da Bologna, vi dipinfe la volta a frefeo, fer-
vendoli de*cartoni di Daniello da Volterra. Nella Ghiefa de'Santi Apo-
ftoli, a mano iiniftra, dipinfe la tavola di San Giovanni Evangelica.
Neil'Oratotio del Gonfalone fece di fua mano la grande iltoria della Re-
furrezioné del Signore, a frefeo, e due figure, che rapprefentano due
Virtìi in Araceli è; la tavola di Grifto 'morto nel grembo della Madre.
Gli fu poi dato a dipignere, in Sala Regia, dove fopra la porta, che va
alla Loggia della Benedizione, fece la ftotia d'Ottone Imperadore, quan-
do : reflui}) alla jChiefa le provincie occupate; e nella Sala di Caftello a
*tfi.riìrv> Vi
                                ». 7                                              bant
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MARCO DA SIENA. 313
Sant'Angiolo, colorì affai cofe a frefco. Portatoli a Napoli vi fece alcune
opere, fra le quali una belliffima tavola per la Cappella edificata da Gu-
glielmo dei Riccio in San Giovanni de*Fiorentini di effa città di Napoli:
e ciò fegui poco avanti ai i$66. E perchè egli fu anche buon pratico in
architettura, della quale fcriffe un buon volume, vi ebbe a fare molte)
piante di edifìcj, e nominatamente la detta Cappella del Riccio , che fi
crede fabbricata con fuo difegno.
-—*~r-ai «in.....1 ' 1'.......—mi r i -------r-----1— un -ni ' i           ------1----------------I                 "                      ' -———— ———-7
GIOVANNI HOOLBEEN
PITTORE DI BASILEA
'".' Nato 1498. '4$ 1554.
' Eccelle ntiffimo Pittore Hoolbeen nacque nel pàefe degli
Svizzeri, nella città di Bafilea, nel 1498. ed agli anni del co-
nofeimento pervenuto, datofì allo ftudio del dilegno e della
pittura, dopo aver fatto in effa buon profitto, dipinfe nel
Palazzo del Senato dì quella città e in diverfe cafe di citta-
dini motte belle cofe, e tra quelle una di bizzarra invenzio-
ne , e fu un Balio della Morte, dove fece vedere la medefima, in atto di
far preda d' uomini di ogni lignaggio e condizione. Avvenne poi, che
Giovanni, nella fteffa città fua patria, (trinfe grande amicizia con Era fono
Roterodamo, il quale, concioffiacofachè la virtù fua molto bene cono-
fceva, lì moftrò defiderolb di follevarlo a miglior fortuna di quella, che
egli allora in patria fi godeva o poteva fperare. A quello effetto fi fece fa-
re da lui il proprio ritratto, che riufeì tanto bene, quanto egli mai avelie
potuto volere : dipoi lenite a Londra al fuo condifcepolo Tommafo Mo-
ro, acciocché quel grand'uomo, allora confidentiffimo di EnrigoVUI.
Re d'Inghilterra, deffe notizia di lui e della fua virtù allo fteffo Re, che
molto di quelle arti fi dilettava; poi perfuafe Giovanni a portarli colà,
affienandolo, che fotto la protezione del Moro, egli avrebbe fatto gran
fortuna ; e perchè ciò più facilmente riufeiffe, volle, eh* e* portaffe con
effofeco il nominato ritratto (il quale Erafmo affermava effer più bello di
quello, che di lui pure aveva fatto poco avanti Alberto Duro) e che a
Tommufo Moro, per fua parte ed in fua memoria, il donaffe, Piacque
molto a Giovanni il configlio e V occasione, non folo in riguardo dello
Iperato avanzamento, fotto gli aufpicj del Moro, ma anche per levarli
una volta d'attorno alla moglie, la quale egli aveva d* umore così perver-
to,che tenendolo fempre in lite, non mai lo lafciaya aver bene; e gli face?»
va bene fpeffo ripetere ciò, che icherzàndo dice Euripide, Greco Poeta,
avere
r
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314 DecennaleIV.. del Secolo IV. dal i 530. al 1 540.
sVere la natura dato agli uomini gran rimedj centra le beftie; ma ninne
però» onde potefTero difenderli da una cattiva conforte. A. cagione di que-
fto adunque pare vagli d'avere un buon mercato, ogni qualvolta perden-
do di viftia la patria, gli Ione venuto fattolo fmarrire anche la difpettofa
fua donna. Quindi è, che ben predo partitoli daBafilea, prefe la via per
alla volta d'Inghilterra . Arrivato a Londra » e portatoli alla cafa del Mo^
ro, gli confegnò le lettere di Erafmo, e con effe il bel ritratto di lui » in
teftimonio della propria virtù. Quefto ritratto piacque tanto a Tommafo,
che aggiunto al concetto, ch'egli aveva formato del pittore colla fola let-
tura delle lettere d' Erafmo, fubito 1* accolfe con fegni di gran cortefia,
e gli diede luogo nella propria cafa, dove con affai carezze, lo tenne quali
tre anni, facendogli fare opere diverfe. Quefto però faceva egli con gran
cautela e fegretezza, a fine di poterfi arricchire di fue pitture, prima che
di lui arrivarle notizia al Re, il quale teneva per certo* che fubito l'avria
tirato al proprio fervizio. Fecefi fare il proprio ritratto, e quello ancora
di ciafeuno de' Tuoi più congiunti, con moki altri quadri : e finalmente
trovatori Sodisfatto appieno, fece riibluzione in un tal giorno di ban-
chettare il Re, e con tale occafione dargli notizia del pittore. Venuto il
tempo determinato, il Re fi portò alla cafa del Moro, il quale, per pri-
mo trattenimento, glifecevedere tutte le belle opere di Giovanni. 11 Re
rimafe fiupito, vedendo rapprefentati cosi al vivo tanti perfonaggì, da fé
ben conofeiuti ; tantoché il Moro veduto il gran piacere, che quella Maéftà
s'era prefo di quella vifta, fubito feceli di tutti i quadri un bel preferite,
Domandò allora Enrigo, fé fi foMe più potuto trovar quello, che sì belle
cofe aveva dipinte; a cui rifpofe il Moro, che sì; anziché quello defTo
farebbe pronto a rimanere al fervizio dèlia Maeftà Sua, ogni qualvolta ella
avene ciò comandato: e fubito lo fece quivi comparire. Videlo il Re con
gran piacere: é voltatoli al Moro, gli difle : Ora, Tommafo mio, tenete-
vi pure le voftre pitture per voi » perchè a me bada l'aver trovato il mac-
ero i e fatto dare al pittore onorato trattenimento, e vedendo ogni dì
opere più belle del fuo pennello , fecene da Ìndi innanzi tanta dima»
eh' era folito gloriarli d'aver nella fua Corte un limile artefice. L* Hoolbeen
fece il ritratto di quella Maeftà, e di molti altri, che veduti da' Cavalieri
della Corte, fecero sì, che non folo ognuno a gara correva a vedere le fue
pitture; ma ornai d'altro non li parlava,che diluì: ed egli intanto s'an-
dava tuttavia avanzando nella grazia del Re, Ma perchè rare volte, o non
ftiai,godono gli uomini, felicità fenza mescolanza d'alcun difturbo; occor-
re in que' giorni cofa all' Hoolbeen, che Io pofe in gran pericolo e in gran
cimento: e fu quefla. Venne un dì alla fua cafa un gran titolato, per ve-
dere le opere fue; ma perchè egli allora fi trovava occupato in fare alcun
ritratto dal naturale, o altro impedimento aveva, che gli vietava il rice-
vere alcuno in quell'ora, fu sforzato a feufarfirè licenziarlo. Quedo però
fece con parole di tutta amorevolezza e rifpettò, pregando quel Sigrtore à
Venire in altro tempo ; ma per molto ,che il pittore li fcufafl'e, il Conte non
fi partiva, anzi voleva falir la fcala quali per forza, non parendogli, che a
cagione di qualfifofle impedimento, la fua perfona meritarle tal repulfa
da un
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GIOVANNI HOOLBEEN. jij
da un pittore. Seguitava P Hoolbeen lefuè fcufe, ed il Conte le fue vio-
lenze: e andò la cofa tant?oltre, che parendo all'Hoolbeen d'efler troppo
fbprafFatto, non potendo più contener fé fteflo, gii diede una gran pinta*
con che rovefciollo per la fcala con tanta forza, che il Conce cadendo
indietro, percofle indietro la teda e V altre parti del corpo, che già &
raccomandava a Dio, credendo di l'ubico morire- I fuoi Gentiluomini
e fervitori, avendo pure affai da far col Padrone in quel repentino acci-
dente, non fi voltarono così pretto al pittore ; onde egli intanto ferrata
bene la porta della fua ftanza, e a quella appoggiato fedie, fgabelii e cavo*?
le, tanto fi afllcurò per un poco, che ebbe tempo a fuggirfi per una fine-
(tradel tetto, e (àlvarfi dalle mani loro. Fu la prima fua faccenda, allora
allora, portarfi davanti al Re, dal quale benignamence accolto, genufleflTo
a gran voci lo pregava a perdonargli, ma non però alcuna cofa dicea di
ciò, che averte fatto. 11 Re più volte gli domandò, perchè e'volerle peri-
dono; ma il pittore altro non rifpondeva, fé non che chiedeva perdono.
Allora il Re, compaflìonando alla forza del dolore, che quafi il rendea
forfennato, fi dichiarò di volergli perdonare, con quefto però, che do-
vefle il fuo fallo confefiare. L' Hoolbeen alquanto follevato dal fuo ti-
more, con gran fincerità e fchiettezza gli raccontò il tutto.- il che aven-
do intefo il Re , fu prefo da gran difpiacere, come quegli, che aliai com-
pativa la difgrazia di quel Cavaliere, che egli molto amava: e quafi fi
pentiva di avere così di fubito al pittore perdonato: pur tuttavia avvifa^
colo di non dover maipiù per 1' avvenire cadere in limili mancanze ,
Io mandò in una ftanza a parte , fìneh' egli avefle intefo come erano
paliate le cole del Conte: il quale, effendo già ritornato in fé, per av-
valorare le fue querele, fubito comparve in Corte, portato in una fedia*
fafciato in più parti del fuo corpo, e fattofi avanti al Re, con una voce
languida, come di chi è vicino a morire, diffe le fue ragioni: e nel dire
cercava tuttavia d'aggrandire la cola più di quel ch'ella era in verità, cor-
ine quegli, che nulla fapeva, che 1'Hoolbeen fi fofle fatto prima di lui
fentire dal fuo Signore. Finita poi la fua doglianza, molto fi rifc3ldo in
domandare, che al pittore folle data la pena conveniente al fuo, delitto *
Ma il Re, che già aveva intefo il fatto giufto, avendo conofciuto l'artifi-
zio del Conte, e qualmente egli parlava con poca iìncerità e a vendetta ;
e come quegli, che anche molto amava l'Huolbeen, con cui fi trovava
impegnato al perdono, andava mitigando la paflione del Conte al più che
e* poteva; donde avvenne, che non parendo al Cavaliere d'averne il Tuo
conto, vinto dallo fdegno, ardì di dire al Re, che avrebbe egli trovato
modo di gaftigarlo da le fteflo. Quefta fu per lui una mala parola, per-
chè il Re giuftamente irato gli diiTe.* Orsù, adeflb voi non avete a fare
più col pittore, ma colla fteffa perfona del Re, e minacciollo forte; fog-
giugnendogli, eh' e' non dovefle credere, che quel virtuofo fofle appretto
della perfona fua in quel poco conto, ch'ei li penfava; perchè poteva be-
ne il Re di fette contadini far fette Conti, ma non già di fette Conti fa-
re un pittore così eccellente, quale era L' Hoolbeen . Quefta rifpofta fu al
Conte di gran confuiìone e timore: e perchè temeva fortemente, che,i\
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316 Decennale W. dei Secolo IV, dal i $30. al 1540.
Rè nonfi vendic^ffe delle parole pronunziate in fua prefenza, lafciato à%
parte il livore e l'affetto di vendetta, fi mife a chieder per fé la grazia della
vita, promettendo dì tutto fare che gli foffe flato comandato. Allora il Re
gli comandò eipreiTamente, che non mai, per alcun tempo, doveffeefiere
ardito, <ii fare ingiuria al pittore, riè da sé ne per mezzo d'altri, altra^
inente fi afpettaflè quella pena, che egli avrebbe avuto, offendendo la-.ftefìa
perfona fua: e con torbida faccia fé lo tolfe davanti. Tanto è vero » che
non fi debbonfi le proprie eaufe, ancorché giufte, portar d'avanti a' Grandi
fenza la dovuta lealtà, né con canto calore, che fcorra oltre a* limiti di
un'offequiofo rifpetto . Seguitò poi V Hoolbeen a fare belliìlime opere per
Sua Maeftù, tra le quali fu il ritratto della medefima quanto il natura-
le: il qua!ritratto dell'anno 10*04. fi confervava nel Real Palazzo, detto
Withal. Fecegli ancora i ritratti de'tre giovanetti figliuoli, Edoardo,
Maria, ed Elifabetta » che pure nel fopraccitato tempo u confervavario in
quel Palazzo. Ancora colorì ritratti d'uomini e donne illuftri di quella
città. Per la Compagnia, o voglialo dire Arte de'Cerufici, dipinfe un
bel quadro , in cui figurò il Superiore di quell'adunanza, in atto di rice-
vere i Privilegi del Re. Vedevafi Enrico Vili, in figura maggiore dei na-
turale, affifo in crono; e da'lati ftavano coloro, pe'quali fi davano i pri-
vilegj, in atto reverente e genuflefli, mentre il Re quelli loro porgeva;
ben*è vero, che fu opinione, che quello quadro, alla morte dell'Hook
been rimalo imperfetto, folle flato finito da altro pittore, ma però della
fìeiTa maniera appunto. In più caie di cittadini fi vedevano ne'medefimì
tempi maraviglio»* ritratti, e in tanto numero, che pareva imponibile,
che un folo uomo, in così breve corfo di vita, avelie potuto operar tan-
to: maflìmamente, perchè egli ebbe una maniera finita al portabile, e con
imitazione del naturale, eflendo flato folito di condurre lefue figure con
carnagioni tanto vere e con tal rilievo e fpirito, che i fuoi ritratti pajo-
no vivi , benché nel panneggiare foffe alquanto fecco, e teneffe affai della
maniera d'Alberto Duro. Inoltre, perchè Giovanni aveva abilità in ogni
colà dell'arte, fece molti difegni per altri pittori, intagliatori in rame e;
in legno, e per gli orefici. Colorì a guazzo, e fece anche molte miniatu-
re, e tanto in quelle, quanto nelle pitture e ne'difegni, fecefemprefpic-
care una maravigliofa diligenza. Aveva egli imparata l'arte del miniare, in
Londra, da un certo Luca, maeftro molto nominato, che flava appreffo
al Re; il qual Luca era però in difegno aliai inferiore all'Hoolbeen. Di-
pinfe ancora due gran quadri a guazzo, che pure del 1604. fi confervava-
no in Londra, in una cafa, chiamata dell'Oriente. Nel primo figurò il
trionfodelie Ricchezze, e nell'altro lo flato della Povertà, La Ricchezza
figurata a fomiglianza ài Plutone, in forma d' un uomo vecchio calvo,
maeftofamente ledente (opra un carro trionfale, ricco di varjornamenti,e
tutto coperto d'oro-' il Vecchio piegando ildorfo, pigliava con una mano,
monete d'oro e d'argento da unoferigno, e coli'altra mano moftrava gétv
carne in gran copia. Dall'uno e l'alerò lato di fua perfona ha la Fortuna
e la Fama, e gran Tacchi di moneta, ingombrano gli fpazj del carro; dietro
al quale corrono molte perfone, che azziniandoli confufamente infieme,
cercano
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GIOVANNI H00l$EEN.!\ §if
cercano di far preda del gettato denaro. Dall'una e dall'altra parte del
carro» danno Mida e Crefo, ed altri ricchifiìmi Re dell'antichità : ed è
tirato da quattro bianchi cavalli, guidati da quattro femmine ignude, fi-
gnificanti quattro Deità, appropriate all'invenzione. I panni delle figu-
re fon tutti arricchiti con oro. Nell'altro quadro della Povertà fi vede la
medefima» iti figura d'una femmina eftenuaca e macilente, in atto di fe-
dere fopraun monte di paglia» elevato fopra un carro vecchio e fdrucito.
Fa ombra aquefta figura una capaftnuccia, pure di paglia, antica,© in più
luoghi logora e traforata. Siede la Povertà malinconica e penfofa, con
velie fdrucita e rappezzata : e tirano il fuo carro un cavai magro ed un
giumento, a' quali camminano avanti un uomo ed una donna, anch' efli
pallidi e fmunti, e con facce mede (tringon force le mani, come chi de-
plorando le proprie neceffità, chiede mifericordia e foccorfo. L'uomo ha
Una verga ed un martello, per lignificare i gravi e varj colpi con che
il mendico è percoflb dalla povertà. Davanti al carro fiede la Speranza,
la quale con affetto divoto fida gli occhi nei cielo: ed in quell'opera fece
altre belle invenzioni, molto efpreflìvedel concetto,e ben colorite; tanrt;
tochè trovandoti in Inghilterra circa l'anno 1574. Federigo Zuccheri»
difegnò l'uno e l'altro quadro con penna ed acquerelli» lodandogli a gran
fegno; e poi eflendo lo fteflb Federigo in Roma a converfare coi Goltzio
nella propria cafà di lui, parlando delle cofe dell' arte ,e di quello pittore*
ebbe adire, che le pitture di qoeft' uomo non invidiavano quelle dello;
(ietto Raffaello; e fé ciò non Vogliamo credere per quello, che ne 1 afe io
fcritto il Vanmander nel fuo idioma Fiammingo» polliamo valerci del tetti--,
monto di molte pitture, che ii trovano per 1* Italia di fua mano; ma parti-
colarmente del ma-ravigliofo ritratto, che fi conferva nella Real Galleria
del Sereniflìmo Granduca, nella ftanza chiamata la Tribuna, dove in un
quadro di circa un braccio, è una figura in tavola» che rapprefenta un
uomo con barba raia, con una berretta nera in capo, in fronte alla qua-
le è una borchia d'oro, con una gemma o cammeo» il tutto in campo ver- ,
de; la figura guarda verfo la parte finiftra, Ha tra la gola e la guancia de-
lira due margini, che par di perfona,che abbia patito di fctofole: è veftita
di vefte nera alla nobile, con maniche di rafo nero: e le mani pofìe fo-
pra r una 1* altra, pofano fopra checcheflìa, o tavola o altro: ha in un
dito un'anello, e al collo una catena d'oro. Nel mezzo al verde campo»
ili qua e di là dalla tefta, fi leggono le feguenti parole;
X.* IVLII ANNO                     ETATIS SVM
H Vili. XXVHL*                     ANN. XXXIII
1/ornamento è intagliato e dorato , e dalle bande fono due cartelline
d'argento fodo; nella prima, a man deftra» fono intagliate quelle parole;
Effìgie* Domini Ritardi Soutbwtlli equitis aurati Confinarti privasi
Henriti Vili Tttgi* Angli*.
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j i-l Decennale 1K M Smh IV. M1530* al 1540.
Neteièconda a man finiftra^ .,;,u:,- ;:i ,y^^:r, \:iU fi^>:,
\lì t$bu n^Qpùs. celeberrimi artifici* Jokanms B» Ih uni giclons
^r
         - i              Regis Benrici VÙL
Nella parte di fopra è l'arme del Granduca Cofi-mo IL pure d'argento fo-
do, cori ifcrizione Cofmus IL CHagn. Dux Et furia Il IL ed in quella di fot-,
to un'akr'arme coronata, che è quella del Regno, che ha d'intorno*
fecondo il coftume, le feguenti parole (Motto Franzefe dell'Ordine del-
la Legacci a ^ o v vero G i a rt iera )
Boni foit qui mal y penfe itfai.
Nella fleffa Galleria ( a) è un ritratto di mezza figura, di grandezza di più che
mezzo naturale, che rapprefenta un' uomo graffo, con barba raf3, e ber-
retta nera in capo, vefuto di nero, con mani foprappofte, e nella mano
di fotto tiene un foglio avvolto, Quefto pure, per quanto ne moftra la
maniera, fi riconofee per opera delrHoolbeen . Vide ancora Io Zucche-
ri, con fua molta ammirazione, in Londra, un ritratto grande quanto il
naturale, d* una Contefla ( e quefto era in cafa di Milord Penbroicth) del
quale diiTe, per teftiraonio del Vanmander, non aver veduto altrettanto
in Roma, Era in que'tempi in Londra un certo uomo, chiamato Andrea,
il quale comprò tante dell'opere di Giovanni, quante mai ne potè avere*
e fra' molti ritratti, uno ne aveva quanto il naturale, fatto al vivo dalla
perfona di un tal maeftro Niccolò Tedefco, che per trent'anni era flato
in Inghilterra Agronomo del Re, appreflb al qual ritratto aveva l'Hool-
been rapprefentati tutti gli ftrumenti d'Aftronomia. Quefto Niccolò, co* ,
me iì racconta, fu uomo piacevole,* onde era fqvente ammeflba difeorfo
familiare collo {teno Re: e una volta interrogato dai medefimo» per qua!
cagione effendo flato trent'anni in Inghilterra, non aveftb ancora appe-
na imparato i principi della lingua ; rifppfe; E quanto mai pare a Voftra
*....,          Maeftà,
.. 8"               ' '"' '■■'                                  Ifi r:         ,-, ,                    ...                 ! ■ .           L.          ________ .___                      ____________.________
(ir) Quefto Ritratto, compagno appunto in grandezza all'altro del Southvvel,
rapprefenta Martino Lutero, con berretta Dottorale in tefia,e_vefia da Frate
Agofiiniano fenza Cocolla, e fta nella medefima Tribuna . Un*-altro di donna
ve
w* è nella fi e fa Camera con panno bianco in te/la alla maniera delle donne
Olandefi, un poco minore de'fttddetti, e in quejh pia che negli altri due fi ojfer*
va verifitmo quanto il Baldinucci atea ferino poco innanzi;
eh' egli ebbe
una maniera finita al poflìbile, econdufle le carnagioni tanto vere,, e con
tal rilievo e fpirko, che i fuoi ritratti pajono veri, evi fi offervà ■'meno
feccaggine, che negli altri. Ma pia di tutti è maravigliofo il 'Ritratto_■
"• di fé medefimo pofio nella ceUhre Raccolta de" Ritraiti de\ Pittori ,^ dipinti fi
da loro me defimi, fatto di matita rojfa e nera, con ve/la turchina in campo
giallo, e tutto acquerellato, e inflizione JOANNES B0LPEN1VS BASI-
ZjEENSIS SVI 1PSIVSEFFIGIATOR dì XLIV. qnde.nonfaprebbefiindo-
vinart con qual motivo F Amore lo chiami HQOLBEEN*
i
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GIOVANNI HOOLBEEN;: 3tj
Maéftàr cKé fi poffa imparare in'trent'ànrii in una lingua diquèfta fotta ?
a Lei par forfè poco, 4 me par pure affai. Era anche fra gli altri ritratti
appretto Andrea di Loo, quello del vecchio Milord Crawel, di grandezza
df un piede e mezzo , quello d' Erafmodi Roterdam, e quello del Vefcovp/
di Conturberà: una gran tela a guazzo, dove in beila ordinanza, eran ri-
tratti, in atto di federe, e grandi guanto il naturale, iifamofifllmo Tom-
malo Moro colla moglie e figliuoli, che fu la prima opera, eh? e* facefle
in Inghilterra, permetter fé fieli o i-ri reputazione, e quella foleva egli
chiamare il fuo pezzo d' onore, cota, per certo, degniflima da vederli*
perchèT Hoolbeert in quefto quadro dimoftrò t ultimo del valor fuo.
Pervenne poi quefta bell'opera, dopo la morte d'Andrea di Loo, in mi-
no di un Cavaliere, nipote dello fieno Tommafo Moro. Un altro (lucen-
do ritratto di Tommafo Moro aveva fatto Giovanni Hoolbeen, a cui era
già ftatodato luogo nella Galleria di Enrigo VITI, nella ftanza, ove fi cpn-
fervavanq i ritratti de* più celebri uomini antichi e moderni. Quefta ftur
penda pittura, adocchiata dalia fcellerata Anna Bolena,lo fteflbè\, che era
leguita la morte di Tommafo, la fece prorompere in sì fatte parole: Oimè ^
che pare, che ancor viva eoftui fuquella tavola . Quindi fattala toglier dì ,
luogo, colle proprie mani la gettò dalle alte fineftre del Palazzo:.e fu
attribuita ad opera della Divina Provvidenza, che quella degna immagine v
tuttoché alquanto maltrattata dal colpo impetuofo, fi confèrvafle, finché
portata a Roma, ebbe luogo nel Palazzo óV Cretcenzj, ove fino al prefentè
tempo fì conferva, il ritratto del Vefeovo di Conturberà, il piùbelk>>
al parere degli artefici, che mai faeeiTe Giovanni, ebbeio un Gentiluomo,
chiamato maefi.ro Goop, che abitava fuori di Londra. In Amfterdam. era
Patino ló'okf. un ritratto d'uni Regina d'Inghilterra, con un bel panno
d'argento. Aveva anche Giovanni colorito due ritratti dì; fé fieflb con
acquerello ìri piccoli tondi, i quali aveva finiti maràvigliofamente i il primo
aveva un tale Jacopo -Razzeti: il fecondo un certo Bartolommeo Ferreria; Va
attorno dì quefto maeftro una bella ftampa di venti figure, rapprefentatòviil
Bai lo del la Morte, come f opra abbiam detto, dove fanno un beliiffimo vede*
re le perfone di divertì Pontefici, Cardinali, e altri gran perfonaggì, nel cade-
re che fanno filialmente in potere di lei. E" anche un libretto di ftarapè in
Jegno, con iftorie della Sacra Bibbia, d'affai buona invenzione. Avendo
finalmente Giovanni ornato colla fua belF arte quelle provincie e'1 mon-
do ,■ arrivato all'età di einquantafei anni, tocco da male contagioso, fé
ne moriranno 1554. Fn 1* Hoolbeen r>ratÌchiflimo nel difegno, grande
imitatore delle cofe naturali, e come altra volta fi è detto, colorì: le fue
figure a maraviglia; ma quello che fi rende più confiderabile li è, ch'egli
era mancino, e a far V opere fue non mai fi fervi, fé non della finora ma*-'
no: cofa, che dopo gli antichiflìini tempi, qualchedun'altra volta, ina beii
di rado, fi è veduta,
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DOMENICO h
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320 Decennale IV. delSefolo 1K dal 1530. al 1540.
DOMENICO RICCIO
detto il BRUSASORCI
PITTORE VERONESE
fDifèepòlo del Carotto, nato 1494. #■ 1567.
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Irca a quelli tempi fiorì Domenico Riccio Pittore Veronefe.
Fu il padre Tuo profeflòre d'intaglio in legname : e perchè egli
fu inventore di queir ordingo, che noi diciamo, Trappola
di legno, con cui vivi lì prendono i topi, fu cognominato il
Brufaforci. Volle coftui» che Domenico, ne' primi anni fuoi,
attendeffe al proprio meftierod'intagliare legname; ma Icor-
tolo poi molto inclinato alla pittura, lo pofe ad imparare tal'arte dal
Carotto, col quale eflendofi egli molto approfittato, fi rifolvè di portarli
a Venezia, dove fludiò di tal proposto l'opere de'gran maeftri, che potè
far ritorno alla patria in iftato di buon pittore. Quivi ebbe a dipignere
nel Palazzo de'Murari una ftoria delle Nozze del Benaco, detto il Lago
di Garda , con Garide Ninfa, figurata per Garda, onde trae origine il
Mincio , defcritta da Catullo, che fu di quella patria : la quale opera
(fcherzando Copriti penfieri del Poeta) arricchì»ed accompagnò con va-
ghe invenzioni. Fece dalla parte della pubblica via un fregio di ferpi e
3' altri animali avviticchiati infleme fra di loro, in atto di combattere :
e quella parte ancora adornò con vaghe rapprefentazioni di favole. Dalle
parti laterali fece vedere un'intreccio d'uomini e di donne, e i Centau-
ri, in atto di rapirle i cofe tutte, che aggiunte alla bell'opera del trionfo
di Pompeo, che egli colorì nella Sala della ftefla eafa, partorirono a Do-
menico non ordinaria fama e credito. Dice il Cavalier Ridolfì, che ri-
maneva a dar fine alla parte del fianco della cafa ftefla verfo la ftrada; ma
quella fu poi dall'India vecchio dipinta; perchè avendo Domenico opera-
co di vantaggio dell'accordo, né traendo da quell'avaro mercante piccolo
fegno di gratitudine; anzi durando egli non poca fatica a cavargli di mano
la Comma pattuita di quaranta ducati, non volle in modo alcuno profe-
guire il lavoro, anzi voleva al tutto calcar ciò , che già aveva operato-
ma fi ritenne pofcia , perfuafo dagli amici, a non privare il mondo di
opera sì bella. Paflatofene a Mantova, dipinfe al Cavaliere Ercole Gon-
zaga, per Io Duomo, la tavola di Santa Margherita, a concorrenza d'ope-
re di Paolo Galiari, del Farinato, e di Batifta del Moro: ed una ne fece
perla Chiefa del Cartello, ove fece vedere la Decollazione di San Gio-
va tubatola. In Verona poi dipinfe nel Palazzo di pellegrino Ridolfi nella
Sala, la Cavalcata di Clemente VII. con Carlo V. per la città di Bologna,
colle naturali effìgie di quefti, e d'altri personaggi di quei tempi. Dipinfe
più facciate di cafe, e pili tavole e quadri color) per diverfe chiefe e pri-
vate perfone: e finalmente all'età pervenuto di fettanta tre anni, nel 1567.
fiiiì la fua vita.
                                                                  JACOPO
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s C'..a:;. » -.■'•.-... i f                 l %},■•
■■e                                      .- ■ c-.v :                9*«*!f
A C O P O BAROZZI
DA VIGNOLA, ARCHITETTO
; £ PROSPETTIVO
DETTO IL VIGNUOLA
Ti-
iViw 15*07. #1573.
N quelli tempi fu pieniffimo, per così dire, il mondo tutto»
dell'ottima fama del celebre profpettivo e architetto * Jaco-
po Barozzi da Vignola, terra nobile del Miianefe. Qiielti,
non folo per l'opere fue egregie » eh'ei co ndufie, in ciò che
all'architettura appartiene ; ma eziandio per li Cuoi dottiflimi
fcritti di fonili facultadì, meritò non folo., che il canto cele-
bre Matematico Egnazio Danti, Religiofo dell'Ordine de' Predicatori, eletto
Vefcovo d'Alacri,dopo la morte diluì, volgefle ogni applicazione, non pure
a pubblicare eolle ftampe e a proprie fpefe, i fuoi Trattati, con impiegare
il proprio intelletto in ridurgli anche più godibili, coli'aggiunta di chia-
rifllmedimoflrazioni; ma eziandio, ch'egli medefimo obbligale la propria
penna a diffondere una efatcMfima Narrazione della vita, dell' opere e del-
l'altre fmgolariflìme qualitadi 0 doti, che f animo di lui adornarono*
Dovendo io adunque in quello luogo far menzione d'un uomo sì cele-
bre, fono andato fra me ftelìò penfando, s'io do vedi contentarmi di com»
pendiaré, quanto dallo ileflb Frac' Egnazio fu fcritto, il tutto riducendo
al mio folico periodo, qualunque elfo fi ila, o ofeuro o melenfo . Ma eoa*
fiderando da una parte, non eiler giuda cofa il privare, o punto p poco»
la pofterità della notizia di tante e affai nobili doti di sì gran virtuofo;
e dall' altra riflettendo alla dignità del foggetto, che effe notizie fcrifle e
pubblicò ; mi fon rifoluto a far cofa, che io non mai» o rariflìme volte fe-
ci nel deferivere i fatti di molti celebri uomini : mi fon rifoluto, dico*
di copiare didimamente di parola in parola, quanto lo fteifo Danti nel 1585»
dieci anni appunto dopo la morte dei Barozzi, fcrifle e pubblico a prjncir
pio dell'opera, che intitolò Le due Regole della Proiettiva pratica di Mefs,
facomo tarozzi da Vignola* con è Commentarj del R* P. M. Bgnazh Danti
dell- Ordine de1 Predicatori* Matematico dello (Indio di Bologna,
Dice egli dunque così.
COloro* che fono afeefi a quei gradi d? eccellenza* ebe la fe ala degli onori di
queHo mondo yha in ogni maniera di virtù e di fetenza prefcrittiperftt-
premi , quafi fempre vi fono flati guidati dalla Natura per afpr'tjfime efaticojfi-
me ftrade. È queHofa ella per avventura
, per moflrqre a quegli, che fon nati
negli agi e nitriti nelle delizie
, che altri* che la virtù non ha pane alcuna di
X                                fublimare
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$S% Decennale IK del Secolo IV. dali$i o. al i540.
Mbl^^e^ruf^co^&ttiJ^e^^ che difficiUffiim^ e£ qttafiìmppjfibih fia M
^teta^(ihramente armmrei, t>i %ht. fé ne fimi in jo^htjewpàj)^duti infiniti
ejempìt tra i quali al prefente è rariffimo questo del Tarozzi ; imperciocché
avendo/iella ptopoBo di'fuBlimarlo tie' primi gradì dell' eccellènza dèlianobili fil-
ma Arte dell' Architettura e della Profpettiva, ridufe Clemente fiso padre a sì
efirema neceffità, che gli convenne, per le dijcordie civili
, abbandonare \Mì~
ianofua patria* dove egli era, nato di sì,nobile famigliai ed eleggere per fua
Banza Pignola, Tetta* che per e ([ère capo del marchefatov e però convenevol-
mente nobile e di civili abitatori ripiena. Dove nel
1507 Udì primo d' Otto-
bre
, gli nacque Jacomo fuo primo figliuolo, di madre Tedejca, figliuola di un
prtncipal condoitiere di fanterìe
. E perchè in quello e/ìlio della patria non pa-
reva che potere aver luogo tanta felicita* che Clemente lo vcdejje indirizzato
,
come desiderava ; appena vide gli anni dell7 infanzia di lui, che pafsò di quella
0 migliar vita* Rimafo Jacomo fenza padre\, e fuor della patria , avendo in
quella tenera età l'animo ardenti/fimo alla virtù* fi trasferì fubi to a Bologna,
per attendere alla pittura* Ma accorgendofi poi di non fare in ejfa molto pro^
fìtto, così per non avere quella buona istituzione, che a così difficile arte fa di
meftìere 1 come anco per aver occupato qua fi tutto il tempo nel difegno delle li^
fièè
, dove maggiormente fi fentiva inclinato , fi voltò quafi del tutto agli fiudj
dell' Architettura e della Trofpettiva; nella quale, fenza veruno indirizzo, ria-
fcì da fé fleffo di tanta eccellenza, che con la vivacità deli* ingegno fuo ritrovò
quefie bellfffime e facilijfime regole , che ora vengono in luce
, colle quali fi
può con molta facilità, e con ufarvì pochiffima > 0 niente di pratica , ridurre in
dìfgno qualfivoglia diffidi cofa ; invenzione nel vero degna dell' ingegno fuo,
ed alla quale nejfuno arrivò mai nel penfiero prima di lui
. Avendo/i dunque in
que/l' arte ai qui fiato nome divalent uomo
> ebbe occafione in Bologna di mostra-
re il valor fuo, e di farvi molte cofe di pregio: tra le quali furono grandemen-
te filmati i difegni, che fece per Me fa. Francefco Guicciardini
, il quale e fendo
allora Governatore di quella città, gli mandò a Firenze per fargli lavorare di
tarsia da eccellenti maefiri. E fapendo il Barozzi* che non bafiava il leggere
folamente quei precetti, che /afeio [ertiti Vitruvio Politone
» intorno all' *Ar-
chitettura ; ma che oltre a ciò
» bifognava vederli offervaù in atto nelle vive relì-
quie degli antichi edificj; fi trasferì a Ruma, come in luogo particolarmente
per qualità e numero di tffi chiarijfimo e famofiffimo . Ma perchè bifognava purè
procurare intanto il vivete per Je e per la famigliai efercitava talvolta la pit-
tura, non levando però mai l'animo dall' offervazioni dell' anticaglie. In quel
mentre e fendo fiata Mituita da molti nobili fpir iti un' Accademia d'Artbitet»
tura, della quale erano principali
, il Signor {Marcello Cervini, che poi fu Pa'
fa, Munfignor Maffei t ed il Signore Alefjandro Manzuoli; lajciò di nuovo la
pittura, ed ogni altra cofa : e rivoìgendofi in tutto a quella nobile ejèrcita-
zione, mifmò e rhraffe per fervizio di quei Signori tutte l' antichità di Ro-
ma: donde fi partì fanno
1537- efjendo fiato condotto in Francia dall' Abate
Primatìccio, ecceUentiJfimo Pittar Bolognefe
, a i fervizj del Re Francefco /.
il qual volendo fare un palazzo e luogo di delizie di tal' eccellenza » che aggua-
gliale la grandezza del generofo animo fuo * e di Juperare con quella fabbrica
tutti gli altri edificj
> che per /' addietro fafièro fiati fatti da- qualfivoglia Trincipe
del mondo*
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.-;• JACOPO SAROZZl.          3s3
ììcl mondo; Volley eh* egli glificefe i difegni e modelli di effa, t quali poi nm
furono del tutto me/firn efecuzione per cagione delle guerre più che civili, che
furono in que' tempi nella mi/era Criffianità. Con t ut toc io fece a quel Ile molti
altri difegni di fabbriche, che furono meffi in opera
, e particolarmente i difegni,
e cartoni diprofpettiva, dove andavano ifforie del Primaticcio, che nel P alazza
di Fontanablo furono dipinti i facendo nel mede/imo tempo gettare di metallo)
molte ilatue antiche, le quali erano fiate formate in Roma, la più parte d' or-
dine fuo. CMa non avendo potuto effettuare il tutto compiutamente % per effere
flato corretto quel Re a rivolger P animo a cofe maggiori, fé ne ritornò a Bo-
logna
i chiamato e pregato ftrettornente dal Conte Filippo de7 Peppolit Prefidente
di San Petronio, per farlo attendere a queUa fabbrica, intorno a i difegni della
quale fi occupò fino ali* anno
1550, noti avendo quafi potuto farvi altro per le
molte competenze, che fi trovò di perfine, le quali nonfapevano cercar fama,
fé non con opporfi, affinchè l'opera non camminajfe avanti: vizio naturale a" al-
cuni, che conofeendo l'imperfezione loro, nonpoffono vedere, fé non con gli occhi
pregni d'invidia, arrivar* altri dove effi poflono folamente col temerario ardir
loro avvicinarfi; ma non potè però operar tanto quefla feiocca emulazione, che
finalmente non fi conofeeffe il valor fuo, et altrui malignità- 'Ver ciocché ef*
fendo flati chiamati Giulio Romano, nobili/fimo Pittore e Architetto
, e Cri/lo-
fino Lombardi, Architetto del Duomo di Milano, a dar gì udicio fopra quei
difegni: vedutili e confider utili maturamente, approvarono quei del Vignola,
con pubblica frittura, per eccellentifiimi fopra tutti gli altri. In quel me defi-
mo tempo, oltre a molti altre cofe, fece un Palazzo a Mìnerbro pel Conte Ala-
manno Ifolano, con ordine e difegno molto notabile e maravigliofo - Fece la
cafa del Rocchio
, feguìtando V umore del padrone di effa : e condujje con in-
credibìl fatica, il Canale del Navìtio dentro Bologna, dove prima non arrivava
fé non tre miglia apprejfor Creato poi Giulio III. fé ne venne a Roma , dove
era fiato chiamato da quel Pontefice, col quale aveva tenuto fervi tu, mentre era
flato Legato in 'Bologna: e per ordine di efjo tirò avanti, oltre all' altre fabbri-
che, quella del Palazzo della fua Vigna fuor della Porta del Popolo*, la quale
finita poi infame colla Vita del Pontefice
, fi ritirò a'fervigi del Cardinale Far-
nefe, pelquale, Jebbene fece molte cofe, la principale nondimeno fu il'Palazzo
di Caprarola, accomodato così bene al (ito, che di fuori è di forma pentagona,
di dentro il Cortile e le Loggie fono circolari, e le Stanze riefeono tutte qua-
drate, con bellifiìmaproporzione > e talmente /partite, che per le comodità, che
negli angoli fono cavate
» .non vi fià alcuna particella oziofa .• e quel che è mi-
rabile, le fianze de* padroni fono talmente po/le, che non veggìono officina nef/a-
na> né efercizio fordido : il che ha fatto ammirarlo da chiunque V ha veduto
»
pel pia artificiofo e pia compitamente ornato e comodo Palazzo del mondo : ed
ha con defiderìo tirato a vedere le maraviglie fue da lontane parti , uomini
molto giudiciofi, come fu per efempio Monfignor Daniel Barbaro, per fona mol-
to efquifita nelle cofe dell'architettura, il quale moffo dalla gran fama di quefla
Palazzo, per non fé ne andare prefo alle grida, venne appofla a vederlo
; e
avendolo confederato a parte a parte
, e intefo minutamente dallo Sefio Vignala
l'ordine di tutti i membri di sì compita macchina
» diffe quefie parole: Non mi~
nuic, immo magnopere auxit prcefentja famam ; e giudicò* in quel genere e in ,:
X 2                                 quel filo*
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324 Decennale 1F. déSecolo IV, Mi$$o. 0/1540.
quelfito, non poter fi fare co fa più compita. E nel vero* quefia fabbrica, pie
ai tutte l'altre opere fue, Vha fatto conofcere per quel raro ingegno, che egli
era
» avendo in efja fp&rfigli anticbijfimi capricci , e mostrando particolarmente
la grazia dell' arte in ttm fcala a lumaca» molto grande, la quale girandofi
futte colonne Doriche, col parapetto e Maufiri colla fua cornice, che gira con
tanta grazia e tanto unitamente, che pardi getto, amen con molta grazia con-
dotta fino aUafmmità: e in fìmigliante maniera fon fatti anco con grand* arte
e maestria, gli archi della loggia circolari. Né contentando/i il tarozzi defierfi
immortalato colia flupenda architettura dì quella fabbrica, volle anco mofirare in
ejja qualche faggio dette fue fatiche di prospettiva, tra le belle pitture di Tad-
deo e Federigo Zuccarj ; onde avendo fatto i difegni di tutto quello, che inftmil
materia occcrrevavit colorì molte cofe dì fua mano : tra le quali fé ne veggiono
alcune molto diffìcili, e di lungo tempo afarfi affègnatamente con regola, non
vi mettendo punto di pratica, come fono le quattro colonne Corinte ne' cantoni
$ una /àia, talmente fatte, che ingannano la vìfta dì chiunque le mirai e il
maraviglio sfondato della camera tonda
. Fece oltre a ciò pel detto Cardinale
la pianta e il grazìoftffimo difegno della facciata della Chìefa del Gesù alla Piazza
degli Altieri, che oggi fi vede fiampata. Egli cominciò a piantare in Piacenza
un Palazzo tale e di sì nobil mole, che io
, che ho veduto i difegni e V opera
Cominciata
, pojfo affermare di non aver veduto mai, in fimi/ genere , cofa di
maggiore fplendore
, per averla in guifa ordinata* che le tre Corti, del Duca,
di Madama, e del Principe, vi potejfero abitare agiatamente con ogni forte di
decoro e d'apparato regio. Lafcìò per nonfo che anni a guida di quefta fabbri-
ca, Jacinto fito figliuolo, dandogli i difegni talmente compiti con ogni partico-
fare, che potevano baBare per condurreficuramente l'opera ali 'ultima perfezione
'.
E queBo fece egli per l'amore, ctié*portava all'arte, e non perchè non cono*
fceffe Jacinto fua figliuolo attifitmo afupplire a molte cofe da per fé fiejfo ; che
egli volle porre in carta
, non perdonando a fatica alcuna, in modo, che avanti ,
che fi parti fé , non operaffe di fua mano tutto quello che erapoffibìle dì fare*
Aveva poco prima fatto in Perugia una molto degna e ornata e appella netta Cb'tefa
di San Francefco: ed alcuni difegni di altre fàbbriche, fatte a Cafliglion del
Lago , e a Caftel della Pieve , ad ì(lonza del Signore Afcanto detta Corma*
Veggionfi di fua invenzione in Rima la grazio fa Cappella fatta per l'Abate Ric-
cio in Santa Caterina de' Palafrenieri del Pontefice, in Borgo Pio, i difegni
della quale ha mejf'o poi in opera Jacinto. Furono fatti da luì, in diverfi luoghi
d'Italia, molti palazzetti, molte cofe, molte cappelle, ed altri edifici pubblici
e privati: tra li quali fono particolarmente la Chiefa di Marzano quella di
Sant' Ore/le, e quella di Santa Maria degli Angeli d'Afcefi, che pure da lui
fu ordinata e fondata, la quale poi da Galeazzo Aleffi e da Giulio Danti, men-
tre viffè, fu fé gai tata. Nel Pontificato di Tio IV. fece in Bologna il Portico e
la facciata de' Banchi
, dove fi feorge con quanta grazia egli feppe accordare la
parte nuova colla vecchia. Ed efiendopoi
, per la morte del Buonarruoti, eletto
Architetto di San Pietro* vi attefe con ogni maggiore diligenza, fino aWeftre-
imo ài fua vita. Frattanto, e pendo il Barone Bernardino Martiniano, arriva-
to alla Corte di Spagna, per alcuni fuoi negozj, fu favorito da quel Re, che lo
conobbe per uomo menantiffimo nette Maitematiche e nelle tre farti dell' Archi*
tatara,
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.,-■■-. JACOPO SA ROZZI,           ii$
lettura, dì Conferirfeco alcuni fuoi penfieri in materia dì fabbriche % editi par-
ticolare della gran Cine fa e Convento, che faceva fare all' EJcuriale in onore dp
San Lorenzo i dove avendo il Barone avvertito molte cofè, efcopertì con moli*
chiarezza diverfi mancamenti; r'tdujfe quel Re a foprafleder così grand' imprt-
fa, fìnetìegli mandato da Sua Maejìà per tutta Italia a cercar dtfegni da $ pri~
vii architetti, fojfe capitato a Roma per portargli nelle mani del Vignola, per
cavar poi da lui un difegno compitiamo, del quale potejfe appieno fodi sfarfi,
conforme a quello fi prometteva daW eccellenza di effò, e dalla lealtà e candidezza
d'animo che feorgeva in lui'- e così tornando poi alla Corte» con moUrare-et avere
ufata intorno a sì fatto negozio tutta la diligenza, che conveniva. Venuto
dunque il Barone in Italia, ebbe in Genova difegni da Galeazzo Ale/fi, in Mi-
lano da 'Pellegrino Tebaldì» in Venezia dui Palladio, e in Fiorenza un dijegno
pubblico dall' Accademia del Difegno, ed un particolare di forma ovale, fatto
da Vincenzio Danti, per comandamento del Granduca Cofimo; la copia del quale
S.AS. mandò in Ifpagna nelle proprie mani del Re, tanto le parve bello e ca-
pricciofo.
iV' ebbe anco in diverfe cittì? tanti altri, che arrivarono firn al nu-
mero di xxij. de' quali tutti {non altrimenti, che fi facete Zeufi\ quando dì*
pinfe Elena Crotone nel Tempio di Giunone
, traendola dalle più eccellenti parti
d'un eletto numero di belli (/ime Vergini) ne formò una il Vignala di tanta per *
fezione e tanto conforme alla volontà del Re, che ancorché il Barone fu/le di
diffìcile contentatura, e d'ingegno efquifitìjfimo
, Je ne Jodìsfece pienamente, e
indù [fé il Re, che non meno fé ne compiacque di luì, a proporgli, come fece,
onoratijfime condizioni, perchè andaffe a fervirlo
. {Ma egli, che già carico di
anni , fi fentiva molto Banco delle continue fatiche di quefl' arte dìffìcìltfji~
ma, non volle accettare V offerte; parendogli anco di non fi poter contentare di
qualsivoglia gran e ofa, allontanandoli da Roma, e-dalla magnificentiffima fabbri-
ca di San Pietro, dove con tanto amore s' affaticava. Giunto all' anno
1573.»
efendogli flato comandato da Papa Gregorio Xlll. che andaffe a Città di Cafiellg
per vedere una differenza di confini tra il Granduca dì Tofana
, e la Santa Cine fa*
fentendofi iniifpofto, conobbe manifeflamente ejfer giunto alla fine del viver fuo.
Ma non recando però a" andare allegramente a far la [anta obedìenza, s ammalò,
e appena riaute le forze, fé ne tornò a Roma: dove effóndo fiato introdotto da
Nofiro Signore, fu da Sua Beatitudine trattenuto più a" un ora fpafieggiando,
per informarli dì quel ch'egli riportava, e per di/correr /eco intorno a diverfe
fabbriche, che aveva in animo dì fare
, e che ha dipoi fatte a memoria eterna
del nome fuo. E finalmente licenziatoli per andarfene la mattina a Caprarola,
fu la notte fopr aggiunto dalla, febbre: e per eh' egli s'era prima predetta la mor-
te , fi pò fé /uhi to nelle mani di *Dio : e prefi divo tamen te i San ti (fimi Sa*
gramenti con molta religione
» pafsò a miglior vita il fettìmo giorno d«l prinn
ci pio del fuo male , che fu agli 7. di Luglio
1573^ e (fendo in quello efiremo vtn
fitato, con molta carità ed affetto continuamente, da molti Religiofi' fuot'amici,
e particolarmente dal Tarugi, che con affttuofsffime parole l'inanimì fempie fine
all' ultimo fofpiro
. Ed avendo taf ciato molto defiderio dì fé e delle fue virtù,
contuttoché Jacinto fuo figliuolo gli ordinaffè efequie modefle e convenevoli al
grado fuo, paffàrono contuttociÒ i termini della mediocrità, per cagione del con*
corfo degli artefici del difegno
, .cicJoaccqmpAgmrono alla eRQioinda,, con,onora*
(Vi,.i -à.
                                          X 3                                       tiffima
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316 Decennale. IV. dei-Secolo 1K dal 1530. al 1540.
tìffìma pompa; qua fiche or dina fé Iddìo , eòe ficcarne egli fi il primo architetto
di quel tempo, così foJJ'e fepolto nella pia eccellente fabbrica del mondo
, La/ciò
0'acinto jno figliuolo più erede delle virtù e dell' onoratiffimo nome paterno , che
delle facuità, che s'avefse avanzate ; non avendo mai voluto né faputo confer-
carfi pure una particella di denari, che gli venivano in buon numero alle mani :
anzi era folito di dire, che aveva fempre domandata a Iddio quefla grazia
, che
fiongli aveffè né da avanzare, ne da mancare: e vivere e morire onoratamen-
te, come fece dopo d1 avere pajfato ileorfo difua vita travagliatijfimo
, con mol-
ta pazienza e generofità dì animo , ajutato a ciò grandemente dalla compi effio-
ne, e da una certa naturale allegrezza, accompagnata da ima (incera bontà, con
le quali belliffime parti fi legò in amore chi lo conobbe . Fu in lui maravigliofa
liberalità, e particolarmente delle fatiche fue
, fervendo chiunque gli comanda-
va con infinì taìortefia, e con tanta/incerità e fchiettezza, che per qualfi voglia
gran cofa non averebbe mai faputo dire una minima bugia ; dìmanierachì la
verità, di che egli faceva particolariffim a prof e(fione, rifplendeva fempre tra
V altre rare qualità fue
, come prezioftffima gemma, nel più puro e terfo oro le~
gaia- Onde refterà fempre nella memoria degli uomini il nome fuo; avendo anco
la [ciato fcritto a poflefi le due opere, non mai ahbjftanza lodate : quella del-
l'Architettura, nella quale non fu mai da veruno de' fuoi tempi avanzato
•• e
quefla della Prospettiva, colla quale ha trapalato dì gran lunga tutti gli altri,
che alla memoria de1 noftri tempi fimo pervenuti
. Fin qui il Danti.
Ma perchè niuna cofa venga a mancare, in quanto appartiene alla
notizia della beila Opera delle due regole di Profpettiva , laiciata dal Vi-
gnoia alla fua morte, ci è parutobene il notare, in quello luogo pure, copia
della Lettera, che a Frat' Egnazio dell' anno 1580, fu feruta da Jacinto
Barozzi, figliuolo di Jacopo, la quale aggiunta all'alto concetto, ch'egli
ebbe di lui, fu al Danti impulfo badante per far quanto ei fece intorno
all'opera medefima, e poi di confegnarla, per comun benefizio» alle pub-
bliche ftampe; ed è quella, che fegue.
ì)                  {Molto 'Reverendo 'Padre.
MEfs, Ottaviano Marchefini, Architetto diNoflro Signore, compatriot to , e
a" amicizia derivata fin da'padri noftrì, e per confeguenza molto infor-
mato della maggior parte de' miei affari, mi fcrive
, che al defiderio, eh' io ho,
che camminino in luce quelle fatiche
, già fatte da mio padre mentre vifje , in
materia della Profpettiva pratica» ora s' apparecchia commodìffima occafione;
poiché V$. Molto Reverenda, per fervigio publico, non fi fdegnerà di mettervi
quella fpefa, che a me di pre[ente farebbe di qualche fcomodo: e di più darle
quella chiarezza, che a mefenza dubbio cono fio che farebbe imponibile, per
trovarmi occupatiffimo nella fervi tà di quefH mìei Signori, e m ba accennato
tanto oltre della cortefia di VS- Molto Reverenda, che fenza penfarvi più (re-
putando quefla per vocazione del Signore ìàdìo) .mi rifolvo fra poche fettimane
venire a Roma: e quivi le dirò tutto il parer mio con ogni chiarezza, dandole
il Libra
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JACOPO BARO ZZI. 327
Il Libro di mio padre di b, m. il quale vedrà molto differente da quella co-
pia
, che il Signor Cavaliere Caddi dette a VS. avendolo io traforino di mia
mano in compagnia di mio padre > poco avanti eh* e* pajfaffe a miglior vita : ed in
fomma verrò poi rifolutijfimo di fare quanto piacerà a VS. Molto Reverenda,
alla quale reverentemente bacio la mano
, pregandole fanità e contento.
                                        I
Dì Sermoneta il din. Getmajo i$ 80.
Di VS. Molto Reverenda
affezionati/fimo Servitore
Jacinto Barozzi .
—*»^——————.—i——mlmtm»————— ..... ».....i .               «« ■ n > i         m               in ——■*— , 1I1L.....«*—»m«b—mi
BARTOLOMMEO RAMINGHI
PITTORE BOLOGNESE
detto il BAGN AC AVALLO
Hifcepolo di RafaeUo da Urbino, fioriva nel 1535,
Uefto Pittore, che per l'antica origine, che ebbero gli
avi fuoi dal Gattello di Bagnacavaìlo, fu comunemente
detto il Bagnacavaìlo, da giovanetto (otto la difciplina di
Francefco Francia fu molto ftudiofo dell' arte del dife-
gno, onde riufeì affai ragionevol maeftro, anche avan-
ti al tempo, eh* egli in Roma fi ponefle a (lare con Raf-
faello da Urbino. Non è fra gli autori, che- ne fcrivo-
no , chi non lo metta fra'difcepoli di Raffaello; eon^
cioffiacofachè egli fentendo il grido , che per tutto il mondo correva
di quei nuovo A pelle, defiderofo di fari! perfetto neh" arte, fi portò a
Roma , e ad eiTò accodandoli, ne riportò una maniera molto dolce»
franca e di buon difegno • e da indi in poi tale fempre fé la mantella
ne, procurando al poflìbile di accoftarfi al modo dello Qeffb. Raffaela
lo . Tornatofene a Bologna , dìpinfe nella Chiefa di San Petronio , a
concorrenza di Girolamo daCotignola, d'Innocenzio da Imola, e dì mae-
ftro Amico, alcune ftorie della Vita di Grillo e di Maria Vergine, e a
San Michele in Rofco dìpinfe pure la Cappella di Ramazzotto , Capo di
Parte, rJnjRAmagna ne colorì una fimile. Nella Chiefa di S, Jacopo fece
una cavola per AlpiTerAnnibaile dej Gorello,nella quale figurò la Crocififlìo-
ne di Cri&o.^cpn gF£n, numero di figure, e nel mezzo tondo di fopra rag-
prefemò il Sagrifìzio d'Àbramo . Nella Chieia de' Monaci Gamaldolefi,
Hu-il
                                         X 4.                               che i'an-
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3 i 8 Decennale IV. del Secolo IV* dal 153 0* al 1540.
che Tanno di noftra falute 440. fu fondata da San Petronio, in luogo
detto Poncediferro, ^lovè al parer d'alcuni fiorici, ebbe i fuoi primi fon »
damenti la citta di Bologna » dipinte il Bagnacavailo la tavola de' Santi
Titolari di quella CWéia, che fi vede nella profpettiva del Coto: e nella
Confraternita di Santa Maria del Baracane tre quadri a frefco, ne'quali
rapprefentò tre rnifterj della Paflione del Signore , cioè il Portar della
Croce, la Crocifìfiìonè e la Deposizione del medefimo. Nella mentovata
Chiefa di San Petronio è il luogo della miracolofa immagine della Madonna
della Pace, per abbellimento del quale molti de'migliori pittori» che fol-
lerò in Bologna ne'tempi di quello artefice, fecero opere a frefco, e fu-
rono Amico Afpertini, Biagio Pupini, Jacopo Francia, Girolamo da Tre-
vifo e '1 noftro Bartolommeo, il quale vi colori l'Annunziamone di Maria
Vergine e la Natività di Grido. Ed è da faperfi, come queda facra imma-
gine, che è di rilievo, era già dalla parte di fuori del muro di e(Ta Chiefa,
verfo il Palazzo de' Notai. Occorle P anno 1405. che liti tale Scipione
degli Erecimi» di profeflione foldato, avendo un gioire fatta gran perdi-
ta di danaro nel giuoco, modo da grande ira, sfoderò il pugnale, e fi lan-
ciò per tirare un colpo a quella immagine , e due dita d' un piede del
fanciullo Gesù, che e (Fa tiene in braccio, fece cadere in terra. Appena
ebbe egli commeflò l'enorme facrilegio, che lo colle l'ira d'Iddio, e cad-
de a terra come morto. Intanto fopravvenendo la Corte, fu fatto prigione,
e poco dopo condannato alla morte; ma quella Madre di Mifericordia,
compatendo a queir infelice, oien.tr'egli (lava in quel frangente, gli ot-
tenne un tal conofcimento, congiunto ad un'intenfo dolore e contrizio-
ne del fallo fuo, che ricorrendo con lagrime di cuore, non potendo col
corpo accodarli all' immagine, e fatto voto di digiuno in continuo cilizio
e orazione » redo non meno libero allora dall'accidente del male, che poi
dalla fentenza della morte/ Fu poco dopo l'immagine fteda trasferita nel
luogo, dove oggi fi trova, facendo tuttavia innumerabili grazie e miracoli.
Il medefimo Scipione poi tutto fi dedicò al fervizio della fua liberatrice,
apprendo a quel lauto fimulacro a perpetua teuimonianza del miracolo è del
proprio dolore, fecefi ritrarre in ilcultura, in queir atto appunto, nel
quale cadde in terra nel commettere il gran delitto: e tal ritratto fece
porre dal lato deftro di quell' altare. Tornando ora al noftro propofito,
moltiflìme furono l'opere, che fece nella città di Bologna e fuo territorio
Il Bagnacavallo, e per molti Principi e Signori d'Italia, che lunga cofa fa-
rebbe il far di tutte particolar menzione; perchè fra'pittori del fuo tempo
fu egli in quella città riputato eccellentiffimo, non fenza invidia degli al-
tri, e particolarmente di maeftro Amico Afpertini. Merita quello pitto-
re molta lode , particolarmente per un iìngolar talento, eh' egli ebbe in
dipignere immagini devote di Maria Vergine: e per la vaga maniera, che
ebbe nel colorire i putti, forfè molto fuperiore a quella d* altri maeftri de*
fuoi tempi, avendo dato loro gran tenerezza e grazia j onde tanto quelle,
che quelli, fon poi (late copiate, per iftudio > dagli altri fingolariflimi ar-
téfici di quella città; e Guido Reni era folito affermare, d' aver tolta la
bella morbidezza» colla quale egli coloriva i bambini, dall' opere di lui.
Final-
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oARTOlOMMEO RAMINGHI. 329
Finalmente eflendo egli pervenuto all' età di cinquantotto anni, menati
con lode di valentuomo, e di perfona d'ottima vita ecoitami , fu foprag-
giunto dalla morte. Molti autori hanno {efitto di quella veramente de-
gno profeflore, e particolarmente il Vafàri, il Bumaldo, Io Scannelli»
il Mafinl, ed in ultimo un altro moderno autore , il quale, dopo aver
copiato nel Tuo libco a verbo a verbo la vita del Bagnacavallo, fcritta dal
nominato Vafari, volèftdo pure al fuo foiito [ come dir fi fuofe) appic-
carla con eflb in qualche eofa, fi rammarica di lui afpramente, dicendo,
eh*egli abbia caricato troppo, e fatra brutta tìTónomia al ritratto, che fra
gli altri, per abbellitnwto del fuo libro egli ppfe di eflò, a principio della
vita di lui; cola in vef&, molto graziola a chi per pratica degli fcrini Éi
quefto autore, conofèerl poco afFetco, o molta avverfipnc, eh' egfi hi
avuta al Vaiàri. Ma che dirà egli, quando e'faprà, che quafi tutti i beHiffi-
mi ritratti, poftif filò; libro tfelle f ite de*Pittori del Vafàri| ffp* quali
è quello del Bag naca vallo, dal i* autore predetto biafimato; rioni furono
né dilegnati * né intagliati dal~Valari,ma da altro profeflfore* come noi a
fuo luogo maftreremo?
                                  .
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PITI O R E .,V/- EROMESE
{ } ìiifiyoh gp&msi, BMfrW # «fj O
Però moltoM otto e a frefeo alla Spranga in fui Tefino, e a Cartel
\ Franco nel Palazzo de* Sòranzi, ed anche nella città di Vene.
ìHì^zia; e ne' tempi., che aneti: viveva il fuo maeftro, fu molto
fìhnato; 'J — P--^ 5>v ;w\v < toaU &«» cV/ ■";-■.! "& &U< ;
'*■■. i
■-'•: ^|ft.:^ :-■;•■> r, , cii-ic'qo Ibft cairisvvs o;»;:^ ''"' ■              ' ■'■■
wf:\uo ni ckk non a-i&iultArcirSmcto ;LJ                         "; . ! •
'•£D- rrf? .ifi/morj i!g?5b iuignmrr.i ulf.- «:v ^fvV' -^ ■                '
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w.iu tua*-- '^w,,ijt(ii J-.*..uj ( liiiU li 3iiwU
.'■■•> V
DELLE
*
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33° Tìtcenn. IV. della PartJ. delStcJP. dal 163 o. al 1540*
necefTarj, fu al tutto dato fine né più né meno come Baccio aveva prò*
merlò. Fece inoltre per quel Monarca alcuni amenilrlmi Giardini all' usan-
za della città di Firenze: Apparati diQuarantore nobilitimi» ed altre co-
le belle, fecondo i varj talenti, eh' egli aveva avuto dalla natura: per
le quali cofe, e per le belle ed allegre fue maniere fi andava avanzando
ogni giorno più nella grazia di quel Sovrano e di tutti i Cortigiani ; tal-
mentechè, tanto quello quanto quelli, defideravano fempre di averlo at-
torno: e il Re particolarmente moftrava di trattar volentieri con lui; e
non gli fece mai far opera di momento, eh'è- non lo ricompenfaiTe con
donativi, degni della fua real magnificenza: e perchè Baccio ebbe alcune
malattie» facevalo fpeflb vificare in Tuo nome: iìccome era anche vifitata
da Don Luigi de Haro, primo favorito di Sua Maeftà, dall'Ambafciadore dei
Granduca, e da altri perfonaggi qualificati. Era egli finalmente arrivato
a fegno di tal familiarità col medefimo Re, e con si belle e piacevoli ma-
niere facevafi lecito portare avanti a lui i proprj intereili, che non fola
ne cavava ogni giufta grazia, ma fempre fi andava guadagnando nuovo amo-
re . Una volta, per colpa de' Miniftri, era egli (tato diciotco mefi lenza
che mai,per diligenza che ei faceflè,gli folle potuto riuieire tirar la folita
provvifione di cento feudi il mefe; onde egli un giorno i>oji fapendo più
che partito pigliarli, fi veflì tutto da campagna, e con. fpaqae ili valile?
quanto bifogna a chi è per far viaggio, fé n'andò in Cortei Molti de^Goan^
tigiani gli domandarono, che novità folTe quella ; al che riipohdeva Baccio JS ■'
che fé ne tornava in Italia. Veddelo in quell'abito Don Luigi de Haro;^
e non fapendo anch'.eflq onde procedeffe tal refoluzione, fé per comauH?
damentodi Sua Maeftà o per altra cagione a lui ignota, ne fece parola cdL
Re: il quale fattolo chiamare, gli domandò perch'egli era in quell'abito,
e dove andane; al che rìfpofe Baccio ; Sacra Maeftà io me ne vo in Italia
per ritornarmene a Firenze. O come>dhTe il Re, ci lafciate voi fenza no-
ftra faputa, e vi partite lenza ordine noftro? Come, Sacra Maeftà? rìfpo-
fe Baccio .* io non commetterei mai fìmil mancamento; ma io chefo, che
in Firenze mia patria è un ufanza, che quando fi arriva a tenere un fervi-*
tore un certo tempo fenza farli pagare il falario, quello è fegno di averlo
licenziato,- vedendo, che fon già paflati diciotto meli, che a me non è fia-
ta contata la provvifione, già mi credeva, che Voftra Maeftà mi avelfe da-
to Fambio. Allora il Re, prorompendo in un piacevol rifo, ordinò a Don
Luigi, che iubito lo faeeflè pagare di tutto il decorfo: e da lì innanzi non
gli furon maipiù ricardate le fue paghe. *
Continuò Baccio nel fervizio del Re per lo fpazio di fei anni, o poco
più, nel qual tempo condurle molti quadri a olio perdiverfeperfone: or-
dinò molti Apparati diQuarantore in diverfe chiefe, come ho già detto,
ed altre cofe fece: e finalmente dovendo un giorno por mano a non lo .
quale ordinazione, o fotte in un giardino del Re, o in altro luogo aper-
to, allaprefenza di Sua Maeftà, gli convenne ilare alcun tempo a c3po feo-
perto fotco la sferza di un cocentilììmo Sole; onde fé gì' infiammò tal-
mente il capo, che il giorno dipoi fu affalico da una febbre efimera, che
gli durò per lo fpazio di 40. ore: e giudicarono i medici eiìer necerTario
venire
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efl^iBMCIO DEL BIANCO, t 33Ì
venire all'emiffiòne del fangue, il che fattoli, la febbre fi parti; ma paca-
ti òtto giorni» non fo già per qual cagione, fu (limato bene aprirgli la
vena dell' altro braccio, e così fu fatto. Dopo tale operazione (lava-
tene Baccio al fuo tavolino facendo certi dilegui, quando a un tratto fi
lenti doler fortemente quel braccio. Chiamò uno de'fuoi fervitori, e fat-
te levar le fafcie, trovò che il braccio era grandemente enfiato e nero.*
Predo fece far diligenza di trovar quel Cerufico, che aveva fatta 1' opera-
zione, quale non lì vide più: il che forfè fu cagione, che fi fpargeflè
una voce, che corfe fino a Firenze, che a Baccio, per invidia, folle artifi-'
ciofamente flato cavato l'angue col ferro avvelenato affine di farlo morire.
Trovoilì poi, che il mal perito maefhro gli aveva sfondata la vena, onde
foprav venendo la febbre, lo iridufle in grado, che non fu più rimedio per
lui.- ed avendo ricevuto tutti i Sagramenti della Chiefa, ed cfTèrfi eletta
nella Ghiela di San Girolamo la fepoltura, finì i giorni fuoi. Aveva egli
un figliuolo in età di quattordici anni, avuto della lua prima moglie Le£
fandra di Paolo Stiatteii, giovanetto fpiritofo, e di vaghiflimo afpetto: e
già per alcuni meli avanti gli aveva ordinato il venirfene a goder delle pro-
prie fortune a Madrid , avendo anche difpofte tutte le cole bifognevoli
pe^l di lui viaggio e; accompagnatura •• ed aveva ri giovanetto fatto quali
tutto il cammino, quando lèguì il cafo della morte di Baccio; onde giun-
to: a Madrid, fentì che al padre era (lata data fepoltura di tre dì avanti il
Aio arrivo . Quale fi rimanerle il povero figliuolo nell' udir tal nuova, non
è polRbile a dirlo. Era egli ftato ricevuto in cafa il Prior Lodovico In-
contri, Refidente del Sereniifimo Granduca, il quale dopo alcuni giorni
gli ottenne udienza dal e, che benignamente l'accolfe: e fra l'altre eofe,
che gli diffe, una fu, che il fuo padre era morto per cavarli fangue. Or-
ditói, >che gii follerò pagate tutte le fue provvifioni decorfe, ed in oltre fé.
cègli un bel regalo. Raffaello, che così domandava»* il figliuolo, fi tratten*
ne in Madrid diciotto meli, fempre ben villo ed accarezzato in quella Cor-
tese finalmente fé ne tornò alla fua patria Firenze, dove attefe alle Mat*
tematiche appreiìo Vincenzio Viviani: e fece molti fludj d'architettura
con più maeftri, con animo di feguitare la piofeffione del padre; e già
avendo con fuo difegno ed invenzione ordinate 1* Eièquie della gloriofa
memoria del Sereniliimo Ferdinando IL nelle quali diede buon faggio di
le, cominciava ad eflere adoperato in molte cole; quando aflàlito da gra-
viflima infermità, dopo cinque meli di gran travaglio, refe ancor eflò
T anima a Dio alli 29. Aprile in età di anni 37, meli tre e giorni diciotto ;
giovane veramente, quanto vago d'afpetto , altrettanto costumato ; che
oltre a quello che fu di fua profeflione, ebbe varj ornamenti : cantò di mu-
fica, fonò ben di talli, ed aveva anche fatta ragionevol pratica nel toccar
di penna; e fé non che morte vi s'interpofe, avrebbe ancor egli per cer-
to fatto in quelle arti un ottima riufeita.
ALFONSO