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B. SUDINO
l Camposanto di Pis
FRATELLI ALIMAS1
EDITOl
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-,
IL CAMPOSANTO DI PISA.
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FIRENZE, 1896.-TIPOGRAFIA DI G. BARBERA.
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f) .
I. B. SUPINO.
IL
CAMPOSANTO DI PISA
FIRENZE,
FRATELLI ALINARI, Editori.
1896.
w mi i ■ illuni ii m\mm*^'l'mmm*m**mBimimm.......iwm iiuuum
KUNSTHlSTORlSCH INSmuUri
| DE*1 ^UKPt.tNMVrffplTEiTUTRECHT !
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Proprietà letteraria ed artistica.
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A PISA
CHE NEL MONUMENTO INSIGNE
SERBA GELOSA
LE GLORIE DI UN' ARTE CHE FU SUA.
M
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!\
SI QUIS IN IST0 CAMPO-SANCTO SEPULTUS FUER1T ET
P03NITENTIAM EGERIT DE COMMISSIS EIUS VITAM POSSI-
DERIT yETERNAM.
>ì* Simon me fecit.
(Nella prima arcata a destra della porta principale.)
ASPICE QUI TRANSIS MISERABILIS 1NSPICE QUI SIS
TALI NAMQUE DOMO CLAUDITUR OMNIS HOMO
QUISQUIS ADES QUI MORTE CADES STA PERLEGE PLORA
SUM QUOD EIUS: QUOD ES IPSE FUI: PRO ME PRECOR ORA.
(Nella quarta arcata a sinistra.)
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Uh piano ampio e verdeggiante in mezzo al quale
s'innalzano in mirabile gruppo, quasi bianca ap-
parizione fantastica, i monumenti pisani, al lato estremo
della piazza, fiancheggiante la Chiesa consacrata alla
Vergine, sorge l'antico Camposanto.
Una lunga fila di arcate chiuse protegge il sacro
recinto dagli esterni rumori, e sulla porta principale,
entro il ricco tabernacolo tutto a cuspidi e pinnacoli,
sta la Vergine col Figlio, attorniata da Santi, preludio
alla magnificenza, emblema della santità del monumen-
tale edifizio.
Semplice e severa è l'esterna configurazione ; ma
entro quelle mura, nei ricordi gloriosi del passato, tra
».
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INTRODUZIONE.
lo splendore dei marmi e il cupo riscintillare delle cor-
rose pitture, dura nei secoli la potenza e la fede dei
nostri antichi, o che il sole discenda pei larghi fmestroni
traforati come ad animare quella morta grandezza, o
la luce vi piova sopra monotona e triste.
In tanta gloria di cose gli occhi affascinati vagano
sulle pareti istoriate, e 1' anima va meditando la fra-
gilità della vita terrena, ricorda il martirio dei Santi,
si commuove e si allieta nella visione delle leggende
e dei miracoli, in così splendido miracolo di eleganza,
di magnificenza, eli armonia.
Quante memorie, quali mirabili immagini della
grandezza antica, fra le mura di questo insigne Cam-
posanto !
Quanta vita in questo recinto sacro alla Morte !
I.
Capitanate dall'arcivescovo Ubaldo de'Lanfranchi,
le galere pisane correvano i mari lontani per combat-
tere i nemici della fede cristiana ; ed erano con loro
le flotte delle altre due gloriose potenze, Venezia e
Genova, che all' appello di papa Gregorio Vili prima,
di Clemente III poi, si erano unite ai danni del Sala-
dino per togliere la Città santa dall' oppressione degli
infedeli. E mentre gii alleati stringevano d' assedio
Tolemaide, 1' arcivescovo Ubaldo mosse in pio pelle-
grinaggio al monte Calvario, e desiderio vivissimo lo
prese di levar molta terra, dal Sacrifìcio fatta santa,
e mandarla alle sue navi.
Non fu propizia la sorte alla iniziata impresa, che
la nuova della morte dell' imperator Federico, il quale
§
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INTRODUZIONE.
;.i
si apprestava a recare aiuto ai combattenti dalla parte
di terra, scompigliò gii alleati; e il Saladino, profit-
tando del propizio evento, attaccò gli eserciti cristiani,
eh' ebbero nello scontro la peggio e subirono gravis-
simi danni. L'arcivescovo allora, radunati i suoi, date
al vento le vele, fece ritorno in patria.
E fu appunto nell'anno 1203 (così almeno vuole la
tradizione) che acquistata una parte di terreno ch'era
di fianco alla Chiesa maggiore, e qui fatta distendere
la terra eh' egli aveva portato di Palestina, destinò
questo luogo per uso di Cimitero.1 Ma il pensiero di
I  « Ubaldo poi ritornato in Pisa con le genti che salvate haveva
da quell'assedio, a sue spese, comprò certe case che erano in questo
luogo con un poco di orto spettante al Capitolo, et havendole spianate
vi sparse sopra quella terra santa per haverlo benedetto con quella
solennità che a tal cosa si appartiene. » Totti, Dialogo sul Camposanto.
In una carta della filza 2, nell'Archivio del Capitolo, si legge : Dominus
Hubaldus Archiepiseopus emit ortum ubi mine est sepultura majoris ecclesia!
per cartam rogatam a Silvestro Notario, MCCIII.
Ma nella filza n° II
degli estratti delle carte esistenti nell'Archivio della Mensa Arcivesco-
vile non si trova il contratto di cui si fa sopra parola.
II  canonico Totti, pisano, scrisse una illustrazione sul Camposanto
che si trova manoscritta nell' Archivio del Capitolo. Da una nota posta
in fine al lavoro apparisce ch'egli finì di dettarlo nell'anno 1593. È
a forma di dialogo fra un sacerdote e un pellegrino, il primo dei
quali illustra il monumento, e descrive le storie degli affreschi con so-
verchie lungaggini e molte divagazioni d'indole teologica e storica.
In una delle ultime carte (240 tergo) si legge la seguente dichiara-
zione : «A dì 21 d'agosto 1593, in venerdì, tra tanti impacci e fastidi,
essendo in Fiorenza negl'Innocenti, al carico del quale io indegnamente
mi ritrovo, la Dio Grafia benedetto lo fornii. Piaccia al Signore che
questo mio passatempo sia stato fatto et ordinato a bene, acciochè
nel rivederlo lo riformi in quello che nel molto dire potessi haver
errato, et in quello che in se mancassi. Et se e'' è cosa che non stia
bene da poi che in corso di lettione fin a qui è stato il suo primo
pensiero, la Maestà sua me lo faccia riconoscere perchè mi rimetto a
tutto et per tutto, et sottopongo a quello che la patrona nostra san-
tissima, la Chiesa Santa Romana, ordina et comanda se però havessi
in cosa alcuna errato. »
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4                                         INTRODUZIONE.
chiuderla dentro un artistico recinto sorse molto tempo
più tardi.
Sino dal 1270, poiché non si hanno memorie ante-
riori, gli Operai del Duomo, nell' atto di prestare giu-
ramento assumendo l'ufficio loro, dovevano promettere,
oltreché di curare il mantenimento della Chiesa e la
costruzione del Campanile,1 di attendere alla edifica-
zione del Camposanto : Sollicitus et intentus ero in reapta-
tione dieta ecclesia} et in edìfìcatione campanilis et construc-
tione mortuariì dictee ecclesia}}
Nel 1272 il discreto uomo Orlando di Gherardo Sar-
della, della cappella di san Sepolcro, in presenza degli
Anziani è eletto dal Podestà Pietro Frulani di Bolo-
gna e dal Capitano del Popolo Guglielmo Borde di
Milano, Ox->eraio e Rettore dell' Opera della venerabile
maggior Chiesa pisana di santa Maria e del Campa-
nile della stessa Chiesa; e si obbliga di curare, oltreché
il mantenimento e il restauro di ambedue quelle fab-
briche, la costruzione del sepolttiario o Cimitero.3 Ed
è infatti sotto di lui che 1' edifìcio, se non trovò il suo
compimento, fu col disegno di Giovanni Pisano iniziato
1  11 Campanile fu fondato, secondo gli storici, nell' anno 1174 ; ma in
una carta dell'Archivio del Capitolo del 1172, 5 gennaio, Indizione V,
n° 428, si legge : ludico opere Campanilis peirarum sancte Marie so-
Udos sexaginta.
Il Bonaini, nel pubblicare questa notizia, aggiunge :
« Non omisi di avvertire che per tale disposizione può ben congettu-
rarsi o che esistesse un più antico campanile in luogo di quello edifi-
cato nel 1174, giusta lo stile pisano ; o sivvero (lo che panni più pro-
babile) che alla fabbrica del Campanile che attualmente ammiriamo, si
fossero volti i pensiei'i dei cittadini assai tempo innanzi che se ne get-
tassero le fondamenta. » Bonaini, Memorie inedite intorno alla vita e ai
dipinti di Francesco Traini, e ad altre opere di disegno dei secoli XI, XIV
e XV,
pag. 61, nota 4. Pisa, Nistrì, 1846.
2  R. Archivio di Stato, Diplomatico Primaziale, 1270, febbraio 24.
8 Ibidem. 1272. dicembre 28.
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5
INTRODUZIONE
e condotto a buon punto, come ci attesta la seguente
iscrizione posta nelP arcata a sinistra della porta prin-
cipale d'ingresso :
A. D. MCCLXXVIII
TEMPORE DOMINI FEDERICI ARCHIEPISCOPI PISANI
DOMINI TERLATI POTESTATIS
OPERARIO ORLANDO SARDELLA
.TOH ANNE MAGISTRO .EDIFICANTE.
II.
Giovanni Pisano in quest'opera, che più d'ogni altra
doveva render chiaro il suo nome, non ismentì per vero
la fama che si era acquistata presso i suoi cittadini. La
preziosa terra tolta al Calvario doveva avere adeguata
custodia ; e i corpi degl' illustri Pisani estinti non avreb-
bero goduto 1' eterno riposo in luogo che della gran-
dezza della patria loro fosse stato men degno. E alla
terra e ai corpi Giovanni die ricetto.
Nulla avrebbe potuto immaginarsi di più maestoso
e severo ad un tempo di questo impareggiabile monu-
mento, a buon diritto riguardato come una delle più
nobili creazioni dell' arte.
Ha tutto V edificio la forma di un rettangolo : co-
struito esternamente di inarmi bianchi, è decorato al-
l' intorno di pilastri addossati alle pareti, che sosten-
gono le arcate a tutto sesto, al disopra delle quali
corre una cornice continuata. All' attacco di ogni arco
sono scolpite una o più teste di svariato carattere e
variamente rappresentanti maschere comiche o tragi-
che, ad imitazione delle antiche, e forse anche qualche
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G                                         INTRODUZIONE.
ritratto. Due porte danno accesso all'interno, che offre
l'aspetto di un vasto ed elegante cortile circondato
da portici formati da settantadue arcate a tutto sesto.
I due lati maggiori del rettangolo hanno ciascuno venti-
sei arcate, le quali posano su pilastri sostenuti da un
elevato e continuo basamento; i due minori ne hanno
cinque ; e ciascuna arcata è vagamente arricchita da
un ornato di archi acuti e di rosoni elegantemente in-
trecciati, sorretti da pilastrini a più faccie e da esili
colonnette.
Altre teste umane, o grottesche, o d' animali, son
pure internamente a ogni attacco d' arco. A uno dei
lati minori dell' edilizio, nella parete esterna di levante,
è addossata la cappella Dal Pozzo, terminante a forma
di cupola ; come due più piccole cappelle si aprono nel
muro della parete di tramontana.
Il pavimento è tutto a marmi bianchi, traversati
da liste nere ; e fra queste son più di seicento sepol-
ture di antiche famiglie, di cittadini illustri e di corpo-
razioni, indicate tutte da stemmi, da armi gentilizie,
da figure o da semplici epigrafi. : all' intorno gira un
sedile di marmo, sovra cui stanno casse sepolcrali e
sarcofagi antichi, tolti da diversi luoghi della città,
o, secondo la tradizione, portati dai Pisani in patria
da lontane regioni e dalle città vinte e debellate :
trofei di memorabili imprese e di più memorabili vit-
torie.
Per sei archi che si aprono sino al suolo si passa
dal portico nel chiostro, sempre verdeggiante e diviso
in tre scompartimenti, perchè si vuole che in tre volte
da Gerusalemme fosse in Pisa trasportata quella terra,
che. sempre stando alla tradizione, avrebbe avuto la
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INTRODUZIONE.
7
virtù di consumare in tre giorni la carne e le ossa dei
cadaveri. Agli angoli del chiostro quattro cipressi cre-
scono severità e mestizia al sacro recinto ; e nel centro,
su di una colonna sormontata da una croce, P edera si
avviticchia sino a nasconderne il fusto ; e gruppi di
rose d' ogni mese sbocciano sul prato, ove le giunchi-
glie, le margheritine e le viole selvatiche fioriscono
tra '1 verde : gaio e sorridente contrasto alla severità
della necropoli.
III.
Il Vasari e gli storici affermano che il monumento
fu terminato nel 1283 ; così in soli cinque anni sarebbe
esso stato compiuto. Ma non è punto credibile che
in sì breve corso di tempo si potesse dar termine ad
opera così magistrale ; e nel fatto i documenti dimo-
streranno che i lavori per il compiuto coronamento
dell' edificio durarono sino a tutto il secolo XIV, se non
più ancora. Bastino del resto queste notizie a confer-
mare la nostra asserzione : Borgundio Tadi, che fu
Operaio dal 1298 al 1311, ....fecie fare (nel 1300) l'eclesia
di chanpo sancto dall'arcoara (sic) in su...., come si legge
nell'iscrizione del pilastro del Duomo;1 nel 1359 gli
Anziani eleggono dodici cittadini, tre per ciascun quar-
tiere, ad providendum et supra providendo de modo servando
in construtione fundamentorum et murorum Campisancti ex
latere murorum pisana eivitatis
;2 nel 1388 danno facoltà
a Parasone Grasso, Operaio del Duomo, di prendere a
1 II primo dalla facciata, dirimpetto ali1 Ospedale,
9 Provv. degli Anziani, libro 129, div. A, particola di serie 49, e. 118'.
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INTRODUZIONE.
8
mutuo ottocento fiorini d'oro per la prosecuzione e il
compimento dei lavori del Camposanto;1 nel 1398 ac-
cordano al nuovo Operaio Giovanni Macigna di pren-
dere a mutuo sino a duemila fiorini per condurre a
termine gli edilizi dell' Opera ; ~ nel 1396, infine, 1' Ope-
raio Ranieri da Cascina manda i migliori maestri che
allora fossero in Pisa, a ricercare di clie abbisognasse
il monumento : et de qualibus necessaria et utili repara-
tione, fortificatione et evitatione pericuìi, et in augmentatione
dicti Campisanti.B
È naturale quindi, che si trovino anche dopo note
di spese per il restauro o il compimento del tetto,
per la fabbricazione dei piombi della copertura (perchè
non si guardò, come dice il Vasari, a spesa nessuna) ;
per la costruzione del pavimento e elei muriccioli; per
le cornici, gli archetti, i capitelli e le colonne. Del
resto, basta sfogliare i registri dell' Opera per avere
un'idea dell'incessante lavorio. Nel 1318 (diamo appena
alcune fra le più importanti notizie) i vetturali portano
some di ghiare e pezzi di lapidi ad causavi fundamentorum
Campisancti
;4 nel 1349 i maestri Cellino di Nese, Colo
di Mucido, Jacopo di Piero, Giannino di Antonio, An-
giolo di Francesco, Domenico di Pasquino, Gante di
Luparello, Tommaso di Giovanni, Biagio di Pardo, An-
1 Deliberazioni e Partiti del Comune riguardanti l'Opera, n° 1
turchino.
- Ibidem (dicembre 14).
3 Contratti dell'Opera, n° 2 turchino, e. 180. I maestri erano: Ven-
turino olim..., ingegnere del Conte di Virtù; Matteo ohm... ; Lupo ohm
Pieri; Pisano olim 'lucci di Appiano; Giovanni di Cucigliano; Lupo ohm
Gantis lapicida; e Rocco olim Venturino lapicida: omnibus suffìcientibun
magistris in arte et ttiagisterio carpentariorum, muri et lapicidutn electis
inier excellentiores magistros pisane civitatis.
* Entrata e uscita, 10 turch., e. 4', 24 e 53l.
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rNTEODUZIONE.
!"
tonio di Venturino, Jacopo di Colo, Lapo di Salvi, Lupo
di Gante e Puccio di Landuccio, tutti chiamati picchia-
pietre^
lavorano i marmi nel laboratorio dell' Opera, o
alla taglia, come si diceva allora, prò complemento labo-
rerii Campisancti?
e maestro Stefano di Orlando, della
cappella di san Simone, chiamato maestro d'ascia, lavora
ai cavalietti.'
Nel 1371 due dei maestri citati, Jacopo di Piero
e Tommaso di Giovanni, si ritrovano occupati in com-
piendo et reactando tecto Campisancti?
mentre dal 1349
al 1395 altri fabbricano le piastre di piombo.*' Nel 1372
si fanno le murella,6 e maestro Lupo di Piero va in
Garfagnana per comprare il legno necessario prò tecto
Camposanti nuper fiendo;7
nel '74 Taddeo di Vanni pic-
chiapietre da Firenze lavora di notte in casa propria
le lapidi nere prò fdis nigris Campisancti, e qualche anno
dipoi gli archetti.8 Nel 1380 JacojDO di Piero e Luca
da Siena fanno le cornici {sfogliate 9 insieme con Piero di
Puccio (poi capomaestro dell'Opera), il quale nel 1379
lavora ai capitelli1 ° e due anni dopo alle lapidi per le
sepolture, o come si legge nei libri ; prò spasso Campi-
sancti."
Nel 1390 si continua a lavorare i marmi per
le sepolture o per il pavimento, cui attendono in par-
1  Entrata e uscita, 14 turch,, e. 164; 15 turch., e. 52.
2  Ibidem, e. 168.
3  Ibidem, 1349, e. 172*.
4  Ibidem, 17 turch., e. 112.
5  Ibidem, da 14 turch. a 40.
8 Ibidem, 22 turch., e. 76*.
7  Ibidem, 22 turch,, e. 73.
8  Ibidem. 24 turch., e. 102 ; 33 turch., e. 83'.
9  Ibidem, 27 turch., e. 69.
10  Ibidem, 26 turch., e. 74; 30 turch.
11  Ibidem, 33 turch., e. 59.
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INTRODUZIONE.
10
ticolar modo Gerio di Giovanni, Domenico e Simone
di Pasquino, Ranieri di Andrea, Nocco di Venturino,
Lupo di Gante e Puccio di Landuccio, i quali si trovano
occupati, sin verso la fine del 1300, negli stessi lavori
oltre che in altri, non specificati ma genericamente in-
dicati con la frase prò laboratura marmoris prò Campo-
sancto}
Nel 1394 Lupo di Gante e Nocco di Venturino
si trovano di nuovo a restaurare e compire il tetto ;
nel 1395 Giovanni e Bartolomeo fratelli del fu Gui-
done, e Bartolomeo del fu Guglielmo, lapicidi de cim-
iate Cornarmi,
a richiesta dell' Opera stanno sul Monte
pisano e sui monti di Asciano a levare i marmi per
i lavori dell' Opera stessa, cioè lapidi per i sepolcri
del Camposanto et necessaria marmorei prò perfezione
soli Campisancti ;~
nel 1429, infine, si compra marmo di
Carrara prò lapidis, seggiuìis, columnis et alia prò Cam-
posando
per servire non solo ai nuovi lavori, ma ancora
al restauro dei già esistenti.3 E le partite seguitereb-
bero, ed anche maggiori, se non ci fossero sembrati
sufficienti questi brevi e sommari cenni a dare un' idea
di tutto il lavorio occorso pel grandioso edilizio, e a
confermare quanto in principio abbiam detto circa alla
durata della sua costruzione.
IV.
Narra il Vasari, che avendo Giovanni Pisano lavo-
rato con molta perfezione molti ornamenti nella pic-
cola ma ornatissima chiesa di santa Maria della Spina,
1  Vedi i registri dell' Opera di entrata e uscita.
2  Contratti dell' Opera dal 1292 al 1408.
3  Entrata e uscita, 48 e 49 tureh., e. 76, 83\ 71.
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INTRODUZIONE.
11
i Pisani affidarono a lui la cura di far V edifizio di
Camposanto ; « ond' egli con buon disegno e con molto
giudizio lo fece in quella maniera e con quelli orna-
menti e di quella grandezza che si vede. » Ma poiché
oggi è dimostrato, che Giovanni non ha avuto parte
ai lavori di ornamentazione della ornatissima chiesetta
della Spina, non è per quella certo che i Pisani dettero
a lui la cura di fare l'edifizio del Camposanto, il quale
doveva essere un pezzo
innanzi nel 1325, quan-
do la chiesa fu ampliata
e ridotta alla forma che
serba tuttora. Proprio
il contrario, dunque, di
quanto afferma lo sto-
rico aretino. Né è egual-
mente da credere che
Giovanni lo facesse con
quelli ornamenti che si
vedono; perchè sappia-
mo, che entro l'arco
esterno della porta di
Camposanto, quella ap-
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1
j ' ■■'"'■; '■:■'<■
j3unto eh' è verso la por-
ta del Leone, trovavasi un tempo un crocifisso di marmo,
che gli storici pisani attribuiscono al prodigioso scalpello
di Nicola, o più volentieri, come scrive il Da Morrona,
a quel di Giovanni suo figlio ; 1 e fu questo Crocifìsso
nel 1390 colorito da Jacopo di Michele detto il Gera,
1 Da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, voi. Ili, pag. 163.
Livorno, Marenigh, 1812.
-ocr page 19-
INTRODUZIONE.
12
pittore pisano, eli'ebbe lire 24 e soldi 10 prò suo salario
et mercede prò ornatura et pìctura?
Neil' arco dell' altra
porta era rappresentato in mosaico un san Michele
Arcangelo, il quale nel 1372 fu restaurato, mettendovi
degli speculi? nel 1420 Turino pittore lo risarcì di
nuovo,3 e nel 1459 1' Opera fece altre spese per accon-
ciare san Michele Angiolo sopra la porta eli Camposanto^
le quali si ripeterono nel 1538.b
Il Cristo, non abbiam quasi bisogno di dirlo, non
può tenersi ne del prodigioso scalpello di Nicola né
molto meno di quello del figlio : conserva, è vero, i
caratteri della scuola pisana, e vi è certo notevole la
ricerca accurata di rendere la forma, e più che la
forma, nel torso non felicemente raggiunta, il senti-
mento e l'espressione, che vivissimi traspaiono dalla
testa cadente sulla spalla destra con naturale abban-
dono. E poiché sappiamo che fu dipinto dal Gera
nel 1390, è lecito, ci pare, supporre che, secondo l'uso
de' tempi, la coloritura seguisse immediatamente la fat-
tura dell' opera.0
E come nel 1790 fu questo trasportato nella chiesa
di san Michele in Borgo, ove anche attualmente si
trova sul secondo altare a sinistra, così il mosaico, per
le cattive condizioni sue, fu, con sistema più spiccio, di-
strutto. Ma gli storici attribuiscono a Giovanni Pisano
il tabernacolo eh' è tutt' ora sulla porta principale d'in-
gresso del Camposanto, ove è rappresentata, a tutto
1  Entrata e uscita, 1389, e. TO'.
2  Ibidem, 19 tureb., e. 104, 107*.
3  Ibidem, 5G tarch., e. 229*.
4  Ibidem, 56 tureb., e. 229'.
5  Ricordanze, 16 tureb., e. 14.
c Cf'r. Archivio storico dell'arte, serie seconda, anno I, fase. V.
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INTRODUZIONE.
1 9
rilievo, la Vergine in trono col Figlio diritto sulle gi-
nocchia, circondata da vari Santi. Un personaggio, con
le mani giunte, sta inginocchiato ai piedi del trono
rivolto alla Vergine ; e questo alcuni vorrebbero fosse
lo stesso Giovanni, il quale con le altre figure scolpì
sé medesimo; altri, come il Rosini e il Da Morrona,
Pietro Gambacorti allora Operaio.1 Ma sarà bene in-
tenderci sul significato di questo allora. Il Gambacorti,
1 Rosint, Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag. 6,
nota 3. Pisa. Capurro, 1837. — Da Mobrona, loc. cit., voi. II, pag. 178.
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14                                           INTRODUZIONE.
anzitutto, non fu mai Operaio del Duomo ; e poiché go-
vernò la città di Pisa nella seconda metà del secolo XIV
e Giovanni Pisano si vuol morto verso il 1328, come
conciliare queste due date ? Se in quel personaggio
genuflesso dinanzi alla Vergine si è voluto effigiare il
Gambacorti, il quale, anche senza che fosse Operaio,
potrebbe esser stato qui posto in grazia dell' alto ufficio
che ricopriva, Giovanni Pisano non può assolutamente
aver lavorato a quel tabernacolo, come del resto pare
a noi più probabile, anche senza insistere sulla que-
stione delle date e dei nomi. Quelle figure non hanno
affatto il carattere proprio alle opere dell' artista pi-
sano : la testa della Vergine oblunga, depressa alle
tempie, dagli occhi male impostati, con la bocca aperta
come se fosse istupidita, è nella costruzione contorta
e sgraziata ; e le altre teste, tutte di un ovale esage-
rato e prive di espressione, diremo meglio anzi, dalla
fisonomia imbambolata e dal collo lungo, rivelano la
maniera dei seguaci di Giovanni ; e per queste speciali
caratteristiche nella riproduzione delle forme e dei tipi,
ci fanno venire alla memoria le figure del monumento
Gambacorti, un tempo nella chiesa di san Francesco,
ora in Camposanto. Le pieghe scendono informi e
gravi ; le figure o esageratamente sproporzionate o
meschine, le estremità grossolane si ritrovano in questi
differenti lavori, dei quali non sappiamo ne possiam
quindi indicare V autore ; molto probabilmente uno
dei capomaestri dell' Opera della seconda metà del
secolo XIV.1 E se così fosse (come noi crediamo), po-
trebbe accogliersi anche la supposizione, che in quel
1 Vedi in Archivio storico dell' arte, serie seconda, anno I, fase. I e li.
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INTRODUZIONE.
15
personaggio inginocchiato sia veramente ritratto Pietro
Gambacorti. Ma anche su questa attribuzione deve esser
nato equivoco.
Il Rosini ci dice che questo tabernacolo, il quale
secondo la tradizione ornava altre volte la porta di
mezzo del Duomo,' fu sovrapposto alla porta princi-
pale in tempi posteriori ; ma 1' errore del Rosini, che
del resto copiò il Da Morrona, nacque dall'aver letto
male il Vasari, il quale scrisse che era sulla porta del
Duomo la Vergine col Figlio fra due Santi, e che quegli
che a' piedi sta in ginocchio, è Pietro Gambacorti Ope-
raio ;2 ove lo storico aretino allude non già al gruppo
di statue ora sopra il Camposanto entro il tabernacolo,
ma sivvero all' altro che sta sulla joorta principale del
Battistero, sotto l'arco, di cui la Vergine col Figlio, bel-
lissima e maestosa figura, porta nello zoccolo la scritta:
SUB PETRI CUBA HEC PIA FUIT SCULPTA FIGURA
NICOLA NATO SCULPTORE JOHANNE VOCATO
ed ha alla destra quel san Giovan Battista con ai piedi
una figurina genuflessa, che, insieme col san Giovanni
Evangelista che sta dall' altro lato, non potremmo as-
solutamente assegnare a Giovanni.
E come il Da Morrona male interpretò il Vasari,
così questi credette senz' altro che quel sub Tetri cura
significasse che il lavoro fosse stato eseguito a tempo
di Pietro Gambacorti. Ma egli deve avere sbagliato
ancora la collocazione di quella statua di Giovanni,
1  Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag\ 7.
2  Vasari, Ed. Sansoni, voi. I, pag. 317.
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INTRODUZIONE.
16
che non potè mai essere sulla porta del Duomo, dal
momento che ci è dato sapere che un Pietro, e certo
quello a cui si" allude, era nel 1304 Operaio di san Gio-
vanni Battista, e che lo stesso scultore pisano fu di
questa chiesa capomaestro.1 Una notizia piuttosto non
bisogna qui dimenticare : Nuccaro, pittore pisano della
cappella di san Niccola, nel 1301 colorì e mise ad oro
un' imagine della Vergine col Figlio che era sulla porta
di Camposanto.2 Fu questa imagine tolta per far luogo
al mosaico rappresentante san Michele Arcangelo o al
Crocifisso che il Gera dipinse nel 1390 ? Non siamo in
grado di affermarlo per mancanza di più precise no-
tizie : quel che più monta però è che nessuna memoria,
dopo questa citata, rimane della Vergine col Figlio co-
lorita e messa ad oro dal pittore pisano.
V.
Se sostanzialmente la interna configurazione del mo-
numento può dirsi invariata, non può affermarsi che
tutto fosse come attualmente si vede. Nel rialzo del
piano, che si nota tuttora, ove si salgono due gradini,
era il coro ; per il quale nel 1385 Bartolomeo di Ninno
vetturale reca some di rena per empitura lo coro dì
Camposanto?
e nel 1388 Nino di Neri vende all'Opera
nove tavole di marmo per questo lavoro/1 il quale può
credersi finito soltanto ai primi del secolo successivo.
Nel 1489, a tanta distanza di tempo, Domenico di Ma-
1  Archivio del Capitolo, filza 2.
8  Entrata e uscita, n° 2 turch., e. 66.
3  Ibidem, 33 turch., e. 53*.
4  Ibidem, 37 turch., e. 8*.
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INTKODUZIONE.                                        17
riotto, maestro d'intaglio, riceve dall'Operaio lire 482
e soldi 15 per la fattura del coro e delle sedie di
Camposanto,1 che dovevano esser lavorate a intarsio,
dal momento che nell' inventario fatto dall' Oj^era dopo
l'incendio del Duomo (1596) ritroviamo in una stanza
un fregio sopra il parapetto della sagrestia vecchia o vero
del coro vecchio di Camposanto.'1
Alle pareti ov' era il
coro, « il quale (dice il canonico Totti nel suo dialogo
manoscritto sul Camposanto) è dove vedete quel bel
sepolcro di marmo fatto per mano del Tribolo, scultore
eccellentissimo fiorentino, a memoria eli Matteo Corti,
filosofo e medico eccellente,.... e finisce di contro a
quell' altro sepolcro di Giovan Francesco Vegio, » :i sta-
vano alcuni altari (non ci è dato precisarne il numero)
per i quali nel 1301 un certo Cosci, maestro di pietra,
della cappella di santa Maria maggiore vendette all'Opera
quattro colonnette di marmo/1 Nel 1349 si lavora alla
costruzione di quello detto della Trinità ;b e più tardi,
nel 1392, o per restauro o per totale cambiamento degli
esistenti, Luj)o di Gante, Ranieri di Andrea e Ventura,
lapicidi, attendono con due manuali ad adattare al
muro così T altare della Trinità come quello detto di
tutti i Santi/' il quale, situato sotto la figura di Cristo
nell' affresco della Crocifissione, fu dotato dall' Operaio
Giovanni De Rossi dei suoi beni ;7 e maestro Borghese,
1  Archivio storico dell'arte, anno VI, fase. Ili: I maestri d'intaglio
e di tarsia in legno nella Primaziale di Pisa,
pag. 8.
2  Arch. del Capitolo, filza K, Inventari e. 7K
3  Arch. del Capitolo. Totti, Ms. sul Camposanto di Pisa, e. 8'.
1 Entrata e uscita, 2 tixrch., e. 89'.
5 Ibidem, 14 turch., e. 113*, 159, 160, 161, 162.
0 Ibidem, 39 turch., e. 89, 90.
7 Arch. dell'Opera, filza di recapiti dal 1300 al 1500, n° 1118.
2
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INTRODUZIONE.
18
dipintore, ebbe l'incarico di colorir la tavola che venne
posta sull' altare stesso ; ' 1' altro poi detto volgarmente
del Barbaresco, era situato nella cappella fatta fare
dalla famiglia Barbaresco, la quale divenne per succes-
sione proprietà Battagiini, quindi Aulla. Nel 1476 ro-
vinando la detta cappella e le acque guastando le pit-
ture die eran dentro la faccia dì Camposanto, donna Jacopa
del fu Giovanni Barbaresco, d'accorcio con l'Opera, prov-
vide alle necessarie riparazioni.2
Anche di un altro altare è memoria nei libri della
Primaziale; quello cioè di san Gregorio, posto dentro
la cappella dedicata a questo santo, e fatto costruire
da maestro Ligo Amannati dottore in medicina ;3 come
pure è d'uopo qui ricordare 1' altra cappella, che sul
disegno di Francesco di Giovanni da Firenze detto il
Francione e Baccio Pontelli avrebbe dovuto costruirsi
alla memoria di Filippo de' Medici, arcivescovo di Pisa/'
E abbiam detto avrebbe, perchè veramente noi non siamo
in grado di dire se la cappella fu per un accordo inter-
venuto fra questi due artisti effettivamente costruita.
Il Totti, nel citato suo dialogo manoscritto, ci dice che
ove ora è quella Dal Pozzo avrebbe dovuto erigersi la
cappella sul disegno che fece fare l'arcivescovo de' Me-
dici ; ma che, attesa la sua morte, restò sospeso i]
lavoro.5 Ora per il contratto pubblicato 6 può con sicu-
1  Tanfawi, Provincia di Pisa, anno 1881, n° 30.
2  Ardi, del Capitolo, filza D, Volume di Ricordanze, e, 12.
3  Arch. del Capitolo, filza B, e. 126 ; Contratti dell' Opera, 2 turch.,
e. 131, n° 136.
■'* Archivio storico dell'arte, anno VI, fase. Ili: I maestri d'intaglio
e di tarsia in legno nella Primaziale di Pisa.
'6 Cfr. Da Morrona, Pisa illustrata, voi. II, pag. 227.
G Archivio storico dell'arte, anno VI, fase. Ili: I maestri d'intaglio
e di tarsia in legno,
ec.
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INTRODUZIONE.
19
rezza affermarsi, che la cappella « la quale lassò la bene-
detta memoria di messer Filippo de' Medici » si doveva
fare in Camposanto dai due sopracitati artefici; e se non
si fece non fu per la morte dell'arcivescovo, che al mo-
mento dell'accordo fra il Francione e il Pontelli non era
già più in vita, ma per altre cause a noi rimaste scono-
sciute. In quanto poi all'asserzione del Vasari, che Tom-
maso Pisano finisse la cappella di Camposanto, ]Doichè
non possiamo credere possa aver egli voluto alludere a
questa, come vorrebbero alcuni storici, dal momento
che, se pur fu princi]3Ìata, ciò avvenne solo nel 1475;
bisogna concludere ch'egli lavorasse ad altra più an-
tica, e forse a quella dedicata a san Girolamo dalla
Corporazione de'Mercanti che lo stesso Da Morrona af-
ferma esistesse in Camposanto : et predicti Consules stan-
tiaverunt quod eorum Sindicus faciat reaptare sacellum de
Curia Mercatorum in Camposanto, et ibi faciat dipingere
S. Hyeronimum in deserto.
L'atto è dell'anno pisano 1352.1
Comunque sia, è certo che sulle fondamenta di altra più
antica fu nel 1594 fatta inalzare l'attuale cappella dal-
l' arcivescovo Carlo Antonio Dal Pozzo, per concessione
avuta dal Granduca di farne la jDropria sepoltura.2
1  Da Morrona, loc. cit, voi. II, pag\ 230. Per questa cappella Bar-
naba da Modena dipinse il quadro, oggi al Museo Civico di Pisa, rap-
presentante la Vergine in trono fra otto Angeli, che porta scritto sulla
cornice ; .... cives . et . mercatores . pisani . prò . salute . an.....
2  L'arcivescovo Carlo Antonio Dal Pozzo chiese con lettera al Gran-
duca di poter fabbricare per sua devotione e dotarla una cappella in testa
del Camposanto di Pisa dove ora e un certo dirupato et muri, e lo sup-
plicò di queste cose : 1° concederli detto sito, che dovendo esser la porta
della Cappella dove adesso è la sepoltura del Dottore Giovanni Buoncom-
pagni, che possa levar via a sue spese la ditta sepoltura e metterla appresso
a quella di Filippo Decio,
che l'Opera li doni una colonna di marmo
verde,
che S.A. li doni due colonne che ha all'Arsenale. Arch. del Ca-
pitolo, filza 2.
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INTRODUZIONE.
iO
VI.
A^olle Giovanni Pisano in questa fabbrica tenersi fe-
dele alle forme dell; architettura latina, e concepì il suo
Camposanto colla massima semplicità così all' esterno
come all' interno.
I suoi scolari e successori ornarono quel primitivo
disegno con la minuta repartizione degli ardii all'in-
terno, col tabernacolo sulla porta d'ingresso all'esterno,
seguendo il nuovo gusto a noi venuto dai grandi e in-
ternazionali ordini monastici, per l'influsso de'quali fio-
rirono di archetti e di pinnacoli i vecchi monumenti,
come il nostro Battistero, e se ne compirono altri,
come la chiesetta della Spina.
Scrive infatti il Ilosini che « se in appresso entro
gli archi rotondi si sono innestati degli ornamenti
chiamati di gotica scuola, attribuir non se ne debbe
la colpa a chi ne disegnò da prima e ne diresse la
fabbrica ; »1 ma senza dar colpa a nessuno, tanto più
che nessuno invero la meriterebbe, è certo che Gio-
vanni Pisano non ebbe il pensiero di decorar quegli
archi con trafori, quali tuttora si ammirano, e all' ele-
ganza del monumento così efficacemente contribui-
scono. E a prova di ciò, basterà osservare dalla parte
del chiostro scoperto quel doppio parapetto, costruito
sopra V altro, così fatto manifestamente per scorciare
le esili colonnette delle quadrifore, le quali sarebbero
invero apparse eccessivamente lunghe se avessero do-
vuto posare sul basamento originario. Un' iscrizione,
1 Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag. 8.
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21
INTRODUZIONE
posta dalla parte esterna del pilastro di faccia alla porta
principale, ricorda che l'ornamento di alcune arcate,
nonché quattro diTqueste, furono eseguite nel 1464 a
tempo e per cura dell'arcivescovo de' Medici ; e nel 1459,
ai dì 19 di marzo, certo per questi lavori, l'Operaio del
Duomo alloga il fornimento di marmi di Carrara a Pel-
legrino di Giovanni del Marraso e Giacobbe Antonio,
figlio di Giacobbe di Giovanni Mazzuoli, per la costru-
zione di quattordici parapetti e venti colonnelli e arcali?
Ma sappiamo anche, che nel 1398 Lupo di Gante, scul-
tore, riparò, insieme con altri maestri di pietra addetti
ai lavori dell' Opera, le finestre di marmo che erano
dirimpetto alle ligure del Giudizio, rimettendo in quelle
alcuni capitelli ; "2 e per lo stesso scopo se ne compra-
rono altri da donna Bacciomea, i quali furono adoprati
per le nuove finestre o per il restauro delle esistenti.'3
Dal 1461 poi al 1464 Bartolomeo delle Cime di Lom-
bardia è maestro degli arconi ; e Simone di Domenico
da Firenze (che è chiamato maestro delle finestre di
Camposanto), Guasj)arri di maestro Antonio picchiapie-
tre, Salvi di Andrea da Firenze, scultori, e Andrea di
Francesco da Firenze, che nel 1458 ne aveva già fatte
e collocate a posto due, lavorano alle ornamentazioni
delle quadrifore : e a lidio il dì 27 di luglio 1464 si spesero
lire 4844, per fattura di ventotto finestre di marmo strafo-
rato,... sono tutte le finestre die mancavano al fornimento in
Camposanto}'
1 Milanesi, Documenti inediti dell' arte toscana in Buonarroti, se-
rie III, voi. II, n° 124, pag. 148.
a Entrata e uscita, 40 turch., e. 63.
3 Ibidem, 40 turch., e. 64*.
* Àrch. dell' Opera, libro rosso A, e. 105,
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22
INTRODUZIONE.
Il quale fornimento fu con questa iscrizione ricordato :
DOMINO DE MEDICIS ARCHIEPISCOPO PISANO, ANTONIUS JACOBI,
ALMI TEMPLI PISANI OPERARIUS, SACRI IIUIUS ET INTER MORTALES
PRiECLARISSIMI SEPOLCRI OPUS LI.LI. ARCUBUS XXVIII.... PERFORATIS
FENESTRIS MARMOREIS, III ANN. SUA DILIGENTIA PERFICI CURATIT.
D. I. AN. MCCCCLXIIII.
VII.
Scrive il Ciampi, che contro il danno delle stagioni
i Pisani avevano preso un grandioso provvedimento :
di chiudere, cioè, con vetrate i finestroni esposti a tra-
montana e al vento marino, coni' è anche palese da-
gli incastri de' ferri che si vedono rimpetto alle pitture
di Buffalmacco e dell' Orcagna; 1 ma non restarono
lungo tempo al loro posto queste vetrate, che nel 1490,
il giorno 28 del mese di aprile, i Priori di Pisa dettero
licenza all' Operaio di toglierle dal Camposanto e di
restaurare con quelle le finestre della Chiesa maggiore.2
Lo stesso Ciampi ci dice, che erano a vetri colorati
non solo ma istoriati tutti, e v' era in una Cristo ten-
tato dal demonio e nelle altre le storie della Samari-
tana e la vocazione di san Matteo ; :i ma l'importanza
del lavoro inerita più precise e particolareggiate no-
tizie. Sappiamo infatti, che il 4 giugno 1458 maestro
Lunardo di Bartolomeo della Scarperia e Bartolomeo
suo compagno riscossero lire 720 'per una finestra di
vetro fatta in Chanpo santo in sul elianto verso Giobbe,
nella quale era espressa la istoria della Natività di
1  Ciampi, Notizie inedite della Sagrestia Pistoiese, ec, pag. 115, nota b.
2  Arch. del Capitolo, Vetera Pisani Senatus Monumenta, Ms. e. 98.
3  Ciampi, loc cit., pag. 116, nota.
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INTEODUZIOKE.
23
Nostra Donna, Ai 10 di marzo del 1460 gli stessi mae-
stri compirono un' altra finestra nella quale avevano
figurato Cristo quando li è portato sul monte; e ai 12
dello stesso mese l'Operaio del Duomo, soddisfatto del
saggio, allogò senz' altro a Leonardo di Bartolomeo
di Scarperia e a Bartolomeo di Andrea, fratelli cugini,
maestri di vetri dipinti, sette finestre in Camposanto,
nelle quali si compresero le due già fatte, sequendo
ordinem et viam jam inceptam, ex latere cori dicti Campi
sancii, et deversus dietimi corum,
alle condizioni che fos-
sero queste cominciate il 15 di maggio e in quattro
anni date finite, e dovessero essere lavorate a Pisa et
non alibi}
Infatti nel 1464, a dì primo di giugno, quei maestri
si dichiararono creditori della somma di lire 560 per
l'ultima finestra lavorata in Camposanto ; e mentre di
loro non esistono più notizie, troviamo invece, che un
Bartolomeo di Andrea detto Banco, della Scarperia,
che era anche scarpellino, e che col fratello Giovanni
nel 1485 lavorò al chiostro del Convento di san Fran-
cesco in Pisa,2 nello stesso anno doveva ricevere lire 560
per una vetrata posta di contra al Paradiso, che vi se
ne à mettere un' altra che è una in coro e questa li vien
rasente.
Ed anche quest' ultima finestra da porsi in coro
fu fatta dal medesimo artista, il quale il 14 di agosto
del 1489 restò in credito per quest'opera della solita
somma di lire 560.3
1  Milanesi, Documenti inediti dell' arte toscana in Buonarroti, se-
rie III, voi. II, n° 129, pag. 178.
2  Milanesi, loc. cit., serie III, voi. II, n° 157, pag. 334.
3  Simoneschi, Della vita privata dei Pisani nel medio evo, pag. 92
e 95. Pisa, Citi, 1895.
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INTRODUZIONE.
24
Nella terza delle finestre poste di verso il coro, di
contra alla storia di santo Macchario,
era rappresentato
([tiando Cristo chiese da bere alla Samaritana ; nella quarta
andando verso il coro, quando santo Matteo era ban-
chieri, e Cristo il chiama;
nella quinta, quando san Piero
si gittò nell'acqua, udendo la voce di Cristo;
nella sesta,
quando Cristo cacciò choloro che vendeano nel tenpio, e nella
settima, infine, quando Cristo liberò V attratto?
Mancarono forse i mezzi al compimento eli così
grande lavoro, o piuttosto si comprese subito il danno
che sarebbe derivato all' eleganza e alla bellezza di
così caratteristico monumento eia queir aggiunta che
avrebbe tolta tanta parte di luce e di sole?
Vili.
Non era ancor terminata la costruzione elei monu-
mentale edifizio, e già i Pisani pensavano di arric-
chirlo con pitture dei migliori artisti, « acciocché, »
scrive il Vasari, « come tanta fabbrica era tutta di
fuori incrostata eli marmi e d'intagli fatti con gran-
dissima spesa, coperto di piombo il tetto, e dentro piena
di pile e sepolture antiche, state de' gentili e recate in
quella città eli varie parti del mondo ; così fusse ornata
dentro nelle facciate di nobilissime pitture. » 2
La critica ha già spazzato la via dalle false notizie,
dalle fantastiche attribuzioni di queste nobilissime pit-
ture ; non per ciò esse perdono di pregio e d'interesse.
Se Giotto e Buffalmacco, Pietro Lorenzetti e 1' Orcagna
1  Simoneschi; loc. cit. pag. 93 e segg.
2  Vasari, Ed. Sansoni, voi. I, pag. 380.
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INTRODUZIONE.
non han decorate le interne pareti del Camposanto con
le opere del loro ingegno, riman pur sempre tanto di
prezioso entro queste mura, da non permetterci di rim-
piangere né la mancanza dell'opere loro, ne tutto quello
che il tempo ci ha invidiato !
Sino dal 1299 Vicino, pittore di Pistoia, e Giovanni
Apparecchiati da Lucca fecero nella chiesa di Campo-
santo una imagine della Vergine col Figlio fra i santi
Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; ma non fu
che circa alla metà del secolo XIV che s'incomincia-
rono quei lavori che dovevano così largamente contri-
buire alla magnificenza del monumento, attestando pei
secoli P alto concetto in che i Pisani tenevano quel
sacro recinto.
La parte prima illustrata dagli artisti dovette senza
dubbio essere quella ove anch'oggi si ammirano gli
affreschi attribuiti a Buffalmacco e all' Orcagna. In-
fatti mentre i maestri dell' Opera attendevano ai lavori
di finimento delle altre parti, da questo lato già si
trovano occupati ai restauri delle finestre, prova che
furon queste le prime ad esser costruite. Ma invano
dei primi pittori si ricercherebbero i nomi nei libri
d' amministrazione della Primaziale pisana. Se doves-
simo credere alle notizie degli storici anteriori e po-
steriori al Vasari, Giotto avrebbe dovuto lavorare le
storie di Giobbe ; Buffalmacco non solo quelle rappre-
sentanti la Creazione, ma anche la Crocifissione, la Re-
surrezione e l'Ascensione ; P Orcagna il Trionfo della
Morte e il Giudizio, e il fratello di lui, Bernardo (ora è
invece dimostrato che si chiamava Nardo) P Inferno ;
Simone Martini le storie eli san Panieri : e poi v' avreb-
bero avuto parte anche Taddeo Gaddi e Taddeo Bartoli !
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26
INTRODUZIONE.
Né il codice Gaddiano citato dal Milanesi è più preciso
nelle attribuzioni : vuole del Gaddi le storie di Giobbe,
di Bernardo (Daddi) l'Inferno, di Buonamico Buffal-
macco molti lavori, senza però dir quali, e di Ste-
fano fiorentino l'Assunzione di Nostra Donna.1 Ohimè,
troppe bugie per potergli credere anche quando dica la
verità !
Il Vasari ripete molti di questi errori, e ne ag-
giunge, per non esser da meno, qualcheduno di suo.
Anch' egli ascrive a Giotto le storie di Giobbe, a Buf-
falmacco e agli Orcagna gli affreschi che non possono
a loro per nessuna ragione attribuirsi : vuole di Pietro
Lorenzetti gli Anacoreti ; di Simone Martini le tre sto-
rie superiori di san Ranieri ; assegna a Taddeo Bartoli
una Nostra Donna incoronata da Gesù Cristo con molti
Angeli in attitudini bellissime e molto ben coloriti ; ci
dice anche che Stefano fiorentino dipinse una Nostra
Donna che è alquanto migliore di disegno e di colorito
dell' opera di Giotto, la qual Madonna però egualmente
attribuisce a Simone.2
Ora, piuttosto che seguire la tradizione o le erronee
attribuzioni di storici troppo recenti e poco scrupolosi,
ricerchiamo anzi tutto nei registri di amministrazione
dell'Opera i nomi degli artisti che indubbiamente hanno
avuto parte nelle pitture del Camposanto.
Prima del 1368 o 1369 non abbiamo nessuna no-
tizia : e dobbiamo veramente dolerci, che quei libri non
siano stati, avanti un incendio, esaminati; che avremmo
avuto modo di sapere, più che oggi non ci sia dato
1 Cornelio de Fabeic/.y, Il codice dell'anonimo Gaddiano. Estratto
dall' Ardi, stor. italiano, serie V, tomo XII, anno 1893, pag. 62.
s Yasari, Ed. Sansoni, voi. I, pag. 552.
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27
INTRODUZIONE.
dai superstiti, quali veramente fossero gli artisti che at-
tesero a quei lavori. In quegli anni troviamo che i pit-
tori Nino e Giannello, Paolo di Giunta e Neruccio di
Federigo sono occupati a dipingere in Camposanto, e
che un Giovanni del Mosca vi stette per molti giorni
a lavorare; ma ignoriamo assolutamente in che l'opera
eli lui e degli altri consistesse. Nel 1371 Francesco da
Volterra, in compagnia di quel Neruccio di Federigo
di cui abbiam parlato sopra, di Berto d' Argomento,
Cecco di Pietro e Iacopo di Francesco da Roma o
da Volterra, dal 27 aprile di quell' anno (stile pisano)
all' agosto del 1372 lavora in Camposanto a quelle
storie che furono per tanto tempo credute di Giotto,
come si rileva anche meglio da un ricordo pubbli-
cato dai signori Cavalcasela e Crowe : « La storia
di Giobbe nel Camposanto fu incominciata il 4 di Ago-
sto 1371. » 1
Nel 1377 1' Operaio paga a Andrea da Firenze la
somma di lire 529 e soldi 10 di denari pisani per re-
sto della pittura delle storie di san Ranieri, e due anni
dopo manda a Genova un certo Giovanni Pessino di
Lucca per invitare Barnaba da Modena a voler termi-
nare quegli affreschi rimasti incompiuti ; ma nel 1386
è chiamato invece Antonio Veneziano, che termina le
storie decorando la parte inferiore della parete con
altri fatti relativi alla vita del Santo pisano. Nel 1390,
Piero di Puccio da Orvieto comincia quelle della Ge-
nesi, e dipinge sulla fronte della cappella del Barbare-
sco l'Incoronazione della Vergine ; e V anno successivo
a Spinello Aretino è affidato V incarico di riempire il
1 Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 80.
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INTRODUZIONE.
•28
resto del muro sino all' altra porta di accesso con le
storie dei santi martiri Efiso e Potito.
Nel frattempo e dopo, altri pittori di minor conto
troviamo impiegati in lavori di secondaria importan-
za ; fra questi il Borghese, che dipinge le cornici e i
cavalietti, e Turino Vanni che restaura le iscrizioni, per
non citar che i più noti,
Ma sappiamo anche, che a dì 3 di luglio del 1467
l'Opera spende 30 soldi per una collasione si fé per fare
lionore Andrea Squarciane dipintore, lo quale de avere a
finire di clipingiere al Canposanto}
Nel 1469 Vincenzo
da Brescia chiede con lettera di poter venire a lavo-
rarvi, ma perche V Opera avea proveduto a Henozzo, sì
li rispuose non venisse, e diesi detti soldi undici perche la
lettera diceva così
;2 in quello stesso anno infatti Be-
nozzo incomincia le storie del vecchio Testamento da
quella di Noè inebbriato, che fece per dare saggio del
suo valore.
Nel 1474 il Botticelli fu chiamato a Pisa, perchè
vedesse ove avrebbe potuto dipingere in quel santuario
dell' arte e della fede ; ma avanti cominciò una storia
dell' Ascensione di Nostra Donna nella cappella della
Incoronata in Duomo, la quale pittura fa per uno pa-
ragone, che, piacendo, à poi a dipingniere in Camposanto ;
3
e il 31 maggio V Opera segna lire 5 e soldi 10 in fiorini
uno largho, il quale ebbe Sandro de Botticella dipintore
quando venne a Pisa, che s'acordò poi con VOpera a di-
pingniere in Camposanto^
Ma non piacendo invece al-
1  Archivio dell'Opera. Ricordanze, 1 turch., e. 96.
2  Archivio del Capitolo, filza A, e. 48.
3  Entrata e uscita, 67 turch., e. 79*.
* Ricordanze, 2 turch., e. 136*.
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INTRODUZIONE.
29
1' artista, come narra il Vasari, la storia, non la finì,
né dipinse quindi nemmeno nel monumentale Cimitero ;
e Benozzo lavorò tutta quella parete dalla parte di
tramontana illustrandola con ben ventiquattro impor-
tantissimi quadri, « lavoro terribilissimo e tale da far
paura a una legione di pittori, » come giustamente lo
giudicò il Vasari.
. IX.
Abbiamo così passato in rassegna una notevole
schiera di artisti ; ma possiam dire per questo di aver
saputo quanto sarebbe stato necessario per far com-
piuta la nostra illustrazione ? A chi attribuire le scene
della Passione di Cristo, a chi il grande Trionfo della
Morte, il Giudizio e l'Inferno, a chi gli Anacoreti ? E
poiché i documenti non ce lo dicono, e alla tradizione
soltanto è poco da credere, bisognerà ben ricorrere
alle artistiche comparazioni, non senza avanti dichia-
rare che sarebbe stato un po'strano, che nessuno degli
artisti pisani che fiorirono in quelP epoca venisse chia-
mato a lavorare in quel monumentale recinto dai Pi-
sani stessi con tanto amore edificato e con tanti sa-
crifici condotto a quel grado di splendore, che lo rese
meritamente celebrato nel mondo.
Scrive il Ticozzi che P unico il quale ebbe questo
onore fu Nello di Vanni ; e poiché il Lanzi dubitò che
questi potesse essere lo stesso che Bernardo Nello di
Giovanni Falconi, il Farulli nella Cronologia elei Mo-
nastero degli Angeli tolse il dubbio affermando, che
nel 1300 fiorì un Vanni da Pisa, padre di quel Nello
pittore, che adoprò i suoi pennelli ad abbellire le mura
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INTRODUZIONE.
30
del Camposanto.1 Per la qual notizia il Rosini non du-
bitò di asserire, che il solo monumento certo che resti
di Nello di Vanni è 1' ultima storia fra quelle di Giotto.
« Pare che chiamato questi a Firenze, » aggiunge egli,
« o la lasciasse solamente disegnata, o che interamente
1' abbandonasse al discepolo. La prima opinione è la
più probabile ; e 1' esecuzione, considerato il tempo,
merita non poca lode. » 2
Ma sarà bene ricordare, che il primo a supporre
che Nello pisano lavorasse con Giotto fu il Totti, il
quale scrive precisamente così : « Giotto fece questo
primo quadro dì sopra il quale assai bene si discerne
diverso et differente di maniera da quest' altri, li quali
a mio giuditio credo siino stati fatti per mano di Nello
di Vanni nostro di Pisa. » 3 Cosicché non sappiamo
come il Rosini possa affermare, con l'autorità del
Totti, che solo i due ultimi sono di Nello, dal momento
che il canonico pisano ci dice essere invece di lui tutti
gli altri meno il primo. Attentamente osservate, però,
le varie storie che alla vita di Giobbe si riferiscono,
dipinte da Francesco da Volterra, non presentano fra
loro nessuna differenza di carattere e di tecnica ; sicché
è da porsi in dubbio V asserzione del Totti, il quale
per verità mostra, dal modo stesso come si esprime,
di non attribuire gran peso nemmen lui alla notizia
che dà per il primo.
Anche il Grassi sbaglia nel supporre che Nello di
Vanni abbia proseguito le storie attribuite a Giotto;
ma poiché anch' egli non trova differenza fra i vari
1 Rosini, Sfona della pittura italiana, voi. II, pag. 4.
* Ibidem, loc. cit., voi. II, pag. 7.
3 Totti, loc. cit., e. 1244.
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INTRODUZIONE.
31
affreschi esprimenti quelle storie, enuncia l'ipotesi che
i lavori dell' artista pisano fossero stati sulla contigua
parete occidentale, dove ora sono alcune moderne pit-
ture, « giacché tale muraglia, » coni' egli scrive, « fu
posteriormente ringrossata con nuova sostruzione. » 1
Del resto mancava forse Pisa di artisti?
La scuola pisana, che con Giunta, se non segna
una via nuova, inizia almeno il movimento evolutivo,
abbandonando in parte le viete forme dell' arte bizan-
tina, per tutta la fine del secolo XIII e i primi del
successivo non può dirsi, mancando i documenti, a
qual grado di sviluppo fosse pervenuta per merito dei
suoi artefici.
Se rimangono notizie di pittori, mancano le opere,
che in questo caso avrebbero maggior valore; se pur
resta qualche opera, ossia qualche isolata e insignifi-
cante manifestazione, non è possibile pretendere di de-
durre da questa le condizioni generali dell' arte in quel-
l'epoca, perchè sarebbe come se si volesse dalle molte
pitture andate distrutte, di cui ci resta tuttavia memo-
ria, fissare l'artistica importanza loro. Ma se, come vuole
il Rosini, quel Dato pittore è la medesima persona di
Deodato Orlandi, che, sebbene lucchese, egli ascrive fra
i seguaci della scuola pisana, si avrebbe una riprova,
osservando le opere lasciate da lui, dello stato di de-
cadenza in cui allora si trovava la pittura. Né d'al-
tronde ci pare sufficiente argomento per dimostrare la
1 Descrizione storica e artistica di Pisa, voi. II, pag. 144.
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32                                       INTRODUZIONE.
superiorità dei pittori forestieri il fatto che, sulla fine
del secolo XIII e nei primi anni del XIV, Cimabue fu a
Pisa per lavorare al mosaico dell'abside della Primaziale,
perchè bisognerebbe aver dimenticato che avanti di lui
presiedette a quei lavori un maestro Francesco, pittore
pisano. « Ora chi non converrà, » scrive giustamente il
Ciampi, « che Francesco, Vicino,1 Cimabue fossero pittori
di somma reputazione, potendosi ciò rilevare dal vederli
successivamente impiegati in un lavoro che tutte le
premure dei Pisani a sé richiamava ? Oltre di ciò con-
getturare possiamo 1' ugual grado di Francesco e di
Cimabue anche dall'uguaglianza dello stipendio.»^2
Nel convento di santa Caterina, in un chiostro ora
distrutto, erano pitture di artisti pisani del primo
trecento, i cui nomi, ricordati dal Tempesti, erano
Bindusf Salvius, Botredus.....ìppus, Bodericus, tutti
enunziati de Pisis ; nomi, egli aggiunge, che eran forse
celebrati ed onorati al pari di quelli di Giotto, del
Caddi e del Menimi ;3 tanto più strano quindi, che nes-
suno di questi artefici, od altri che li seguirono, sia
stato chiamato all' onore d'illustrare le interne pareti
del Camposanto.
Ma poiché è del tutto inutile seguitare le citazioni
mancando i termini necessari di confronto, ed è solo
studiando le opere dei superstiti che si possono stabilire
i caratteri della scuola, possiamo con sicurezza riscon-
1  Vicino, pittore e mosaicista, terminò il mosaico dell'abside della
Primaziale pisana (1321).
2  Ciampi, Notizie inedite della Sagrestia Pistoiese, pag. 90-91. Dipinse
Cimabue a Pisa un quadro per l'Ospedale, di cui s'ignora la sorte, e
un altro per la cbiesa di san Francesco.
3  Cronaca del Convento di Santa Caterina in Arch. storico italiano,
voi. VI, pag. 495.
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INTRODUZIONE.                                           33
trare in questa il prodotto di due influssi, quello della
maniera fiorentina e quello della senese. E infatti Ci-
mabue e Giotto con i loro dipinti ' han per una parte
contribuito a migliorare ravviamento dell'arte pisana;
Simone Martini poi con la sua celebre tavola lavorata
nel 1320 per la chiesa di santa Caterina, ha aperto
un nuovo orizzonte, ha gettato vivissima luce nel
campo degli artisti pisani, che, educati alla maniera
bizantina, ritrovarono nell'arte sua, più che in quella
di Giotto, il sentimento e lo spirito loro. Di qui certo
la mescolanza della maniera senese con la fiorentina e
con V arte locale, sempre bizantineggiante ; mescolanza
che si manifesta nelle varie opere più o meno sapien-
temente adoprata, e segna insieme il carattere fonda-
mentale dell' indirizzo artistico della scuola.
Notevole fu anche V influsso che la scultura ha
esercitato sullo sviluppo e sull' educazione dei pittori
pisani, in ispecie con 1' opera maggiore di Giovanni,
il pulpito del Duomo, nel quale essi ritrovarono tal
mèsse di motivi e d'ispirazione, che, certo attratti dalla
potenza dell' espressione da cui quell' opera è animata,
furon tentati d'imitarla. Si hanno infatti i prodotti
di questa imitazione nelle figure loro, più esagerate
nel movimento e più drammatiche nell' espressione dei
sentimenti ; caratteri questi che, più o meno abilmente
espressi secondo la diversa valentia degli artefici, si
riscontrano nelle pitture di scuola pisana che tuttora
ci rimangono.2
1  Giotto lavorò per la chiesa di san Francesco un quadro rappresen-
tante il Santo titolare che riceve le stimmate. Il dipinto è ora a Parigi.
2  Una Crocifissione, recentemente scoperta in una cappella della
chiesa di santa Caterina in Pisa, sebbene tutt'altro che fine pittura,
3
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34
INTRODUZIONE,
Non sono dunque nel vero i signori Cavalcasene e
Crowe, i quali, pure affermando poco credibile che Pisa
mancasse di artisti, sostengono che « nel quattordice-
simo secolo, eccettuato Francesco Traini, non si trova
alcun altro pittore pisano di qualche rinomanza, cosa
che sembra incredibile quando si pensa alle importanti
opere di pittura che furono eseguite non solo nella
Cattedrale e nelle altre chiese, ma nello stesso Cam-
posanto. » 1 Perchè se la storia ha dimenticato alcuni
nomi o ha confuso artisti, se le opere loro sono andate
disperse o distrutte, non è ragion questa per ritenere
che nessun altro artefice fosse pervenuto al grado del
Traini. Il quale certo emerge fra tutti i conosciuti per
elevatezza di concetti, sapienza e correttezza di esecu-
zione, sentimento e forza drammatica ; ma non man-
cano alcune figure di Apostoli e di Santi, alcune ima-
gini della Vergine, alcune rappresentazioni di concetti
simbolici, opere anonime oggi per noi, che tuttavia di-
mostrano chiaramente l'abbondanza dei pittori pisani
di quel tempo e il loro non scarso pregio.
Poiché dunque nelT epoca nella quale gli Orcagna
e i Lorenzetti avrebbero dipinto in Camposanto v' era
in Pisa non il Traini solo, ma altri ancora, non indegni
d'esser chiamati all' alto onore, e poiché nulla di fio-
rentino, né nel carattere né nei tipi, può ritrovarsi
non manca negli atteggiamenti delle figure e nel sentimento de'volti
di espressione e di forza drammatica; e nella stanza attigua al campa-
nile di san Michele degli Scalzi, sono resti di affreschi che ricordano,
nella maniera della scuola locale, le pitture del Camposanto intorno
alle quali c'intratteniamo. Il Bonaini del resto ricorda uria serie di
pittori pisani e di alcuni anche i lavori; è deplorevole il fatto, già
da noi notato, che alle tavole manchino i nomi, ai nomi le opere.
1 Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 78.
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INTRODUZIONE.                                           35
nelle pitture sino ad oggi volute delP Orcagna, mentre
la maniera pisana si mostra chiara tanto in queste
come negli Anacoreti erroneamente attribuiti al Loren-
zetti ; noi non esitiamo ad affermare, che artisti pisani,
a capo dei quali il Traini, abbiano avuto parte negli
affreschi che sino ad oggi andarono sotto i nomi di
Buffalmacco, dell' Orcagna e del Lorenzetti, solo perchè
a questi artisti ha voluto attribuirli il Vasari.
Il quale vorrebbe anche che Taddeo Bartoli avesse
dipinto in Camposanto l'Incoronazione della Vergine;
e dacché non è bastato al Rosini il documento pub-
blicato dal Ciampi per dare quella pittura a Piero di
Puccio, dovrem conchiudere che quegli Apostoli che lo
storico pisano assegna all' artista senese sono invece
indubbiamente di Benozzo ; e se i soverchi ritocchi han
fatto loro perdere i caratteri che son propri alle opere
elei Gozzoli, un attento esame non può non condurre
al resultato cui noi per verità siam giunti senza so-
verchia fatica. Cosicché, lasciando che il Da Morrona
sostenga che l'Incoronazione della Vergine fosse dal
Bartoli ritoccata, nulla presentemente rimane di lui in
Camposanto, e forse mai nulla vi fu di sua mano.
Ma a chi mai potrà riferirsi la notizia del registro
pisano colla quale si accenna che a un Andrea Squar-
cione (due anni avanti la venuta di Benozzo), per aver
terminato di dipingere in Camposanto, è offerta una
colazione dall' Opera ? Non dovrebbe esser forse questo
buon argomento per farci intendere che il suo non fu
dozzinale lavoro, e eh' egli dev' essere anzi stato artista
di chiara rinomanza ? Supporre che possa essere il Man-
tegna parrà senza dubbio ipotesi ardita;-a meno che
non si tratti di uno de' tanti allievi che ritennero il
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36                                           INTRODUZIONE.
nome del maestro, come del resto pur fece il celebre
pittore padovano, che in un sonetto è chiamato: An-
drea Mantegna elido Squarsono?
Sappiamo intanto che
nel 1466 egli fu a Firenze:2 però nulla di strano che
allora venisse sino a Pisa, come più tardi il Botticelli,
per lavorare in Camposanto e qui effettivamente lavo-
rasse, ma l'opera sua fosse poi distrutta per mano di
quei pittori del '600 che hanno offuscato coi loro affre-
schi la gloria dell' insigne monumento, o pel restauro
che si dovette fare al muro dalla parte di ponente,
come ci ha narrato il Grassi.
XI.
Il Vasari parlando degli affreschi che attribuisce a
Giotto deplora la trascuraggine di chi li doveva con-
servare e invece li lasciò molto offendere ; e « il non
avere (aggiunge) a ciò, come si poteva agevolmente,
provveduto, è stato cagione, che avendo quelle pitture
patito umido, si sono guaste in certi luoghi, e V incar-
nazioni fatte nere, e l'intonaco scortecciato. »3 E poi-
ché quant' egli dice per le storie di Giobbe si può
estendere a tutti gli altri dipinti, e più specialmente
a quelli di Benozzo, noi dobbiamo lamentare con lui
lo stato in cui quelle pregevoli opere d'arte con l'an-
dar del tempo si sono ridotte.
Certo i venti marini e il variar delle stagioni hanno
contribuito a corromper l'intonaco e ad affievolir la
1 Y asari, Ed. Sansoni, -voi. Ili, pag. 385, nota 3.
9 Ivi, voi. IH, pag. 439.
3 Ivi, voi. I, pag. 381.
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INTKODUZIONE.                                       37
pittura ; ma gli uomini non han nulla da rimpro-
verarsi ?
Nel 1300 gli Anziani deliberano di proibire sotto di-
verse pene pecuniarie di giuocare alle piastrelle e alla
palla in Duomo e nel Camposanto, e di tenere a pa-
scere sulla piazza bestie grosse e minute.1 Nel 1359
gli stessi Anziani (tanto era il riguardo per la conser-
vattone et reverentia di quei luoghi)
gravano di pene
chiunque si troverà a giocare sul pavimento del Cam-
posanto e sopra i gradini dello stesso Camposanto o
della Chiesa maggiore : quod nulla persona undecumque
sit,
.... audet vel presumat ludere ad ludum taxillarem vel
zardi, unde pecunia vel res vìncatur vel perdatur intus Ec-
clesiam vel intus Campum Sanctum__ ad penarti Ubrarum
viginti quinque denariorum pisanorum etc?
Ma la deliberazione deve aver ottenuto poco ef-
fetto, se nel 1386 1' Operaio crede opportuno far di
nuovo sanzionare dagli Anziani un più rigoroso di-
vieto di giuocare alla palla in Camposanto. Vero è
però, che mentre gli Anziani proibiscono i giuochi,
1' Operaio permette che vi si tenda la lana per asciu-
garla ;3 e non bastano i guardiani pagati dall' Opera
ad impedire ai ragazzi di guastare le pitture che via
via si andavano facendo entro quell' insigne monu-
mento.
Nel 1478, aumentando gli abusi e non cessando per
nulla i danni e gli inconvenienti, il Magnifico messer
Capitano della Guardia e Balia della città di Pisa
1 Deliberazioni e Partiti del Comune di Pisa riguardanti l'Opera,
n° 1 turch. L' anno non è precisato.
^ Copia di contratti dal 1357 al 1405.
3 Debitori e creditori. Rosso A, e. 34'. -
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38
•INTRODUZIONE.
bandisce e comanda, con la debita approvazione della
Signoria di Firenze, quanto appresso :
« Item : Conoscendosi il Campo santo della Città di
Pisa essere di fama et luogho di devotione et ordinato
per sepolture de' corpi, et essere una delle belle cose
che abbi el mondo, et dove si spende grandissima
quantità di pecunia a bbellessa et hornamento di quello,
et per dare consolatione et conforto a chi vi va per
sua devotione, li quali alcuna volta credendosi meri-
tare et usare certe loro oratione et devotione, come
è tutto il giorno di consuetudine fare a tutti gli habi-
tanti della Città di Pisa, sono sturbati et nojati da
varj et diversi giuochi si fanno, che è cosa di cattivo
exemplo ; et perchè ancora s' usa di fare alla palla, la
qual cosa dispiace a tutti quelli che honestamente vi--
veno et tengono quello luogho per gran divotione et
cognoscono che elli è uno dare cagione di guastare non
solamente le finestre del vetro ma le dipinture et sto-
rie che vi si fanno con tanto spendio dell' Opera ; però,
per salvamento di decto luogho e per conservare la
devotione, s'ordina et provede :
» Che per lo advenire nessuna persona, di che stato,
grado, dignità o conditione si sia, ardisca o vero pre-
suma giocare dentro alla porta del Campo santo della
città di Pisa i' veruno giocho de che ragione si sia
sotto la pena et alla pena di lire cinque per ciascuno
e per ciaschuna volta, nella quale insino da hora chi
contrafarà s'intenda esser chaduto, et sia tenuto il
padre per figliuolo, il fratello per fratello, essendo d'età
o di degnità che e' no' potesseno essere gravati, et così
s'intendono rimanere et rimanghino per loro obbligati,
et sieno gravati per qualunque rectore della città di
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39
INTRODUZIONE.
Pisa : della quale pena la metà sia di quello tale rectore
che la farà rischuotere, la quarta parte dello accu-
satore, et il resto vada et apartenga all' Opera del
Duomo di Pisa, et così si osservi, qualunche opositione
rimossa etc. » '
Finalmente, per 1' ornamento del Camposanto si de-
libera « levar via tutti i sepolchri di chorpi morti
che sono murati sotto el tetto e chapelle di ditto
Campo santo, perchè sono molti anni vi sono stati
missi, di modo che parte ve n' è rovinati, e scboperti
le chasce de' legnami, e fano brutessa asai ; e parte
impedischano le chapele, e in choro fra altare e altare,
di sorte che, oltre alla brutesa, non si poteva per 1' Ope-
raio rasetare ditti altari e chapelle se non si leva-
vano e diti sepolchri___» Questo il 15 marzo del 1540.'2
Ma se togliendo tante Ijrutesse e difendendo con
leggi il decoro e la conservazione del monumento rag-
giungessero lo scopo, non è facile dire, per mancanza
1  Segue :
I Riformatori,
Spett. e degno homo Agnolo di Neri di Andrea Vettori, per lo magnifico
popolo fiorentino creato Potestà di Pisa, insieme cogli infrascritti nobili
liomini :
Guglielmo di Giovanni Lanfranchi           \               •..-,•■•
t, , „ ,. ,. 7 v,, 7 7 .         i             cittadini pisani
Benedetto di ser Guglielmo Giacoboi         (
Giuliano di Gherardo di ser Ber enato i                  , f . •
Simone di Pietro della Boccha                  )
Francesco di Bartolomeo Grassalini
!                     eletti
Ser Bartolomeo di M. Piero della Spina
Giovanni di Bartolomeo da Forcoli          i dalla Comunità di Pisa.
Eliso d'Iacopo dell'Agnello                       )
Bogato, Ser Bartolo figlio di ser Giov. di ser Bartolo di san Cassiano,
cittadino pisano et notaio imperiale, et cancellano de'Priori del popolo di Pisa.
Arcb. del Capitolo, filza 2.
2  Ardi, dell' Opera, Memoriale 3, n° 1271, e. 12.
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INTRODUZIONE.
40
di più precise notizie ; a noi sia lecito intanto dubi-
tarne. Certo il tempo non ha davvero contribuito alla
conservazione delle pitture, e, per mala intesa eco-
nomia o per incuria, la tettoia rimasta scoperta ne ha
fatte in alcune parti sempre più tristi le sorti ; ma al
tempo e all'incuria bisogna aggiungere i restauri, so-
verchi e disgraziati, dell' incuria stessa peggiori, cui
furono in tutti i tempi e senza riguardo alcuno as-
soggettate quelle pregevoli opere d' arte. Le quali, a
chi ponga mente alle prove sofferte ed all' avversa for-
tuna che le ha nei secoli perseguitate, parrà miracolo
che serbino ancora tanto fascino e tanto splendore !
-*•♦*•—
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GLI AFFRESCHI.
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Buommico Buffalmacco (?)
LA CROCIFISSIONE, LA RESURREZIONE E L'ASCENSIONE.
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>
Buonamico Buffalmacco (?)
----------
\jBE Buonamico Buffalmacco lavorasse in Camposanto, han
voluto sino a poco tempo fa concordemente gli storici; ma così
fantastica era l'assegnazione delle varie opere, che si pretese at-
tribuirgli affreschi completamente disparati fra loro per tecnica
e per carattere. Il Ciampi pubblicò per il primo le notizie che
si riferivano a Pietro di Puccio e alle pitture della Genesi da lui
lavorate in Camposanto ; e gli storici allora, non potendo rifiu-
tar fede ai documenti, si contentarono eli togliere a Buonamico
quegli affreschi, continuando ad assegnargli la Resurrezione,
l'Ascensione e la Crocifissione, senza pensare che altri documenti
avrebbero potuto un giorno attestare, come dai caratteri della
pittura chiaramente si dimostra, che nessuna somiglianza è fra
i due primi e 1' ultimo affresco, che stranamente si vorrebbero
di un medesimo artista.
Scrive il Vasari, che Buffalmacco « dipinse nel medesimo
Campo Santo, in testa dov' è oggi di marmo la sepoltura del Corte,
tutta la passione di Cristo, con gran numero di figure a piedi
ed a cavallo, e tutte in varie e belle attitudini ; e, seguitando la
storia, fece la Resurrezione e l'apparire di Cristo agli Apostoli,
assai acconciamente. » '
Ma il Rosini, che vuole di Buffalmacco la sola Crocifissione,
afferma che il carattere degli altri due affreschi tien più della
Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 514.
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46                                BUONAMlCO BUFFALMACCO (?)
rozza maniera dei Greci ; ' mentre nella sua Storia della Pit-
tura
sostiene invece che, se Buffalmacco avesse dipinto sempre
come nell' apparizione di Gesù agli Apostoli, avrebbe meritato
più sovente 1' elogio del Vasari ; e aggiunge : « Vero è che in
questa Apparizione del Salvatore la sublimità del mistero è alta-
mente rappresentata ; il piegar dei panni è grandioso ; e variata
e profonda l'esjDressione degli affetti negli Apostoli. Se non è
tanto perfetto nel disegno ; se non è vivace nel colorito, consi-
derar bisogna di chi fu discepolo ; e sapergli grado di quanto
fece. » "2
I signori Cavalcaselle e Crowe osservano poi, che « la Cro-
cifissione è un rozzo lavoro dello scorcio del secolo decimoquarto,
con figure lunghe ed esagerate, non belle per tipo e per fattura,
com' è più specialmente manifesto dalla figura di Cristo. La Ri-
surrezione, l'Apparizione e l'Ascensione, sebbene anch'esse mal
ridotte, hanno invece figure piuttosto pesanti e mostrano esse
pure d' appartenere allo stesso tempo e d' essere opera di un
pittore di non maggiore abilità. »3 E quantunque il Da Morrona
ed il Ciampi attribuiscano la Crocifissione ad Antonio Vite di Pi-
stoia, e il Grassi scriva che secondo la tradizione egli effettiva-
mente ha lavorato in Camposanto, i citati scrittori ripetono, che
se dovessero giudicare da quanto è rimasto, troverebbero che è
lavoro alquanto rozzamente condotto, ma non di Buftalmacco né
di Antonio Vite, bensì di qualche altro pittore di quei tempi.4
: . . *
-X- *
Concordi con gli eruditi scrittori nel severo giudizio, dob-
biamo per conto nostro soggiungere che, mentre la parte destra,
ove son rappresentate tutte quelle figure a cavallo è veramente
scadente, mancando il disegno di rilievo, ed essendo l'esecu-
zione grossolana, a sinistra, ove è dipinto lo svenimento della
Vergine, sono alcune figure di donna abilmente disegnate quanto
1 Descrizione delle pitture del Camposanto dì Pisa, pag. 14.
9 Storia della pittura italiana, voi. I, pag. 255.
3 Storia della pittura in Italia, voi, II, pag. 8G.
* Ivi, pag. 237.
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BUONAMICO BUFFALMACCO (?)
il
alla costruzione e all' andamento della testa, alla eleganza del-
l'acconciatura e del collo, e ad una certa grazia che traspare
dal volto delle più giovani. I bambini poi, o che scherzino fra
loro o che accennino e si rivolgano alla scena della Crocifis-
sione, sono tutti così abilmente riprodotti nella irrequietezza
delle movenze, nella vivacità e varietà degli atteggiamenti, nel
carattere del viso grassoccio e rotondo, che attestano la mano
di un artista non volgare, buono interprete del vero non solo,
ma capace di coglierlo e riprodurlo con spirito e sentimento
vivissimi. Ma se nessuno dei caratteri, che avremo agio di ri-
scontrare nelle altre pitture esistenti in questo recinto, possono
ritrovarsi in questa Crocifissione, tecnicamente troppo diversa
da quelle, noi egualmente sosteniamo che questo artista, mo-
strando di aver subito in parte F influenza della scuola senese,
come può riscontrarsi nelle figure femminili a sinistra dell'af-
fresco, quasi senesi nella grazia del disegno e nella forza del
colorito, sia da tenersi per pisano, quale chiaramente risulta
eia un attento esame delle caratteristiche che la pittura stessa
ci mostra.
Lo stesso potremmo ripetere in proposito degli altri due af-
freschi, rappresentanti la Kesurrezione e l'Ascensione. Qui non
solo il tipo del Cristo conserva, specie nel primo dipinto, il
carattere locale, ma tutta la pittura ricorda in modo evidente
quella erroneamente attribuita all'Orcagna.
Pur troppo, ben poco d'originale rimane in questi dipinti,
che dovevano maggiormente estendersi su quel lato stesso di
parete, come ci conferma il Navarretti : « le pitture attribuite
a Buffalmacco nel Camposanto, furono l'anno 1667, d'ordine
di Nicolò Angeli, Operaio, finite di levare per esser malissimo
andate ; e vi fece fare le nuove istorie da Zaccheria fiondinosi,
pisano. » J
Dogliamoci dunque della perdita di altri affreschi che avreb-
bero certo servito a portar nuova luce intorno al loro più pro-
babile autore, ma contentiamoci di studiare i caratteri di questi
rimasti, e vedremo che non ci vorrà molto per arrivare ad una
più esatta attribuzione di essi.
1 Arch. del Capitolo. Navarretti, Memorie storiche di Pisa, ms., e. 38S.
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48                          BUONAMICO BUFFALMACCO .(2)
;
La scuola pisana qui pure chiaramente si palesa nel carat-
tere dei volti, nelle forme, nelle espressioni ; pisano il tipo del
Cristo : la testa larga di forma e di un ovale esageratamente
sviluppato, i capelli divisi nel mezzo, contornanti il viso a mo'
d'aureola, restringentisi alla linea del mento e scendenti a onde
dietro le spalle ; V espressione del volto dolce, tranquilla, quasi
sorridente ; la barba corta, rada, attaccata alquanto sotto la
mascella, rossiccia; i baffi leggeri, adombranti appena il labbro
superiore ; in una parola, la riproduzione del vecchio tipo locale,
quale si riscontra in altre pitture in tavola di artisti pisani.
Abbiamo detto che questi affreschi ricordano quelli attri-
buiti all' Orcagna per la tecnica e per il tipo e il carattere
delle figure ; infatti il contorno ancor qui è segnato nella stessa
maniera, piuttosto forte e scuro, composto egualmente con terra
gialla bruciata mescolata con terra rossa bruciata; le carni
impastate e preparate con terra verde cui è sovrapposta una
tinta rosea ; anche qui lo stesso movimento arcuato nelle dita
delle mani, la stessa costruzione degli occhi, lo stesso carattere
nelle teste.
Aggiungiamo poi che il modo di segnare le estremità infe-
riori è sempre eguale nelle figure dei due differenti affreschi;
il pollice discosto, le dita lunghe e con movimento arcuato un
po' simile a quello delle mani. Negli Angeli volanti si ripete,
oltreché la foggia del vestire e V andamento delle pieghe, il
carattere del volto pieno e rotondo, il collo robusto. Le figure
inginocchiate degli Apostoli, a pie del monte, si rivedono nelle
pitture rappresentanti il Trionfo della Morte e il Giudizio ; e
il Cristo entro la mandorla, che in questo ultimo dipinto alza
la destra in atto di maledire, par derivato da quell'Apostolo
che tocca la mano al Redentore, sotto F affresco della Resur-
rezione, e meglio ancora dall'altro nell'Ascensione, che tiene
le mani giunte e si volge all'Angelo il quale gli addita con
la sinistra alzata Cristo in cielo.
Ora., poiché noi crediamo di poter con sicurezza attribuire
le pitture, già credute dell'Orcagna, ad artisti della scuola pi-
W
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BUONAMICO BUFFALMACCO (?)                             49
sana, alla stessa scuola dovremo assegnare per i caratteri ma-
nifesti di somiglianza gli affreschi rappresentanti l'Ascensione e
la Kesurrezione, senza alcun fondamento ritenuti di Buffalmacco ;
e se l'opera dei restauratori li avesse men danneggiati, e vi avesse
lasciato un po' più del loro carattere originale, potremmo anche
meglio giudicarne l'artistico pregio. Ma per la composizione le
scene sono vivaci e animate, le figure non prive di sentimento,
e quella del Cristo risorgente dalla tomba, la sola in discreto
stato di conservazione, è dolce nell' espressione, nobile nell' at-
teggiamento, e oltre a mostrare i caratteri peculiari degli ar-
tisti pisani, ci attesta un pittore tutt' altro che mediocre, contro
il giudizio troppo severo dei signori Cavalcasela e Crowe.
4
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1/ ASCENSIONE.
Il Cristo è raffigurato entro una mandorla diritto in piedi ;
tiene con la destra la palma e con la sinistra solleva il manto
che gli scende in bel partito di pieghe sino ai piedi. Attorno,
tre Angeli per parte in variati atteggiamenti di adorazione, di
compunzione, di fede ; sotto, due altri, sempre uno per parte ;
il primo, a sinistra, con un libro aperto in una mano e con un
rotolo spiegato nell' altra ; il secondo, pur reggente un rotolo,
ma con la destra alzata in atto di accennare al Redentore.
In basso, ai piedi del monte, raccolti in un sol gruppo, stanno
gli Apostoli in ginocchio con le teste sollevate, con le mani al-
zate alla fronte come per veder meglio, o incrociate al inetto in
atto di adorazione, o congiunte in atteggiamento di preghiera ;
a sinistra, sul primo balzo del monte, un Angelo inginocchiato
solleva il braccio sinistro additando il Redentore.
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LA RESURREZIONE.
In alto, la figura del Cristo uscente dalla tomba ha nella
destra lo stendardo, nella sinistra, dal braccio leggermente pie-
gato, una palma. Posa il piede sull' orlo del sarcofago quasi
in atto di salire al cielo.
A destra, due Angeli volanti hanno scoperchiato la tomba
e ne reggono, uno per parte, con ambe le mani il coperchio; a
sinistra, altri due con le mani congiunte in atto di adorazione
e di preghiera.
Ai piedi del sarcofago alcuni guerrieri addormentati, de'quali
però sarà bene non tener conto perchè sappiamo che furono to-
talmente ridipinti dal Rondinosi nel 1669.
Nello scompartimento inferiore è rappresentata l'apparizione
di Cristo agli Apostoli ; ma non ne rimane che un frammento,
essendo tutta l'altra parte stata ricoperta dal monumento ad-
dossatogli sul finire del secolo XVI ; tuttavia il gruppo dei per-
sonaggi che attorniano il Cristo, intenti a san Tommaso che
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52                             BUONAMIOO BUFFALMACCO (?)
tocca la piaga del costato, e tutti pieni di dolorosa tenerezza,
è reso con raro sapere.
Anche qui poche teste di Apostoli serbano appena l'im-
pronta originale dell' artista ; tutto il resto è deturpato dal
tempo e, più che dal tempo, dai soverchi e irragionevoli restauri,
ne' quali 1' artista si permise addirittura di aggiunger del suo
con strana e inconcepibile scorrettezza : il Cristo mostra infatti
una mano che per il restauro è divenuta colossale contro ogni
elementare regola di proporzione e di disegno !
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LA CROCIFISSIONE.
Sopra alcune roccie, nel mezzo dell' affresco, sta confitta la
croce da cui pende il Cristo che ha la testa abbandonata sulla
spalla destra. Attorno a lui gruppi di Angeli volanti in variati
atteggiamenti : chi sorregge il calice per raccogliere il sangue
che abbondante esce dal sacro costato, chi ha le mani alla fronte
in atto di disperato dolore, chi al seno in atto di preghiera, chi
le distende in atto di dolorosa sorpresa. Ai lati i due ladroni,
e anch' essi circondati da Angeli che lottano coi demoni per la
conquista della loro anima, come si vede in quello a destra: e
l'hanno già conquistata per quello di sinistra. Da questa parte
è la figura di un soldato a cavallo che tiene le mani al petto in
atto di preghiera; a destra, un uomo, in atteggiamento ardito
e mosso, sta per troncare con un bastone o con un ferro le gambe
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»
54                             BUONAMICO BUFFALMACCO (?)
al ladrone. Sul primo piano, da questo lato, molti guerrieri a
cavallo con lance e scudi si perdono nel fondo montuoso, mentre
dall' altra parte, la Vergine svenuta vien sorretta dalle Marie,
e più indietro un gruppo di femmine e di fanciulle par che com-
menti il triste avvenimento. In fondo, a sinistra, sono alcuni
vecchi in atto di consigliarsi fra loro, e dietro ad essi altre
donne sollevano gli occhi alla croce, o piangono disperatamente
gettandosi a terra.
Ridipinte in molte parti le figure dei cavalieri, caduto l'in-
tonaco e spersa ogni traccia di disegno nel gruppo rappresen-
tante lo svenimento della Vergine, anche quello che resta non è
intatto ; e poiché il Rosini vuole che l'affresco sia quello solo che
può attribuirsi a Buffalmacco, conchiuderemo col Cavalcaselle,
che « il critico ottiene il suo scopo, quando riesca a provare come
i freschi da altri assegnati a questo artista siano tutti differenti
l'uno dall'altro, e che la Vita lasciataci di lui dal Vasari non è
assolutamente degna di fede. » i
Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 86.
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Andrea Orcagna (?)
IL TRIONFO DELLA MORTE, IL GIUDIZIO UNIVERSALE
E L'INFERNO.
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Andrea Orcagna (?)
IN ARRA il Vasari che, « mossi dalla fama dell' Orcagna, co-
loro che in quel tempo governavano Pisa, lo fecero condurre a la-
vorare nel Campo Santo di quella città un pezzo ci' una facciata,
secondo che prima Giotto e Buffalmacco fatto avevano. Onde,
messovi mano, in quella dipinse Andrea un Giudizio Universale,
con alcune fantasie a suo capriccio, nella facciata di verso il
Duomo, allato alla Passione di Cristo fatta da Buffalmacco___»
Poi, « lasciando Bernardo suo fratello a lavorare in Campo Santo
da per sé un Inferno,... se ne tornò Andrea a Fiorenza. » '
Ma i signori Crowe e Cavalcasene, i quali, come ci dice il
Milanesi, hanno discorso con gran diligenza ed esaminato con
critica nuova e dotta le pitture di quel luogo, stimano che quelle
assegnate ai fratelli Orcagna siano di maestro in tutto diverso,
trovando nell' esecuzione loro, non solo dissomiglianza dalle pit-
ture della cappella Strozzi in santa Maria Novella, ma ancora
diversità grande dalla scuola fiorentina nei tipi, nelle forme e
nella espressione. Affermano di più, che « esse sono tutte d'una
mano, e d'uno stile più senese che fiorentino; e che se ad un
artefice si dovessero assegnare, si farebbe con più ragione a
Pietro Lorenzetti o al fratel suo Ambrogio. » Ma lo stesso Mi-
lanesi aggiunge che, mentre si acconcia volentieri all'opinione
1 Vasari^ ediz. citata, voi. I, pag. 596, 599.
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58                                          ANDREA 01ÌCAGNA (?)
loro di non riconoscere per opera degli Orcagna quelle pitture,
« è poi di contrario avviso rispetto al più probabile loro autore. »
« Ai tempi del Vasari, » scrive egli, « doveva essere ancor
viva la tradizione che nel Camposanto di Pisa avessero lavo-
rato fra gli altri un Andrea ed un Bernardo, pittori fiorentini.
Questi due nomi bastarono a lui per comporvi sopra una delle
sue solite favolette. Egli dunque la ragionò così : un pittore di
que' tempi di nome Andrea fu 1' Orcagna ; dunque quelle pit-
ture sono sue senza dubbio. L'Orcagna ebbe un fratello, vera-
mente chiamato Nardo dal Ghiberti, ma Nardo non è che un' ab-
breviatura di Bernardo; dunque chi dipinse nel Camposanto fu
il fratello dell' Orcagna ; tanto più che quivi egli ha ripetuto
il medesimo soggetto dell' Inferno, che aveva trattato nella cap-
pella degli Strozzi. » '
Così il Milanesi ; ma noi per vero, senza supporre tanta con-
fusione di nomi o invenzioni di favole, potremo soggiungere che
il Vasari, il quale vide e gli affreschi del Camposanto pisano e
quelli in santa Croce di Firenze, oggi distrutti, trovò tale so-
miglianza di concezione e di sviluppo nei due dipinti (all' in-
fuori della storia di san Macario e della Vita contemplativa,
peculiari agli affreschi del Camposanto), da esser indotto a scri-
vere che Andrea ripetè il lavoro di Pisa a Firenze « tenendo non-
dimeno quasi il medesimo modo nell' invenzione, nelle maniere,
nelle scritte e nel rimanente ; senza mutare altro che i ritratti di
naturale. » 2 E vero, d'altra parte, che un Andrea fu a Pisa e
dipinse in Camposanto le storie di san Kanieri, attribuite pur
dagli storici a Simone Martini, e però la confusione del nome
avrebbe potuto far nascere V equivoco ; è vero anche che V ano-
nimo Gaddiano afferma che « Bernardo pittore, discepolo di
Giotto___dipinse___in Campo Santo lo inferno ; »3 ma poiché
F anonimo assegna a Taddeo Gaddi « molte storie di Job » 4
e a Buffalmacco « molti lavori »8 nel medesimo Camposanto, ci
pare che non sia da dar gran peso alla notizia e sia da ricor-
1  Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 467.
2  Ivi, pag. 600.
3  Fabbiczy, II Codice Gaddiano. Estratto dall'Archivio stot: iteti., pag. 37.
4  Ivi.
s  Ivi, pag. 39.
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ANDREA ORCAGNA (?)
59
dare piuttosto col Cavalcaselle (perchè quel Bernardo dovrebbe
essere il Daddi) che le pitture di lui appartengono sempre alla
maniera giottesca, le sue composizioni hanno forme e caratteri
ricomparenti sempre, più o meno bene, nei lavori dei molti se-
guaci di Giotto, che infine nel disegno è convenzionale, nel nudo
difettoso e nel colorito triste ■ e monotono.1
Ci par dunque più probabile, poiché una supposizione va pur
fatta per spiegarci la errata attribuzione degli affreschi del
Camposanto di Pisa, che quel che è accaduto per le altre pit-
ture lavorate nello stesso recinto si sia ripetuto per queste;
che, come le storie di Giobbe e quelle di san Ranieri ritenute
di Giotto e di Simone Martini sdno invece di due loro seguaci, e
come qualcuno assegna al Gaddi gli affreschi di Antonio Vene-
ziano che per concorde opinione degli storici fu a lui scolaro ;
così le pitture del Camposanto rappresentanti il Trionfo della
Morte, il Giudizio e l'Inferno siano da attribuirsi a un seguace
o scolaro dell' Orcagna.
* -x-
I signori Cavalcaselle e Crowe osservano, che l'affresco ri-
traente scene della vita solitaria, attribuito dal Vasari a Pietro
Lorenzetti o Laurati, senese, e le pitture da lui assegnate^ all'Or-
cagna sono per ogni rispetto somiglianti fra loro, e trovano che la
maniera con la quale sono segnati i gruppi e delineati i caratteri
delle figure è la medesima negli affreschi attribuiti ai due maestri.
Ora, poiché non v' ha dubbio che il carattere senese e non il fio-
rentino prevale in essi, sembra loro egualmente difficile il sup-
porre che « la composizione de' due dipinti attribuiti all' Orcagna
sia veramente di lui, e l'esecuzione invece di un qualche senese,
il quale, nel trasportare in più larghe proporzioni sulla parete le
composizioni del maestro fiorentino, v' innestasse di suo i carat-
teri affatto particolari della propria scuola. Rimane dopo tutto
ciò a sapersi, » aggiungono essi, « chi sia l'autore degli affreschi
attribuiti all' Orcagna. Alla quale domanda si può solo rispon-
dere, che per quanto concerne la composizione, i Lorenzetti erano
Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 432.
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60                                      ANDREA ORCAGNA (?)
ben capaci di crearla a quel modo. E allora si può anche giu-
stamente supporre, che i tre affreschi siano stati eseguiti dalla
stessa mano e senese per giunta, come sarebbe quella di Pietro
Lorenzetti forse in compagnia del fratello Ambrogio. »1
Ma se è vero che i Lorenzetti fossero ben capaci di trovare
una composizione così originale e grandiosa, non ci pare egual-
mente vero che a loro possa attribuirsi la storia degli Anacoreti,
nella quale, se non mancano certi caratteri di somiglianza con
gli altri affreschi assegnati all' Orcagna (anche per vuoi, infatti,
tutte queste pitture appartengono alla medesima scuola), non
può dirsi però egualmente che siano della stessa mano.
Nel Trionfo della Morte e nel Giudizio Universale, secondo
F opinione medesima degli scrittori citati, rozzo è il disegno,
grosse 1' estremità e le articolazioni pesanti e volgari ; 1' esecu-
zione poi scadente tanto, che essi non temono d'affermare, « non
essere per la esecuzione ma per la composizione che quelli af-
freschi si fanno notare. » - Ora, se del medesimo artista, perchè
questi difetti non dovrebbero avvertirsi anco nelle figure degli
Anacoreti? Invece essi scrivono che in queste « i contorni sono
fermi e precisi, il disegno franco e ardito; che le espressioni hanno
l'impronta del vero ; che infine tutto è condotto con grande deci-
sione e prontezza, e trattato in maniera larga e quasi scultoria. »3
E come è possibile allora mettere d'accordo così disparati giudizi?
Poiché dunque anche per noi le pitture intorno alle quali c'in-
tratteniamo non sono da attribuirsi all' Orcagna, e poiché non pos-
siamo nemmeno crederle del Lorenzetti, ripetiamo qui quello che
abbiam già detto in principio : ritrovarsi cioè in questi affreschi i
caratteri della scuola pisana, per la mescolanza appunto della
maniera fiorentina colla senese, con prevalenza di quest' ultima.
Ma nel tempo in cui gli Orcagna o i Lorenzetti avrebbero do-
vuto dipingere in Camposanto, mancava forse a Pisa chi potesse
far ciò degnamente senza costringere i reggitori dell' Opera della
Primaziale, come in altri tempi, a rivolgersi altrove ? Ed è pos-
sibile che vivendo proprio allora in Pisa un artista ci' incontra-
1  Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 164 e 165.
2  Loc. cit,, pag. 163.
3  Loc. cit., voi. Ili, pag. 194 e 195.
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ANDREA ORCAGNA (?)                                         61
stata abilità, non si valessero di lui per decorare le interne pa-
reti dell'insigne monumento edificato dalla pietà e dalla magni-
ficenza dei cittadini ? « Ma fra tutti i discepoli dell' Orcagna, »
scrive lo stesso Vasari, « niuno fu più eccellente di Francesco
Traini ; » il quale, sapientemente giovandosi della maniera della
scuola senese e eli quella fiorentina, seppe non solo divenire il mi-
gliore artefice de' suoi tempi, ma superare, come ci dice lo storico
aretino, lo stesso Orcagna « nel colorito, nell'unione e nell'inven-
zione. » i
■k -se-
Sia egli scolaro di Andrea, come vorrebbe il Vasari e come
confermerebbe il documento pubblicato dal Milanesi,2 o debba
la sua educazione artistica ai modelli di Simone Martini e dei
Lorenzetti, certo si è che il Traini riman sempre il solo artista
pisano del secolo XIV che possa stare a paragone coi mag-
giori artefici dell' età sua. I suoi quadri, così sapientemente
concepiti, e condotti con tanto sentimento e forza drammatica,
ispirarono gli artisti che venner dopo, o servirono ad altri di
ammaestramento e di studio. Taddeo Bartoli raffina 1' esecu-
zione delle proprie opere dopo avere studiato a Pisa i lavori del
Traini, specie le storie di san Domenico dipinte in così piace-
vole modo dall' artista pisano ;3 e Benozzo Gozzoli, l'immagi-
noso e facile pittore, non disdegna trasportare nella sua tavola
per il Duomo di Pisa la stessa composizione con tanta originalità
e genialità concepita dal Traini nel suo Trionfo di san Tommaso.4
1  Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 611 e 613.
2  Scrive il Milanesi che se il Traini non fu proprio discepolo dell' Orca-
gna, certo fu a lavorare nella sua bottega. « In un libro d' entrata e uscita
dell' Opera di San Giovanni Fuorcivitas di Pistoia (ora nell'Archivio dello
Spedale di quella città), che comincia dal 1310 e va fino al gennaio del 1349,
si legge nella prima carta : Questi sono li migliori maestri di dipingiere che
siano in Firenze per la tavola dell'opera di sanato Giovanni e quelli che meglio
la fare' bona.
Dopo Taddeo Gaddi, Stefano, Andrea Orcagna, Nardo suo fra-
tello, e Puccio Capanna, si nomina maestro Francesco, lo quale istae in botegha
dellandrea.
Non è dubbio che costui non sia il Traini. » Vasari, ediz. citata,
voi. I, pag. 613, nota n° 2.
3  Cavalcaseli^ e Crowe, Storia della pittura in Italia, voi. Ili, pag. 262.
4  Archivio storico dell'Arte, anno VII, fase. IV. Le opere minori di Benozzo
Gozzoli a Pisa.
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?
62
ANDREA OKCAGNA (?)
Certo, dovendo parlare di lui, noi ci troviamo davanti a ine-
splicabili dubbiezze. Ricordato come pittore nel 1322, il rsuo
nome non riappare nelle carte pisane che nel 1341, per spa-
rire di nuovo e ritornarvi nel 1344, nel quale anno si trova
E. TRAINI. — LE STOME DI S. DOMENICO.
che terminò la tavola per 1' altare di san Domenico in santa
Caterina di Pisa.1 Fu egli a Firenze nel primo intervallo, come
1 Bonaini, Notìzie inedite di disegno e Archivio storico dell'Arte, anno'VII,
fase. I. Il trionfo della morte, ec.
,
mmmmmaemmim
MMH
-*——
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ANDREA ORCAGNA (?)
63
potrebbe far credere il documento pubblicato dal Milanesi ?
È probabile ; non potendosi imaginare, che un valente artista
coni' egli era rimanesse ozioso per quasi venti anni ; né è cre-
dibile egualmente, che tal maestro non fosse nella città sua
F. TRAINI. — LE STORIE DI S. DOMENICO.
adoperato per più importanti lavori, quando sappiamo che a
lui fu affidato l'incarico di dipingere lo stendardo per la Com-
pagnia delle Laudi della Chiesa maggiore (1341), e V Operaio,
esecutore delle volontà di Albizo delle Statere, gli dava la im-
portante commissione del quadro per 1' altare di san Dome-
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64                                     ANDREA OECAGNA (?)
nico.1 Ora se questo Operaio lo scelse ad esecutore di tal dipinto,
doveva ben conoscere il valore dell'artista e non soltanto per
fama o per il modesto lavoro dello stendardo citato. La composi-
zione poi della tavola rappresentante il Trionfo di san Tommaso
ci attesta nel Traini un artista di alti concetti ; le varie storiette
della vita di san Domenico ci palesano non solo molto sentimento e
sapere, ma anche buon gusto, veramente meraviglioso, con il quale
egli riesci a trattare le
differenti scene; e non
son queste ragioni per
credere che un artista
così imaginoso e pronto
fosse capace di animare
con l'arte sua una così
profonda allegoria come
questa del Trionfo del-
la Morte? E lo studio
particolareggiato delle
figure nei dipinti in ta-
vola e di quelle negli
affreschi ci porta alla
conferma della nostra
attribuzione. Quale è
infatti la caratteristica
generale che lian le te-
ste dipinte dal Traini V
la fronte larga, le gote
piene, quasi gonfie, il
F. TRAINI. — S. TOMMASO D'AQUINO.
mento piccolo, il collo
robusto ; tutti caratteri che si ritrovano nelle figure degli affreschi
del Camposanto pisano supposte dell'Orcagna o dei Lorenzetti.
Ma le opere in tavola del Traini sono condotte come fossero
miniature, e gli affreschi appaiono invece talvolta trascurati.
Lasciando da parte la differenza di tecnica fra la pittura su ta-
vola e quella sul muro, può dirsi che sian condotte nella stessa
1 Per le notizie intorno a questo pregevole dipinto vedi, oltre il Vasari,
Bonaini, Memorie citate.
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ANDREA ORCAGNA (?)
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maniera le figure dei due differenti dipinti che di lui ci rimangono?
Nei dottori che fiancheggiano san Tommaso il pittore ha dato
una sola tinta ai volti senza curarsi di renderne le varie parti
o farle rilevare anatomicamente, ed è per questo che resul-
tano un po' deboli e vuoti di chiaroscuro ; ma nelle teste delle
storiette il chiaroscuro invece è più potente ; gli scuri, più caldi
e robusti, son segnati con più violenza ; negli zigomi è ottenuto
il rilievo con piccoli tratti più chiari e con lo stesso metodo
usato negli affreschi ; e par che il pittore mediante questa diffe-
renza di esecuzione abbia voluto mostrarci com' egli si sia curato
di rendere il sentimento piuttosto che la forma, il chiaroscuro
piuttosto che il contorno.
E oltre a tutto questo, tanto le tavole quanto gli affreschi
portano la stessa impronta di eclettismo, caratteristica degli ar-
tisti pisani in genere, e del Traini in specie, ondeggianti sem-
pre fra la maniera fiorentina e la senese con prevalenza, come
abbiamo già avvertito, di quest' ultima,
*
Ma nelle pitture delle quali parliamo può riscontrarsi (argo-
mento per noi non privo d'importanza) lo studio e l'imitazione
delle sculture di scuola pisana ; le figure di donna, dalla fiso-
nomia sempre eguale e per il tipo e per la riproduzione di un
difetto così comune alle sculture dell' epoca e anteriori, hanno
il collo male impostato sul torso, esageratamente proteso e fuor
d'ogni proporzione ; ed è errore questo in cui cade l'artista
quand' è costretto a dare un movimento un po' accentuato alla
testa: comunissimo infatti nelle statue della chiesetta della Spina;
nella figura allegorica di Pisa, e nel san Michele Arcangelo attri-
buiti a Giovanni e creduti parte del suo pulpito. Ora questo
difetto, o meglio questo modo così speciale ed esagerato d'in-
tendere il movimento del collo sul torso, lo ritroviamo in molte
figure degli affreschi : nella donna con la corona in testa e con
le mani congiunte al seno (la prima della prima fila in basso
a destra), in quella che suona la cetra nel Trionfo della Morte,
nella figura di Aristotile del dipinto di san Tommaso, e nel
giovine piangente per la morte del nipote del cardinale de' Cec-
5
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ANDREA ORCAGNA (?)
66
cani nella storietta del quadro di san Domenico, per non citar
che questi esempi. Oltre a ciò, i tipi femminili hanno più dello
statuario che del vero, ci riproducono teste a noi famigliari di
sculture pisane e si rassomigliano tutti per le faccie larghe e
le gote piuttosto piene. Così il san Michele Arcangelo del Giu-
dizio Universale nel carattere ricorda quello citato e voluto di
Giovanni e nel suo insieme anche l'altro più antico che è
scolpito nell'architrave della porta del Battistero, dal lato che
guarda il Camposanto. Ne v' ha dubbio che il Traini si perfe-
zionasse nell' arte studiando le sculture dei Pisani eh' egli ebbe
sottocchio e di là prendesse ispirazione per più drammatici e
più nuovi atteggiamenti. Infatti nello scompartimento ov' è rap-
presentata la morte del nipote del Cardinale, i movimenti di
disperazione delle donne ricordano quelli delle madri nello spec-
chio del pulpito lavorato da Giovanni per il Duomo e rappre-
sentante la strage degli Innocenti ; e i profeti col rotolo in mano,
che servivano d' ornamentazione fra i vari specchi del pulpito
stesso sono da lui imitati nelle figure di Aristotile e di Platone
del dipinto di san Tommaso, e in alcune degli Apostoli del
Giudizio Universale.
L' educazione artistica del Traini si perfezionò poi senza dub-
bio per le opere di Simone Martini, dacché certi caratteri nei
tipi degli Angeli e degli Arcangeli rappresentati negli affreschi
del Camposanto, e certa grazia tutta speciale nei movimenti e
nell' espressione delle figure nei quadri in tavola del Traini mo-
strano chiaramente la derivazione loro dalle opere dell'artista
senese ; come d'altra parte appare insieme manifesto nei lavori
dell'artista pisano un riflesso della maniera dell'Orcagna.
Infatti i tipi dei poveri e degli storpi, del quadretto rappre-
sentante i funerali di san Domenico, e quelli che a braccia alzate
invocano la Morte della pittura del Camposanto ricordano alcune
figure di reietti dell' affresco di Andrea a Firenze, in santa Ma-
ria Novella ; ma poiché è impossibile che il Traini abbia potuto
inspirarsi a quelle pitture, eseguite, così almeno si vuole dagli
storici, dopo il 1345, quando cioè il Nostro era a Pisa, bisognerà
ammettere che, essendo egli con gli Orcagna, abbia potuto edu-
carsi con loro a quello stile che doveva renderlo il miglior ar-
tista di Pisa, degno insieme di stare al paragone dei migliori
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m "
I
ANDREA ORCAGNA (?)                                     67
che allora operassero anche fuori. Cosicché giustamente scris-
sero i signori Cavalcaselle e Crowe, che il Traini, se forse non
fu a Pisa coi Lorenzetti e con Simone Martini (e per guest' ul-
timo, aggiungiamo noi, potrebbe togliersi anche il forse), seppe
così bene fondere i caratteri dell' Orcagna da lui imitati con
quelli dei maestri senesi, da cavarne quella maniera e quel co-
lorire che abbiamo osservato nelle sue opere.1 E non potendo
accogliere l'opinione del Rosini, che vorrebbe, per le poche opere
lasciate dal' Traini, eh' egli aiutasse il maestro tanto da non
aver tempo d' eseguire le proprie composizioni,2 dovremo cre-
dere piuttosto, che mentre egli fu a Firenze in bottega del-
l'Andrea
abbia con lui lavorato agli affreschi di santa Croce;
i quali, non essendoci documenti dell' epoca in cui furono ese-
guiti, si potrebbero ragionevolmente supporre dipinti fra il 1325
e il 1340, certo avanti quelli della cappella Strozzi. Tornato a
Pisa, egli dovè ripetere il soggetto, aggiungendovi « la storia di
san Macario che mostra ai tre re la miseria umana, e la vita
dei romiti che servono a Dio su quel monte. »
Ma aveva veramente bisogno il Traini di ispirarsi al concetto
dell' Orcagna, mentre viveva a Pisa, per tacer ci' altri, Fra Bar-
tolommeo da san Concordio, grande maestro, come scrive il Bo-
naini, di scienza divina e profana, il quale ben può aver guidato
la mano dell' artista in un' opera che chiedeva tanta dottrina
come la tavola del san Tommaso ? E colui il quale per merito
proprio o colla guida d' altri, ciò che non scemerebbe punto il
valore dell'artista, ha saputo rendere con tanta maestria quel
pensiero e rappresentarlo così abilmente ; colui che ha avuto una
concezione così grandiosa, vero monumento del sapere degli ar-
tefici di quell'età, non poteva averne un'altra simile nel Trionfo
della Morte, dove troviamo a un tempo tanta filosofia, tanto sen-
timento e sapere ? E non è forse considerato fin superiore al
maestro per quel dipinto appunto di san Tommaso, nel quale,
come scrive il Ticozzi, e con la novità e la grandiosità della com-
posizione e con la vivacità dei volti, compensa largamente i di-
fetti che vi si riscontrano, non suoi ma del secolo in cui operava ?
Storia della pittura in Italia, voi. Ili, pag. 9.
Storia della pittura italiana, voi. II, pag. 88.
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ANDREA ORCAGNA (?)
(Mi
Non dunque i Lorenzetti soltanto, oltre all' Orcagna, erano
capaci di creare una composizione quale il Trionfo della Morte
del Camposanto pisano !
*
■X- *
Ci sarà poi anche lecito supporre che, pure spettando a lui
intiera la gloria di questo pitture, non da solo vi abbia lavorato,
_                                 ma che si sia servito,
come tutti gli artisti di
quell' età, di assistenti
o di aiuti ; e nei molti
dipinti oggi conservati
nel Museo pisano, ri-
troviamo infatti quei
caratteri che più che
mai ci hanno indotto
alla persuasione che
siano di artisti pisani
anche gli affreschi per
tanto tempo erronea-
mente ritenuti degli
Orcagna e dei Loren-
zetti. Viene a Pietro
Lorenzetti, per esem-
pio, assegnato un di-
pinto in tavola, palese-
mente invece di scuola
pisana, rappresentan-
te la Crocifissione, ove
fra le figure a cavallo
che circondano il Cri-
I>. LORENZETTI (?) - LA CROCIFISSIONE,
(Pisa. - Museo Civico.)
sto una ve n' è che ri-
corda quel personag-
gio con la barba e con una specie di turbante in testa, che nella
terza fila dei reietti, nell' affresco rappresentante il Giudizio, porta
la mano destra alla bocca in atto di dolorosa sorpresa ; e le altre
figure di questo stesso quadro, nonché alcune di Santi riprodotte
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ANDREA ORCAGNA (?)
69
in altri dipinti, nella costruzione della testa, nella forma degli
occhi, nella maniera ond' è trattata la barba, nelle estremità
lunghe, grosse, e col pollice esageratamente sviluppato, ricor-
dano quelle che ci si presentano nelle pitture del Camposanto.
Attorno al Traini esisteva senza dubbio una schiera di artisti
più o meno abili che con lui hanno certo lavorato agli affreschi
voluti di maestri fiorentini o senesi ; e infatti chi bene osservi
i dipinti pisani del Camposanto scoprirà facilmente fra l'uno e
l'altro gra'nde analogia di maniera, ma differenze, certo non
trascurabili, di fattura e di sentimento. E chi ricordi che lo stesso
Operaio il quale dette incarico al Traini di dipingere la tavola
per la cappella di san Domenico, incaricò anche un pittore chia-
mato Tomeo o Tommaso
di dipingere un san Cri-
stoforo nella Chiesa mag-
giore, dovrà concludere
che altri artisti, e valenti,
dovessero senza dubbio
allora operare. Ma sugli
altri emerge il Traini,
non tanto per finezza di
esecuzione quanto per
la novità nelle composi-
zioni e la ricerca del vero
nelle differenti manife-
stazioni riprodotto ; le
quali doti rendono le sue
scene di un valore e di
NELLO DI VANNI. - LA TRINITÀ.
(Pisa. - Museo Civico.)
un interesse veramente
notevoli, ed è per questo,
ma più ancora per le comparazioni di carattere e di stile, che noi
l'abbiamo ritenuto e riteniamo tuttora come uno dei più efficaci
autori degli affreschi del Camposanto pisano dal Vasari male as-
segnati all' Orcagna.
E come le pitture (già abbiamo detto in principio, e ci piace
ripeter qui) pur lavorate da scolari o seguaci della maniera di
Giotto e di Simone Martini continuarono per tanto tempo ad
esser tenute dei maestri, e ciò per accrescere, secondando l'uso>
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70
dei tempi e la boria municipale, importanza e valore alle pit-
ture stesse e al monumento ; qual maraviglia, poiché il Traini
fu considerato sempre discepolo dell' Orcagna, che quello che
accadde per le storie di Giobbe e di san Ranieri, si sia ripe-
tuto per il Trionfo della Morte, il Giudizio e l'Inferno ? E se la
tradizione, tanto per tener conto anche di essa, vuole che un
Bernardo abbia dipinto in Camposanto e più specialmente abbia
BERNARDO NELLO DI GIOVANNI FALCONI. — QUATTRO SANTI.
(.Pisa, - Museo Civico.)
collaborato all'Inferno, perchè non supporre piuttosto (e ci pare
con maggior probabilità di coglier nel segno, dato il carattere
dei nostri affreschi), che si alluda a Bernardo Nello di Gio-
vanni Falconi, pisano, pur egli creduto scolaro dell'Orcagna, il
quale potrebbe aver aiutato il Traini in questi lavori? Anche
meglio si intenderebbe così l'origine dell' attribuzione tutta fan-
tastica, prodotta solo da una strana confusione di nomi e di
persone.
m
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IL TRIONFO DELLA MORTE.
La Morte campeggia nel gran quadro e sovrasta per l'aria
in orribili sembianze : capelli ispidi e folti, occhi grifagni, piedi
uncinati, aH di pipistrello e la falce alzata : accanto, in un car-
tello sorretto da due Angeli, la terribile figura è illustrata da
questi versi :
ISCHERMO DI SAVERE E DI RICCHEZZA,
DI NOBILTADE ANCORA E DI PRODEZZA,
VALE NEENTE AI COLPI DI COSTEI ;
ED ANCOR NON SI TRUOVA CONTRA LEI,
0 LETTORE, NEUNO ARGOMENTO.
EH ! NON AVERE LO 'NTELLETTO SPENTO
DI STARE SEMPRE IN APPARECCHIATO
CHE NON TI GIUNGA IN MORTALE PECCATO.
Sotto la Morte un ammasso di cadaveri, fra cui si scorgono
in confuso, gli uni sopra gli altri, pontefici, imperatori, regine,
principi, poveri, servi e villani. Dalla bocca dei giusti gli Angeli
estraggono le anime, espresse, come voleva la tradizione, con tanti
piccoli corpi infantili, tutti nudi ; i diavoli le strappano invece,
pure in simil forma, dalla bocca de' reprobi. Non lungi, in basso,
alcuni poveri e vecchi, accasciati oltre che dal peso degli anni
da infiniti mali, chi cieco, chi zoppo e chi storpio, rivolgono in
atto supplichevole le braccia e i moncherini alla stessa Morte,
perchè venga a liberarli dalle miserie della vita :
DACCHÉ PROSPERITADE CI HA LASCIATI,
0 MORTE, MEDICINA d' OGNI PENA,
DEH VIENI A DARNE OMAI l'ULTIMA CENA ! i
1 « Con altre parole che non s'intendono », scrive il Vasari. Leggiamo però
nel codice Laurenziano Mediceo Palatino 119, a e. 58* (cfr. Catalogo Bandini,
supplemento, voi. Ili, col. 331 e seg., e. 58') :
Poi che prospcritade ci à llasciati,
o Morte, medicina d'ongni pena,
de vienci a dare ornai l'ultima cena.
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ANDREA OKCAGNA (?)
74
come si legge nel cartello che una vecchia, curva e appog-
giata al bastone, regge in alto con la mano sinistra. Ma la Morte,
non ascoltando le supplici preghiere degl' infelici, volge invece
la falce contro una lieta brigata, veramente boccaccesca, di gio-
vani uomini e donne, che in un ameno prato smaltato di fiori,
all' ombra degli olezzanti aranceti (e sui rami sono due amorini
con la face in mano), fra suoni e canti, si godono la vita. Al-
l' opposto lato invece, su di un' alpestre balza stanno quattro
monaci intorno a una chiesetta, quattro romiti che appaiono
indifferenti alla vita come alla morte, incuranti del rumore delle
cose terrene, viventi in Dio e serenamente aspettanti che Dio
/ a sé li chiami. Intenti alle opere della vita attiva e contempla-
/ tiva, chi munge una capra, chi prega o legge seduto, tenendo
il libro aperto sulle ginocchia; chi, appoggiato sulle stampelle,
cammina a stento, mostrando così che gli anni e non le infer-
mità lo han reso cadente, chi guarda in basso la scena, facendo
schermo della mano agli occhi come per veder meglio. Un quinto
romito, più in basso, san Macario, mostra a una brigata princi-
pesca col famoso esempio dei tre re morti quanto sia fragile la
vita, quanto sia breve il passaggio dalla morte all' ultima dis-
soluzione del corpo, quanto stupida e sciocca la superbia e la
Risponde :
I' non son brama — di spengner la vita ;
ma chi mi chiama — lo più volte schifo
giungnendo spesso chi mi torcie il grifo.
E così l'altra scritta:
Ischormo di savere o di richeza
niente vale a' cholpi dì colei,
prodeza ci vai meno o gentileza
tu giungnendo vai cholgli buoni co li rei :
merzé non cap(r)e nella sua aspreza
nota ben le parole che ttu dèi.
Perdi' olla vinse l'umile di Cristo
non creder giammai perder sua balia
né che Ila [sua] potenzia sia mai trita
morta sarà chol suo ufìcio tristo
poi eh' arai morto Enoc e Elia
da que' eh' è ora verità e vita.
Questo è dolcie modo a chi prosper durasse
Tu di' ben vero a chi cci si apaghasse.
— finito. —
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ANDREA ORCAGNA (?)
IL GIUDIZIO UNIVERSALE.
■ ■- ■ ■»■■■■
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ANDREA OKCAGNA (?)                                     79
vanagloria de' mortali. Egli, disceso dall' eremo, è ritratto leg-
germente curvo, con la mano destra accennante al cartello che
tiene nella sinistra, ove è scritto :
SE VOSTEA MENTE FIA BEN ACCORTA,
TENENDO FISO QUI LA VISTA ATTENTA,
LA VANA GLORIA VI SARÀ SCONFITTA,
LA SUPERBIA COME VEDETE MORTA :
V' ACCORGERETE ANCOR DI QUESTA SORTA
> SE OSSERVATE LA LEGE CHE V' È SCRITTA.
Ai piedi di lui tre casse scoperchiate lasciano vedere i cada-
veri di tre re : il primo de' quali è vestito di ricchi abiti e co-
perto da un mantello foderato di vaio bianco ; il secondo, sempre
con la corona in capo e la veste un po' consunta, è già in istato
di avanzata decomposizione ; il terzo è uno scheletro.
Davanti allo spettacolo della morte, così vivamente ritratto
dall' artista, la cavalcata, composta di cavalieri e di dame e se-
guita da servi, che pare faccia ritorno da una partita di caccia
al falcone, si arresta atterrita. Una delle dame, la prima accanto
a san Macario, assisa sopra un cavallo bianco e avente nella si-
nistra un cucciolino, preme con la destra il seno e pare intenta
alle parole del Santo, che fissa con gli occhi. Accanto, un ca-
valiere accenna i tre cadaveri alla donna che gli è alla sinistra,
tutta pensierosa e triste, con la testa mestamente piegata sulla
spalla destra quasi in atto di venir meno : un altro, che il Va-
sari vuole sia Uguccione della Faggiola, si tura il naso mentre
il cavallo cogli occhi sbarrati protende la testa in vivo e natu-
rale atteggiamento. Dappresso un cavaliere, a cui il cavallo,
spaurito, s' è fermato, sporge tutta la persona in avanti in atto
di chi voglia veder meglio ; e dietro a tutti si vede un cavaliere,
il solo con la barba, con le insegne reali al cappello e con l'arco
in mano, nel quale secondo il Vasari dovrebbe essere rappre-
sentato l'imperatore Lodovico il Bavaro. Seguono altri cavalieri
e dame coi falconi, e a piedi due paggi, uno dei quali ha nella
mano destra una lancia, mentre con la sinistra regge per il col-
lare un cane saltellante, 1' altro tiene sulle spalle due germani
uccisi. La scena, piena di espressione e di vita, non potrebbe
essere resa più intensamente ; la pittura, sebbene ritoccata in
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IL GIUDIZIO UNIVERSALE.
In alto il Salvatore, che, con la sinistra, apre la veste per
mostrare la ferita al costato e tiene la destra alzata in atto di
respingere e maledire i reprobi : accanto, la Vergine, tutta in sé
ristretta, con una mano al seno, P altra abbandonata sul ginoc-
chio, quasi mossa a pietà della sorte che aspetta gì' infelici nel-
P Inferno : entrambi seduti in trono e racchiusi entro una man-
dorla. Ai lati, un poco più bassi, in semicerchio gli Apostoli ;
sopra di essi tre Angeli da ciascuna parte, recanti nelle mani i
simboli della Passione, e sotto alla Vergine e al Salvatore quattro
Arcangeli, il primo dei quali, diritto in piedi, tiene con ambo
le mani due cartelli ov' è scritto, in quello a destra : VENITE
BENEDICTI PATRIS MEI, PERCIPITE REGNUM QUOD VOBIS PA-
RATUM EST; a sinistra: ITE MALEDICTI IN IGNEM iETERNUM
QUI PARATUS EST A DIABULO.... [?] Ai suoi piedi il secondo
Arcangelo, col guardo impaurito sta tutto ravvolto nelle pieghe
dell' ampio mantello, mentre gli altri due, ai lati, danno fiato
alle trombe. A destra del Redentore, sono gli eletti, fra cui san
Paolo e san Giovanni Battista e vari pontefici e fondatori di
ordini monastici, e donne e regine e uomini togati e cavalieri,
tutti con gli occhi volti in alto e con le mani congiunte in atto
di adorazione o di preghiera ; a sinistra, i reprobi ritratti in vari
atteggiamenti di dolore, di paura, di disperazione, e trascinati
da furiosi demoni all'Inferno. « Ed è un peccato veramente, »
come scrive il Vasari, « che per mancamento di scrittori, in
tanta moltitudine di uomini che vi sono effigiati e ritratti dal
naturale, come si vede, di nessuno o di pochissimi si sappiano
i nomi o chi furono : ben si dice che un papa che vi si vede è
Innocenzo IV. » Più in basso, in piedi, nel centro, san Michele
Arcangelo, con la spada nella destra indica con la sinistra di-
stesa a un altro Arcangelo, il quale ha seco un giovinetto, il
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IL GIUDIZIO UNIVERSALE.
In alto il Salvatore, che, con la sinistra, apre la veste per
mostrare la ferita al costato e tiene la destra alzata in atto di
respingere e maledire i reprobi : accanto, la Vergine, tutta in sé
ristretta, con una mano al seno, l'altra abbandonata sul ginoc-
chio, quasi mossa a pietà della sorte che aspetta gì' infelici nel-
P Inferno : entrambi seduti in trono e racchiusi entro una man-
dorla, Ai lati, un poco più bassi, in semicerchio gli Apostoli ;
sopra di essi tre Angeli da ciascuna parte, recanti nelle mani i
simboli della Passione, e sotto alla Vergine e al Salvatore quattro
Arcangeli, il primo dei quali, diritto in piedi, tiene con ambo
le mani due cartelli ov' è scritto, in quello a destra : VENITE
BENEDICTI PATRIS MEI, PERCIPITE REGNUM QUOD VOBIS PA-
RATUM EST; a sinistra: ITE MALEDICTI IN IGNEM J5TERNUM
QUI PARATUS EST A DIABULO.... [?] Ai suoi piedi il secondo
Arcangelo, col guardo impaurito sta tutto ravvolto nelle pieghe
dell' ampio mantello, mentre gli altri due, ai lati, danno fiato
alle trombe. A destra del Redentore, sono gli eletti, fra cui san
Paolo e san Giovanni Battista e vari pontefici e fondatori di
ordini monastici, e donne e regine e uomini togati e cavalieri,
tutti con gli occhi volti in alto e con le mani congiunte in atto
di adorazione o di preghiera ; a sinistra, i reprobi ritratti in vari
atteggiamenti di dolore, di paura, di disperazione, e trascinati
da furiosi demoni all'Inferno. « Ed è un peccato veramente, »
come scrive il Vasari, « che per mancamento di scrittori, in
tanta moltitudine di uomini che vi sono effigiati e ritratti dal
naturale, come si vede, di nessuno o di pochissimi si sappiano
i nomi o chi furono : ben si dice che un papa che vi si vede è
Innocenzo IV. » Più in basso, in piedi, nel centro, san Michele
Arcangelo, con la spada nella destra indica con la sinistra di-
stesa a un altro Arcangelo, il quale ha seco un giovinetto, il
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84                                ANDREA ORCAGNA (?)
luogo dei beati, mentre un frate è mandato fra i reprobi, vo-
lendo in tal modo il pittore denotare, scrive il Totti, che a nulla
giovò a lui l'abito monastico, né fu la vita mondana dannosa
alla purità dei costumi dell'altro. Nel primo piano del quadro,
uscente da una tomba, incerto ancora del suo destino, il re Sa-
lomone.
Ma alcuni demoni si affacciano al disopra delle rupi, per
strappare i dannati, e con le forche o con uncini tirano per i
capelli alcune femmine restie, mentre alcuni Angeli, davanti
a' vari gruppi di peccatori spingono i più tardi verso il regno
infernale. Sotto un demonio, che è poggiato sulla rupe, si
legge ancora malamente: LASCIATE OGNI SPERANSA VOI CHE
ENTRATE.
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1/ INFERNO.
La rappresentazione dell' Inferno, « secondo che è descritto
da Dante, » «disse, troppo largamente, il Vasari, è divisa in cerchi
o bolgie. La figurazione di queste e dei dannati ha certo qua
e là rapporto con la Commedia ma è anche ovvio che il pit-
tore seguì molto liberamente il poeta, e liberamente se ne scostò
quando gli piaceva così nella costruzione del regno delle pene,
come nella distribuzione di esse ; libertà che del resto vediamo
in altre analoghe e contemporanee rappresentazioni.
Sta nel centro l'imperator del doloroso regno, Lucifero, con
la testa a tre faccie, il corpo squamoso, con le mani dalle dita
uncinate e le braccia circondate da serpenti ; tiene nel pugno
chiuso due peccatori, altri nella bocca per inghiottire, altri an-
cora negli artigli delle estremità inferiori, fra i quali si notavano
un tempo, per l'iscrizione che avevano sulla corona, Nabucodò-
nosor, Giuliano l'Apostata, Attila flagellimi Dei, e Simon Mago,
che un diavolo gli estraeva da un mascherone posto nel basso
ventre. Attorno, il pittore ha rappresentato i dannati costretti
a scontare le orribili pene a seconda delle loro colpe.
Gli eretici stanno nella prima bolgia, a sinistra di chi guarda,
figurati senza testa o meglio in atto di reggersi con le mani il
capo divelto dal busto. Fra questi è Ario che ha nella sinistra
l'asta di uno stendardo nel quale è scritto : ARIANO heretico
E OGNI ALTRO. Accanto, gli indovini, con gli occhi chiusi e cir-
condati da immani serpenti che si attortigliano a spire attorno
il loro capo ; ed Eritone è la prima : Eriton cruda, che richiamava
V ombre a' corpi sui,
la quale tiene un' altra banderuola ove si
legge : ERITON INDOVINA e SUOI seguaci. A destra degli ere-
tici, sono raffigurati i simoniaci condannati ad aver le viscere
strappate dal ventre ; accanto, i seminatori di false dottrine,
e fra questi Maometto fatto a pezzi ; l'Anticristo scorticato da
due orribili demoni ; Averroe col turbante in capo, avvinto per
*.
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88                                ANDEEA ORCAGNA (?)
tutto il corpo da un serpe, e con le mani legate al tergo, sta per
entrare nelle fauci spalancate di un orribile mostro.
E lo stesso pensiero del resto che ha guidato la mano del-
l' artista e in quest' affresco e nella tavola in santa Caterina
di Pisa, dove Averroe sconfitto dalla sapienza di san Tommaso
sta ai suoi piedi con il Commento gettato in disparte e rove-
sciato : è la stessa mano, come dimostra la somiglianza nel tipo
e nel carattere della testa, rappresentata in tutte e due le pit-
ture col turbante in capo e la barba al mento. *
Nel secondo girone o cerchio che dir si voglia, sempre a sini-
stra, sono puniti gli accidiosi ritratti seduti e accovacciati, inerti,
mentre un demonio, a cavallo di un dannato che corre carponi,
sta per lanciare un tridente affine di scuotere dal torpore quei
corpi, che numerosi serpenti circondano mordendoli e tormen-
tandoli. A destra stanno gli invidiosi, come si legge tuttora sul-
l'orlo del cerchio: QUI SI PUNISCE IL PECCATO DELLA INVIDIA,
e i demoni costringono con forche i ribelli a restare nel ghiaccio
ove si trovano immersi. Nel terzo cerchio sono puniti gli ira-
condi costretti ad accapigliarsi fra loro ; e fra due dannati morsi
dai serpenti e impiccati per la gola sta scritto : MICIDIALI DI
LORO MEDESIMI ; accanto : SI PUNISCE IL PECCATO DELLA
GOLA, ove i peccatori son messi attorno a una tavola imban-
dita, che non possono toccare per aver le mani legate dietro
il dorso. Nell'ultimo girone son puniti gli avari, cui vari demoni
versano nelle gole oro liquefatto, o costringono a ricevere in
bocca una moneta roventata, o a stare a sentire il dolce suono
del prezioso e agognato metallo. Nella bolgia accanto, l'ultima
a destra, si trovano i lussuriosi bastonati con verghe, o costretti
a turpi accoppiamenti coi demoni : fra questi è la figura di un
uomo che, infilato a uno spiedo per tutta la lunghezza del corpo,
è fatto girare sopra le fiamme ardenti.
Al disopra di tutto l'affresco due Angeli hanno in mano un
cartello per ciascuno : nel quale si legge, a destra : LAUS ONOR
GRATTA SIT DOMINO DEO NOSTRO QUIA VERA IUSTA SUNT IU-
dicia eius ; a sinistra : per viventem in eternum qui fecit
C03LUM MARE TERRAM ET OMNIA QUE IN EIS SUNT QUIA TEM-
PUS AMPLIUS NON ERIT.
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ANDREA ORCAGNA (?)                                     89
Pochi affreschi hanno subito i restauri di cui è stato vittima
questo. Nel 1374 Cecco di Pietro racconciò in Camposanto le
pitture dell' Inferno guaste per ì garzoni, e nel 1530 il Sollazzino
variò a capriccio la primitiva disposizione delle figure, come si ri-
scontra dalla stampa pubblicata dal Da Morrona e che noi ri-
produciamo. Ma vanno aggiunti poi : Turino Vanni che nel 1438
riparò alcune parti dell' affresco per totum latus Luciferi qui ali-
quantulum crat scaìcinatus ;
e maestro Borghese, che nel 1462 re-
staurò di nuovo il Lucifero fatto probabilmente segno, più delle
altre figure, al devoto odio dei visitatori. La parte superiore,
tranne qualche lieve ritocco, può dirsi intatta e meglio conser-
vata ; l'inferiore, ridipinta dal Sollazzino, oltre che non presen-
tare nessuna artistica importanza, è quasi totalmente perduta a
punizione del pittore che si è permesso così ardito mutamento
in opera altrui. Ma le parti che rimangono originali rassomi-
gliano all' affresco del Trionfo della Morte, e sebbene siano duri
i contorni e un po' più rozza la tecnica, il nudo è studiato, di-
scretamente reso, e il movimento delle figure è sempre dram-
matico e vero, come le figure stesse non mancano di vivezza e
di espressione.
»
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Pietro Loremetti (?)
GLI AMCORETI.
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Pietro Lorenzetti (?)
JAiACCONTA il Vasari, che Pietro Laurati dopo essere stato a
Firenze andò a Pisa e « lavorò in Campo Santo, nella facciata che
è accanto alla porta principale, tutta una vita de' Santi Padri,
con sì vivi affetti e con sì belle attitudini, che, paragonando
Giotto, ne riportò grandissima lode, avendo espresso in alcune
teste, col disegno e con i colori, tutta quella vivacità che po-
teva mostrare la maniera di quei tempi. » ' Il Lanzi poi chiama
questo quadro il più ricco d'idee, il più nuovo e il più ben pen-
sato che si vegga in Camposanto ;J e i signori Cavalcaselle e
Crowe, ritrovando in questi affreschi quel carattere di severità e
di realismo a un tempo del quale giudicano capace il Lorenzetti
per l'indole sua, elogiano le varie figure piene di forza e di ener-
gia, il tipo austero, e quasi selvaggio di queste, quale conveniva
a persone viventi nella solitudine, in mezzo alle privazioni e alle
intemperie, come è tradizione dei romiti della Tebaide. « L'età, il
sesso, il carattere e l'occupazione individuale sono riprodotti con
forma originale e con molta naturalezza e bravura. Le forme, le
espressioni, i lineamenti, le lunghe ed incolte barbe delle figure,
hanno l'impronta del vero; e tutto concorre a farci vedere il nostro
pittore come molto studioso della natura. Il disegno è franco e
ardito, trattati i panneggiamenti a larghe e spaziose pieghe e
1   Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 473.
2  Lanzi, Storia pittorica dell' Italia voi. I, pag. 269.
ì
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PIETRO
LORENZETTI (?)
94
rappresentate le figure in maniera grandiosa e severa ad un
tempo. La massa della luce e dell' ombra è del pari larga e
spaziosa. Il colorito delle carni è di tinta caldo-giallastra con
ombre grigie che degradano in verde. I contorni di tinta ros-
siccia sono molto oscuri nelle ombre, ma fermi e precisi. Infine
tutto è condotto con grande decisione e prontezza, e trattato in
maniera larga e quasi scultoria. > l
Noi abbiamo mostrato che non troviamo caratteri di somi-
glianza così nei tipi e nelle forme come nella tecnica fra le pitture
rappresentanti il Trionfo della Morte, il Giudizio e l'Inferno, e
questi Anacoreti. Qui non sono infatti le faccie larghe, i colli ro-
busti, il colorito roseo proprio delle figure degli affreschi erronea-
mente attribuiti all' Orcagna ; e ciò non pertanto i signori Caval-
casene e Crowe trovano somiglianza tra il Cristo che qui appare a
sant'Antonio inginocchiato e quello entro la mandorla nel Giu-
dizio Universale ; somiglianza che per essi si riscontra anche
nella figura di san Pietro a destra, e più o meno nelle altre degli
Apostoli, come nel rimanente.
Nonostante però l'affermazione dei signori Cavalcasele e
Crowe noi non dubitiam di affermare che, come l'Orcagna non
ha lavorato in Camposanto, così non vi abbia avuto parte il Lo-
renzetti; e riscontrando in queste pitture solo l'influenza della
scuola, non la mano di un artista senese, crediamo ritrovare
in esse le caratteristiche già notate della maniera pisana.
« La vita degli Anacoreti, » scrive il Burckhardt, « falsa-
mente attribuita dal Cavalcasene a Pietro Lorenzetti contiene
una serie di scene alla maniera di una cronaca, di cui le mi-
gliori e le più felici potrebbero essere designate come pitture
di genere : il riposo, il lavoro, la conversazione, la pesca ec. La
scuola di genere di Pisa era più propria a questa sorte di pit-
tura che non neh" espressioni di azioni sublimi e sacre. » 2
Veramente alcuni episodi della vita di san Domenico dipinti
1 Storia della pittura in Italia, voi. Ili, pag. 194.
3 Cicerone, Paris, Firmin-Didot, 1892, pag. 521.
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PIETRO LORENZETTI (?)                                       95
dal Traini nel suo celebre quadro comproverebbero quanto que-
sto artista intendesse il sentimento religioso e il misticismo non
disgiunti dalla ricerca di nuova e più intensa interpretazione del
vero ; ma poiché ben altro è il carattere delle figure studiate
nelle poche opere certe di Pietro Lorenzetti, così noi non possiamo
assegnare a lui, e molto meno al fratello Ambrogio, le storie degli
Anacoreti. Le figure del Lorenzetti a Siena sono intanto per co-
mune giudizio più nobili e più belle : la Pace, una delle migliori
che abbia prodotto la scuola senese, appoggiata maestosamente
sopra un guanciale, in veste discinta, con le chiome sparse di
fiori, che tiene in mano un ramoscello d'olivo ed ha i piedi po-
sati su di un elmetto e uno scudo, ben giustamente giudica il
Symonds una statua dipinta, e vien fatto di supporre, aggiunge,
che 1' artista 1' abbia copiata dall' Afrodite di Lisippo, prima che
i Senesi timorosi del paganesimo distruggessero quella statua ; '
e bella oltremodo, per gentilezza di forme e nobiltà d' espres-
sione, è la figura della Concordia.2 Ma nessuno di questi pregi
o di questi essenziali caratteri può riscontrarsi nelle figure de-
gli affreschi pisani, ov' è magari più intenso il sentimento, ma
certo minore 1' abilità e 1' attitudine a renderlo.
*
E se genericamente può affermarsi che le figure degli Ana-
coreti sono piene di forza e di energia, che il tipo n' è austero,
che 1' età, il sesso, il carattere sono riprodotti in forma origi-
nale e con molta naturalezza e bravura, non pare a noi egual-
mente facile ritrovarvi le qualità tecniche particolari a Pietro
Lorenzetti, le quali è dato rilevare e stabilire sicuramente con la
comparazione e con lo studio delle opere che portano il suo nome.
Che se i capelli a fiamme, ondeggianti, quali si notano in al-
cuni di questi eremiti fanno in certo modo ricordare la maniera
di lui e della sua scuola, il non ritrovare invece in questo af-
fresco, nonostante il più scrupoloso studio, nessuna delle altre e
più notevoli caratteristiche dell' artista senese, come ad esempio
1   Symonds, II Rinascimento in Italia. Le Beile Arti, pag. 167,
2  Cavalcasele e Ckowe, op. cit., voi. Ili, pag. 214,
t
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PIETKO LOEENZETTI (?)
96
le figure alte ed asciutte, gli ocelli oblunghi, vicini e depressi,
le estremità difettose nelle giunture, soverchiamente magre ed
esprimenti, come giustamente notano il Cavalcasene e il Crowe,
un falso convenzionalismo, induce fermamente a ritenere di ben
diversa mano queste figure. Le quali, se si dovessero proprio,
come essi dicono, assegnare al Lorenzetti, come sarebbe allora
possibile, paragonarle con quelle del Trionfo della Morte, che
hanno, per giudizio degli stessi scrittori, rozzo il disegno, grosse
le estremità e le articolazioni pesanti e volgari ? E viceversa :
come si farebbe a riscontrare questi difetti nelle opere che pos-
sono con certezza assegnarsi al maestro senese ?
Convien dunque persuaderci che non possono credersi né di
Pietro né di Ambrogio Lorenzetti le scene del Camposanto pisano
che illustrano in più di trenta episodi la vita degli Anacoreti nel
deserto.
Scrive il Rosini che Pietro Lorenzetti, « seguitando l'inven-
zione dell' Orcagna, che aveva (in Camposanto) effigiato la Morte,
il Giudizio e l'Inferno, avrebbe dovuto compiere i Novissimi colla
rappresentanza del Paradiso : ma forse fu spaventato dalla dif-
ficoltà dell' argomento ; e vi dipinse in vece le opere degli Ana-
coreti nel deserto.
» Se gì' intagli di quelle pitture fossero meno comuni, sa-
rebbe stato conveniente il riportare quella gentilissima figura
della santa Marina, rivestita cogli abiti eli monaco, e con un
fanciulletto in braccio ; ma non v' ha dilettante di belle Arti,
che non 1' abbia in mente, tanto è simile alle belle teste fem-
minili di Giotto.
» Tutto quello, che può dirsi eli questa copiosissima storia
parrai che detto siasi nelle Lettere Pittoriche ; basti 1' aggiun-
gere che la ripetizione dello stesso argomento, che veclesi nella
R. Galleria (di Firenze), non solo non n' è il primo pensiero,
come ha creduto il Lanzi, o una copia, come altri ha pensato;
ma è 1' opera di un uomo provetto, mentre la prima è il saggio
di un pennello giovanile. » '
Storia della pittura italiana, voi. II, pag. 134.
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PIETRO LORENZETTI (?)
97
Ma lasciando da parte il fatto, ormai indiscusso, che la ta-
voletta rappresentante lo stesso soggetto del Camposanto di
Pisa, ed esistente nella Galleria di Firenze, non avendo le qua-
lità proprie ai lavori dei Lorenzetti non è da tenersi per opera
loro ma bensì di qualche imitatore, chi può credere seriamente
che avrebbe il Nostro, in prosecuzione dell'opera dell'Orcagna,
dovuto dipingere] il Paradiso e che spaventato poi dalla diffi-
coltà dell' argomento lavorasse invece le storie degli Anacoreti ?
Nessun documento del resto accenna alla permanenza a Pisa
di Pietro Lorenzetti, dal Vasari chiamato Laurati, e nessuna
opera può dirsi rimanga di lui, perchè anche la tavola un tempo
nella chiesa di san Zeno, della quale non rimangono oggi che
due sole parti al Museo Civico,1 ove son rappresentati due Santi
Camaldolesi, pur avendo i caratteri della scuola e quelli della
maniera sua, non può in alcun modo a lui attribuirsi.
Ma i signori Cavalcasene e Crowe concludono il loro studio
sulla pittura del Camposanto intorno alla quale e' intratteniamo,
affermando che « se coi Lorenzetti lavorarono altri pittori, que-
sti, anziché quella dei fratelli Orcagna, seguirono la maniera
dei maestri Senesi. »2 E non sono forse anche per noi gli ar-
tisti pisani quelli che piuttosto della maniera fiorentina segui-
rono le norme della scuola senese ? Però i nostri studi e le
nostre ricerche ci inducono a credere, che solo artisti pisani
abbiano effettivamente lavorato a quelle scene, senza il suppo-
sto intervento di Pietro Lorenzetti.
1  Possono vedersi nella sala quarta, segnati coi numeri 11 e 14. Cfr. Ca-
talogo del Museo Civico di Pisa,
Pisa, Nistri, 1894, pag. 49 e 50.
2  Storia della pittura in Italia, voi. III, pag. 197.
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*"
LE STORIE DEGLI ANACORETI.
I.
Più di trenta episodi della vita di molti Santi ed Eremiti
sono espressi in questo affresco. Primo, a sinistra, in alto,
san Paolo, visitato da sant'Antonio abate, il quale genuflesso
ringrazia Iddio perchè il corvo apportatore di cibo, solito a
recare al compagno un mezzo pane, vola quel giorno sopra
di loro recandone uno intiero, che si divide miracolosamente
in due parti.
Poi, quando lo stesso Antonio, interrompendo il viaggio in-
trapreso per recare a Paolo la veste del vescovo Anastasio, che
sentendosi in fin di vita avea mostrato desiderio di abbracciare,
torna a visitarlo essendogli apparsa, triste e vero presagio,
l'anima di lui fra un coro d'Angeli, come portata in Cielo.
Lo trova infatti sul limitare della spelonca, inginocchiato, con
le mani alzate e congiunte in atto di preghiera, ma non più in
vita ; ed abbracciandolo e a gran voce chiamandolo lo posa a
terra e su di lui s'inchina amorevolmente coprendo le sue mani
di baci. Ma poiché Antonio tra il dolore della perdita del-
l' amico e tra non sapere come dargli onorata sepoltura sta in
sé pensoso ed afflitto, ecco due leoni che cominciano a scavare
con le zampe la fossa ove così trovò sepoltura il corpo del santo
eremita.
Rimasto solo Antonio nel deserto ebbe a soffrire le perse-
cuzioni del demonio, che ora gli si fa dinanzi in abito mona-
stico, sotto femminile aspetto, ed egli dalla spelonca con un lungo
bastone lo discaccia, come il pittore ha rappresentato ; ora ne
soffre le battiture ; fino a che a compensarlo delle sofferenze
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PIETRO LOEENZETTI (?) .                            101
sue gli appare il Redentore, ed Antonio genuflesso F adora. Ac-
canto, nell'apertura di una roccia, si mostra un eremita tutto
dedito al lavoro, e più indietro è rappre-
sentato lo stesso Antonio, che facendo il
segno della croce fuga due demoni. Nel-
l'angolo destro dell'affresco è la storia dell'abate Ilarione, quando
in viaggio sull' asinelio s'incontra col ferocissimo drago che in-
festava la Dalmazia, e mentre il suo compagno spaventato dal-
l' orribile apparizione sta per darsi alla fuga, il sant' uomo tran-
quillamente, segnando la croce, costringe il feroce animale ad
entrare nel fuoco.
Da ultimo, dentro la spelonca, il pittore ha rappresentato un
eremita in atto di meditare o di pregare, tenendo con ambe
le mani un libro aperto su cui piega la testa e fìssa con atten-
zione lo sguardo.
i
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102
PIETRO LORENZETTI (?)
IL
Nella seconda fila, a sinistra, santa Maria Egiziaca, la quale,
come dice la iscrizione, FU SCELLERATISSIMA MERETRICE E
POI FECE PENITENSIA XLVII ANNI NEL DISERTO PIGLIANDO
PER CIBO ERBE CRUDE ET ACQUA, è rappresentata nell' atto
di comunicarsi dal beato
Zosimo ; e accanto, un ere-
mita entro una cella vien
tentato dal demonio, che
si nasconde sotto gli abiti
di un vecchio anacoreta.
Subito dopo, in ginocchio,
con le mani giunte, fra due
leoni, SANCTO MACHARIO
ROMANO IL QUALE FECE
PENITENSIA GRANDISSI-
MO TEMPO NEL DI-
SERTO, cui fa se-
guito la scena del
demonio che sotto
abiti femminili cer-
ca indurre in pec-
cato un santo ere-
mita, come altri,
accanto, veggonsi
successivamente in-
tenti ad opere di-
verse.
Quel venerabile padre che, seduto, con la barba lunga ed
incolta ed i capelli fino ai piedi, alza la destra in atto di chi
parli e accenna il cielo, è Onofrio, il quale narra al compagno
com' egli restasse da sessant' anni nel deserto nella più completa
solitudine, senza mangiar cibi né bere acqua, e DA XXX ANNI
SI PASCE DI QUELLO CIBO CHE UN ANGELO LI RECAVA. Fu a
Panunzio, ora sedutogli davanti attentamente ascoltandolo, che
venne volontà di ricercare in quelle solitudini qualche servo di
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PIETRO LORENZETTI (?)                                 103
Dio, e per molte parti camminando, un giorno vide un uomo
d'aspetto spaventevole, tutto peloso e riarso dal sole. A quella
vista impaurito, si mise a fuggire, e coli' animo di porsi in
salvo salì sopra un monte vicino ; ma Onofrio lo chiamò per
nome e lo invitò ad appressarsi, assicurandolo che non v' era
ragione alcuna di timore. Ubbidì Panunzio, e saputo da lui
com' egli fosse veramente il servo di Dio che cercava, lo ab-
bracciò e lo baciò, e si condussero insieme alla spelonca ove
stettero in ragionamenti tutta la notte. Ma all' apparir del-
l' aurora Panunzio vide il compagno suo impallidire a un tratto,
e dolcemente spirare nelle sue braccia. Pur qui, poco più avanti,
appariscono i leoni per scavare la fossa al Santo, e Panunzio,
tanto era 1' affetto che portava al compagno, avrebbe deciso
di non abbandonare mai quel luogo e di ritirarsi nella ca-
panna che lì appresso si mostra, se questa non fosse rovinata
a un tratto per avvertirlo eh' egli avea 1' obbligo di ritornare
in Egitto.
III.
In basso, fra molte figure di eremiti intenti a diverse fac-
cende (chi conduce il cammello con le legna e rientra in città,
chi pesca, chi legge), è rappresentata, seduta di faccia a una
chiesetta, una donna, in abito monastico, con un bambino sulle
ginocchia, cioè santa Marina vergine, che creduta un giovinetto,
fattasi por 1' abito in compagnia del padre, crebbe in bontà e
costumi. Scrive il Totti che, « dopo la morte del padre fu ac-
cusata d' haver peccato con una giovanetta
             della quale
soleva spesso questa monachetta andare a ricevere l'elemosina
come frate. Laonde essendogli stato apposto questo sì gran de-
litto, havendo quella donna fatto un figlio maschio, e dolendo-
sene la madre della giovinetta con l'abate, fu di subito discac-
ciata dal convento ; et a maggior sua confusione essendo stato
portato al monastero il fanciullo di poco nato, essa con grande
allegrezza lo ricevette, e affaticatasi, trovò una donna che glie
1' allevò, e stando avanti alla porta del convento, hor da questo
per derisione schernita, hor da altri sovvenuta d'elemosine, vi-
veva e sovveniva il fanciullo.
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<"
104                                  PIETRO LORENZETTI (?)
> Poco doppo a questo, assalita da grave infermità passò alla
Gloria. La dove i frati volendola seppellire, et alcuni facendo
la misericordia per lavarla, nell' assettarla la trovonno esser
donna.... » '
Dall' altra parte del ponte, a destra, dentro una cella, è un
venerabile romito che s'impose di non ne voler mai uscire, es-
sendosi votato a quel perpetuo carcere. Il demonio, per fargli
rompere il voto, piglia abito di frate, e seco conducendo l'asi-
nelio, lo fa cadere proprio sotto la finestra della «ella, ove con
pianti e lamenti supplica il rinchiuso a uscirne per aiutarlo a
sollevar la bestia ; ina il padre, pregato il Signore di consiglio,
indovina F astuzia e non si muove.
Sono quindi rappresentati quattro monaci presso di una chie-
setta, due dei quali stanno occupati lavorando ; degli altri, uno
tornato dal bosco con le legna, su queste si riposa, e l'altro porta
un piccolo barile, col frutto della questua. Nell'angolo in basso,
a destra, ha terminato il pittore i vari episodi, rappresentando
la storia del monaco che tentato da una meretrice, per non ca-
dere in peccato, si brucia le dita a una lampada affinchè il do-
lore gli impedisca ogni disonesto pensiero ; mentre la femmina,
colpita da subitaneo malore, cadde uccisa al suolo. Ma il san-
t'uomo, mosso a pietà di lei, con le sue orazioni, ottiene eh' ella
ritorni in vita, confessi il suo peccato, rinunzi al mondo, e, ve-
stito l'abito della penitenza, si ritiri in un convento ove finisce
i suoi giorni.-
Sotto al gruppo degli eremiti intenti alle varie opere, di
fianco alla chiesetta, è dipinta la tomba con sopra distesa la salma
del beato Giovanni Gambacorti ; e i due Angeli col turibolo,
alcune mezze figure di Angeli entro ai riquadri fra 1' ornato
della finta cornice, la cornice stessa, i cinque eremiti dei quali
uno legge sopra un albero, e la pittura del fondo è tutto lavoro
eseguito da Antonio Veneziano in sostituzione di quello mal ri-
dotto di prima. Scrive il Rosini, che « il corpo di questo Beato
essendo sepolto, per quanto credesi, nell' interno del muro, come
1  Loc. cit., e. 54'.
2  Totti, loc. cit., e. 56.
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PIETKO LORENZETTI (?)                                     105
denota la cassa di pietra ivi incastrata, i devoti vi avevano
eretto un tabernacolo di legno, largo in fondo e appuntato verso
la cima, secondo il disegno di quei tempi, e che guastò le pit-
ture eh' erano al disotto. Quando esso fu tolto, e quando Anton
Veneziano vi dipinse, dovette occuparsi di restaurar la pittura
che rimaneva deturpata ; e non potendo forse tornare a dipin-
gere sulF incannicciata rotta e pesta dalla mole soverchia del
tabernacolo, fece riunire per mezzo della calce intorno intorno,
come apparisce ancora, i lati estremi eli essa col muro ; indi
sopra un nuovo intonaco ei vi dipinse. » '
1 Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag. 57.
*
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Simone Martini.
L' ASSUNZIONE DELLA VERGINE.
___^^_^^______^_____
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Simone Martini
L'ASSUNZIONE DELLA VERGINE.
« Jl ECE Simone, » scrive il Vasari, nella Vita dell'artista se-
nese, « sopra la porta principale di dentro (in quel Camposanto),
una Nostra Donna in fresco, portata in cielo da un coro d'An-
geli, che cantano e suonano tanto vivamente, che in loro si cono-
scono tutti que'vari effetti che i musici cantando o sonando fare
sogliono : come è porgere 1' orecchio al suono, aprir la bocca
in diversi modi, alzar gli occhi al cielo, gonfiar le guancie, in-
grossar la gola, ed insomma tutti gli altri atti e movimenti che
si fanno nella musica. » ' Ma così scrivendo lo storico aretino
1 Vasari, ediz. citata, voi. I, png. 552.
t
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SIMONE MARTINI.
110
doveva aver certo dimenticato quello che aveva già detto nella
Vita di Stefano e Ugolino, attribuendo al primo la medesima
pittura : « dipinse costui in fresco la Nostra Donna del Campo
Santo di Pisa, che è alquanto meglio di disegno e di colorito
che l'opera di Giotto. » ' Il Lanzi j>oi, descrivendo questo affresco
come rappresentante invece un Nostro Signore, afferma che questa
è 1' unica pittura certa di Stefano Fiorentino, attribuzione che
avrebbe conferma dall' anonimo Gaddiano ov' è detto che « Ste-
fano, pittore fiorentino, per sopranome chiamato» lo scimia....
dipinse a Pisa, in Camposanto, l'Assuntione di Nostra Donna. »2
Ma i signori Cavalcasene e Crowe, pur riconoscendo che il
dipinto, sebbene ritoccato soverchiamente, conserva sempre i ca-
ratteri della scuola senese, non possono però attribuirlo a Simone
Martini, come vorrebbero, insieme al Vasari, gli storici pisani,
ma piuttosto a un seguace della maniera di lui.3 Troppo gene-
rica affermazione del resto, tanto più che a noi sembra difficile
credere, che un seguace della maniera di Simone, e ormai ci è
noto quali essi fossero, abbia potuto dar vita ad un'opera d'arte
che per composizione, per intonazione e per nobiltà di linea ri-
vela un artista di straordinario valore. E dal momento che il
carattere senese ad onta dei numerosi e disgraziati restauri
appare chiarissimo nella pittura, noi fermamente riteniamo che
Simone Martini, durante la sua permanenza a Pisa, abbia avuto
parte in questa Assunta, la quale sembra veramente librarsi glo-
riosa nelP azzurro ed avere una esistenza più celestiale di tutte
le immagini di Vergine dipinte negli ultimi secoli, sopra nubi po-
polate di Angeli, con effetti di luce, di prospettiva e di scorci.4
Entro una mandorla, con le mani giunte in atto di preghiera,
sta la Donna assisa in ricco trono tutto a cuspidi e pinnacoli :
attorno, quattro gruppi di Angeli, due per parte, e due Arcan-
geli in basso par che la sollevino sull' azzurro del cielo ove il
Redentore tende le mani alla cornice della mandorla in atto
1   Vasari, ediz. citata, pag. 447,
2  Fabriczy, II Codice dell'anonimo Gaddiano. Estratto dall'Archivio storico
italiano,
pag. 62.
3  Loc. cit., voi. II, pag. 75.
'* Burckhardt e Bode, Cicerone, ediz. citata, pas;. 523.
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SIMONE MAETINI.                                        Ili
di accoglierla. Attorno a lui altri gruppi di cherubini in veste
bianca stanno con le mani in croce adorando, e più lontani, a
destra, altri tre, i soli rimasti, tengono i simbolici attributi della
Vergine : la palma, il vaso e alcune ciocche di rose.
Nessuno di questi ha nelle mani strumenti musicali come
parrebbe dalle parole del Vasari, ma è vero che cantano tutti
assai vivamente mostrando diversi atteggiamenti della bocca.
Il volto della Vergine, nell'aristocratica eleganza dell'aspetto,
è pieno di sentimento e di grazia ; nobile e grandiosa, nell' am-
piezza del ricco manto che le scende sino ai piedi, appare tutta
la figura di lei, come nel suo insieme il dipinto si fa ammirare
per la originalità della linea e la bontà delle varie parti. E poi-
ché il Eosini vuole che questo fosse il saggio del valore pittorico
dato dal Menimi ai Pisani, e aggiunge che da questa pittura
può desumersi la sua maniera meglio che non dalle tre storie
di san Ranieri in troppe parti ritoccate: bisognerebbe allora
dare questa Assunzione a quell' Andrea da Firenze, che sap-
piamo essere il vero autore degli affreschi prima voluti di Si-
mone Martini ; ma il paragone non è in alcun modo possibile.
Certo le condizioni della pittura sono tutt'altro che buone:
perduto il colore nella parte superiore della veste della Vergine,
è apparsa la preparazione col sottostante disegno delle mani in-
crociate sul petto, mentre ora, per il cambiamento voluto dal-
l' artista, le tiene unite in atto di preghiera ; ritoccato e guasto
il manto azzurro ; ridipinti alcuni Angeli ; caduto parte dell' into-
naco alla destra del Cristo : così oggi disgraziatamente è ridotto
il pregevole affresco, per concorde giudizio, fra i più importanti
del Camposanto.
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Andrea da Firenze.
LE STORIE DI SAN RANIERI.
(scompartimento superiore.)
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Andrea da Firenze.
VTLI affreschi, che i documenti han dimostrato di un Andrea
da Firenze, andavano prima sotto il nome di Simone Menimi ;
e parve, scrive il Milanesi, sino a poco fa ardita opinione quella
da alcuni intelligenti manifestata, i quali non potevano appro-
vare l'asserzione del Vasari e degli altri che ciecamente la segui-
rono.1 Ma fra i molti pittori vissuti a Firenze col nome d'An-
drea, escluso l'Orcagna, morto nel 1368, qual altro può credersi
autore delle prime tre storie di san Ranieri, dipinte nella parte
superiore della parete di mezzogiorno del Camposanto pisano ?
*
# *
Il professor Bonaini fu il primo a dare la notizia che inte-
gralmente qui riportiamo. « Nel 13 ottobre del 1377, » scrive
egli, « l'Operaio del Duomo nostro di Pisa, Lodovico Orselli,
sborsò cinquecento ventinove lire e dieci soldi al pittore mae-
stro Andrea da Firenze prò pictura storie Beati Manerìi, prò
residuo diete storie.
Il pagamento si fece nella casa dell'Opera
ove Andrea dimorava, situata allato al Camposanto ; e la con-
siderevole somma fu pagata secondo il contratto che Pietro
Gambacorti aveva scritto di sua mano. Ciò rende testimonianza
che Andrea era pittore di molta celebrità, e forse ancor meglio
1 Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 553, nota n° 5.
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116                                       ANDREA DA FIRENZE.
lo manifesta il distinguersi pel solo nome di maestro Andrea
da Firenze. » l
Fra gli omonimi pittori fiorentini della seconda metà del se-
colo XIV, il Bonaini congettura che questi possa essere Andrea
Ristori del Popolo di san Pancrazio, che fu matricolato nell'arte
dei pittori fino dal 1333 e potè dipingere a Pisa intorno al 1377,
essendo stato certamente in vita sino al 1392, come si legge sul
sepolcro di lui in santa Maria Novella di Firenze. Il Milanesi
crede invece sia il Nostro quell'Andrea Bonaiuti il quale si trova
matricolato pittore nel 1343 e scritto alla Compagnia di san
Luca nel 1374. Egli, è fra i pittori nel consiglio dato nel 29 ago-
sto 1366 sopra un lavoro della fabbrica del Duomo di Firenze,
in un documento che si riferisce alla vita di Taddeo Gaddi ; e
nel 1377, a' 2 di novembre, fa testamento lasciando erede Bar-
tolomeo suo figliuolo.2
I signori Cavalcasene e Crowe, da ultimo, dicono che fra i
molti pittori esistenti in quell'epoca col nome di Andrea non è
possibile accertare chi sia stato chiamato a Pisa per dipingere
in Camposanto.
Disgraziatamente nessuna nuova luce possiam portare sulla
questione, e abbiam dovuto così limitare il nostro assunto a rac-
cogliere le varie supposizioni espresse da altri e le notizie che
sino ad oggi si avevano, per concludere che quest'Andrea, chiun-
que ei si fosse, senza esagerare nelle lodi per le sue qualità pit-
toriche, che mal si riscontrerebbero in pratica negli affreschi del
Camposanto, doveva godere una certa reputazione se l'Operaio
s'indusse a chiamarlo a dipingere nell' insigne monumento pi-
sano. Non possiamo però credere quanto scrive il Milanesi, che
quell'Andrea cioè, dopo aver lavorato alle prime tre storie di
san Ranieri, morisse per il dolore vedendo commesso ad un altro
maestro il compimento di quelle pitture,3 poiché solo tre anni
dopo si mandò a Genova a ricercare Barnaba da Modena per
terminarle, mentre poi furono portate a fine da Antonio Ve-
neziano nel 1386, ossia nove anni dopo che Andrea da Firenze
J Bonaini, Memorie inedite del disegno, pag. 104.
2  Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 553, nota n° 5.
3  Ivi.
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^""
ANDREA DA FIRENZE.
ir.
aveva lasciate incompiute le sue. È quindi possibile e probabile
che il pittore lavorasse prima gli affreschi nel Camposanto di
Pisa, e che poi, per esser chiamato a Firenze o altrove, li do-
vesse interrompere, o meglio non potesse continuarli ; e forse
F Operaio sperò per qualche tempo di riaverlo, poiché vediamo
che attese tre anni prima di decidersi a chiamare da Genova
chi avrebbe potuto condurre a fine tutte le istorie relative al
Santo pisano.
Come che ciò sia, i tre affreschi lasciati da Andrea da Firenze,
poiché hanno tutti i caratteri della scuola senese, sono stati dagli
storici creduti di Simone Martini, con V abitudine che si aveva
un tempo di attribuire al caposcuola tutto quello che era la-
voro dei seguaci o continuatori della sua maniera : e i senesi
al seguito del Martini furon molti.
« Del resto, » scrivono i signori Cavalcasela e Crowe, « non è
difficile che dopo aver visto Simone lavorare una delle migliori
sue opere nella chiesa di santa Caterina, l'abbiano i Pisani po-
tuto ricercare anche per i lavori del Camposanto ; né ci ripugna
di credere, » aggiungono essi, « che prima di lasciar l'Italia
possa egli aver tracciate sulla carta le composizioni, nel pen-
siero dì lasciarle dipingere dal cognato Lippo Memmi ; il quale,
o per non averle mai incominciate o forse appena appena trac-
ciate, lasciò che altri, e solo più tardi, le avesse ad eseguire. » i
Ma pur ammettendo che durante la dimora del Martini a Pisa
si pensasse da' Pisani a decorare di pitture le pareti del Cam-
posanto, sulle quali egli ha infatti dipinto l'Assunzione, noi non
possiamo credere eseguite sul disegno di lui le storie che un suo
seguace lavorò più di cinquant' anni dopo, non ritrovandovi punto
i caratteri delle composizioni di Simone, più naturale e più vero
nell' aggruppamento e nel movimento delle figure, più variato
nella disposizione dei personaggi, meno convenzionale di questo
Nostro, i cui caratteri, se dimostrano esser quelli di un seguace
del Martini, non confermano punto i pregi di varietà e di cor-
rettezza, propri del caposcuola senese.
1 Storia della pittura in Italia, voi. Ili, pag. 79.
n
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118
ANDREA DA FIRENZE.
Il Vasari elogiando volta a volta le diverse figure rappresen-
tate nei diversi quadri, come le arie dei volti e l'ornamento degli
abiti nelle donne che danzano, o la vivezza e la bellezza delle
teste nella scena della presentazione di san Ranieri alla Ver-
gine, scrive « .... le quali tutte cose di quest' opera, ed altre che
si tacciono, mostrano che Simone fu molto capriccioso, ed intese
il buon modo di comporre leggiadramente le figure nella maniera
di quei tempi; »' ma dovendo cambiare il nome dell'artista
per sostituirvi quello di Andrea da Firenze bisognerà pur mo-
dificare l'elogio, cosa che veramente non avrebbe dovuto ac-
cadere se il giudizio del Vasari su queste pitture fosse stato
ispirato a maggior senso di giustezza e di verità.
1 Voi. I, pag. 553.
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LE STORIE DI SAN RANIERI.
I.
San Ranieri giovinetto è rappresentato nel primo quadro, tutto
dedito alla vita mondana, ossia in atto di suonare il saltero o la
cetra in mezzo a un gruppo di leggiadre femmine che si dilet-
tano a ballare tenendosi per la mano, mentre un altro gruppo
di spettatori par si allieti al giocondo spettacolo. Una matrona
sua parente, così la leggenda, lo tira per la veste come per trarlo
da quel luogo, ed esortarlo a cessare quella vita, avvertendolo
del passaggio del beato Alberto, gran servo di Dio, con le pa-
role : ECCO L' angelo DEL signore. San Ranieri pur segui-
tando a toccar le corde dello strumento, con aria tra distratta
e indifferente si volge alla matrona e par le domandi chi mai
sia quest' Angelo ; la buona donna arriva a commuoverlo e lo
persuade a lasciare le vanità e le follie del mondo per seguire
il santo uomo. Il giovine ascolta il consiglio, e giunto sulla porta
del convento di san Vito nel momento che Alberto si accomia-
tava dai fedeli che lo accompagnavano, s'inginocchia dinanzi a
lui per impetrare la grazia del Signore e 1' aiuto necessario a
uscire da quella vita nella quale già gli pareva di sentirsi troppo
a disagio. Ed ecco dentro un fascio di luce, discende sopra di
lui la simbolica colomba.
All'angolo dell'affresco, a destra, il Cristo appare a Ranieri
che è ritratto in mezzo a due figure, il padre e la madre per
alcuni, e gli dice alzando la destra in atto di benedirlo: t'ho
PERDONATO ; mentre la donna si protende verso il Redentore
in atto di devozione e di preghiera.
Tutto l'affresco è pur troppo danneggiato da inopportuni
e rovinosi restauri operati dai fratelli Melani che han ripas-
sato le vesti non solo, ma anche le carni ; e le parti che conser-
vino ancora più completi i caratteri originali della pittura sono
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122                                   ANDREA DA FiBENZE.
quelle ov' è la matrona nonché qualche frammento del gruppo
delle giovani danzatrici.
Bella è la figura della madre che tiene un bambino per la
mano, non però questo egualmente felice nel carattere e nel tipo;
le vesti di lei hanno naturali andamenti di pieghe, la propor-
zione è giusta e il movimento non manca di una certa eleganza,
e se pure sembran ritratte un po' in caricatura le due bambine
che assistono alla danza, la figura di san Ranieri, il quale seguita
a suonare lo strumento mentre si volge con la testa fila matrona
che vuol clistorgiierlo dalla triste via, bene rappresenta nella ele-
ganza del movimento 1' effeminatezza del giovine e il sentimento
di chi è solo dedito alle gioie terrene, pur non nascondendo nel
volto, oggi in parte deturpato, una certa gentilezza, quasi a mo-
strarne l'indole buona e a farne indovinare il prossimo penti-
mento.
Sotto tutto il dipinto sono spiegati i vari episodi svolti dal-
l' artista con la seguente iscrizione :
COME IL BEATO RANIERI SONANDO UNO STORMENTO PAS-
SANDO IL BEATO ALBERTO PER CISANELLO FUE ADMONITO
DEL NON SONARE. E SUBBITO SEGUITÒ IL BEATO ALBERTO. E
CONVERTITO TANTO PIANSE CHE DIVENTÒ CIECHO. ET COME
SOPRA LORO APPARVE UNO SMISURATO LUME ET ILLUMI-
NANDO LI DISSE : DIO TI SA ELETTO ET ATTI PERDONATO.
II.
Nel secondo quadro sono rappresentati altri fatti che si ri-
feriscono alla vita di san Ranieri ; e prima, quando, dopo la vi-
sione avuta, deliberò di visitare i luoghi che il Salvatore aveva
santificati con la sua presenza. In occasione che alcuni Pisani
navigavano per 1' Oriente, volle imbarcarsi insieme con essi e
mentre si trovava in cammino, nell' aprire una cassetta per
trarne denaro (alcuni vogliono che contenesse invece mercanzia),
sentì con somma sorpresa un gran fetore, la qual cosa lo inso-
spettì e gli fece supporre che il fatto nascondesse qualche mi-
stero ; e mentre i compagni di viaggio si allontanano turandosi
il naso, egli riman fermo e tranquillo e muove le mani in atto
di chi dia a vedere eli aver capito più degli altri.
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ANDREA DA FIRENZE.                                   125
Pervenuto in Joppe, si recò subito in una chiesa a pregare
il Signore che gli spiegasse la ragione di quel mistero ; e il
Signore gli apparve e gli rivelò che aveva fatto esalar quel fe-
tore per distoglierlo dalle cose terrene e perchè se ne privasse.
Egli allora distribuì ai poveri tutte le sue ricchezze non solo,
ma sin le vesti che aveva indosso, e nudo si presentò alla chiesa
di Gerusalemme dove fu stimato degno di vestire V abito del pel-
legrino, che genuflesso riceve dalle mani del sacerdote. E un
giorno nella* chiesa di Tiro ebbe non dubbio segno del celeste
favore e della benevolenza della Regina del cielo, che fu rapito
in estasi mentre stava in contemplazione delle cose divine, e
due Angeli, nelle sembianze di venerandi vecchi, ammantati di
candide vesti, lo condussero al cospetto della Vergine, la quale,
seduta in trono e circondata dalla sua corte, benignamente lo
accoglie stendendogli la destra.
Movimenti giusti ed evidenza negli atti hanno i naviganti in
questo quadro, o che si turino il naso per non sentire il fetore
che esce dall' aperta cassetta, o che atteggino il volto a curiosa
sorpresa o a meraviglia ; come veramente caratteristici sono i
due tipi di marinari, bruni e forti, veri uomini di mare, i quali
sono ritratti con naturale vivezza mentre stanno intenti a rego-
lare con le funi la vela per meglio cogliere il vento o farlo pro-
pizio alla nave. Ma la parte dell'affresco nella quale è dipinta
la presentazione di san Ranieri alla Vergine, per la delicatezza
dei volti negli Angeli e nelle figure delle Sante, per finezza di rap-
porti, per eleganza di composizione e di movimenti, ci pare delle
migliori, sebbene anche qui il terreno sia tutto ridipinto, il fondo
distrutto, e con il fondo perduta la testa della Vergine. L' artista
spiegò il soggetto delle varie rappresentazioni di questo secondo
affresco con la seguente iscrizione :
COME IL BEATO RANIERI ANDÒ OLTRA MARE CON SUA MER-
CANTIA. E FORTE SPUSSANDO COGNOVE PER SPIRITO CHE A
DIO PIACEA CHE LASSASSE IL MONDO. UNDE DISPENSE IL SUO
A' POVERI E VESTISSI D' UNA SCHIAVINA. E DA DUI VECCHI
FUE APPRESENTATO DINANTI NOSTRA DONNA DICENDOLI : TU
RIPOSERAI NEL MIO GREMBO NELLA CITTÀ DI PISA.
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126                                   ANDREA DA FIRENZE.
III.
In quest' altro quadro, il terzo e l'ultimo fra quelli attribuiti
ad Andrea da Firenze, è in principio rappresentato il Santo che
assiste alle preci dei sacerdoti in Nazareth officianti nella casa
di Maria trasformata in santuario. In fondo, sull'altare, è un
trittico con la Vergine e il Figliolo fra sant'Agostino e san Gio-
vanni Battista, e attorno a un leggio stanno i sacerdoti in ora-
zione, mentre san Ranieri genuflesso prega il Signore, e gli escono
dalla bocca le parole: SIGNORE IDIO PERDONATE A QUESTI
PRETI. Il demonio intanto si avvicina a lui per distoglierlo dal-
l' orazione e incutergli timore ; ma vedendo inutili i suoi sforzi,
lo afferra e lo trasporta in faccia all' atrio interno del santuario
e lo lascia sopra un masso ; e tuttavia non riuscendo a distrarre
il Santo dalla preghiera, deve rinunziare all'impresa e ritrarsi
scornato, con la testa fra le mani. Ma non rista il diavolo, non-
ostante questa disfatta, di tormentarlo, che, salito su di una rupe,
gli getta delle pietre, le quali lasciano impavido e sereno il beato
Ranieri che riesce in tal modo a vincerne le tentazioni.
Stabilito poi di recarsi al monte Tabor con lungo e disage-
vole viaggio, Iddio ne lo ricompensa con due prodigi : incontrate
sul cammino due lonze che lo minacciano, col solo segno della
Croce le rende docili e mansuete ; e mentre volgeva il pensiero
alla trasfigurazione, gli appare Cristo in gloria fra Mosè ed Elia
ed uno stuolo di Angeli.
Preso quindi dal desiderio di visitare il santo Sepolcro vi
giunge e si presenta ai religiosi del pio luogo per chiedere loro
d'essere ammesso fra gli operai del convento per ricevere tanta
porzione di pane quanta ne avesse meritata col suo lavoro. E fu
in casa di una matrona, secondo alcuni, che il Santo introdusse
un poverello per dargli ristoro e pose sulla mensa un pane che
solo aveva da dargli, e per quanto quel mendico ne mangiasse,
rimase quasi intiero, e così restò anche dopo che il Santo ebbe
nutriti altri nove poverelli che successivamente aveva invitati
a mensa ; altri, e il nostro pittore così la riprodusse per rendere
più chiara e più evidente la scena, narrano addirittura che ope-
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ANDREA DA FIRENZE.                                   129
rasse il miracolo di satollare dieci poveri con un solo pane, come
ci mostra nell' ultima parte 1' affresco.
Notevole è la ricerca e lo studio della verità nel rendere i
tipi e i caratteri dei sacerdoti in orazione attorno al leggio nella
chiesetta in quella prima parte del quadro, ov' è in fondo un
trittico riprodotto con molta evidenza ; ma all' estremità di que-
sta pittura restano solo alcune figure delle molte che Y artista
vi dipinse, pt/r esser caduto l'intonaco. Del resto tutto 1' affresco
non è men degli altri danneggiato, mancando in moltissime parti
il colore, e, ove non manca, hen poco oggi vi resta dell' originale.
Sotto, lungo la cornice, si legge :
COME IL BEATO RANIERI STETTE SETTE ANNI OLTRAMARE.
FECE TRE QUARANTINE NELLA TERRA SANTA ET IN NAZZA-
RET ORÒ PER QUEI PRETI. E DAL DEMONIO EBBE MOLTE TEN-
TACENE. E LONZE FEROCE A LLUI DIVENTANO MANSUETE. ET
SUL MONTE TABOR CHRISTO L' APPARVE CON MOISÈ ET I1ELIA.
ET D'UNO PANE SATIÒ MIRACOLOSAMENTE DIECI POVERI.
Sebhene dunque mal sia dato giudicare compiutamente del-
l' abilità dell' artista dalle misere condizioni in cui si trovan ri-
dotte queste storie, può sempre affermarsi dai resti, e non invero
pochi, a, noi pervenuti salvi dall' ingiuria del tempo e dalla sma-
nia riparatrice degli uomini, non doversi il Nostro ascrivere fra
i migliori, poiché le teste in generale mancano di vivezza, i
movimenti delle figure son sempre convenzionalmente ripetuti,
le vesti han pieghe diritte e dure, il disegno è manierato, debole
il chiaroscuro ; e se qualche frammento si lascia ammirare per
una certa simpatia di linea o per intonazione abbastanza fine,
prese nell' insieme queste pitture risultano monotone e vuote.
L'architettura dei fondi non manca di correttezza anche
nella parte prospettica, ed è abbastanza immaginosa; ma rispetto
all' esecuzione tecnica queste tre storie chiaramente ci attestano
come Andrea da Firenze non sia certo da paragonare a Simone
Martini.
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Antonio Veneziano.
LE STORIE DI SAN RANIERI.
(scompartimento inferiore.)
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Antonio Veneziano.
-■i
Uopo tre anni che Andrea da Firenze aveva lasciate incom-
piute le storie di san Ranieri, o, meglio, aveva condotte a ter-
mine sole tre rappresentazioni dei fatti del Santo pisano ; e dopo
che 1' Operaio ebbe mandato a Genova Pessino di Lucca per in-
vitare Barnaba da Modena a venire a seguitare l'opera rimasta
incompiuta : né questi avendo accettato F incarico offertogli, fu
chiamato a Pisa Antonio Veneziano. Il quale, nel compartimento
inferiore, die termine a quelle storie che i documenti e gli scrit-
tori, questa volta concordi, gli assegnano, e che il Vasari afferma
esser tali che « universalmente e a gran ragione sono tenute le
migliori di tutte quelle che da molti eccellenti maestri sono state
in più tempi in quel luogo lavorate. » ' Né bastandogli questo
elogio, il quale del resto ripete volentieri per altri artisti, ag-
giunge che « lavorando ogni cosa a fresco, e non mai ritoccando
alcuna cosa a secco, fu cagione che insino ad oggi si sono in
modo mantenute vive nei colori, eh' elle possono, ammaestrando
quegli dell'arte, far loro conoscere quanto il ritoccare le cose
fatte a fresco, poi che sono secche, con altri colori, porti nocu-
mento alle pitture ed ai lavori. »2
Non è il caso d'insistere, ci pare, su questo secondo elogio
non rispondente in tutto alla verità, perchè nelle pitture di An-
1  Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 666.
2  Ivi.
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134                                   ANTONIO VENEZIANO.
tonio Veneziano son tracce visibili di pennellate date a secco,
con sistema che del resto hanno seguito tutti gli artisti e che
ancora si seguita, più o meno esagerandolo, perchè, dopo tutto,
sarebbe difficile, per non dire addirittura impossibile, non lo
seguire. Certo però gli affreschi del Veneziano conservano an-
cora nelle parti intatte vivacità straordinaria di tinte, le quali
si mostrano più limpide, più delicate e meno tormentate che
nelle altre pitture, per il merito appunto eh' ebbe l'artista
di averle sapute adoprare con maggior sapienza 3 abilità de-
gli altri : e in questo l'elogio del Vasari non potrebb' essere
più veritiero.
Che 1' educazione artistica di Antonio sia tutta fiorentina è
ormai chiaramente dimostrato, e basterebbe a confermarlo il
carattere delle sue pitture nel Camposanto pisano ; che egli poi
fosse nato a Venezia, non v'ha più chi ponga in dubbio nono-
stante la contraria affermazione del Baldinucci. Infatti nei re-
gistri di amministrazione dell' Opera pisana egli è talvolta detto
da Firenze, tale altra da Venezia ; e l'Operaio del Duomo poteva
ben chiamarlo in ambedue le maniere secondo che pensava o al
suo luogo di nascita o a quello della sua dimora. Ma sebbene
nato a Venezia, nulla di veneziano è rimasto nella sua pittura,
che anzi egli si palesa sempre continuatore delle tradizioni giot-
tesche, pur arrecando nuovo e potente contributo al progresso
dell'arte con lo studio accurato e intelligente delle forme, e con
la più esatta riproduzione e interpretazione del vero. E poiché
l'educazione artistica di Antonio Veneziano, come narra il Va-
sari, fu per opera del G-addi, è naturale che lo scolaro risenta
nella sua pittura delle qualità del maestro, e ricordi nei ca-
ratteri e nella maniera i lavori di chi gli fu guida ; sebbene
il merito di Antonio si accresca notevolmente per la ricerca
del movimento, per lo studio del vero, per la finezza dell'into-
nazione e per la limpidezza del colorito, qualità tutte che non
facilmente si riscontrano negli altri pittori del suo tempo e che
danno alle opere di lui un' importanza e un valore di gran
lunga maggiori.
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ANTONIO VENEZIANO.
135
* #
Le storie che Antonio Veneziano dipinse nel Camposanto di
Pisa, pare fossero condotte a termine nel tempo di sedici mesi o
poco più; che dal 7 dicembre 1384 al 10 aprile 1386 egli ebbe in
più volte dall' Operaio Parasone Grasso la somma di 210 fiorini
d'oro in pagamento di tali pitture, compresi in questa somma
14 fiorini per la pigione della casa dell' Opera da lui abitata
due anni.1 E nel mese di aprile, il 14, ricevette lire 10 e 15 soldi
per i colori adoperati nell' imbasamento del Purgatorio, Inferno
e Paradiso, et dliis storiis, come si legge nel documento,2 dal
quale sappiamo che fu aiutato in tutti questi lavori da due suoi
soci o scolari, Giovanni e Pietro.3 Si trovano pure nei registri di
amministrazione dell' Opera molte partite di denaro che l'Ope-
raio avrebbe pagato al nostro artista consegnandolo a Checcìio*
suo figliuolo,
del quale non siamo in grado di affermare se pure
fosse pittore e aiutasse il padre nel lavoro del Camposanto.
Durante la permanenza a Pisa abitò Antonio prima una casa
dell' Opera posta in cappella di san Lorenzo in Pellicceria, e
quindi andò a stare in un' altra situata nella cappella di san Nic-
cola, nella quale dimorava il 2 agosto 1387, quando ricevette dal-
l' Operaio 46 lire e 5 soldi prò pictura capelli organorum della
Chiesa maggiore, che aveva fatta a tutte sue spese.1 Dopo, i
registri della Primaziale non ci danno più notizie di lui.
I signori Cavalcaselle e Crowe ci dicono che molto proba-
bilmente il suo vero cognome fu quello di Longhi, e ciò dedu-
cono da una pittura che somiglia nei caratteri agli affreschi
del Camposanto di Pisa e che si conserva ora nella Confrater-
nita di san Niccolò Reale a Palermo.8
1  T anfani, Provincia di Pisa, anno 1881, n° 33.
2  Entrata e uscita, 35 turch., e. 59.
3  Ibidem, e. 60', 62, 63, 64, 65, ec.
4  Tanfani, Provincia di Pisa, anno 1881, n° 33.
5  Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 211.
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LE STORIE DI SAN RANIERI.
I.
Vari episodi relativi al ritorno di san Ranieri in patria sono
rappresentati nel primo affresco ; quando Iddio gli si presenta
e gli dice: oggi È il giorno della tua partenza; ed
allora egli esce dalla porta di Gerusalemme accompagnato da
molti personaggi, fra i quali il Vasari vuole che fossero ritratti
il conte Gaddo della Gherardesca e Neri suo zio, stati signori
di Pisa. Quindi ritrovato il compagno Bottacci, che con una
comitiva era in procinto di scioglier le vele per ritornare in
patria, è accolto da questo nella nave. Durante il viaggio i
marinari vedono da lontano due galee, che credono di corsari
e se ne spaventano, ma poiché ravvisano dalla bandiera pisana
che erano navi della repubblica e sanno, avvicinandole, che do-
vean recarsi a Costantinopoli, si salutano scambievolmente e i
capitani delle due galee invitano il Bottacci a andare insieme
con loro alla corte imperiale ; e poiché il Bottacci non vuole, né
gli parve conveniente seguirli, quei capitani si accingevano a
condurlo per forza. Ciò vedendo il Santo, con un gesto benedice
tutti quelli che erano sulla sua nave, la quale comincia a correr
con tale velocità che non fu possibile alle altre due galere rag-
giungerla.
Arrivato san Ranieri a Messina, operò un nuovo prodigio.
Accortosi che un oste, uomo sordido e interessato, spacciava il
suo vino per la maggior parte allungato con 1' acqua, volendo
ridurlo alla via dell' onestà gliene richiese una misura, e quando
P oste ebbe misurato il vino, il Santo, invece di presentargli un
vaso per riceverlo, gli offrì la veste. Rise il cantiniere a veder
così strano recipiente, e per appagare i desideri del compratore
versò il liquido sull' abito di san Ranieri ; ma quale fu la sor-
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ANTONIO VENEZIANO.
140
II.
Nel secondo quadro sono due episodi della morte del Santo :
il transito e il trasporto del suo corpo alla Primaziale. Ei sta
effigiato sul cataletto coperto da un drappo a finissimo dise-
gno, e gli sono d'intorno i monaci del monastero di san Vito,
ove san Ranieri morì, e il clero della chiesa
aA|
          maggiore, nonché molto popolo* contristato
lipplll^          e piangente; «dove,» scrive giustamente
il Vasari, « è molto bene espresso
non solamente l'affetto del pian-
gere, ma l'andare similmente
di certi Angeli che por-
tano l'anima di lui in
cielo, circondati da
una luce splendidissima e fatta con bella invenzione. » ' Tra le
molte ligure che stanno attorno al cadavere due ve n' hanno
inginocchiate, ai lati; la prima delle quali in atto di baciar le
mani al Santo, 1' altra in atteggiamento di chi voglia seguirne
l'esempio. Dietro è una idropica che, inginocchiata, e con le
mani alzate, pare faccia violenza per rimanere ancora a con-
templare il sacro cadavere, mentre una donna, forse la madre,
la prende per il polso e la assiste e la conforta. In fondo le
mura della città e la chiesa di san Vito.
1 Voi. I, pag. 664.
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ANTONIO VENEZIANO.                                    143
Neil' altro episodio è rappresentato il trasporto della salma
da san Vito al Duomo, portata a spalla dagli stessi sacerdoti e
seguita da uno stuolo numeroso ci' illustri personaggi, tra i quali
il Vasari accenna fosse ritratto P imperatore Lodovico il Ba-
varo. « E veramente non può anche se non meravigliarsi chi
vede, » scrive egli, « nel portarsi dal clero il corpo di quel Santo
al Duomo, certi preti che cantano; perchè nei gesti, negli atti
della persona e in tutti i movimenti, facendo diverse voci, so-
migliano con meravigliosa proprietà un coro di cantori :... Pa-
rimente, i miracoli che fece Ranieri nell' esser portato alla se-
poltura, e quelli che in un altro luogo fa, essendo già in quella
collocato nel Duomo, furono con grandissima diligenza dipinti
da Antonio ; che vi fece ciechi che ricevono la luce, rattratti che
rianno la disposizione delle membra, oppressi dal demonio che
sono liberati, ed altri miracoli espressi molto vivamente. > '
Abbiamo preferito citare le parole del Vasari, che vide la
storia in miglior condizione di quella in cui oggi pur troppo
è ridotta, piuttosto che darne noi una incompleta descrizione.
E poiché la leggenda narra che l'arcivescovo Villani, gravemente
infermo, al suono delle campane di san Vito che annunziavano
il trasporto del Santo non solo risanasse completamente, ma si
recasse alla porta del Duomo per riceverne il cadavere, il pit-
tore ha rappresentato nel centro della storia entro una loggia
san Ranieri che prende per le braccia l'infermo e lo solleva
dal letto, e altre figure in atto di sorpresa e di commozione
per l'operato miracolo.
Poche tracce rimangono ancora del Duomo e del Campanile,
la cui riproduzione è troppo fantastica, anche per la parte pro-
spettica non molto felicemente resa dall' artista ; ma dove la
maestria del pittore appare maggiore è nelle varie composizioni
di quest' affresco : in quella della morte del Santo ove son con
vivacità e verità ritratti i tipi dei monaci e dei frati, e i vari loro
atteggiamenti ; e meglio non si sarebbe potuto rendere l'affollarsi
delle persone, e il desiderio di vedere e di avvicinarsi tumul-
tuario, così proprio della moltitudine, attorno al cadavere.
1 Voi. I, pag. 665.
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ANTONIO VENEZIANO.
144
Così sono pur con viva naturalezza espressi quei tre bambini
aggruppati, dei quali il primo è riprodotto col volto sorridente,
che pare si divertano all' attraente e così vario spettacolo e non
vedano in questo pietoso atto che una maggiore occasione di
spasso. E dai pochi avanzi che ci è dato ammirare, nobili e gran-
diose ci appaiono le figure dei sacerdoti che sulle spalle traspor-
tano la bara, dai manti scendenti in pieghe larghe e naturali, dai
volti severi e ben compresi dal senso della religione e della pietà.
Era sotto questo secondo affresco la seguente scritta :
COME.....BEATO EANIEEI NELLA CHIESA MAGGIOE DI
PISA. ET ALLA TOMBA SUA VENENDO MOLTI INFERMI CON DI-
VERSE INFERMITADE FURONO TUTTI LIBERATI. ET UN FAN-
CIULLO MORTO ESSENDO CASCATO DA ALTO FU RISUSCITATO.
ET MOLTI ALTRI.....
III.
Ben poco rimane del terzo ed ultimo quadro, tantoché se
non se ne avesse la riproduzione incisa dal Lasinio sarebbe dif-
ficilissimo anzi impossibile tentarne la descrizione.
Nella prima parte del dipinto il corpo del Santo già traspor-
tato alla Cattedrale sta esposto in una cappella alla adorazione
dei fedeli, e tutto il popolo accorre per tributargli onori ; e
poiché nel tempo che la salma fu esposta, e dopo il suo sep-
pellimento il Santo operò molti miracoli, qui ne espresse alcuni
l'artista. È Gena della Pieve dell' Acqua che storpiata da una
mano, per un taglio, ottiene, pregando fervidamente, la guari-
gione ; è il fanciullo Azzolino, attratto, che risana toccando il
sepolcro del Santo ; è uno storpiato che guarisce, è un cieco cui
è ridata la vista, è la figlia di un medico che quasi fatta cada-
vere vien portata dai genitori con un cero in mano al sepolcro
di san Ranieri, e baciatolo riacquista miracolosamente la vita ;
e lasciamo parecchi altri che sarebbe troppo lungo ripetere. Nella
parte destra dell' affresco sono rappresentati altri tre miracoli :
e primo quando il pescatore Chiavello gettate le reti in onore
di san Ranieri n' ebbe in premio tanto pesce per il valore di
quaranta fiorini d' oro ; poi, come il Totti narra, la nave d' un
Uguccione di Gruglielmetto di Rinaldo, sopra la quale era un de-
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ANTONIO VENEZIANO.                                    147
voto di san Ranieri, assalita da gran fortuna, fu salva per voto
fatto al Santo ; « per il che Uguccione fatto voto di mandarvi
uno vestito di lana, in poco spatio di tempo la fortuna cessò,
per il che egli in persona con molti altri andò a visitare il se-
polcro del Beato Ranieri.
» Il detto Uguccione passava con la sua nave tra la Corsica
et la Sardegna, quando assalito da' Saracini toltogli sua nave
fu fatto prigione. In tanta sua disgratia Uguccione si riserbò
un poco della stiavina * di san Ranieri, et spesso sopra quella
lacrimando si raccomandava al Santo. Il capitano della fusta
......, fra gli altri schiavi, comandava spesso Uguccione a
fargli servitii, ond' è che un giorno sceso a terra con gli altri
suoi compagni, Uguccione disse: Stiamo allegri che presto sa-
remo liberi. Li compagni sentendogli dir tal cosa lo pregavano
a tacere perchè il Turcho gli harebbe fatti tutti morire, et egli
più arditamente affermava che doveva fuggire. In quello 'stante
il padrone lo chiamò a far certo servitio, et egli subbito di-
scostatosi dalla galeotta, visto il bello, se ben haveva la catena,
si misse a fuggire invocando san Ranieri. Il Saracino et altri,
correndoli dreto, non lo potettero arrivare, et esso, salito un
colle, passò all' altro capo dell' isola al pie della quale erono due
galere pisane, e subbito raccoltolo et inteso che doppo all' isola
erono le tre galere turchesche, tornate adreto ritrovorno altre
due galere lor compagne, le quali messesi insieme, affrontate
le turchesche, tutte tre le presono et insieme ricattorno la nave
carica di robbe. Così per i meriti di san Ranieri Uguccione con
tutti li suoi compagni restorno liberi. »2
Questi due episodi sono trattati con molta vivacità dal nostro
artista, e bene a proposito scrive il Vasari che fu cosa mirabile
in quei tempi una nave che egli fece in quest' opera, « la quale,
essendo travagliata dalla fortuna, fu da quel Santo liberata;
avendo in essa fatto prontissime tutte le azioni dei marinari, e
tutto quello che in cotali accidenti e travagli suol avvenire. Al-
cuni gettano senza pensarvi all' ingordissimo mare le care merci
con tanti sudori fatigate ; altri corre a provvedere il legno che
1  Abito da pellegrino.
2  Totti, loc. cit.; e. 104* e 105.
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148                                   ANTONIO VENEZIANO.
sdruce ; ed insomma, altri ad altri uffizj marinareschi, che tutti
sarei troppo lungo a raccontare : basta che tutti sono fatti con
tanta vivezza e bel modo, che è una maraviglia. •» 1
Le figure dei pescatori nel primo piano dell' affresco sono
tutte rifatte dai fratelli Melani, e nel fondo son ritratte alcune
parti dei monumentali edifici, ora però appena visibili.
Sotto tutto il dipinto era un tempo la seguente iscrizione :
CO [ME ESSENDO PASSATO DA] QUESTA VITA IL BEATO RA-
NIERI NELLA CAPPELLA DELLA BADIA DI S. VITO. ET ESSENDO
RECATO A DUOMO DAL CHERICATO CON GRAN SOLENNITADE
DI CITTADINI CON INFINITI LUMI IN MANO FECE DI MOLTI E
VARI MIRACOLI. SONANDO ETIANDIO LE CAMPANE DI PISA MI-
RACOLOSAMENTE PER LORO STESSE. E MOLTI ALTRI MIRACOLI
LI QUALI APPARISCANO NELLA SUA LEGGENDA. AMMEN.2
1  Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 665.
2  Queste iscrizioni sono riportate in modo diverso dal Martini (Theatrum
Basilicce Pisana)
e dal Grassi (Descrizione storica e artistica di Pisa). Noi ab-
biamo preferito trascriverle dalla copia fattane nel 1663, ora esistente in un
fascicolo nell'Archivio del Capitolo, ove son anche disegnate a matita rossa
tutte le storie di san Ranieri. Il fascicolo fu inviato alla Sacra Congregazione
dei riti per far approvare le lettioni che si danno, acciò si possino recitare nel
matutino.
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-^
Spinello Aretino.
LE STORIE DEI SANTI EFISO E POTITO.
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Spinello Aretino.
XARASONE GRASSO, Operaio del Duomo, desideroso di far
compiuto con altre pitture quel lato di parete tra le due porte
d'accesso al Camposanto, già illustrato dalle storie di san Ra-
nieri, affidò a Spinello Aretino l'incarico di dipingere alcuni
episodi dei santi martiri Efiso e Potito, le cui spoglie eran cu-
stodite nella Primaziale pisana. Ed è a credersi che nel set-
tembre del 1391 (stile pisano) desse principio il nostro artista
al lavoro, poiché il 23 dello stesso mese furono pagate a Nocco
e Niccolao scalpellini lire 2 e soldi 9 : prò uno die et pauco
temporis àlterius diei quibus steterunt ad attandum pontoni Spi-
netti pictoris pingenti in Camposanto.*
I documenti pubblicati dal Ciampi dicono che Spinello ebbe
fiorini 50 per ciascuna delle tre storie superiori di sant'Efiso, la
qual somma gli fu pagata nel gennaio dello stesso anno (stile pi-
sano) dal successore di Parasone Grasso, Colo di Salmulis, nuovo
Operaio ; e che al 31 marzo del 1392 (stile pisano) s' ebbe fio-
rini 40 d'oro per ciascuna delle due storie inferiori e 50 per l'ul-
tima : « che in tutto montarono a lire pisane 1032. >5 Cosicché Spi-
nello avrebbe condotto a termine tutte quelle pitture nel tempo di
sette mesi appena, non smentendo in tal modo la fama di pron-
tezza e di abilità che era riuscito ad acquistarsi e per la quale
senza dubbio era stato chiamato a Pisa dall' Operaio del Duomo.
1 Arch. dell' Opera. Entrata e uscita, 39, e. 52'.
- Notizie inedite della Sagrestia pistoiese, pag. 103.
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LE STORIE DEI SANTI EFISO E POTITO.
I.
Ha rappresentato il pittore nel primo episodio del primo
affresco il giovinetto Efiso inginocchiato a pie del trono e pre-
sentato dalla madre all' imperatore Diocleziano, allora in Antio-
chia, che sta seduto e circondato dalla sua corte. Nel secondo,
quando il Santo, indossati gli abiti militari e cinta la spada,
riceve in ginocchio dalle mani dello stesso imperatore il bastone
del comando e insieme l'ordine di andare a combattere i cri-
stiani. Nel terzo, il giovine Efiso a cavallo, che, a capo dei suoi
soldati, sta per porre in esecuzione gli ordini ricevuti, allorché
Iddio gli appare e gli ingiunge di non proseguire, anzi di ces-
sare la persecuzione intrapresa contro il popolo a lui diletto.
Il chiarore che sparge attorno 1' apparizione divina è così vivo
ed intenso, che i soldati si chinano abbagliati, nascondendo il
volto dietro lo scudo, mentre altri atteggiano le mani e il volto
a sorpresa e a stupore.
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SPINELLO ARETINO.
155
IL
Nel secondo affresco è la conversione del Santo, quando, dopo
avere abbandonato Diocleziano, al suo arrivo nell' isola di Sar-
degna gli appare il Signore ; ed egli con le mani giunte e il volto
intento pende dalle sue labbra, mentre attorno altri cavalieri
stanno in variati atteggiamenti di sorpresa, di compunzione e di
preghiera. Accanto, è raffigurato un Angelo a cavallo, che conse-
gna a Efiso, inginocchiato, lo stendardo della Fede, mentre quelli
del suo seguito s'inchinano, compresi da meraviglia. E in un
combattimento contro gì' infedeli, svolto nell' ultima parte del
dipinto, con molta vivezza e sentimento, e non poca verità negli
atti e nelle movenze dei singoli guerrieri, V Angelo del Signore
gli ottiene pronta e incontrastata vittoria.
Scrive il Vasari che l'Angelo dette al Santo la bandiera
della Fede, con la croce bianca in campo rosso ; « che è poi
stata sempre l'arme de'Pisani, per aver Sant'Epiro (sic) pregato
Dio che gli desse un segno da portare incontro agli nimici, »
e che nella fiera battaglia appiccata tra il Santo e i pagani,
« Spinello fece molte cose da considerare, in que' tempi che
1' arte non aveva ancora né forza né alcun buon modo d'espri-
mere con i colori vivamente i concetti dell' animo : e ciò furono,
tra le molte altre cose che vi sono, due soldati, i quali, essen-
dosi con una delle mani presi nelle barbe, tentano con gli stoc-
chi nudi, che hanno nell' altra, torsi l'uno all' altro la vita ; mo-
strando nel volto e in tutti i movimenti delle membra il desiderio
che ha ciascuno di rimanere vittorioso, e con fierezza d' animo
essere senza paura, e quanto più si può pensare, coraggiosi. » '
Così ancora fra quelli che combattono a cavallo è bellissimo il
cavaliere traboccato che vien ferito da un fante nel capo, mentre
1' animale alza la testa in atteggiamento di dolore.
Sotto quest' affresco si legge ancora :
____GLI RISPOSE CHE VINCEREBBE. EGLI ANDANDO PRESTO
DA LLUI VIDDE UNO GIOVINO CON UNA INSEGNA DI CROCE
IN MANO E SANCTO EPHISO LO DIMANDÒ CHI ERA E GLI
Vasari, ediz. citata, voi, I, pag. 690.
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156                                     SPINELLO ABETINO.
DISSE CHE [EGLI ERA] A LUI MANDATO IN AIUTO. ALLORA
SI SPOGLIÒ L'ARMI E L'ANGELO GLI DE LA'NSEGNA E DISSE:
SEGUITA ME. MONTARO A CAVALLO COLLE SPADE IN MANO.
VEDENDO QUESTO LI NIMICI SI DIERO IN FUGGA____
III.
Dinanzi al pretore di Sardegna, sotto 1' accusa di aver ab-
bracciato la nuova fede e combattuto in favore $oi cristiani,
è condotto il Santo per essere giudicato ; e il pretore, circon-
dato da una turba di popolo, pronunzia la sentenza, condan-
nandolo ad esser arso vivo in una fornace. Ma con tremenda
sorpresa delle guardie cui spetta l'esecuzione della pena, le
fiamme lasciano incolume il Santo e investono invece violente
gli esecutori, i quali son costretti a darsi a fuga precipitosa.
Salvato così miracolosamente, è però di bel nuovo condan-
nato a morte ; e mentre un soldato, dopo avergli d'un colpo
tagliata la testa dal busto, sta in atto di riporre la spada nel
fodero, gli Angeli trasportano in cielo l'anima del martire gio-
vinetto.
IV.
Nei compartimenti inferiori dipinse Spinello le storie di
san Potito, il quale, convertitosi alla fede cristiana, menando
vita povera e raminga, e campando di elemosine, si era tutto
sacrato al Signore. Giunse nella città Valeriana, consumando
tutto il tempo in orazioni e digiuni, spregiando il demonio, fa-
cendo opere mirabili ; e, dopo ch'ebbe risanata la moglie di Aga-
tone, avvenne che indemoniò una figlia di Antonino impera-
tore, e poiché tutti concordi ritenevano che solo Potito avrebbe
potuto sanarla, l'imperatore mandò i suoi soldati a ricercar il
santo giovinetto. Ma avendo egli soggiunto che ai gentili non
avrebbe servito, il capo dei soldati ordinò che fosse legato e così
condotto alla presenza di Antonino. Al cospetto del quale fu ac-
colto con belle parole e s' ebbe promessa di ricchissimi doni se
avesse fatta libera la figlia; ma Potito rispose che questo non
era in suo potere, e che lo spirito se ne sarebbe uscito nella
parola e nome di Gesù Cristo, al quale si rivolgeva pregandolo
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SPINELLO ABETINO.                                     157
si fosse degnato inspirare il cuore d'Antonino e della sua figlia,
< Antonino che fuor di modo aborriva il sentir nominare Gesù
Cristo, udito questo s'incollerì et si sdegnò contro il giovinetto,
ma la pietà della figliuola gli fece tener occulto 1' odio. Fu con-
dotta qui la giovinetta, e veduta da Potito, facendo egli in sé
medesimo un poco d'orazione, percosse il volto della fanciulla
e lo spirito di subito se n' uscì dalla giovine in forma di drago,
tale come il pittore destramente dimostra.
» Sì, ecc# qui Antonino, la giovane semimorta, Potito e la
turba. »
Così il Totti nel suo dialogo da cui abbiam tratto, abbrevian-
dola, la narrazione.'
V.
Il Vasari nulla dice delle storie relative a Potito, anzi dalle
sue parole parrebbe che le pitture inferiori non si riferissero
a questo Santo se non per il trasporto delle sue ossa a Pisa:
« e in ultimo, quando son portate d'Alessandria a Pisa 1' ossa
e le reliquie di san Potito. ■»
Il Totti invece non parla di questa traslazione e così, breve-
mente riassumendo, illustra gli altri due affreschi :
L'imperatore Antonino obbliga Potito, minacciandolo di gravi
supplizi se disubbidisse, di adorare e sacrificare agli Iddii e di
recarsi al tempio; e poiché il giovinetto questa volta non si rifiuta
d'ubbidire, l'imperatore pensando che avrebbe lasciato la sua
fede, volle arrivarvi prima eh' egli vi giungesse, e dove già la
turba di popolo si accalcava per vederlo. Ma non appena Potito
fu entrato nel tempio ed ebbe alzati gli occhi al cielo, tutte le
statue degli Dei s'infransero e caddero con rumore grandissimo,
mettendo lo spavento nel popolo che ivi era raccolto. Antonino,
non meno del popolo sorpreso e atterrito, ordina allora che s'in-
cateni il giovine ribelle e che il giorno dopo si porti all'anfi-
teatro tra le bestie feroci. E dopo averlo martoriato col ferro
e col fuoco lo calarono tra le belve, che più umane degli uomini,
scrive il Totti, standosi attorno al giovane lo riguardavano man-
suete e pie.
1 Loc. cit., e. Ili1, 112 e 118.
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158
SPINELLO ABETINO.
L'imperatore non ancor sazio di crudeltà, ordinò allora che
fosse trapassato dalle spade, ma le spade colpivano senza ferire.
Allora temendo che le parole del giovinetto potessero diffondere
quella fede ch'egli con tanto accanimento combatteva, ordinò
gli fosse tagliata la lingua : ma fu vano il pensiero perciocché
egli con maggior eloquenza seguitò egualmente a predicare
Gesù Cristo.
« Per il che dal popolo veduto questo gran miracolo quasi
sempre in gran stuolo lo seguiva. Fatto Antonin®. di ciò ma-
nifesto, et i sacerdoti dolendosi che la fede loro vacillasse, et
poco fosse stimato l'editto dell' imperatore contro i cristiani,
comandò senz'altro che dovunque fusse trovato gli spiccassero
la testa dal busto.
» Di subito assalendo il Santo, che sopra al fiume Calabro al
populo predicava il suo Signore Gesù Cristo, gittatolo a terra,
gli secorno il capo, et fu cosa manifesta a gran numero di quella
gente che l'ascoltava, che viddero di quel corpo partire l'anima
a guisa di colomba et salirsene al cielo. Hor questo contiene
tutta questa pittura in questo e quel quadro. » *
VI.
Dai pochi resti che tuttora rimangono di queste tre storie
si può arguire ben poco ; ma nel terzo quadro, poiché nel fondo
è riprodotta la cattedrale, nel prospetto preti oranti e a bocca
aperta in atto di cantare, non v' ha dubbio dovesse essere rap-
presentato il trasporto delle reliquie dei Santi martiri dalla Sar-
degna, e non da Alessandria, come erroneamente scrisse il Vasari.
Negli altri due rimangono ancora alcuni episodi della vita di Po-
lito ; il Santo dinanzi all' imperatore Antonino (le storie inferiori
procedono all' opposto, cioè da destra a sinistra) ; il Santo che
guarisce la figlia dell' imperatore, e nell' ultimo, il più conservato,
diviso in due parti, si vede la galera entro cui son portati da
monaci e da religiosi i corpi dei due martiri, e attorno, su barche
peschereccie, alcuni che traggono dall'acqua le reti, altri intenti
a rassettar le vele o a pescar sulla spiaggia ; poi, il trasporto dei
1 Loc. cit., e. 113, 114, 115.
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SPINELLO ABETINO.
159
corpi alla Primaziale pisana coi sacerdoti in piviale che cantano,
dipinti con molta verità, con un gruppo di tre bambini che si
accapigliano fra loro mentre alcuni dietro sorridono alla scena
fanciullesca.
Giudica il Vasari tutta l'opera per colorito e per invenzione
la più bella, la più finita e la meglio condotta che facesse Spinello,
e sebbene il Lanzi trovi esagerato l'elogio e affermi che egli è in
quel luogo kaferiore ai competitori per la secchezza del disegno e
per la scelta dei colori « ove assai frequenta il verde e il nero
senza equilibrarli abbastanza, > bisogna convenire che 1' artista
non appare preoccupato che di darci l'insieme e il movimento,
con un disegno franco e risoluto, sebbene troppo spesso riesca
trascurato e difettoso nelle proporzioni. Nel colorire poi egli esa-
gera le tinte così da render la sua pittura un po' stridente e
cruda ; ma questi difetti non giustificano l'affermazione del Ro-
sini, il quale, stimandolo mediocre artefice, scrisse che la perdita
di alcune pitture di Spinello è stata di picciol momento ; ' e che
se F opera del Camposanto pisano fu la migliore di lui, egli fu
il meno valente degli artefici che in questo luogo operarono.4
Francamente Spinello non merita così acerba e grave censura.
Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag. 108.
Storia della pittura italiana, voi. II, pag. 170.
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;
Francesco da Volterra.
LE STORIE DI GIOBBE.
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Francesco da Volterra.
n
Un po' per esagerato spirito di campanile, il quale faceva
imaginare ai Pisani che al Camposanto avessero lavorato i più
grandi e celebrati artefici, un po' per la leggerezza o gli errori
degli storici che le fantastiche e popolari attribuzioni presero
per buone, fatto si è che al lume della critica, una gran parte
di queste attribuzioni sfuma e si dilegua a un tratto lasciandoci
vedere, ben diversa, la verità storica. Così nel posto di Buffal-
macco abbiam dovuto accennare all' intervento più probabile di
un artista pisano, e dovrem poi, per le storie della Genesi, porre
il nome di Pietro di Puccio ; così le pitture volute dell' Orcagna
e del Lorenzetti abbiamo dovuto invece ascrivere alla scuola
pisana ; le storie di san Ranieri attribuite a Simone di Martino
abbiamo dimostrate di Andrea da Firenze, e gli affreschi asse-
gnati a Giotto si vogliono ormai, per comune giudizio, di Fran-
cesco da Volterra.
Ma il Rosini (già in principio abbiamo accennato e qui gio-
verà ripetere) vuole in tutti i modi che Nello di Vanni pisano
lavorasse a queste pitture e sotto la disciplina del sommo artista
fiorentino, scrivendo, che « il solo monumento certo che resta
di lui è l'ultima storia fra quelle di Giotto; » e in nota ag-
giunge, che « Nello terminò l'opera e l'argomento di Giotto. »f
Ora, poiché lo storico pisano fa dire al Totti tutto il contrario
1 Storia della pittura italiana, pag. 7 e 23, nota n° 7.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.
164
di quello eh' egli ha scritto, sarà opportuno ripetere come gli
affreschi, i quali illustrano le storie del pazientissimo Giobbe,
e pei caratteri e per i documenti siano da tenere per opera di
un seguace della maniera giottesca, e precisamente di Francesco
da Volterra, il quale sappiamo che fu a Pisa fino dal 1346, per
aver dipinto in quell' anno un quadro da altare per il Duomo.1
Il Vasari poi, tra gli ascritti al vecchio libro della Compa-
gnia dei pittori, ricorda un Francesco di maestro Giotto intorno
al quale non dà però alcuna notizia, e il registro da cui è tolta
la indicazione e' informa che questo Francesco fu annoverato
nella Corporazione fino dal 1341. Cosicché giustamente riten-
gono i signori Cavalcaselle e Crowe, che Francesco da Volterra
e Francesco di maestro Giotto non debbano essere che una sola
persona.2 Ci è noto altresì, per la notizia pubblicata dal Bonaini,
che nel 1358 Francesco fu eletto al gran Consiglio del Popolo
pei mesi di luglio e di agosto, insieme con Giovanni di Nicola,
pittore pisano.3
* *
Per un antico documento si vuole che le storie di Giobbe
nel Camposanto fossero cominciate il 4 di agosto del 1371 ;A ora
poiché il 3 di agosto cadeva di sabato, nel qual giorno sono
pagati i pittori Cecco di Pietro, Neruccio e Francesco da Vol-
terra, secondo l'uso dell' amministrazione dell' Opera, non sap-
piamo quanto sia attendibile la notizia dal momento che non è
possibile ammettere che proprio di domenica si cominciassero
a lavorar quelle storie ; ma ammesso anche, cosa del resto più
probabile, un errore nel giorno, poiché la prima partita che s'in-
contra nei registri della Primaziale e riguardante Francesco
da Volterra porta la data del 27 aprile 1371, e le storie si vo-
gliono cominciate ai primi di agosto, bisognerà spiegare la dif-
ferenza col fatto che nei tre mesi precedenti il pittore fosse
occupato in qualche altro lavoro, molto probabilmente nel re-
1  Cavalcaselle e Cbowe, Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 80.
2  Ivi, pag. 82.
3  Bonaini, Memorie inedite di disegno, pag. 94, nota n° 4.
*  Cavalcaselle e Crowe, Storia della pittura in Italia, voi. II, pag. 80.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.                              165
stauro dei più vecchi affreschi già esistenti. E invero il 12 mag-
gio, quando ancora egli non aveva principiato le storie di Giobbe,
Iacopo di Ghele, battiloro, fu pagato dei pezzi d' oro battuti,
positis nuper in renovatìone et reactatione picturanmi Campi-
sancii ;
1 e il 2 di agosto dell' anno successivo l'Operaio paga
a Francesco da Volterra lire 60, soldi 16 e danari 8, ___quos
ab Opera recipere debebat per amrro et aliis color (bus, colla, ovis
et aliis rebus prò eum emptis et positis in picturis et reattationem
picturarum prò eum et socios actenus factis
... ; - e ciò a conferma
che gli artisti sopra citati restaurarono alcuni degli affreschi sino
allora fatti,
e rinnovarono F oro, certo annerito o perduto, at-
torno alle teste dei Santi.3
Con Francesco da Volterra troviamo a lavorare Neruccio di
Federigo e Berto d'Argomento da Volterra, garzone, ossia puer
suprascriptorum pictorum.
Nel 1371, ai 3 di agosto, comparisce nei
registri il nome di Cecco di Pietro, pittore pisano della cappella
di san Simone di Porta a Mare, e vi rimane sino al dicembre
dello stesso anno per ricomparire soltanto al 31 giugno del suc-
cessivo. E per poche settimane, dall'agosto '71, s'incontra il
nome di Iacopo di Francesco, pittore, una volta detto de Roma,
e un' altra de Vulterris. Queste le notizie che abbiam potuto
raccogliere ; e ne risulterebbe che Francesco da Volterra lavorò
agli affreschi del Camposanto per circa nove mesi, con gli aiuti
suoi, nel qual tempo avrebbe date finite le storie di Giobbe, che
sin poco fa andavano sotto il nome di Giotto.
In quanto agli aiuti e intorno al loro artistico valore non
ci pare fuor di luogo di trascrivere qualche particolare notizia.
Di Neruccio di Federigo, pittore pisano della cappella di san Si-
mone a Porta a Mare,4 ci è noto, che nel 1368 con Paolo di Giunta,
anche pittore, dipinse e racconciò i tabernacoli del Duomo ;:'
1  Arch. dell' Opera. Entrata e uscita, 17 turch,, e. 56, 56', 58*.
2  Ivi, 19 turch., e. 135.
3  Ivi, 19. e. 154.
4  Entrata e uscita, 1372, xx settembre.
5  Ivi, 1368. e. 52.
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166                              FRANCESCO DA VOLTERRA.
che nel 1370 ebbe 2 lire per aver lavorato a quattro imma-
gini nell'impannate d'una finestra della casa stessa dove abi-
tava l'Operaio,1 e che ai 20 di settembre dello stesso anno
gli vennero pagati 9 soldi e 7 denari, per il restauro e la pit-
tura di armi o scudi che fece nella casa dell' Opera per ordine
degli Anziani.2
Il Da Morrona ricorda una tavola da lui dipinta esistente
nella chiesa di Pugnano, presso Rigori, ove l'artista lasciò il
suo nome ; povera e veramente disgraziata pittura,, intorno alla
quale non sappiamo come lo storico pisano potesse scrivere
« che con maniera niente affatto inferiore alla giottesca e quasi
nuova dipinse la sua Madonna col Bambino ; >3 perchè seb-
bene soverchiamente deturpato dai restauri questo lavoro ci
mostra, nelle parti rimaste intatte, scarsa la valentia dell' ar-
tista, e la inferiorità sua anche rispetto ai men felici pittori
del suo tempo.
Di Berto d'Argomento le notizie sono poche e di minore im-
portanza ; ciò che si spiega bene con 1' epiteto che 1' Operaio
gli attribuisce nei registri di amministrazione di puer supra-
scriptorum pictorum.
Dipinse infatti una camera nella casa del-
l' Opera, e i travicelli e i regoli del tetto, e fece altri lavori,
che sebbene non specificati non dovevano discostarsi di troppo
dal genere elei sopra detti.
Maggiori e più compiute notizie possiamo dare invece intorno
al pisano Cecco di Pietro, della cappella di san Simone di Porta
a Mare, il quale fu anche Anziano del Popolo nel quartiere di
Ponte per i due mesi di gennaio e febbraio del 1380. Il Ciampi
ricorda una Natività della Vergine dipinta per la chiesa di
san Pietro in Vincoli nel 1386, oggi perduta ; di lui rimangono
ancora in Pisa tre dipinti che attestano il suo limitato valore
e confermano il severo ma giusto giudizio dei signori Cavalca-
sene e Crowe : « Le figure, » scrivono essi, « hanno forme magre
e meschine, con movimento ricercato, e rozzamente eseguite.
I caratteri in generale.... ricordano siffattamente la Scuola se-
1  Tanfani, Santa Maria di Pontenovo, pag, 125, nota n° 1.
2  Entrata e uscita, 1872 (45), e. 77'.
3  Da Morrona, voi. II, pag. 430. Il quadro è ora all' altare laterale, a
destra di chi entra in chiesa.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.                              167
nese, da far credere l'autore piuttosto un mediocre seguace della
maniera di Luca Tome che di Taddeo di Bartolo. > l
Nel 1379 sappiamo che attendeva a racconciare il Lucifero
del Camposanto.
■X- *
Non sarà dunque per mano di questi aiuti che Francesco
da Volterra,potè migliorare l'opera sua, la quale è forse, fra
tutte le altre del Camposanto, quella che si trova ridotta in
peggiore stato di conservazione. Già dal Vasari abbiam ripor-
tato quant' egli ha lasciato scritto a proposito delle misere con-
dizioni di questi affreschi; meglio ancora vedremo, dal Totti,
il quale così narra le cause della rovina : « Questo quadro a
mio tempo è venuto così scolorito per causa che l'Operaio di
quell' anni, volendo far rassettare il tetto suto scoperto, vi piovve
sopra, non perchè fussi suo difetto, ma per una certa emula-
tione che da un certo Lorenzo Rau gli fu mosso contro, per il
desìo che haveva di maneggiare l'entrate di quest' Opera dalla
quale son mantenute queste fabbriche. Costui, havendo fatto ri-
chiamare a Fiorenza Raffaello Setaiuolo, Operaio, havendogli
fatto molte accuse e datogli molte brighe, essendo vecchio et
avvezzo a stare negli agi suoi, non sapendo difendersi, vi se ne
morì miseramente in carcere. Ma il Rau, che era entrato ne' suoi
piedi, pochi mesi di poi da un giovanetto di Casa Lante ferito
d'un colpo su la testa se ne morì, et così dette fine ai suoi vani
appetiti. Per queste risse restato il tetto discoperto, vi piovve
sopra .... et fu causa che i suoi colori svanirno et dall' acqua
furon portati via, et fu un danno veramente per la memoria
di quel pittore. »2
1  Storia della pittura in Italia, voi. Ili, pag. 315.
2  Loc. cit., e. 124* e seg.
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LE STORIE DI GIOBBE.
I.
Rappresentò il nostro artista, nel primo scompartimento,
Giobbe, quando somministra il vino ai poveri, e quando seduto
ad un sontuoso convito, sotto un ricco portico, è circondato da
numerosi servi e da ancelle che apprestano i cibi, mentre al di
fuori alcuni suonatori allietano la mensa del ricco signore ; e
sul terrazzo del portico e alle finestre sono affacciate alcune
figurine in atto di curiosità e di diletto. Accanto, a dimostrare
maggiormente le ricchezze di Giobbe, sono figurate mandre di
buoi e guardiani a cavallo, e animali d' ogni specie, sparsi pel-
le balze di una fiorente ed ubertosa campagna.
Della primitiva iscrizione non rimangono che questi fram-
menti : .... ET EBBE MOLTI FIGLIUOLI. CIOÈ SETTE MASCHI
E TRE FEMMINE. E FUE CON MOLTA RICCHESSA. E FUE GRANDE
ELIMOSINIERI. FACEA BENE E GUARDAVASI DAL MALE. E TE-
MEVA DIO NOSTRO SIGNORE. E FUE GRANDE SIGNORE NELLE
PARTI D'ORIENTE.
IL
Nel secondo scompartimento, al Redentore, seduto in trono
dentro una mandorla e circondato da Angeli, si presenta il demo-
nio, dai pie caprini, dalle ali di pipistrello, e dal torso avvinto
da un immane serpente, per chieder la facoltà di perseguitare
Giobbe negli averi e nella famiglia; e mentre gli armenti suoi
pascevano tranquilli, ecco Satana eccitare i Sabei ad assaltar le
mandrie ed i guardiani, e a farne orribile scempio. Il pittore ci
mostra in alto il demonio che incita gli assalitori, alcuni guar-
diani uccisi o feriti, e altri che spingono innanzi le bestie per
sottrarsi alla strage : ma uno solo si salva nascondendosi in una
rupe, quello stesso che dovrà recare a Giobbe la triste novella.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.
171
Vivaci e pronti nei movimenti i guardiani che col pungolo
spingono innanzi le bestie per sottrarle e sottrarsi insieme alla
strage ; non men naturali quelli di coloro che si difendono dagli
assalitori o ne rimangono vittime. Così, nella parte destra del-
l'affresco, son resi con evidenza gli atteggiamenti dei pastori,
atterriti dalla pioggia di fuoco : uno di loro caduto in terra alza
il braccio in atto di difesa e di pietà ; un altro, coprendosi col
mantello il .capo e la persona per sottrarsi alle fiamme, fugge
precipitosamente.
III.
Nella prima parte del terzo scompartimento superiore si vede
QUANDO I CALDEI TOLSENO A GIOBBO TRE MILIA CAMMELLI,
secondo si legge sotto 1' affresco ; invece il Totti spiega questa
scena narrando, che il demonio fece muovere un violentissimo
turbine, e da quattro parti dell' aria un orribile vento, che fece
rovinare le case dove i figli del servo di Dio facevano, insieme
con le sorelle, un sontuoso convivio. « Per tal rovina, siccome
vedete dimostrata dal pittore, morendo qualunque in essa casa
era, solo uno ne scampò che portò la dolorosa nuova, le quali
l'una dietro all'altra sentendole Giobbo, et conosciuto il saper
di Dio, gittatosi in terra, accettando benignamente et con pa-
tienza quanto permesso haveva, lodandolo disse : se noi hab-
biamo ricevuto bene da Dio hor perchè non possiamo anche
sofferire il male ? » 1
Di tutto questo affresco non rimane che l'ultima parte, ove
il pittore ha posto sotto un portico il santo uomo genuflesso,
con le mani giunte in atto di rivolgersi a Dio, mentre davanti
a lui stanno due figure inginocchiate in aspetto umile e dimesso.
Accanto, in piedi, alcuni vecchi sembrano meravigliati della per-
sistente fede di Giobbe ; e sono queste le figure meglio conser-
vate, che ci attestano la valentia dell' artista nel dare espressione
ai volti, proporzione alle figure, e.verità agli atteggiamenti.
1 Loc. cit., e. 183'.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.
172
IV.
Segue l'affresco di cui non rimane che un frammento, e non
antico, eli baldacchino, essendo tutto il resto andato perduto.
Sappiamo però che il primo quadro, fra le storie inferiori, fu
tutto ridipinto nel 1616 da Stefano Maruscelli, il quale nel 1615,
ai dì 13 di marzo, ebbe 70 lire a conto della pittura della storia
di Giohbo che fa in Camposanto,1
per il qual lavoro il 7 di feb-
braio si pagarono lire 14 a maestro Iacopo di Giovanni mura-
tore, per sua mercede di avere scalcinato e arricciato un quadro
grande nel Camposanto, dove va dipinto una storia di Giohbo,'2
e che nel 1616, a dì 8 di luglio, lo stesso Maruscelli ricevette du-
cati 41 per suo resto di ducati 75 di moneta, sono per pittura della
storia di Giohbo, fattone un quadro in Camposanto.*
Ma poiché
anche il restauro seguì la sorte dell' originale, ci pare inutile
indagare quel che vi fosse rappresentato ; e seguitando F altro
appresso riprenderemo la storia narrando come Satana, sebbene
sconfitto, non si desse per vinto ; anzi, ottenuto da Dio di poter
percuotere Giobbe nella carne, gli inflisse così terribili piaghe,
e tutto il corpo gli ridusse in sì miserevole stato, che nessuno
poteva stargli dappresso. Incitò Satana dapprima la moglie, che
si die a consigliare il marito a maledire il Signore ; poi il demo-
nio mosse quei tre amici, che il pittore ha rappresentato presso
Giobbe, i quali con la scusa di una visita lo punsero acerbamente,
e avrebbero voluto costringerlo alla disperazione e quindi a im-
precar Dio. Ma riuscita vana pur quest' ultima prova, Dio stesso
apparve loro e li ammonì di purgarsi con un sacrificio per aver
così male parlato davanti al suo servo : nell' ultima parte del
quadro infatti gli amici col loro seguito conducono gli armenti
all' altare, per sacrificarli in espiazione dei loro peccati.
In questo affresco sono ben resi i movimenti delle diverse
figure, e nel fondo si ammira la veduta prospettica di una città,
ricca di edilizi, concepiti con fantasia, e disegnati con non co-
1 Entrata e uscita, 265 turch., e. 55'.                        2 Ivi, e. 55.
3 Ivi, 266, e. 41.
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FRANCESCO DA VOLTERRA.
175
mune abilità. Il Vasari fra le varie figure di questo affresco
ricorda quella d'un servo che « con una rosta sta intorno a
Iobbe piagato, e quasi abbandonato da ognuno : e come che ben
fatto sia in tutte le parti, è meraviglioso nelP attitudine che fa,
cacciando con una delle mani le mosche al lebbroso padrone e
puzzolente, e con 1' altra, tutto schifo, turandosi il naso per non
sentire il puzzo. » ' Ma il servo, che oggi invano si ricercherebbe
nell'affresco, non si trova nemmeno riprodotto nella incisione
del Lasinio ; e sarebbe invero un po' strano che questa « me-
ravigliosa figura, > per la quale il Vasari ha tanti elogi, fosse
soltanto creazione della sua troppa immaginosa fantasia.
V.
Dell' ultimo affresco non rimangono che pochi frammenti di
vesti e di animali, essendo tutto il resto coperto dal monumento
Algarotti e dall' intonaco.
« Avendo dunque Iddio, » così termina il Totti, a cui siam
dovuti ricorrere per meglio illustrare queste pitture, « avendo
dunque Iddio provata la pazienza del suo servo (sì come benis-
simo vedete in questo ultimo quadro), e tutto essendo reassunto
al suo primo grado, rèsali la sanità, dice la sacra historia della
Scrittura, che ritornorno da Giobbe tutte le sue sorelle et amici,
et che si gli raddoppiorno tutti gli armenti così delle pecore come
le mandre de buoi, et asini et il gran numero de' cammelli che
furono quattordicimila; et rihavuto figli furono a numero sette:
quattro maschi e tre femmine ; le quali fanciulle furono di tanta
beltà, che la scrittura sacra fa di queste special mentione. Visse
dopo questi flagelli 140 anni, e vidde i figli de' figli, et felicis-
simo morì. > 2
VI.
Scrive il Rosini che se Giotto avesse conosciuto la prospet-
tiva come conosceva il segreto della espressione, nulla manche-
rebbe a tale pittura ; ma pur cambiando il nome dell' artista,
1' accusa non è meritata, perchè così nella veduta della città
Voi. I, pag. 382.
2 Loc. cit., e. 134.
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176                              F1UNCES00 DA VOLTERRA.
come nello sfuggire della montuosa campagna l'effetto del vero
è sempre raggiunto con molta arte. È piuttosto da deplorare
che tutti questi freschi siano ridotti dal tempo e dall' incuria in
così miserevole stato : ma da quanto rimane ancora 1' artista si
dimostra abile nella riproduzione delle scene, vivace nelle va-
riate composizioni dei gruppi, diligente nello studio e nella ri-
produzione delle forme.
Osservano giustamente i signori Cavalcasela e Crowe come
il pittore con queste storie non si allontani dai grandi precetti
di Giotto ; e invero alcuni tipi e alcune figure si fanno notare
per una maniera larga e grandiosa, e, giudicando da quel che
oggi rimane, si riconosce che il loro colorito doveva esser caldo
e vigoroso nelle tinte, e distribuito con molto studio e accura-
tezza.1 Il Vasari vorrebbe che in queste storie fosse il ritratto
di Farinata degli Uberti, ma noi non sapremmo ove ora indi-
carlo, e forse sarà tutta una fantasia dello storico aretino, il
quale aggiunge che vi sono molte belle figure ; « e massimamente
certi villani, i quali nel portare le dolorose nuove a Iobbe, non
potrebbono essere più sensati né meglio mostrare il dolore che
avevano per i perduti bestiami e per l'altre disavventure, di
quello che fanno.... Sono, similmente, l'altre figure di queste sto-
rie, e le teste così de' maschi come delle femmine, molto belle ;
e i panni in modo lavorati morbidamente, che non è maraviglia
se quell' opera gli acquistò in quella città e fuori tanta fama. »8
Questo era l'elogio fatto a Giotto ; e noi mantenendolo per Fran-
cesco da Volterra, aggiungeremo eh' ei non deve avere limitata
la sua opera ai dipinti del Camposanto ; e per i caratteri di so-
miglianza che si riscontrano fra questi e gli affreschi nel refet-
torio di santa Croce a Firenze rappresentanti alcuni episodi della
vita di san Francesco, e quelli della sagrestia d'Ognissanti, i si-
gnori Cavalcasene e Crowe non son lontani dal credere che tutti
questi lavori possano essere stati eseguiti dal medesimo artista,
il quale si dimostra valente seguace della maniera del grande
maestro fiorentino.3
1 Voi. II, pag. 84.                                                     2 Voi. I, pag. 382.
3 Storia della pittura in Italia, voi. II, pag, 84.
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Pieteo di Puccio.
LE STORIE DELLA GENESI.
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Pietro di Puccio.
(jtli affreschi che Pietro di Puccio venne a dipingere a Pisa,
invitato dall'Operaio Parasone Grasso, nel 1389, furono attribuiti
a Buffalmacco dal Vasari e da tutti gli altri che han copiato o
seguito le affermazioni dello storico aretino, finché il Ciampi
per primo pubblicò i documenti che si riferivano a Pietro di
Puccio e alle sue pitture del Camposanto.
Nel 1389 (stile pisano) un Cola, vìator de Urbeveterj, come
si legge nel registro dell' Opera, figlio di Giglio da Orvieto,
andò al paese natio con una lettera dell' Operaio per chiamare
maestro Pietro, pittore e mosaicista, ut venirci ad pingendum
in Camposanto ;
e ai primi del mese di ottobre il pittore giunse
a Pisa, ove appena arrivato lo colse una malattia che gli im-
pedì di mettersi subito al lavoro. I libri di amministrazione ser-
bano i ricordi dei denari spesi dall' Opera per maestro Ugolino
da Montecatini, medico, e Martino speziale, durante la malat-
tia di Pietro da Orvieto ; il quale, appena ricuperata la salute,
détte principio alle storie della Genesi nella parete di tramon-
tana, e questo può credersi avvenisse ai primi di novembre dello
stesso anno.
Il Vasari scrive, che essendo condotto Buonamico a Pisa, di-
pinse nella Badia di san Paolo a Ripa d'Arno, allora de'monaci
di Vallombrosa, «.... molte storie del Testamento vecchio ....,
ed essendo molto piaciute ai Pisani l'opere sue, gli fu fatto fare
dall' Operaio eli Campo Santo quattro storie in fresco, dal prin-
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180                                         PIETRO DI PUCCIO.
cipio del mondo insino alla fabbrica dell'arca di Noè, ed intorno
alle storie un ornamento, nel quale fece il suo ritratto di natu-
rale ; cioè in un fregio, nel mezzo del quale, e in su le quadra-
ture, sono alcune teste, fra le quali (come ho detto) si vede la
sua con un cappuccio. » '
Ma il ritratto, potrà dirsi, come afferma il Ciampi, che in-
vece di quello di Buffalmacco sarà stato piuttosto eli Pietro cui
pei documenti pubblicati appartengono oggi gli affreschi ?
Il lotti, parlando di queste pitture, dice : « Questo disegno
del mondo vogliono alcuni che sia stata fattura di Buonamico
Buffalmacco pittor fiorentino, et altri di mano di Taddeo da Siena,
siccome in certi ricordi antichi s'è trovato notato ; e perchè Gior-
gio Aretino in quel suo libbro dei Pittori afferma essere stato il
Buonamico, et mostra haverne ritrovato il vero ritratto in quel
fregio, sotto l'arca di Noè, il che come l'habbia investigato non
posso immaginarmi, ma essendo pur di necessità che di qualche
luogo 1' habbia cavato, terremo esser mano del Buonamico. » 2
Lasciando dunque che il Rosini, nonostante i documenti pub-
blicati, scriva che « siccome per altro la tradizione più costante
attribuisce queste pitture a Buffalmacco, di lui parlerà lasciando
la disputa nello stato in cui si trova, »3 e lasciando che il Ciampi
per rispetto al Vasari, che vuole l'Incoronazione della Vergine di
Taddeo Bartoli, attribuisca all' artista senese i restauri operati
in quella pittura,4 noi ci atterremo ai documenti, i quali chia-
ramente mostrano, che Pietro di Puccio fu l'autore delle storie
della Genesi e dell' Incoronazione della Vergine sulla porta della
cappella Aulla, un tempo del Barbaresco.
Le notizie che abbiamo del nostro artista son ben limitate,
come del resto limitato è il valore artistico delle opere sue.
Dal 1370 al 1378 fu con Ugolino di Prete Ilario a lavorare nel
coro del Duomo di Orvieto insieme con Niccola da Orvieto ; ed
1  Voi. I, pag. 511-513.
2  Loc. cit., e. 138.
3  Descrizione della pitture del Camposanto, pag. 126.
4  Notizie inedite della Sagrestia pistoiese, ec, pag. 98.
I
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PIETRO DI PUCCIO.
181
è facile giudicare qual parte egli vi possa aver avuta dal fatto,
che Ugolino ebbe la commissione e la direzione di tutto il la-
voro. Nel 1387 lo troviamo occupato ai mosaici della facciata,
ove lavorava ad alcune figure col salario di quattro fiorini al
mese ; nel 1389 infine si recò a Pisa ove lasciò senza dubbio il
saggio più notevole ed importante dell' abilità sua.
Pesanti le figure, duri i contorni, piccole e depresse le teste,
le estremità scorrette, le fisonomie volgari confermano il giudi-
zio ormai generale intorno al valore del nostro artista, il quale
migliore si palesò nella Incoronazione della Vergine, nel rispetto
almeno della composizione, grandiosa, ben disposta e non priva
di artistico pregio. Egli è seguace della scuola senese, e ciò sarà
di scusa al Vasari se ritenne quest' ultimo affresco, perchè su-
periore agli altri dello stesso Pietro, di Taddeo Bartoli.
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LE STORIE DELLA GENESI.
Nel primo quadro è rappresentato Iddio Padre;' che dritto
in piedi, vestito di una lunga tunica, dal volto non privo di
grandiosità e di espressione, dai capelli spartiti nel mezzo che
gli scendono ad anella sulle spalle, sorregge con ambe le mani
« la macchina tutta dell' Universo, » ove il pittore rappresentò, per
seguitare con le parole stesse del Vasari, « le gerarchie, i cieli, gli
angeli, il zodiaco e tutte le cose superiori insino al cielo della
luna ; e poi 1' elemento del fuoco, l'aria, la terra e finalmente il
centro. » Per riempire i due angoli inferiori, fece, in uno, sant'Ago-
stino e nell' altro, san Tommaso d'Aquino ; e per dichiarare la
storia poeticamente, come allora sempre usavano, scrisse a'piedi
in lettere maiuscole, come si può ancora vedere, questo sonetto :
VOI OHE AVVISATE QUESTA DIPINTURA
DI DIO PIETOSO SOMMO CREATORE,
LO QUAL FÉ1 TUTTE COSE CON AMORE,
PESATE, NUMERATE ED IN MISURA ;
IN NOVE GRADI ANGELICA NATURA,
i' NELLO EMPIRIO CIEL PIEN DI SPLENDORE,
COLUI CHE NON SI MUOVE ED È MOTORE,
CIASCUNA COSA FECE BUONA E PURA,
LEVATE GLI OCCHI DEL VOSTRO INTELLETTO,
CONSIDERATE QUANTO È ORDINATO
LO MONDO UNIVERSALE ; E CON AFFETTO
LODATE LUI CHE l' HA SÌ BEN CREATO ;
PENSATE DI PASSARE A TAL DILETTO
TRA GLI ANGELI, DOV'È CIASCUN BEATO.
PER QUESTO MONDO SI VEDE LA GLORIA,
LO BASSO, E IL MEZZO E L'ALTO IN QUESTA STORIA.1
Vasari, ediz. citata, voi. I, pag. 513 e 514.
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PIETKO DI PUCCIO.                                      185
■■■§'
II.
Nel secondo affresco sono in un sol quadro raccolti sette
episodi della Scrittura. E prima, quando il Signore solleva dalla
terra l'uomo. Sopra, circonscritto da mura merlate, il Paradiso
terrestre, con due porte laterali, e Iddio, circondato da Angeli,
vi accompagna Adamo e gli addita l'albero del bene e del male.
Accanto, il «attore mostra Adamo addormentato presso un fonte,
mentre Dio gli fa uscire dalla costa Eva; e la storia termina
con la rappresentazione di Eva tentata dal serpente, che offre
il pomo al compagno, ed entrambi che vergognosi si nascondono
alla voce di Dio, il quale appare in alto circondato da una gloria
di cherubini. Due Arcangeli, che nella foggia del vestire ricor-
dano quelli nelP affresco del Giudizio Universale, stanno alla
porta del Paradiso uno a guardia dell' ingresso, 1' altro con la
spada rivolta ai due progenitori in atto di scacciarli, mentre essi
sono ritratti vergognosi e dolenti per la sentenza che li ha colpiti.
Nel centro dell'affresco, nel primo piano, Adamo è intento a la-
vorare la terra, mentre Eva gli siede appresso, su di un masso,
col bambino in grembo.
Gonfie le faccie delle figure, specie quelle di Adamo e del
Creatore, e prive d'espressione ; scorretto il nudo ; né ci pai-
merito sufncente quello di aver mantenuto la stessa fisonomia
alle figure nei vari soggetti, come afferma il De Rossi,1 quando,
come nel caso nostro, quelle fisonomie sono così volgari da ap-
parire talvolta vere e proprie caricature.
Segue la storia di Caino e Abele che sacrificano a Dio, l'uno
sterili biade, l'altro i primi frutti del suo gregge : un fuoco che
scende dal cielo al sacrifizio di Abele mostra il gradimento del
Signore per le offerte di lui. Nel mezzo del quadro Caino che
uccide il fratello, e più in alto il Signore fra le nubi che lo
1 Lettere sul Camposanto, in Eosini, Descrizione delle pitture, ec7 pag. 137,
nota.
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PIETRO DI PUCCIO.
186
chiama e gli grida : CAINO, CHE FACESTI DI TUO fratello ?
e all' arrogante risposta di lui, Iddio lo maledice sino alla set-
tima generazione, condannandolo a condurre vita raminga.
Accanto, vediamo Lamech, nipote di Caino, dedito alla cac-
cia, accompagnato da un giovinetto. Il quale, avendogli addi-
tata per errore, come nascosta in un cespuglio, una fiera, mentre
non era che Caino che riposava, Lamech tirando 1' arco 1' am-
mazzò ; laonde accortosi eli aver ucciso un uomo e non una
bestia dando 1' arco sulla testa del giovine 1' uccise. Ma se il
pittore in questo affresco ha rappresentato Caino con aspetto
torvo e cattivo, e con la fisonomia, come scrive il Rosini, che
denota la bassezza unita alla ferocia e al terrore, non è riescito
a dare al volto del fratello quel carattere di dolcezza, di bontà
e di mansuetudine che doveva appunto far palese il contrasto
esistente fra loro ; la figura del vecchio Lamech, che con la
mano sempre alzata mostra di aver pur ora scoccata dall' arco
la freccia, non manca di verità e di vivace e naturale espres-
sione, come è ben riprodotto nel movimento delle mani portate
alla testa l'atto di disperazione del fanciullo spaventato e sor-
preso per la disgrazia avvenuta.
Vuole il Rosini che il colorito anche in questo quadro sia
per quei tempi meraviglioso, e aggiunge, che « il sangue che
cade dalla ferita del giovine, non men che quello che versa
Abele dalla testa, è dipinto con tal naturalezza, che destò, come
dice la tradizione, la meraviglia di tutto il popolo che in gran
folla ad ammirar vi concorse. » Ma ben a proposito il De Rossi
osserva, che sarà ben dipinto il sangue che sgorga dalla fronte
di Abele, e quello che gronda dalla ferita eli colui che è ucciso
da Lamech ; ma non son queste le cose che possono rendere ap-
prezzabile la pittura.1
IV.
La storia di Noè è rappresentata nell' ultimo affresco. A si-
nistra, l'Angelo del Signore che comanda la costruzione del-
l' arca, poi, molti operai intenti al lavoro sotto la sorveglianza
1 Loc. cit,, pag. 132-137.
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PIETRO DI PUCCIO.
189
del patriarca : chi pialla, chi col compagno sega una trave, chi
prende delle misure, chi col succhiello fora il legno ; figure
tutte ben messe in attitudine, come scrive il Totti. Quindi si
vede l'arca sulle cime dei monti, e Noè affacciato che scorge
tornar la colomba col ramoscello d'olivo nel becco, mentre
ai pie delle balze sono alcuni cadaveri di affogati.
Nell'ultimo scompartimento è rappresentata l'ara del sacri-
ficio, e Noè e i suoi genuflessi che ringraziano il Signore, mentre
molti animali, di variate specie, fanno corona intorno a loro.
Severamente giudica questo ultimo affresco il Rosini, no-
tando il danno che deriva dalla mancanza d'arte nel degra-
dare l'avanti e l'indietro, poiché « passando alla fabbricazione
dell'arca, che occupa pressoché tutto il primo spartito, la stessa
figura di Noè ripetuta due volte è posta sì male, che ambedue
sono insieme attaccate, l'una volgendo all'altra le spalle. » E pur
elogiando la parte che rappresenta la fabbricazione dell' arca,
per la verità dei volti e delle attitudini, ma in specie nelP at-
tenzione di due figlie, colla moglie di Noè, e soprattutto nelle
mosse dei falegnami, che occupati si mostrano ai loro lavori,
trova il resto, specie nella scena del sacrifizio, assai grossolano.
Sotto l'affresco si legge :
COME____ANEGANDO TUCTI PER AQUA SE NON OCTO IUSTI
CIOÈ NOÈ E LA DONNA SUA E TRE FIGLIUOLI E TRE LORO
DONNE LI QUALI SCAMPARO I NELL' ARCHA. LA QUALE FECE
NOÈ PER COMANDAMENTO DI DIO. ET POI CHE CESSÒ LA PIOVA
MANDÒ FUORE NOÈ LO CORBO A VEDERE SE LA TERRA ERA
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PIETRO DI PUCCIO.
190
SECCA E NON TORNO. POI MANDO LA COLOMBA ET ELLA TORNO
CON UNO RAMO D' OLIVO IN BOCCA, E ALLORA MISSE FUORI
L'ANIMALI. ET ELLINO USCITO FUORE ET SACRIFICÒ A DIO____
Scrive il Rosini che in generale questo pittore traeva al
grande stile e non al secco e al minuto, come si riconosce negli
artefici di quell' età ; ma francamente bisognerebbe intenderci
sul significato di questa affermazione, che nulla di grande apr
pare negli affreschi di Pietro se non si vuole alludere alle figure,
le quali appunto per la poca perizia dell'artista occupano troppo
spesso tutto lo spazio del quadro, senza esser mai in rapporto
coli' ambiente : ed a ciò fu guidato, come scrive il Ciampi, « dalla
poca o niuna abilità eh' egli aveva nel fare i campi ; in guisa
che non sapendo di paesaggio s'aiutò con fare le figure più
grandi del naturale onde render le aree meno vuote. » 1
Trova però il Rosini delineata la figura di Dio con molta
grandezza e maestà sì nell' atto in cui si mostra, quanto nelle
vesti che piegano con assai facilità; come il voltarsi di Eva
verso il fanciullo, nonché i modi carezzevoli coi quali si rivolge
il fanciullo alla madre, potrebbero servire, egli dice, di modello
a qualunque composizione di tal genere.2 Più nel vero è il De
Rossi quando gli scrive : « Voi lasciate indecisa la lite se a Buf-
falmacco o a Pietro d'Orvieto appartengano i dipinti del Genesi.
Siimi quistione, a vero dire, non merita molte indagini ; perchè
o Pietro, o Buonamico sia stato l'autore di codeste opere, chi lo
fu, fu debole artista. »3 E il Cavalcasene confermando questo
giudizio scrive, « che Pietro si mostra in questi lavori un artista
di secondo e terzo ordine, seguace della scuola senese anziché
della fiorentina, tanto che l'Incoronazione fu dal Vasari attri-
buita a Taddeo Bartoli, pittore senese di maggiore abilità. » "
1  Loc. cit., pag. 100.
2  Rosini, Descrizione delle pitture del Camposanto di Pisa, pag. 129.
3  Loc. cit., pag. 135, nota.
* Storia della pittura italiana, voi. II, pag. 85.
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Benozzo Gozzoli.
LE STORIE DEL VECCHIO TESTAMENTO.
ì
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Benozzo Gozzoli.
Roma tornato Benozzo a Firenze, se n' andò a Pisa ;
dove lavorò nel cimiterio, che è allato al Duomo, detto Campo
Santo, una facciata di muro, lunga quanto tutto 1' edilizio ; fa-
cendovi storie del Testamento vecchio, con grandissima inven-
zione. E si può dire che questa sia stata veramente un' opera
terribilissima, veggendosi in essa tutte le storie della creazione
del mondo, distinte a giorno per giorno. > '
Così scrive il Vasari, e così giudica il lavoro lasciato da Be-
nozzo nel Camposanto pisano, e il giudizio non potrebbe essere
né più giusto né più vero.
La permanenza dell'artista in Pisa, ove stette per più di
venti anni continuamente lavorando, è ormai stabilita con do-
cumenti in modo da non lasciar più dubbi di sorta. Vi giunse
nel 1468, e il 9 gennaio dello stesso anno (stile pisano) ebbe
lire 45, in fiorini 8 larghi, e soldi 4 in moneta : per chaparra
di certe storie de dipingniere in Camposanto seguitando al prin-
cipio del mondo,
A dì 3 di maggio del 1469 (stile pisano) tornò
a Firenze per la brigata sua o per la sua famiglia, e il 14 dello
stesso mese 1' Opera pagò alla moglie di Iacopo di ser Tommaso
da Campiglia lire 22 e soldi 8, in fiorini 4 larghi, per parte di
pigione di casa dov' elli sta.
Il 6 di settembre del 1470 prese della
cera per fare onore a Lese suo padre, e il 5 ottobre l'Opera pagò
le spese per il monumento dove si misse il padre di Benozzo.
1 Vasari, ediz. citata, voi. III, pag. 48.
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194                                          BENOZZO GOZZOLI.
Nel 1472 dipinge alcune bandiere per la festa di mezz' ago-
sto ; nel 1473 compra una casa da quelli di TripaUe; nel 1480
per fuggire la moria va a Legoli ; nel 1482 dipinge una cassa
nella quale riporre la cera offerta in Duomo dai cittadini per
la festa dell'Assunta; nel 1485 infine dà termine alle storie di
Camposanto.
Ma di lui abbiamo altre notizie : nel 1489 fece due bandiere
in una delle quali colorì Nostra Donna e nell' altra il giglio ;
nel 1495, il 29 di aprile, il Camarlingo del Comune rli Pisa pagò
a Benozzo lire xvi piccioli .... per la dipintura de le bandiere
de'pifari e tromboni a gigli cV oro ;
nell' agosto del medesimo
anno l'Opera della Chiesa lo compensò con lire 16 e soldi 4
della pittura di altre cinque bandiere che dovevano essere col-
locate sul Duomo e sul Campanile. '
Riassunte così le notizie principali che si riferiscono alla di-
mora di Benozzo in Pisa, veniamo a quelle che riguardano le
pitture del Camposanto. Il Ciampi dice, che Benozzo di Lese
prese a dipingere in Camposanto le storie della Genesi incomin-
ciate da Pietro da Orvieto, ed altre storie della Bibbia, ciasche-
duna al prezzo di fiorini 66 e due terzi larghi, con l'obbligo di
compierne almeno due Y anno, lunghe tre cavalietti del tetto.
Nel gennaio del 1469 (stile pisano) aveva già fatta la prima che
rappresenta Noè che fa cogliere V uva per insino che è inebriato.
Nel 1471 ne compì tre, fra le quali l'Adorazione de' Magi e l'An-
nunziazione. Ai 31 di ottobre del 1473 aveva già finito altre sette
storie, alle quali, l'anno successivo, aggiunse quattro altre, sino
cioè allo sposalizio d'Isacco; e nel 1481 tutte quelle che seguono,
comprendendo in esse la rappresentazione dei fatti di Natan e
Abiron sprofondati co' padiglioni. Dal 1469 al 1481 lavorò dun-
que a venti quadri che furono computati per ventidue, per es-
servene due maggiori della misura convenuta ; e la ricevuta
1 Per tutte queste notizie e altre relative ai lavori di Benozzo, vedi
Archivio storico dell'arte, anno VII. fase. IV : Le opere minori di Benozzo Goz~
zoli a Pisa.
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195
BENOZZO GOZZOLI.
fatta da Benozzo ai 29 di marzo 1481 ci assicura che in detto
giorno ebbe il saldo per le suddette ventidue storie, che costa-
rono lire 8066, soldi 13 e denari 4 di moneta pisana. Dal 1482,
essendo proseguiti i lavori, fino al 1485, dipinse tre altre storie
valutate quattro, a misura, 1' ultima delle quali è quando la
Reina Saba andò a visitare Salomone.*
*
I
Non è solo il numero delle storie dipinte che rende notevole
e veramente straordinaria l'opera di Benozzo nel Camposanto,
ma è l'abilità, la fantasia, l'ingegno facile e pronto, la potenza
meravigliosa che in questi freschi sfoggia il grande scolaro del-
l'Angelico, che fanno tuttavia meravigliare i visitatori e gli stu-
diosi di questo monumento, i quali pur sanno che non in due anni
come avrebbe voluto il Vasari, e come non sarebbe umanamente
possibile, ma in sedici Benozzo die finito così terribile lavoro.
« Qui è dove spiega, » scrive il Lanzi, « un talento per la
composizione, una imitazione del vero, una varietà di volti e di
attitudini, un colorito sugoso, vivace, lucido di oltremare, una
espressione di affetti da farlo tener primo dopo Masaccio; »2 qui,
soggiunge il Ciampi, « non solo eguagliò i pregi del suo mae-
stro Fra Giovanni Angelico, ma lo superò nelle architetture, ese-
1  Ciampi, Notizie inedite della Sagrestia pistoiese, ec, pag. 110 e seg.
A complemento di queste notizie, pubblichiamo le seguenti che riguar-
dano le prime spese fatte per i ponti, quando Benozzo cominciò a dipingere
in Camposanto :
« 23 luglio 1468. E a di detto soldi quaranta, a Loronsone lengnaiuolo. sono
per fattura di quattro capre e portatura e collassione a chi Ile portò per fare
il ponte al dipintore à dipingniere in Camposanto.
» E a dì 9 di detto (oghosto) soldi quattro, sono per libbre una d'autì.... presi
per conficchare la tenda del ponte di Camposanto dove si dipinge.
» E a dì 25 di detto (dicembre) soldi quindici, sono per durili a Sandro el
garzone di Benosso che guardonno il Camposanto che non si guastasse le dipinture.
» A dì 19 di luglo..., soldi 13, denari 4, sono per libbre cinque d'auti.... per
fare le capre per operare sotto il ponte al dipintore in Camposanto.
» E a dì 13 di marzo 1469 lire due, a un manuale stette quattro giornate a
pareggiare il muro dove si dipingile in. Camposanto, e fare la calcina per ariciare
il muro eh' uvea pareggiato : aricelo Simone di Stefano.
»
Ardi, del Capitolo, filza A, e. 34, 38, 38l e 48.
2  Storia pittorica della Italia, voi. I, pag. 52.
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196                                      BENOZZO GOZZOLI.
guendone eccellentemente i precetti che ne avea ricevuti ; e vi
spiegò tutto il grandioso delle fabbriche che a que' tempi s'inal-
zavano, o di poco erano state inalzate dagli eccellenti archi-
tetti che tanto abbellirono Firenze. » « Come nel fabbricato, »
prosegue 1' erudito scrittore, « così anche nel paese si mostrò
fiorentino ; poiché tutta la sua campagna è quale nei contorni
di Firenze si vede, un ameno prospetto di valli e colline, che
serve a rendere mirabilmente varie ed amene le sue composi-
zioni campestri. In un popolo di figure fu meravigliosamente
ingegnoso nel dare a ciascuna azioni differenti, ed opportune al
soggetto in guisa, che niuna può dirsi oziosa, o d'altro occupata
se non di quello che deve fare o vedere, o udire ; ed in fronte a
ciascuno si legge scritto l'interno affetto secondo la condizione
e F età. Per dare più aria di verità, e per essere più vario nei
volti, preferì alle fisonomie ideali, i ritratti ; come già fecero co-
munemente gli antichi. In qualche figura si vede uno studio del
nudo che non manca di sufficiente intelligenza, che a que' tempi
dovette fare meraviglia. Fu poi studiosissimo del costume del
tempo suo nelle foggie dei vestimenti e ciò pure ad imitazione
degli altri vecchi pittori. Curiosa potrebbe riescire l'osservazione
delle varie vestiture, ed in ispecie la spiegazione d' alcune che
erano caratteristiche di dignità, ed anche di Parte, o Fazione___
>  Un' altra avvedutezza egli ebbe nelle sue composizioni e
fu di mischiarvi persone d' ogni sesso ed età ; in guisa che que-
ste differenze servano mirabilmente alla varietà ed al diletto;
spargendo i suoi dipinti d'inesprimibile gaiezza, coli' avvenenza
delle giovani donne, con la grazia de' giovinetti, con gli scherzi,
e con la semplicità de' fanciulli.
A tutto ciò s' aggiunga la scelta delle forme, la grazia e la
verità delle mosse ; il gusto semplice e naturale del panneggia-
mento ; sicché egli sembra aver proprio tentato di sorprendere
lo spettatore con scelta eccellente nelle decorazioni, con imma-
ginazione gaia e feconda, con verità grande e non minor sen-
timento ; in una parola, chi vede i lavori di Benozzo nel Campo
Santo resta sorpreso che molto prima del gran Raffaello siavi
stato chi dipingesse con tanta grazia e verità. » '
1 Ciampi, Notizie Inedite, pag. 108 e 109.
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BENOZZO GOZZOLI.
197
Ma lasciando ciò che v' ha di esagerato in molte e specie
in quest' ultima affermazione, e pur convenendo in alcune qua-
lità tutte proprie e caratteristiche del pittore fiorentino, che
lo han reso meritamente celebre, non si può negare siano più
nel vero i signori Crowe e Cavalcasene quando affermano, che
Benozzo era incapace di penetrare a fondo i segreti dell' arte
per giungere ai resultati cui arrivarono altri suoi contempo-
ranei. < Egli tenta, » essi scrivono, « d'imitare questi resul-
tati e creds che basti il riuscirvi anche approssimativamente.
Quand' egli disegna una figura di scorcio non è perchè abbia
studiato e ricercato le leggi della prospettiva, ma perchè egli
copia un modello di pietra con una certa fretta e trascuraggine.
La sua architettura mostra la stessa mancanza di principi scien-
tifici, ed è imperfetta come quella di Masolino e dell'Angelico
senza avere la loro scusa, perchè Masaccio, Fra Filippo, Botti-
celli e Filippino avevano già mostrato come dovesse intendersi.
Mentre Benozzo mostra così di non possedere alcuna originalità
in qualche lato importante dell' arte, non ha miglior fortuna
come colorista. Le sue mezze tinte o passaggi sono forti, e
talvolta mancanti d'armonia ; il suo metodo tecnico è sempre
semplice : quando dipinge le carni, le ombre Sono grigie ; con
un colore più caldo e chiaro segna le parti in luce, e mescola
tutto col rosso.
» Nelle stoffe egli segna i chiari e gli scuri con una abbon-
dante superficie sopra il colore locale, ma impiegando così il si-
stema della tempera sul muro, egli sviluppa un cattivo metodo
i cui effetti si riconoscono nello stato presente delle pitture
del Camposanto, nelle quali in molte parti i colori si sono di-
staccati anche nelle carni e sono diventati neri. > l
*
Certo, studiando il nostro artista nelle opere lavorate a Pisa,
non si può non osservare come egli apparisca, anche più che
negli altri lavori suoi, pittore di genere, dimentico troppo di
sovente della maniera e delle massime del suo grande maestro.
History of paìnting in Itali/, voi. II, pag. 510 e 511.
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BENOZZO GOZZOLI.
108
In questi suoi ultimi affreschi infatti le composizioni si affol-
lano talvolta senza ragione, le figure hanno contorni duri, ta-
glienti e costruzioni errate, specie nelle estremità inferiori, che
dimostrano quanto poco curasse d'intendere e di rendere la co-
struzione anatomica della figura umana. I volti talvolta freddi,
insignificanti, mancanti di espressione, tal altra esageratamente
contorti contro ogni carattere di verità; l'architettura, sebbene
riccamente e con arte riprodotta, si affastella con abbondanza
ricercata e dannosa, troppo spesso non rispondente ài soggetto,
e il colorito si alterna monotono tra un grigio e un rosso più
o meno sapientemente disposti. Ciò non pertanto è d'uopo rico-
noscere che spesso la fantasia e 1' abilità del pittore sanno darci
composizioni corrette e bene intese, motivi caratteristici e ori-
ginali; e le faccie tonde e paffute dei bambini dai biondi ca-
pelli inanellati scendenti sulle spalle a ricci, o i volti delle fan-
ciulle dagli occhi cerulei e dai capelli d'oro, o le severe, nobili,
caratteristiche flsonomie dei vecchi, o le riproduzioni di tipi e
di personaggi viventi, ci passano dinanzi come incantevoli e
attraenti visioni da cui 1' occhio non riesce staccarsi, e che la
mente non dimentica, attestando così la valentia dell'artista, e
più che mai facendoci deplorare eh' egli talvolta sia stato co-
stretto a tirar via, preoccupato solo di riempire con figure i
vuoti delle grandi pareti.
Contentiamoci dunque di ammirare in lui la facilità del nar-
ratore, la franchezza esperta del pratico, e 1' abilità un po' mec-
canica del pittore a fresco, qualità tutte che hanno contribuito
a darci opere, se non profonde, piacevoli e simpatiche ; che se
qualche suo contemporaneo lo supera per più sapiente studio
del vero o sentimento artistico, nessuno lo raggiunge nella faci-
lità e nella varietà veramente straordinaria del comporre.
Il Lanzi stenta a credere che facesse tutto da solo : e scrive,
che « nella ubriachezza di Noè, nella torre di Babele e in certi
altri quadri si vede uno studio di sorprendere, che non appare
in qualche altro; ove son figure talora fatte di pratica e con
secchezza, massime ne'corpi de'fanciulli ; difetti che vorrei at-
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199
BENOZZO GOZZOLI,
tribuire a qualche suo aiuto piuttosto che a lui stesso. » ' Anche
i signori Crowe e Cavalcaselle credono che l'inferiorità relativa
di qualche parte si debba attribuire probabilmente agli assi-
stenti, e scrivono : « come a Montefalco si riconosce la mano
di Mesastris, e a san Gemignano quella di Giusto di Andrea,
così anche nel lavoro di Pisa si ritrova la mano di Zanobi Ma-
chiavelli. » - Ora sarà bene ricordare, pur giustificando coloro
che davanti a tanta opera pensarono naturalmente eh' egli da
solo non ahjbia potuto dar termine alla terribile impresa, sarà
bene ricordare che invano si cercherebbero i nomi dei supposti
aiuti o assistenti nei registri dell' Opera ; e d'altra parte è ra-
gionevole supporre che se effettivamente ci fossero stati dovreb-
bero in quelli apparire.
Quanto al Machiavelli, V unica notizia che di lui ci rimanga
è del 1475 (stile pisano), e si riferisce a un pezzo di pietra
quadra d' un braccio che 1' Operaio del Duomo gli prestò per
macinare i colori ; e prestosili, aggiunge, per conmissione di
Fiero Neretti, come appare alle Ricordanze.
E poiché di fianco
a questa partita è scritto : alla venduta i frati di san Francesco,
vien così a comprovarsi coni' egli con l'Opera non avesse alcun
rapporto, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di intermediari,
quale ci appare il Neretti, per ottenere un prestito di così poco
conto.3 E dacché il suo nome non figura più nei registri della
Primaziale, così dovremo conchiudere che il Machiavelli ha la-
vorato in Pisa, e certo anche per questo Neretti, patrizio fio-
rentino, che beneficò il convento di santa Croce in Fossa Banda,
e fu sepolto in quel chiostro, non però per il Duomo e nel Campo-
santo. In quei registri invece s'incontrano i nomi del fratello di
Benozzo, Bernardo di Lese, dipintore esso pure, e che Benozzo
stesso fé' venire da Firenze a Pisa nel giugno del 1479 per lavorare
ai sopracieli della Chiesa maggiore, e forse ad aiutarlo anche nelle
cose di minore importanza,4 nonché quelli de' suoi tre figli, Fran-
cesco, Girolamo, ed Alesso, il quale ultimo, sebben pittore, non
1   Storia pittorica della Italia, voi. I, pag. 52.
2  History of painting in Italy, voi, II, pag. 511.
3  Archivio storico dell'arte, voi. VII, fase. IV : Le opere minori di Benozzo
Gozzoli a Pisa.
4   IVÌ.
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BENOZZO GOZZOLI.
'200
può aver avuta parte alcuna negli affreschi del Cimitero monu-
mentale, perchè questi furon terminati nel 1485 ed egli nacque
nel 1473.
Con T appellativo invece di garzone di Benosso sono notati :
un Baccio, un Domenico di Losso, dipintore, che prende a fare
e dipingere,
nel 1481, dei quadri del palco dell' Incoronata in
Duomo ; un Giovanni e un Bartolomeo di Giovanni ; questi i
soli che abbiam potuto raccogliere. Non v' è dunque nelle varie
partite mai il nome di uno di quegli artisti già noti per essere
stati aiuti o assistenti di lui, come a san Gemignano, per esem-
pio, Giusto di Andrea ; né mai si riscontra una di quelle frasi,
a proposito d' altri nomi, che possan lasciare adito al dubbio ;
per modo che bisogna conchiudere abbia Benozzo da solo, o
quasi, condotto tutto il magistrale e grandissimo lavoro che
avrebbe fatto paura a una legione di pittori. E quando si pensi
eh' egli trovò pur tempo di dipingere a Pisa quadri per le chiese,
stendardi per la Primaziale, affreschi nel convento di san Dome-
nico, e di accettare contemporaneamente commissioni anche dal
di fuori, come provano le pitture del tabernacolo di Meleto, non
si può non rimanere meravigliati e sorpresi davanti a tanta fa-
cilità di operare, a così straordinaria prontezza, a così potente
e magistrale fecondità. Ben giustamente quindi scrisse il Vasari
di lui, ch'egli « fece tanto lavoro nell'età sua, che e' mostrò non
essersi molto curato d'altri diletti : e ancoraché e' non fusse
molto eccellente a comparazione di molti che lo avanzarono di
disegno, superò nientedimeno col tanto fare tutti gli altri del-
l' età sua ; perchè in tanta moltitudine di opere gli vennero fatte
pure delle buone. » '
*
* *
« Il tempo istesso, » diceva il Lanzi, « quasi conoscendone il
merito, ha rispettato questo lavoro sopra ogni altro del Campo
Santo, » ' ma così pur troppo non è, né si può ripetere anche oggi.
Invece fra tutte le pitture che adornano le pareti interne del
1  Vasari, ediz. citata, voi. Ili, pag. 46.
2  Storia pittorica della Italia, voi. I, pag. 52.
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BENOZZO GOZZOLI.                                      201
monumentale Cimitero pisano, queste di Benozzo sono per mala
ventura le più guaste e cadenti : e le ragioni di così deplore-
vole e irrimediabile danno furono in parte narrate dal Tem-
pesti.
Nel 1747, stile pisano, reggendo lo spedale di santa Chiara
il cav. Francesco Maggio fiorentino in qualità di Commissario, o
come allora si dicea Spedalingo, venne a lui in testa di costruire
un cimitero a buche per lo spedale fra la muraglia urbana ed
il muro settentrionale del Camposanto. E nonostante l'opposi-
zione dell' Operaio Francesco Quarantotti seniore, e dei Magi-
strati della città, che portarono le loro querele all' Imperiai Reg-
genza in Firenze, esponendo i gravi danni eh' erano da temersi
per i dipinti del Camposanto, e i più gravi pericoli per gli abitanti
a causa delle perniciose esalazioni, che dalle proposte sepolture
dovevano provenire, non fu possibile rimuovere il pericolo e il
danno. Si dovette quindi concedere a livello allo Spedale un pesso
di terra ortale di sfiora 3 circa, posto accanto al Campo-santo, per
V annuo canone di lire 40;
ove furono costruite le sepolture cor-
rispondenti all' altezza di braccia tre ed un quarto sopra il piano
interno del Camposanto.
« Ma pochi anni trascorsi, pur troppo verificaronsi i funesti
effetti, indarno già presagiti. Il gran quadro nell' angolo destro
a tramontana, rappresentante Salomone e la regina Saba, l'ul-
tima e la più elaborata fatica dell' egregio Benozzo, fu la prima
vittima del capriccio e della prepotenza. L'umidità delle sepol-
ture, già penetrata nel muro del Campo-santo, erasi accresciuta
dall' urto dell' acqua piovana, che precipitando dalla tettoia della
cappella del nuovo cimitero a contatto di esso muro, trascorreva
lungo il medesimo, e raddoppiava il danno e il timore, Recla-
marono l'Operaio, i Magistrati, ma inutilmente. I dolenti citta-
dini chiesero almeno il restauro delle cadenti pitture : ma i più
savi fra loro pensarono, che aggiungendo nuovi intonachi ai vec-
chi arricci, già imbevuti di quella fatale umidità, il rimedio
sarebbe stato peggior del male. Il danno si accrebbe, si dilatò ;
e intanto sempre vane restarono le iterate rappresentanze, ina-
scoltati e sparsi al vento i lamenti. Ma quando nel 1767 una
ferale febbre epidemica infierì in quasi tutto il quartiere detto
allora di santa Maria, pur troppo si conobbe alla funesta prova
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202                                      BENOZZO GOZZOLI.
quanto giuste fossero state le querele dei Pisani. Accorse al bi-
sogno il giusto e benefico granduca Leopoldo, a cui poco dopo
il suo avvenimento al trono della Toscana avevano i Pisani umi-
liate le loro istanze, onde fosse totalmente rimosso l'odioso ci-
mitero, e fosse restituito all' antica libera ventilazione V offeso
muro del Campo-santo. E ben queir ottimo sovrano ordinò su-
bito, che si costruisse un nuovo cimitero per lo Spedale in no-
tabil distanza dalla città fuori della Porta Nuova : il che fu ese-
guito sotto l'ispezione dell' ingegnere Giuseppe Salve tti ; ma quel
giovin principe, ne' suoi principi non ancor ben disciolto dal-
l' influenza del precedente regime, permise, non che si demolisse
il vecchio contrastato cimitero, siccome i Pisani ad una voce
chiedevano, ma solo che fossero riempite di viva calcina forte le
sepolture ; che si demolissero i muri interposti, che trattenevano
le correnti dell' aria ; e che le acque piovane si deviassero dal
muro del Campo-santo, e per la muraglia urbana si scaricas-
sero neir adiacente campagna. Ordini, nelP adempimento dei
quali si frapposero o la malizia, o l'interesse, o V inganno, se-
condari elementi che facilmente serpeggiano fra le umane fac-
cende ; poiché malamente colmate le sepolture di materie inca-
paci di assorbire e di consolidarsi, e lasciato tutto il| restante
nel medesimo stato di nocumento, solamente nell' anno 1805 dal-
l' attuale Operaio signor cav. Marzio Venturini Galliani furono
atterrati i muri, che impedivano la necessaria ventilazione.
» Pro vide, ed a sufficienza opportune sarebbero state, e tali
comparvero allora le Leopoldiane disposizioni, perchè almeno al-
lontanavano nuovi danni e pericoli ; ma nel muro settentrionale
del Campo-santo il male era già senza rimedio. Il fresco mu-
ramento delle sepolture, inzuppato già dalle putride materie con-
tenute e fomentate dalla caduta e dal filtro delle acque pio-
vane, aveva già comunicata una incurabile umidità al muro del
Campo-santo ; e l'omissione di arrestarne 1' ulteriore processo
col deviamento delle acque, ha dipoi successivamente condan-
nata quella preziosa parete a succiare il suo veleno micidiale
fino ai dì nostri, e forse fino all'ultima sua perdizione, se non
siano prontamente atterrate quelle malaugurate sepolture, e fra
il muro urbano e la prelodata oltraggiata parete non sia reso
totalmente vacuo e libero da ogni ingombro quell' intervallo.
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BENOZZO GOZZOLI.                                      203
fino dalla prima epoca di quell' insigne edilìzio lasciatovi provvi-
damente dal suo celebre architetto Giovanni. >
E il Grassi, donde abbiamo tolto questa narrazione, ag-
giunge, che « conosciutisi nella loro gravità gli esposti disordini
dal Conservatore Lasinio, allorquando assunse le affidategli fun-
zioni, furono assai calde e frequenti le di lui istanze, onde vi
fosse posto un efficace riparo ; molto più che essendo state pur
anche levate le grondaie di coccio, le quali servivano ad inca-
nalare e spingere a qualche distanza le acque del tetto, ne av-
venne poi che queste colando irreparabilmente a pie del muro,
andavano ad accrescerne l'umidità micidiale alle pitture. E non
fu che al principio dell' amministrazione dell' attuale benemerito
Operaio cav. Bruno Scorzi, che abbattuto quel malaugurato se-
polcreto, e praticato un marciapiede in calcina forte lungo il
detto muro, cominciò a cessare, sebbene un po' tardi, il motivo
degl' inconvenienti sopra narrati ; poiché anco nel 1826 accadde
pur troppo la perdita d'una gran parte del meraviglioso dipinto
del Mar Rosso. » '
* *
A queste ragioni, che si riferiscono a una sola parte delle
pitture di Benozzo, vanno aggiunte le altre di più generale e
non minore importanza che riguardano invece la pratica tenuta
dall' artista coi colori, sbozzando a buon fresco, e finendo a tem-
pera, sicché in quattro secoli essi hanno perduto ogni consistenza
e aderenza sul muro ; e l'umidità da cui è impregnata tutta la
parete, e i venti marini hanno contribuito a togliere ogni coe-
sione fra la parte lavorata a fresco e il rifinimento a tempera, per
modo che tutta la superficie si polverizza e si disperde sempre
più, accrescendo lo stato di deperimento in cui già si trovano
quelle preziose opere d'arte. Oggi degli affreschi di Benozzo,
quelli che vanno dalla cappella Amannati all' angolo estremo
del Camposanto sembrano leggiere visioni, serbando appena la
parvenza di ciò che furono : in più luoghi 1' umido ha sollevato
l'intonaco sovrapposto all' arriccio, in altri è caduto mostrando
Grassi, Descrizione storica e artistica di Pisa, voi. II, pag. 208 e seg.
13
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BENOZZO GOZZOLI.
204
la sottostante preparazione in rosso, e 1' opera magistrale del-
l' artista fiorentino appare come traverso una nebbia fra cui è
grazia se ogni tanto ci è permesso di discernere e di afferrare
il bello che tuttora a qualche tratto rimane. Ai danni del tempo
si aggiungano poi le ingiurie dei riparatori : primo e più audace
fra tutti il Rondinosi che quasi nessun frammento lasciò salvo
dalla sua smania riparatrice. Eppure, così grande fu 1' opera
di JBenozzo, che a dispetto del tempo e degli uomini ne resta
pur sempre tanta da farci anche oggi rimanere ammirati.
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LE STORIE DEL VECCHIO TESTAMENTO.
LA VENDEMMIA.
L' Ubriachezza di Noè fu il primo dipinto che lavorò Benozzo,
per mostrare ai Pisani la sua valentia. A sinistra del quadro,
mentre Noè, ritto in pie-
di fra due suoi nipotini,
sul capo di uno dei quali
tien la mano, ha dato
1' ordine della vendem-
mia, si svolge la scena
rappresentata con natu-
rale semplicità ed evi-
denza. Due uomini stan-
no sulle scale in atto di
porgere i canestri ricolmi
del frutto della vite ad
alcune donne, una delle
quali portandolo sulla
testa si avvicina al tino
per la pigiatura, cui at-
tende con le mani ai fian-
chi e le gambe nude un
giovine, che gli scrittori
vogliono sia Sem ; intan-
to una delle nuore di Noè
vuota il canestro, facen-
do riparo con le mani
al rovesciarsi dei grap-
poli. Nel mezzo è rappre-
sentata la famiglia del patriarca, la quale con calici e coppe
nelle mani gusta il nuovo liquore ; a destra, sul primo piano,
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208                                      BENOZZO GOZZOLI.
Noè sdraiato nudo in preda al sonno, mentre Cam lo schernisce
e Sem prepara il mantello per coprire il padre. Sull' angolo
dell' affresco è rappresentata la celebre Vergognosa, in atto di
fuggire e di coprirsi il volto per non
vedere ; ma in effetto essa volge ma-
liziosamente la testa e guarda attra-
verso le dita della mano allargate.
Quasi nel centro, sul primo ripiano
del quadro, stan seduti tlue bambini
nudi che si spaventano agli abbaia-
menti di un cane.
Tutto il dipinto è condotto, forse
perchè doveva servire di saggio, con
molta finezza sia nelle figure che nelle
parti architettoniche, e la scena della
vendemmia è resa con molto brio e ca-
ratteristica evidenza. Elegante e na-
turale nel movimento la donna col
canestro in testa ; gentile il profilo
di quella che versa 1' uva nel tino ; ma la figura del patriarca
nudo è tutta rifatta e molte altre parti dell' affresco non sono
scevre da restauri.
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■■■
LA MALEDIZIONE DI CAM.
i.
A sinistra, sotto un ricco ed elegante, portico, sta Noè se-
duto, circondato dalla numerosa famiglia e tiene la mano destra
quasi in atto di scagliare la
maledizione, mentre la moglie ac-
canto solleva pietosamente le mani,
e i tìgli, raccolti attorno a lui, in
atteggiamento di cordoglio, assi-
stono alla scena, commiscrando il
fratello.
A destra, illustrata da vari epi-
sodi, è la vita pacifica che si con-
duceva nel paese che ebbe Noè dal
Signore appena uscito dall' arca.
Alcuni di questi gruppi sono vera-
mente graziosi : v' è una donna che
torna dal fonte con un' anfora in
testa, e il bambino per mano che
la segue con impari passo ; un' al-
tra più avanti, vista di profilo, che
tiene il figlio al collo e amorevol-
mente lo bacia ; una che, seduta,
ravvia i capelli a una fanciulletta;
altre che lavano un bambino tutto nudo. Dall'affresco spira
un dolce sentimento di quiete e di poesia, e le figure si muo-
vono liberamente nella bella campagna tutta colline verdeg-
gianti, che staccano sull' azzurro del cielo. Ma il cielo è stato
'mSim
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212
BENOZZO GOZZOLI.
tutto ripassato e ritoccati i contorni degli alberi ; ridipinta la
figura di Noè, e rifatte le teste così della donna, che si crede
moglie di lui, come del figlio di Cam. All' estremità dell' affresco,
Noè fra due de' suoi nipotini sorride e par si diverta con loro
a guardare due cani che ruzzano a' pie di un palmizio.
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LA TORRE DI BABELE.
E questa una delle meglio conservate e delle più importanti
pitture di Benozzo. Ha raffigurato il pittore che dall'ardimento
della costruzione della torre famosa fosse attratto a vederne il
procedere tutto il popolo, e primo il gigantesco Nembrot, circon-
dato da ministri e da cortigiani, il quale alzando gii occhi alla
mole iniziata e riguardandola con alterigia quasi si compiace del-
l' opera sua. Dalla parte opposta sono altri personaggi : vecchi
simo dei Medici, il Padre della Patria (quel vecchio dal volto
raso, nella seconda fila, alla sinistra dell' uomo dalla barba
bianca), e accanto a lui il figlio Pietro detto il Gottoso ; quindi
i nipoti Lorenzo e Giuliano, e dietro a questi il Poliziano, cioè
quel prete con la berretta in capo.
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BENOZZO GOZZOLI.
216
In alto, a sinistra, in un tondo circondato da cherubini, ap-
pare Dio che punisce i temerari, confondendo le lingue ; nel
centro sono gli operai occupati nelle diverse opere, e riprodotti
con notevole ricerca del vero. Mostra bella attitudine quello che
fa la calcina e 1' altro che si riposa poggiandosi al manico della
vanga, riguardando i due compagni intenti a legare una men-
sola per portarla sulla fabbrica in costruzione ; come appaiono
negli atteggiamenti naturalissimi tutti quelli che stanno sui
palchi della torre, o murando, o pigliando misure, o richiedendo
ai compagni, in basso, aiuto e nuovo materiale. Accanto a quella
figura diritta, la prima presso la finta cornice (figura che si ri-
trova nell'affresco del coro di sant'Agostino a san Gemignano),
è un nano o buffone che tiene nella sinistra un uccello, mentre
un cane gli salta alla spalla destra.
Narra il Totti, che Benozzo dipinse questo nano col volto
sgraffiato perchè questo sfregio ebbe, per gelosia, da un altro
nano del duca Cosimo, detto Morgante, avendogli detto quello
ch'era molto più bello di lui. « Quella bestia, che così certo si
può dir che fosse, non possendo comportare simil parola, accat-
tata una labarda da un tedesco così 1' acconciò ; il che saputosi
da quel Principe, per penitenza lo fece combattere con una cor-
nacchia, la quale a lui assai bene graffiò il mostaccio, et se bene
con li morsi et becco ella s' aiutò, nondimeno il nano con gli
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BENOZZO GOZZOLI.
217
denti 1' ammazzò, et la cornacchia vendicò l'ingiuria di questo
nano, et il nano si vendicò degli sgraffi che sul mostaccio grasso
gli fece quello uccello. » '
Notevole in questo quadro è 1' architettura, per esservi rap-
presentati molti antichi monumenti classici : v' è infatti santa
Maria del Fiore, il palazzo Riccardi e il Palazzo Vecchio di
Firenze; il Pantheon, la colonna Traiana, la piramide di Caio
Cestio, ed altri, tutti raccolti dentro un recinto merlato sulla cui
porta turrita, si legge BABILONIA. E forse il pittore con questa
fantastica mescolanza d'ediflzi volle meglio illustrare e spie-
gare il soggetto dell' affresco da lui con rara sapienza e abilità
lavorato.
1 Totti, loc. cit., e. 191'.
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■e
L'ADORAZIONE DE'MAGI.
Sopra la porta della cappella Ainannati, nella parte superiore,
è rappresentato il mistero dell' adorazione dei Ile Magi. Sta la
Vergine seduta sotto una capanna, sulla quale aleggia una gloria
di Angeli, col Bambino sulle ginocchia che ha nella sinistra un
uccellino e la destra sollevata in atto di benedire. Più indietro
san Giuseppe si appoggia a un bastone, e di fianco a lui sono
altri Angeli con le mani giunte in adorazione del divino Fan-
ciullo. Dinanzi alla Vergine il primo Re, dalla barba e dai
capelli bianchi, è rappresentato genuflesso, con le mani riunite
al seno, ed ha deposta in terra la corona ; dietro a lui, il se-
condo, pur genuflesso, con il dono nella destra e la sinistra
al petto; il terzo, e il più giovine, diritto in piedi, sembra
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BENOZZO GOZZOLI.                                      210
pur ora sceso da cavallo mentre un piccolo paggio gli toglie
dal piede destro lo sprone. Subito dopo segue la numerosa
cavalcata di personaggi variati per tipo e per età (fra cui
v' hanno alcune teste bellissime per carattere ed espressione),
che si perde fra le gole del fondo montuoso.
In questo quadro, che erroneamente fu ritenuto il primo
dipinto da Benozzo per dar saggio ai Pisani del suo valore,
vuole il Kosini che in quel giovine a cavallo (l'ultimo a destra)
con un cappuccio in capo, Benozzo abbia effigiato sé stesso.1
Troppo vaga affermazione del resto, dal momento che non po-
tremmo stabilire chi effettivamente sia l'ultimo a destra in
una cavalcata che rimpicciolisce e si perde fra le balze nella
via tortuosa ; e per il fatto ancora, che non è possibile abbia
egli potuto ritrarsi giovine nel 1471, nella quale epoca fu finito
V affresco. Non vorremmo quindi che 1' affermazione del Rosini
fosse del tutto immaginaria come è probabile sia questa novella
del Totti, che per curiosità riportiamo :
« Quando il pittore venne a Pisa, » scrive egli, « i cittadini
non havendo saggio della sua maniera e dovendo dar principio
a tanta opera vollero fargli far la prova ; laonde per tale effetto
datoli a far questo misterio dell' adoratione de'Magi, et essendo
alloggiato in via santa Maria, presso alla torre della fonte, per-
ciò detta per la fontana che nella sua sommità artifitiosamente
era fatta, essendo assai facile a far ritratti al naturale vi ritrasse
quella testa d'una qui vicina honesta et nobile giovinetta, la quale
nella sua aria il dimostra, che ditta era Agnola ; la onde, essendo
piaciuta la maniera, détte il principio come veduto havete. »2
4 Descrizione delle pitture del Camposanto, pag. 148.
1 Totti, loc. cit,, e. 192'.
14
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i
»
l'Angelo che le si inginocchia innanzi, tenendo la destra alzata
e nella sinistra il giglio. In alto Dio Padre, in un tondo, circon-
dato da una gloria di cherubini, dalle sole teste alate, manda
fra un fascio di luce la colomba simbolica. Nel fondo della ca-
mera ove sta la Vergine è un letto parato ; dietro all' Angelo
s' aprono due finestre bifore, attraverso le quali si vede un gra-
zioso e ridente paesaggio. Nel centro è figurata una loggia donde
si esce all' aperto.
Più in basso, ai lati della porta d'ingresso alla cappella,
son dipinti due Angeli, diritti in piedi con il giglio in mano e
le vesti svolazzanti quasi stessero per camminare ; e mentre essi
sono eleganti nel movimento e dolci nell' espressione del volto,
le due figure rappresentanti l'Annunziazione son dure, vuote,
dalle estremità intirizzite, e mancanti di quella grazia che do-
vrebbe informare la rappresentazione : ma ne va data un po' di
colpa alle disgraziate condizioni di tutto l'affresco dove le vesti
sono rifatte, il fondo restaurato e perso, e caduto in alcune
parti l'intonaco.
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ABRAMO E GLI ADORATORI DI BELO.
Seguendo le storie interrotte, dipinse Benozzo in questo qua-
dro Nino re di Babilonia, il quale comanda con pubblico editto
che chiunque fosse entrato nel tempio ove egli aveva posto
la statua di suo padre, e avesse adorato il simulacro di Belo,
avrebbe avuto condono di qualunque misfatto.
A sinistra è il Re seduto, fra i suoi consiglieri o ministri, che
condona la pena a due colpevoli inginocchiati e accompagnati
da alcuni soldati ; in fondo, un giovane atterrato il quale sta per
esser colpito da un compagno cui un altro si unisce per minac-
ciarlo col ferro sollevato ; e sul primo piano, due fanciulli che si
accapigliano fra loro : tutti episodi posti dal pittore, scrive il
Rosini, a denotare come la speranza dell' impunità renda più
facili gli eccessi e i delitti. Ma più nel vero è il Totti quando
narra, che « essendo Abramo moltiplicato in famiglia e grandezza
d'armenti, non capendo la terra li pastori, come vedete in questo
quadro, tra di loro cominciorno a venire insieme in contesa. Per
la qual cosa il savio Abram chiamato a sé Lot gli esplicò l'animo
suo con dire, che per fuggire i disordini et inconvenienti de' loro
pastori [bisognava] segregarsi e cercare meglior paese. >1 I due
putti in avanti quindi non starebbero che a rappresentare alle-
goricamente il poco buon accordo che regnava fra la gente di
Abramo.
1 Totti, loc. cit., e. 194.
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224                                       BENOZZO GOZZOLT.
Nel centro, dentro un tempietto aperto, sostenuto da svelte
ed esili colonne, è la statua di Belo con lo scettro nella destra,
e con la palla nella sinistra. Ai piedi, vari personaggi inginoc-
chiati stanno in adorazione per sfuggire le pene cui erano incorsi.
A destra dell' affresco è ritratto il patriarca, che per essersi ri-
cusato di adorare il falso Dio, è posto in un rogo ardente, da
cui esce illeso, con molta meraviglia e stupore del sacerdote di
Belo che è lì appresso, il quale par non creda agli occhi suoi.
Accanto, il Signore appare ad Abramo e gli ordina di lasciare
la Caldea per recarsi a Canaan.
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BENOZZQ GOZZOLI.                                      225
È questa una delle pitture meglio conservate che rimangano
nel nostro Camposanto, e tranne la parte sinistra, ov'è caduto
l'intonaco, e l'abito di Abramo ridipinto, il cielo, l'architettura
del fondo e le altre figure serbano, leggermente indebolita, l'in-
tonazione e il colore originale.
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ABRAMO E LOT IN EGITTO.
Scrive il Eosini che la maniera con cui sono esposte le di-
verse storie in questo quadro, è un po'imbarazzata; e suppone
perciò che la ristrettezza dello spazio non abbia permesso al pit-
tore di rappresentare tre diversi fatti seguiti in luoghi tanto lon-
tani fra loro, con quella convenienza che si richiedeva; ma deplo-
rando invece lo stato in cui è ridotto l'affresco, noi non possiamo
non ammirare alcuni episodi genialmente riprodotti, e lo studio
coscienzioso e vero de' cavalli su cui stanno Abramo, Sara sua
moglie e Lot suo nipote nell' atto di partire per la nuova sede,
accompagnati dai servi e dagli armenti. La numerosa cavalcata, '
in cui primeggia la nobile figura del patriarca, si avvia alla città
di Canaan, che stacca sul fondo montuoso, circondata da mura
merlate e ricca di torri. Intanto il Signore apparisce di nuovo
ad Abramo per rinnovargli la promessa che lo farà capo di
un gran popolo, e che tutte le nazioni della terra saranno in lui
benedette : ed egli, inginocchiato, con le mani giunte, ascolta le
divine parole, mentre a destra si svolge l'episodio della rissa
fra i servi di Abramo e quelli di Lot, che fu causa della loro
divisione.
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ABRAMO VITTORIOSO.
t
Ma ben presto Abramo dovendo soccorrere suo nipote fatto
prigioniero dal re degli Assiri, contro il quale si erano ribellati
i Principi di Sodoma e di Gomorra, armò più di trecento servi,
sorprese il nemico mentre era in preda al sonno, e, vittorioso,
liberò Lot, la moglie e tutti i suoi. Quindi si recò alla presenza
del gran sacerdote Melchisedec per offrire al Signore le decime
della preda.
Nella prima parte dell' affresco il pittore ha rappresentato
il combattimento fra il re degli Assiri e i Principi ribelli ; nel cen-
tro, sotto un albero, i prigionieri ; nel secondo scompartimento,
Abramo che ordina la strage dei nemici immersi nel sonno;
e nell' estremità destra del dipinto, l'offerta al sacerdote.
Non mancano scene varie di movimento e di vita; pieni di
dolorosa espressione i volti dei soldati sconfitti, che cercano
farsi riparo con le mani e con gli scudi all' infierire dei nemici ;
animati da spirito guerresco gli assalitori, violenti nell'attaccare
e nel combattere ; ma se belle sono alcune figure di soldati a
cavallo, e naturali i vari atteggiamenti degli uomini caduti in
terra, egual perizia non si riscontra in alcune figure disegnate
in iscorcio e riprodotte con poca arte. Scrive il Rosini che il
campo non è molto felice ; ma il cielo è senza ritocchi, e la pro-
spettiva ragionevolmente degradata.
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PARTENZA DI AGAR DA ABRAMO.
i -
Sara presenta al marito la bella schiava Agar, che in aspetto
umile e con le braccia al seno sta timida dinanzi a lui. Più in
là invece Sara si duole con Abramo della superbia di Agar ;
di che addolorato e sorpreso egli (e il pittore ben ha rappre-
sentata la scena) dà la schiava in mano alla moglie perchè la
punisca; e a lato, più in basso, Agar discinta e coi capelli di-
sciolti, ma col volto troppo esageratamente contorto così da
divenir volgare, si lamenta e tenta invano schivare le battiture
della padrona.
Fuggita per questi mali trattamenti, Agar durante il viag-
gio, essendole mancato il cibo, si raccomanda al Signore : ed
ecco un Angelo che le impone di tornare sui suoi passi e umi-
liarsi alla padrona. Poco appresso si presentano ad Abramo i
tre Angeli in abito di viandanti eh' egli ospita con infinite cor-
tesie offrendo loro ristoro ; e mentre seduti a mensa sotto la
tenda, annunziano ad Abramo che in capo ad un anno avrebbe
avuto da Sara un figlio, Sara che stava in ascolto, sorride in-
credula alla notizia ; ma uno dei giovani le dice, rivelandosi,
che nulla è difficile a Dio. Quindi i tre Angeli si accommiatano
dal patriarca.
Non buone sono le condizioni di tutto 1' affresco : in alcune
parti è caduto il colore, in altre la mano del restauratore ha
contribuito ad accrescere il danno delle figure ; così dei tre An-
geli, due soli rimangono intatti, ma le teste son rifatte dal
Rondinosi e le vesti ridipinte. Dietro ad Abramo, a sinistra del
quadro, sono due bellissime figure, una delle quali, la prima
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BENOZZO GOZZOLI.
235
rasente alla cornice, tiene con la destra distesa i guanti bianchi;
e bellissima è sempre la figura del patriarca nei diversi mo-
menti delle varie scene. Ridipinte son le teste degli Angeli se-
duti a mensa, e il cielo è restaurato, come anche le vesti azzurre
di Abramo.
;
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L'INCENDIO DI SODOMA,
Giunti gli Angeli a Sodoma, Lot, che gli aveva ospitati, fu
con la moglie e le figlie accompagnato fuori della città, ed eb-
bero appena il tempo d'uscire che una violenta pioggia di fuoco
cadde su Sodoma, facendo terribile strage degli abitanti. Ma il
Signore aveva ordinato che nessuno potesse riguardare il ter-
ribile incendio, quando la moglie di Lot al rumor delle folgori
non seppe vincere la tentazione, e voltatasi fu convertita, come
narra la storia, in statua di sale.
Notevole è la pittura per l'importanza del soggetto svolto
e per V animazione di alcuni episodi ; ma fanno strano contrasto
con la terribilità che dovrebbe aver la scena, molte figure ri-
prodotte in atteggiamenti troppo fermi, quasi aspettassero con
rassegnazione la punizione celeste : e tutta la composizione non
riproduce con verità il fuggi fuggi del popolo al cader delle
fiamme e alla distruzione delle case. Un uomo tutto nudo, a
sinistra, scorrettamente disegnato, mostra nella contrazione del
volto e nell' atteggiamento della figura il dolore e la dispera-
zione : ma l'altro, quasi nel centro, che copre col mantello un
bambino, forse il figlio, si limita ad alzare il braccio sulla
testa e a contorcere il viso ; un altro fugge coprendosi il capo
su cui cadono le fiamme e insieme pezzi di colonne infrante.
Neil'indietro v'è qualche episodio meglio riprodotto: donne con
bambini in collo che si raccomandano rivolgendo le mani e gli
occhi al cielo, o in preda alla disperazione stringono al seno per
l'ultima volta i loro cari. Ma bella, severa, piena di dignità, è la
figura del vecchio patriarca, che nel mezzo della scena abbassa
il capo, tiene le mani giunte e invoca dal Signore pietà per gli in-
felici ; e ricche di movimento son le figure degli Angeli, in alto, sul
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BENOZZO GOZZOLI.                                      239
cielo rossiccio, che attizzano con variati e pronti e vivaci atteg-
giamenti il fuoco alla città, dal fuoco stesso già in molta parte
distrutta. Il Rosini dice che il gruppo di Lot e delle figlie è
sempre stato ammirato con stupore : « sono esse ben panneggiate,
e veramente camminano. La moglie di Lot, convertita in statua
per la curiosità, sembra copiata da una statua antica. » Ed è
vero; ma se le altre figure sono da ammirarsi, quella di Lot
è esageratamente mossa e volgare negli abiti e nell' atteggia-
mento.
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IL SACRIFIZIO DI ABRAMO.
»
Vari episodi sono rappresentati in questo quadro : e prima
quando Sara nel vedere il figlio suo,- Isacco, e quello di Agar,
Ismaele, fra loro accapigliati, esorta Abramo ad allontanare
Agar. Sta il patriarca incerto e dubbioso sul da fare e alza gli
occhi al cielo in atto di attender consiglio ; e mentre Abramo
sotto la tenda e Sara ed Agar più indietro si riposano, appare
al patriarca il Signore il quale gli ordina di licenziare la schiava
insieme al figliolo. Provvistala Abramo di pane ed acqua, la
esorta a partire; e il pittore la rappresenta dietro alla tenda
col figlio per mano e un fardello sulla testa che si mette
in via. Più in alto il giovinetto Ismaele affranto dalla fatica
e arso dalla sete si getta sfinito a pie di un albero, e l'afflitta
madre con le mani giunte si raccomanda al cielo, quando le ap-
pare un Angelo che le addita una fontana ove il figlio potrà
dissetarsi.
Il Signore poi ordina ad Abramo il sacrifizio d'Isacco, e il
patriarca fatto allestire un asinelio, caricate le legna e tutto
quanto poteva bisognare, si reca sul monte, a pie del quale, dopo
essersi ristorato, lascia i servi, e fatte prendere da Isacco le
legna, ne sale la cima. Già è pronto l'altare con le legna e sopra
queste Isacco legato : ma mentre stava per far cadere il ferro
su di lui un Angelo dal cielo ferma il braccio paterno, e Abramo
visto tra i pruni un capro lo offre in olocausto al Signore in vece
del figlio.
Nonostante gli elogi del Rosini, non può questo quadro an-
dare fra i migliori di Benozzo : caduto in molte parti l'intonaco,
ridipinte le vesti, il cielo e la campagna, ben poco rimane d'ori-
ginale, e quel che resta è oggi ridotto in misere condizioni.
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BENOZZO GOZZOLI.
243
Scrive il Vasari che « sebbene non aveva Benozzo molto singular
disegno nelle figure, dimostrò nondimeno 1' arte efficacemente
nel Sacrifizio d'Isaac, per avere situato in iscorto un asino per
tal maniera, che si volta per ogni banda ; il che è tenuto cosa
bellissima. » ' Ma le figure in generale mancano d'espressione,
e la stessa scena del sacrifizio, che avrebbe dato modo all'artista
di mostrare tutta l'abilità sua, è fredda, insignificante, e quasi
priva d'interesse.
Vasari, ediz. citata, voi. Ili, pag. 48,
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JLE NOZZE DI REBECCA.
Desideroso Abramo eli dare una compagna al figlio suo, chiama
a sé Eliezer, il più vecchio e fidato de' suoi servi, e sotto un
portico, in presenza dei suoi famigliari, gli ordina di recarsi in
Mesopotamia per ricercare una moglie ad Isacco ; e preparati
i cammelli e i doni intra-
prende Eliezer il viaggio.
Arrivato ad una fon-
tana fuori della città, al-
l' ora in cui le donne sole-
vano recarvisi per attinger
l'acqua, il buon servo pregò
il Signore di mostrargli la
fidanzata d'Isacco in quella
che avrebbe offerto da bere
a lui non solo ma ai suoi
cammelli. Una bellissima
giovinetta venne per la pri-
ma, ed egli, chiesto di bere,
all' anfora di lei si dissetò.
Eliezer le offrì allora i ric-
chi doni che aveva seco por-
tati e accolto dal fratello di
lei, Labano, stabilì di far
ritorno ad Abramo ; e la
numerosa cavalcata si svolge fra i montuosi sentieri del fondo.
A destra dell' affresco è rappresentato il vecchio patriarca che
accoglie con tenerissimo atto Eebecca, mentre il figlio si compiace
nell' ammirazione della sposa ; e più indietro il banchetto nuziale.
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BENOZZO GOZZOLI.
249
Questa è veramente fra le migliori pitture lavorate da Be-
nozzo nel Camposanto pisano per la buona disposizione dei gruppi
e la chiara esposizione del soggetto. La scena rappresentante
Àbramo che ordina a Eliezer di recarsi a cercare la sposa per
il figlio è espressa con molta evidenza, e fra le figure che cir-
condano il patriarca si nota quella elegantissima di un paggio
con la sinistra al fianco, nella destra il mantello piegato, e che
ha dietro di sé un cane levriero.
Piena di, grazia è la figura di Rachele che sostiene V an-
fora inclins.ndola dolcemente affinchè Eliezer possa meglio ber
l'acqua ; e naturale è il
movimento di lui inginoc-
chiato, sebbene la sua fi-
gura sia troppo grande in
rapporto di tutte le altre.
Il fondo è simpatico e d'in-
tonazione finissima, e le
figurine della cavalcata
che fa ritorno ad Abramo sono
disegnate con molto spirito e
con straordinaria facilità. La
scena del banchetto è la più
scadente, o meglio diremo ap-
pare tale, anche per le cattive
condizioni della pittura, essendo
ridipinte le vesti di Abramo che
riceve la sposa e in qualche punto caduto l'intonaco ; ma le figure
sedute non conservano sempre la naturale proporzione. Scrive il
Rosini che « ad alcuno è sembrata questa pittura troppo ricca
nelle parti minute, sicché alcune volte potrebbe parer trito.... >
ma non crediamo invero sia proprio in questo quadro che possa
farsi simile appunto al nostro artista.
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NASCITA DI GIACOBBE ED ESAÙ.
\
Il pittore ha esjoresso con naturale evidenza le cure cui è fatta
aspetta l'acqua, mentre un'an-
cella la versa nel bacile ; attorno a lei sono raccolte altre donne ;
in fondo alla camera, forse un po' troppo affollata, alcuni bimbi
si affacciano alla porta curiosi, e di fianco, alcune giovinette visi-
tano la puerpera. Appresso è rappresentata la storia di Esaù
che tornando da caccia!affaticato trova il fratello con la scodella
di lenti e la scambia con la primogenitura. Isacco poi senten-
dosi già vecchio chiama a sé Esaù e gli ordina di andare a
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RENOZZO GOZZOLI.                                      253
caccia e di recargli la selvaggina promettendogli in compenso
la sua benedizione ; ma Rebecca chiamato a sé Giacobbe gli sug-
gerisce il mezzo di mettersi al posto del fratello, e Isacco infatti,
così ingannato, stende le mani sul capo di Giacobbe, che lì presso,
•con le braccia ricoperte di pelle di capra, in ginocchio dinanzi
al genitore è benedetto da lui. Finalmentetornato Esaù presenta
ancìi'egli il cibo al padre, ma entrambi rimangono sorpresi del-
d'inganno di cui furono vittime, come chiaramente lo dimostra
nella pittura l'atteggiaménto del volto del vecchio patriarca.
Tutta questa parte dell'affresco è in pessimo stato di con-
servazione, per esser caduto l'intonaco, rifatte alcune figure e
ripassate le vesti; ov' è ancora il colore originale si mostra così
affievolito e quasi -sperso che non siamo più in grado di giudi-
care della abilità spiegata dal pittore in questo quadro, sebbene
il Cosini ci dica che quanto rimane d'intatto, mostra eh' esso
era uno dei più belli di Benozzo.
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LE NOZZE DI GIACOBBE.
Sono rappresentati in questo affresco tutti i fatti relativi alla
vita di Giacobbe ; quando cioè, accomiatandosi dal padre per
andare da Labano in Mesopotamia, genuflesso riceve la benedi-
zione, e la madre, più indietro, sulla soglia della casa lo abbrac-
cia teneramente al momento di separarsi. S'incammina egli coi
servi, finché giunto a un punto più alto della via scoscesa si ar-
resta per la fatica e si addormenta. Vede allora in sogno la scala
che con la sua cima toccava il cielo ; gli Angeli che vi salivano
e scendevano, e il Signore che dall' alto gli rinnovava la pro-
messa fatta già ad Abramo e ad Isacco assicurandolo in pari
tempo che mai l'avrebbe abbandonato. Destatosi quindi e ripreso
il cammino, dopo lungo viaggio eccolo al pozzo di Harem ove
con Rachele figlia di Labano scambia amorevoli amplessi : poco
più indietro, a sinistra, è rappresentata l'accoglienza di Labano
che gli promette Rachele in sposa.
11 gruppo centrale, ove per festeggiare le nozze sono rappre-
sentate giovani che danzano alla presenza di alcuni spettatori
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BENOZZO GOZZOLI.
257
seduti e di altri che suonano vari strumenti, è reso con molta
grazia e si può ascrivere fra le migliori composizioni di Benozzo ;
così le due figurine che con le mani unite se le passano sopra
la testa, ballando nel centro, son così bene riprodotte negli at-
teggiamenti delle persone flessuose e nell' andamento delle vesti
svolazzanti, che il motivo originale e felicemente reso è a ragione
uno dei più lodati e ammirati del pittore fiorentino. Espresse
infine l'artista quando il Signore appare a Giacobbe e gli ordina
di partire, e quando Giacobbe lotta con l'Angelo.
Non nid "S i restauri., ma debole e svanito è il colore in
tutto l'affresco.
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INCONTRO DI GIACOBBE CON ESAÙ
E RATTO DI DINA.
Dubbioso Giacobbe per il fratello, seppe durante il viaggio
che gli veniva incontro come nemico con quattro^" nto armati,
alla qual nuova sbigottitosi mandò a lui, per placarlo, doni e
messaggeri. Ma non appena lo scorse da lontano gli andò in-
contro e gli s'inchinò sette volte, ed Esaù, commosso a quella
vista, lo serrò strettamente alle braccia, piangendo. Giacobbe
offrì allora altri doni, e i fratelli si separarono riconciliati.
Segue più in dietro il fatto di Dina, la figlia di Giacobbe,
rapita da Sichem figlio d' Hemor, che le sussurra all' orecchio
dolci parole, come mostra il pittore ; il quale, sul primo piano,
volle rappresentato il Re che viene a chiedere in isposa la fan-
ciulla per il figlio suo. E poiché i figli di Giacobbe, attorno a lui
raccolti, risposero che gliel' avrebbero data solo se si fossero
circoncisi, il Re e i suoi consiglieri promisero assoggettarsi al
patto ; ma due giorni dopo, Simeone e Levi, fratelli della fan-
ciulla, per vendicarne 1' onore, si armarono con tutti i loro, ed
entrando nella città uccisero il re Hemor, il rapitore e il popolo.
Vuoisi che fra i personaggi di questo quadro siano alcuni ri-
tratti d'uomini « di riguardo •» come scrive il Totti « tra li quali
è Lorenzo il Magnifico de' Medici posto accanto di quel grassotto
detto il Poccioso, huomo faceto, et di belle e libere maniere,
l'offìtio del quale, nella guerra di Pisa, era di dar bere alle donne
combattente per difesa della città.... Acciò adunque più volentieri
queste s'affrettassero in quel lavoro posero alla loro servitù
quel? huomo faceto, il quale gli somministrasse da bere. » Ma è
da deplorare che le condizioni di tutto l'affresco siano tanto
disgraziate da non permetterci di apprezzarne la bellezza, essendo
in alcune parti caduto l'intonaco e troppo restaurato il cielo.
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Pietro di Puccio.
L'INCORONAZIONE DELLA VERGINE.
A interrompere la serie delle pitture di Benozzo, viene questa
Incoronazione, dipinta, come abbiam già detto, da Pietro di
Puccio.
Nel centro, Cristo con le braccia distese e la corona in mano
sta in atto di posarla sulla testa della Vergine, che umilmente
gli si inchina dinanzi. Dietro, un tempio ricchissimo di gotica
architettura, con pinnacoli e tabernacoletti ricchi di statue, e la
cupola in fondo, sorgente nell' azzurro del cielo ; attorno, gruppi
d'Angeli con variati strumenti, o in atto di cantare, inneggiano
alla gloria del Signore. Ai piedi del trono, ove stanno seduti
Cristo e la Vergine, è un uomo sdraiato tutto nudo di cui non
restano che le estremità inferiori.
La finta cornice è interrotta da formelle in cui appare un
Santo o un Apostolo, a mezza figura, come affacciato, avente
nelle mani un cartello su cui son motti latini tolti dalle Sacre
Scritture ; e in basso, è rappresentato Adamo, come si legge sotto,
che tiene con la sinistra una scritta della quale oggi non riman-
gono che questi versi:
MATEE D'OGNI CONCORDIA
NE LA QUAL INCARNÒ 'L VERBO VERACE,
IMPERATRICE, DANNE BENE E PACE.
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PIETEO DI PUCCIO.
262
Sotto 1' affresco era un' altra iscrizione della quale pure non
rimane che questo frammento :
.... EGREGII ET CIRCUMSPECTI VIRI DOMINI PARASONI
GRASSI OPERARII OPERE SANCTE MAIORIS . . . -1
Di questa pittura non si vede che la sottostante preparazione
in rosso, essendo caduto F intonaco dalla metà in giù, per effetto
dell' umidità che penetrava dalla cappella del Barbaresco, come
abbiam già accennato in principio ; e la caduta dell' intonaco
mostra un pentimento del pittore che aveva prima segnato il
contorno delle due figure di Cristo e della Vergine più in alto :
e di questo primo disegno rimane ancora parte della testa del
Cristo e una mano della Vergine portata al seno.
Si procede perciò al restauro della cappella .... perchè
V aque quastorno le dipinture
.... e fu finito di chonciare a
dì XX di maggio
.... la quale chonciò m° Alberto lombardo. Si
spesero per il restauro lire 73, soldi 6 e denari 4 ; e nel conto
si legge scritto di mano dell' Operaio : de le spese fatte in de la
chappella n' à pagliata madonna Jachopa donna che fu di Gio-
vanni Barbaresche lire quaranta, e IT Opera n' à pagliato lire
trentatre, soldi sei, denari quattro, posti a uscita di denari.
9
Non sappiamo F epoca precisa nella quale si ebbe a deplo-
rare il danno della perdita di questa pittura di Puccio. Il Totti
nel suo dialogo manoscritto (1593) accenna all' affresco senza
però entrare in particolari; il Titi nella sua guida di Pisa (1751)
non parla di questa Incoronazione ; e il Da Morrona (1798) scrive :
« F Incoronazione della Madonna è commendato lavoro di Tad-
deo Bartoli in gran parte distrutto. » 3
1  II Ciampi (loc. cit., pag. 98, nota a) così la riporta per intiero : Hoc opus
factum est tempore egregii et discreti viri Domini Parasoni Grassi honorahilis
pisane eivitatis operarli Opere S. Marie Majoris.
2  Arch. del Capitolo, filza D. Ricordanze, e. 12.
3  Compendio di Pisa illustrata, 1798.
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Benozzo (tozzoli.
Sotto l'affresco di Pietro di Puccio, a sinistra, rimane un
gruppo di Apostoli e di Santi che il Rosini, nonostante i carat-
teri evidenti della pittura, vuole assolutamente di Taddeo Bar-
tori. Stanno essi genuflessi coi simboli in mano, e nell' aureola,
un tempo dorata, portavano scritto il nome ; così almeno dice
il Totti, che lesse : san Domenico, san Francesco e san Torpè,
Gli altri sono : san Pietro, san Giovanni Battista, san Giovanni
Evangelista, e san Ranieri. Mal ridotti dai restauri, ben poco
del loro carattere originale appare in essi: ma in quelle teste
deturpate si dimostra sempre la mano di Benozzo, così che non
sappiamo come possano essere stati attribuiti a diverso artefice.
Gli altri che ornavano la parete opposta, a destra della porta,
sono oggi totalmente perduti.
mm
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LE STORIE DEL VECCHIO TESTAMENTO.
(continuazione.)
L'INNOCENZA DI GIUSEPPE,
Seguendo Benozzo le scene dei fatti del vecchio Testamento,
rappresentò nei due seguenti affreschi la storia di Giuseppe.
E prima, quando giovinetto spiega i sogni ai fratelli, poi, quando
si fa loro accusatore al padre, quindi, allorché i fratelli fecero
disegno di ucciderlo; e postolo invece in una vecchia cisterna
lo vendettero per trenta denari d'argento agli Ismaeliti. Segue
n
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268                                      BENOZZO GOZZOLI.
come scannarono l'agnello e tinsero col sangue gli abiti di Giu-
seppe e come, mostrandoli a Giacobbe, gli fecero credere che una
bestia feroce lo avesse divorato. Intanto gli Ismaeliti vendono
Giuseppe a Putifarre, e la moglie, invaghitasi del giovinetto, tenta
di ridurlo alle sue voglie. Per sfuggire alle insistenze di lei, Giu-
seppe lascia nelle sue mani il mantello, ed è quindi imprigionato.
Simpatica è l'intonazione di tutto l'affresco nel quale i vari
episodi si succedono rapidamente, sebbene le sue condizioni non
possano dirsi del tutto buone : gli alberi, il cielo e alcune parti
delle fabbriche sono restaurati, e nel punto ove Giuseppe spiega
il sogno ai fratelli l'intonaco è caduto. Ma 1' artista ha bene
espressa la sorpresa dei fratelli nel sentirsi accusati da lui ;
l'accordo pattuito fra loro per vendicarsene ; quando essi ne
contrattano la vendita coi mercanti ismaeliti, e allorché uno
di loro mostra al padre afflitto la veste intrisa di sangue. Natu-
rale e ben reso è il movimento e lo scorcio del giovine che
scanna l'agnello per macchiare gli abiti di Giuseppe.
Caratteristica la scena con la moglie di Putifarre rappresen-
tata discinta e seduta sul letto in atto di trattenere il giovine
fuggente.
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GIUSEPPE RICONOSCIUTO DAI FRATELLI,
A sinistra di questo secondo affresco, il re Faraone racconta
ai suoi consiglieri ed ai savi il sogno : quindi Giuseppe che lo
spiega, e il Re che colpito dalla saggezza e dai consigli del
giovine lo veste di ricchi abiti, gli pone in dito il suo anello,
e dandogli la suprema potestà lo nomina suo ministro, mentre
le trombe, più indietro, squillano annunziando al popolo il lieto
avvenimento. Giacobbe poi manda i figli presso il re Faraone
per rifornirsi di grano, i quali sono ricevuti dal ministro del Re,
da essi non riconosciuto pel loro fratello, sebbene egli subito
riconosca loro.
Però Giuseppe, trattandoli assai bruscamente, volle che por-
tassero a lui il fratello pili piccolo rimasto presso il padre, e
per assicurarsi l'esecuzione della volontà sua ritenne uno di loro
in ostaggio. Venne infatti Beniamino, e mentre si riempivano
i sacchi di grano, fu posta in quello di lui una coppa d'argento.
Si eran di poco allontanati dalla reggia quando dal maggior-
domo furono richiamati e rimproverati di aver ricambiato tanto
bene con tanta ingratitudine, avendo portato via la tazza dove
soleva bere il ministro del Re. Ai dinieghi e alle proteste dei
fratelli fa contrasto l'evidenza del fatto, e nel sacco di Benia-
mino si trova la coppa involata. Segue sotto un portico, a destra,
il riconoscimento di Giuseppe coi fratelli.
Sebbene il restauratore non abbia risparmiato quest' affre-
sco, specie nella parte inferiore e in tutta la sua lunghezza, ove
ha ridipinto le vesti delle varie figure, le teste sono intatte, e
se anche le memorie non ce lo attestano, molti dovevano es-
sere i ritratti qui dal pittore effigiati. Di fianco, a destra, del
re Faraone, che sotto il ricchissimo portico pone in dito l'anello
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BENOZZO GOZZOLI.
272
a Giuseppe, è un gruppo di uomini dai volti così pieni di carat-
tere e di espressione e così vivi nella semplicità delle linee che
si possono ritenere come i meglio disegnati da Benozzo in Cam-
posanto, per evidenza, per dignità, e naturalezza.
Vivace è la scena del ritrovamento della coppa, in cui il pic-
colo Beniamino mostra il volto tra sorpreso e afflitto, e l'uomo
che l'ha trovata alza la testa, guardandolo in atto di rimpro-
vero. Ricca e quale si addiceva alla reggia di Faraone è 1' ar-
chitettura, e nel centro, in aito, due Angeli, librati nell'aria,
sorreggono una grande cartella su cui si leggono i seguenti versi
in elogio del pittore :
QUID SPECTAS VOLUCRES, PISCES, ET MONSTRA FEEAEUM,
ET VIRIDES SYLVAS ^ETHEEEASQUE DOMOS ?
ET PUEROS IUVENES, MATRES, CANOSQUE PARENTES ?
QTJEIS SEMPER VIVUM SPIEAT IN OEE DECUS.
NON HiEC TAM VAEIIS FINXIT SIMULACEA FIGUEIS
NATUEA, INGENIO PCETIBUS APTA SUO.
EST OPUS ARTIFICIS; PINXIT VIVA OEA BENOZZUS:
0 SUPERI, VIVOS FUNDITE IN OEA SONOS. '
Poco distante da questa iscrizione, sul pavimento, è il sepol-
cro che i Pisani donarono a Benozzo nel 1478, sul quale si legge :
HIC TUMULUS EST BENOTII FLOEENTINI, QUI PEOXIME
HAS DEPINXIT HISTOEIAS. HUNC SIBI PISANOEUM DONAVIT
HUMANITAS. A. S. MCCCCLXXVIIL
1 II Grassi, riportandola dalla Guida di Pisa, pubblicata dal Serri nel 1833,
dà la seguente traduzione in versi :
A che le fere, i pesci, e i pinti augelli,
L' alte case tu guardi e gli arboscelli ?
A che le madri, i vecchi, e i giovanetti,
Che spiran verità nei varj aspetti?
Non mai di forme tante o sì diverse
A noi P esempio la natura offerse,
Che adatto e grande ha nel produr V ingegno ;
Opra è questa d' artefice ben degno.
A tutto die Benozzo e moto e vita :
Deh, Numi, ancor ne sia la voce udita!
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LE STORIE DI MOISÈ.
0
Scrive il Rosini : « Nei sei scompartimenti che seguono aveva
Benozzo espresso tutte le opere meravigliose di Mosè. Ma due sono
periti affatto ; uno ove rappresentavasi il fatto di Datan ed
Abiron, che gelosi di Aronne osarono offrire gl'incensi nel ta-
bernacolo, e furono subbissati colle loro tende ed effetti preziosi ;
il secondo, ove mostravasi fra le altre storie la morte di Aronne,
con Mosè che compone in pace le sue ossa, frammento eh' è ri-
masto intatto, e che appare di una grazia mirabile. > '
Le quattro storie ancor superstiti sono le seguenti.
Descrizione dulie pitture del Camposanto, pag. 175.
10
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INFANZIA DI MOISÈ.
- ,.K
Moisè bambino, in braccio di Faraone circondato da' ministri
e dai famigli, solleva dal capo del Re la corona e fa 1' atto di vo-
lerla gettare a terra, su di
che facendo gli Indovini tri-
sti presagi e contristando-
sene lo stesso Re, si voleva
senz' altro uccidere il fan-
ciulletto ; ma la figlia s'in-
terpone e ottiene facilmente
la grazia. Fece essa allora,
volendo dimostrare l'inno-
cenza dell' atto irriverente,
recare dai servi due vasi, in
uno dei quali erano alcune
frutta, nell' altro carboni ar-
denti, e il piccolo Moisè met-
tendo la mano su questi,
tolse i dubbi già sorti e fu
salvo.
Fatto adulto, si presenta Moisè al Re per chiedergli la libe-
razione del suo popolo, e poiché Faraone sorpreso alla strana
richiesta non vuole riconoscerne l'autorità, a mostrare il suo po-
tere, Moisè percuote in terra la verga dalla quale scaturisce l'idra
ferocissima che fa per avventarsi su uno dei cortigiani più pros-
simi al trono ; il quale sbigottito, con le mani alzate, fugge pre-
cipitosamente così che sembra saltar fuori del quadro.
Tali gli episodi che sono esposti con beli' ordine in quest' af-
fresco ; e fra le persone di cui è ricca la pittura sono alcuni con-
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BENOZZO GOZZOLI.                                      279
siglieri di Faraone, diritti, siili' angolo della prima fabbrica, a
sinistra, dal volto pieno eli carattere e di verità, « tutte figure
bellissime, » scrive giustamente il Rosini, « e rappresentate con
molta varietà, una di faccia, cioè, che panni la più bella, e che
ha il volto pieno d'espressione, una di dietro, e una di profilo,
che sta ascoltando quello che dagli altri due si ragiona. »J
Descrizione delle pitture del Camposanto, pag. 177.
'
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IL PASSAGGIO DEL MAR ROSSO.
Così poco rimane oggi di quest' affresco, che se non avessimo
innanzi la stampa del Lasinio e la descrizione del Rosini ap-
pena ci sarebbe dato di giudicare del soggetto svolto nella
pittura.
Riportiamo quindi quanto ne scrisse il Rosini aggiungendo
però che oggi non restano che parte del fondo, 1' esercito di
Faraone sommerso, e un frammento della figura di Moisè.
« Bel paese, bel cielo, belle colline, degradate meravigliosa-
mente. Il volto di Faraone parmi non abbastanza espressivo, le
teste dei cavalli e degli Egiziani sommersi son dipinte con molta
scelta, e gran varietà : ma la maggior parte, e quelle in specie
a basso, sono rifatte. Ridipinti, e assai male, sono anco quei sol-
dati Ebrei presso all' albero di mezzo : composta e ben panneg-
giata è la figura di Mosè a sinistra, ma panni che
» Quando il mar chiuse e ne fé' tomba altrui,
non conservi quella grandezza nella mossa che avrebbe dovuto.
Assai superiore è la figura di Aronne, e ben panneggiate e no-
bili le altre de' principali Isdraeliti. Il gruppo delle donne, che
si riposano co' lor bambini in braccio, o attaccati alle mam-
melle, è gentilissimo, e sparso di una grazia mirabile.
» Devota finalmente, maestosa, e piena di profondo raccogli-
mento è 1' attitudine de' due Fratelli, e di tutto il popolo Ebreo,
che innalzano il Cantico di rendimento di grazie al Signore per
essere stati scampati da cotanto pericolo. » '
Descrizione delle pitture del Camposanto, pag. 179.
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LE TAVOLE DELLA LEGGE.
Giudica il Rosini questo quadro inferiore agli antecedenti ;
ma tenuto conto dei numerosi restauri (quasi tutte le teste sono
rifatte e il cielo è ripassato), non ci pare che si allontani molto
dagli altri per valore artistico. V hanno pur qui alcuni studi di
teste magistralmente riprodotte e movimenti colti al vivo, con
l'abituale pratica dell' artista ; quindi non possiamo convenire
con lo storico pisano quando afferma che « in generale questo
quadro manca d'insieme, e il tutto non corrisponde al gruppo
a sinistra. » '
Nel fondo, alcuni giovani con le pertiche in mano intenti a
cercare l'acqua e a far pozzi ; e poiché V acqua è amara, Moisè
battendo con la verga in terra, come ha espresso il pittore, la
fa diventar dolce. Sul primo piano è il legislatore che prende
commiato dal popolo per recarsi sul monte Sinai, e d'intorno
gli stanno, con gli aspetti gravi e maestosi, i Capi delle tribù.
In alto, il Signore, circondato e seguito da uno stuolo numeroso
di cherubini, consegna a Moisè, genuflesso, le tavole della legge,
e il popolo a pie del monte, fra il timore e lo splendore della
celeste apparizione, mostra i vari sensi di meraviglia e di sor-
presa. Bellissimi i diversi atteggiamenti delle figure, e pieno di
espressione il movimento di quel fanciulletto che preso da paura
sembra cercar aiuto e salvezza nelle braccia del fratello mag-
giore che lo tira a sé e lo solleva per rassicurarlo. A destra, il
popolo in atto di adorare il vitello d'oro, mentre fanciulle dan-
zano e giovinetti suonano, e Moisè, che appare fra le tende con
le due tavole in mano, sconfortato ed afflitto mira così grande
empietà.
Descrizione delle pitture del Camposanto, pag. 182.
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286                                       BENOZZO GOZZOLI.
Nulla può dirsi rimanga del quadro ove erano rappresentati
Cora, Datan ed Abiron, che gelosi di Aronne osarono offrire gli
incensi nel tabernacolo, e furono sprofondati con le loro tende.
Il cielo, gli alberi e le montagne, che si veggono tuttora, son ri-
toccati, e sotto l'intonaco caduto spuntano alcuni tratti segnati
a semplice contorno, nonché il disegno di soldati e di qualche
attendamento.
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LA VERGA D'ARONNE
E IL SERPENTE DI BRONZO.
I Capi delle diverse tribù recano a Moisè le loro verghe
ch'ei ripone nell'Arca, per vedere quale fra tutte prima fiorisse
affine di conferire al suo possessore il sacerdozio ; e mentre egli
sta in orazione spuntano i fiori da quella di Aronne, la quale
Moisè mostra ai Capi delle tribù che la riguardano sorpresi.
Più indietro, in alto, i Capi stessi supplicano Moisè ed Aronne
di salvare il popolo dai serpenti che ne fanno terribile strage;
e mentre i due sommi sacerdoti sono inginocchiati per ottener
la grazia dal Signore, egli appare e ordina loro di porre un
serpente di bronzo su di un' asta, perchè chiunque fosse stato
morso e si fosse recato a riguardarlo ne sarebbe guarito. E il
pittore dimostra, nel primo piano, un ferito che fissa il ser-
pente, e molto popolo attorno curioso che attende la grazia
promessa.
In migliori condizioni del precedente, sebbene anche questo
molto danneggiato dalle intemperie, è l'affresco or descritto ;
mentre è totalmente perduto il sottostante, che rappresentava
la morte di Aronne, con Moisè che componeva in pace la salma,
e quindi la morte dello stesso Moisè ; così che né con V aiuto
del Totti né con quello del Rosini è possibile tentarne una de-
scrizione anche approssimativa.
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. • . -v
LA CADUTA DI GERICO
E IL GIGANTE GOLIA,
Rappresenta la prima parte di questo quadro il passaggio
dell'Arca santa attraverso il Giordano, e in fondo Ili presa di
Gerico, ossia le mura della città assediata che cadono infrante
al suono delle tube. Non però, come vuole il Rosini, coloro che
stanno sul primo piano raccolgono i sassi delle mura che rovi-
nano, ma piuttosto rappresentano i Capi di ciascuna tribù che
per ordine di Giosuè prendono grandi pietre di mezzo al fiume,
« le quali, » scrive il Totti, « egli ordinò che le portassino fino
che le ponessero al primo alloggiamento, et altre dodici ne fece
mettere in mezzo al fiume siccome vedete distintamente in que-
sto quadro poste. » 1
Eleganti son le figure de' giovani che raccolgono le pietre,
giuste e ben rese negli scorci, naturali nei movimenti, e fra tutte
bellissima è la prima a sinistra che pare venga fuori dal dipinto,
tanto n' è riprodotta con evidenza 1' azione. Nessun ritocco ha
subito questa parte dell' affresco, ma pur troppo oggi è tutto
ridotto in misere condizioni.
Segue la storia di David e Golia, variata negli episodi ma
non egualmente corretta nelle proporzioni e nei movimenti delle
figure : quando David giovinetto per combattere il formidabile
gigante non prende che cinque pietre e la sua fionda, e con que-
sta ne scaglia una con tanta forza che il gigante, colpito alla
fronte, stramazza a terra ucciso. Quando David corre a lui, e
con la spada stessa che pendeva dal fianco a Golia gli tronca
la testa e la porta a Saul che gli viene incontro su di una biga ;
e i Filistei che a tal vista si danno a precipitosa fuga, espressi,
come dice il Rosini, con forza e verità.
1 Totti, loc. cit., e. 237*.
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L'INCONTRO DELLA REGINA SABA
COL RE SALOMONE.
*"
Scrive il Totti, da cui togliamo la descrizione di questo
ultimo affresco di Benozzo : « Ma passando a quest' altro di
sotto, dov' è descritto il viaggio della regina Saba al re Sa-
lamone, si vede che ritrovandosi questo gran principe, Re di
sì gran popolo, dai suoi sudditi amato, e signore di tanto paese,
amico di tutte le potenze dell' Oriente et pieno di sapienza da-
tagli da Dio, fabbricò perciò il gran tempio al gran Dio
d'Israel ;.....et oltre a ciò, avendo fabbricato palazzi e giar-
dini di meravigliosa grandezza et bellezza, era tanto il suo nome
per tutto sparso, che questa Regina diliberò di voler vedere con
li suoi proprii occhi et udire se la fama corrispondeva al vero,
et apparecchiato presenti d; oro et altre cose pretiose del-
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BENOZZO GOZZOLI.
294
l'Oriente, con una Ignorabilissima compagnia comparse in Ge-
rusalemme, dove dal Re Salamone ricevuta, vedde le ricchezze,
la maestà, la sapienza di questo Re esser maggiore di quanto
per il mondo era sparso la fama. Vogliono questi moderni Re
d' Etiopia che il Re Salamone da questa donna ricevuto diletto
egli ne la mandasse gravida, et partorito un figlio siano poi di-
scesi tutti li Re dell'Etiopia.
che ha in capo la berretta nera dentrovi una poliza......
eh' è dietro a quel giovanetto, che sta a canto a quello che
ha un neo sul naso......et questo......del neo, fu della
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BENOZZO GOZZOLI.
295
Casa Visconti duchi di Milano che fece morir quel giovinetto
suo nipote et gli tolse il ducato. » '
Di questo affresco esiste al Museo Civico di Pisa un disegno
a penna acquarellato a bistro, di cui diamo la riproduzione, che
il Milanesi vorrebbe « dei tempi stessi » e altri afìermano sia
a dirittura il disegno originale ; ma è non dubbio lavoro del
secolo XVII e non ha che il merito di riprodurre intiera la
composizione della storia, che si vuol la migliore compiuta da
Benozzo in Camposanto.
SulP angolo della contigua parete è una piccola cartella su
la quale si leggono i seguenti versi :
S1T LAUS PEISCA VIRO PRIMUM QUI PINXIT AB UMBRA ;
POST HOMINUM SENSUS NON TULIT ESSE RUDES.
SIC CYPRIS COAS ILLUSTREM TUNC FECIT APELLEM ;
PARRASII TABULA NOMEN IN ASTRA FERUNT.
GLORIA QUANTA TIBI, BENOTI, FULMINI» INSTAR,
ILEC NUNC TAM CELEBRI COMPOSUISSE MANU !
LAUDE QUIDEM TOTO DIGNUS CELEBRANDUS IN ORBE ;
NAM TU PINXISTI QUIDQUID IN ARTE FUIT.
Kal. Maii. MCCCCLXXXVL2
1   Tottt, loc. eit., e. 238 e seg.
2   Riportiamo dal Grassi la traduzione in versi :
Sopra tutti lodar colui fia dritto,
Glie dall' ombra il dipingere dedusse ;
Ne quindi comportò, clie i sensi umani
Stessersi a gentilezza affatto rudi.
Così di Coo la Venero fé' un tempo
Illustre Apelle ; e di Parrasio il nome
Allo stello innalzaro i bei dipinti.
Qual gloria a te, o Benozzo, che cotante
Col celebre pennol cose ammirande,
Pari a fulmin, compiesti ! Ah, ben sei degno
Che di tua fama 1' universo suoni :
Poiché ciò che d'oprar all'arte è dato,
Tutta quanta essa fu, tu ritraesti.
Il dì 1" Maggio I486.
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296
BENOZZO GOZZOLI.
* #
Così terminò l'opera sua meravigliosa Benozzo Gozzoli; ma
quasi che le storie dipinte su quel tratto di parete, che dagli
affreschi di Pietro di Puccio va all' angolo estremo dell' edilizio,
non bastassero, v' è chi non dubita di attribuirgli anche gli altri
due quadri rappresentanti la storia del re Ozia e il convito di
Baldassare. Scrive il Burckhardt che « le due composizioni della
parete ovest, attribuite al Rondinosi (1666), sono egualmente
opere di Benozzo ridipinte invece più tardi dal Rondinosi. » '
Ma oltre che a questi nuovi lavori non accennano per nulla
i documenti, che terminano con il pagamento dell' ultima storia,
ossia la visita de la Reina Saba a Salomone, la notizia dataci
dal Navarretti toglie ogni dubbio sulP attribuzione dei due di-
pinti : « le pitture attribuite a Buffalmacco nel Camposanto fu-
rono l'anno 1667, d'ordine di Nicolò Angeli, Operaio, finite di
levare per esser malissimo andate, e vi fece fare le nuove istorie
da Zaccaria Rondinosi, pisano. » 2
E invero il Totti, che, come abbiam detto a suo luogo, scrisse
il dialogo intorno al Camposanto sul finire del secolo XVI, non
parla affatto di altre pitture e termina anch' egli la descrizione
con la regina Saba ; anzi aggiunge : « Questo pittore, poco doppo
che dette fine a questa bel opera di pittura, con grandissimo
dispiacere di tutta la città, passò a miglior vita nella sua età
d'anni 68, e fu posto in quel sepolcro che vedete di sua mano
fatto sotto quel quadro del mar rosso. » :s
1 Cicerone, ediz. citata, pag. 554.
- Arch. del Capitolo. Memorie, e. 382.
Totti, loc. cit,, c. 239. — Benozzo Gozzoli visse 77 anni ; nacque nel 1420
e morì nel 1497.
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BENOZZO GOZZOLI.                                      297
E il pellegrino, che il lotti imagina suo interlocutore, ri-
guardando il ritratto che Benozzo di sé stesso aveva dipinto in
quell' ultimo affresco, ammirato da così vasta e nobile opera
augura che « il Signore rimuneri in altrettanta bellezza del
Cielo la beltà e il valore della pittura sua ! »
17
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Michelangelo di Cristofaro da Volterra
TROMBETTO IN PISA.
LE MIRABILI ET INALDITE BELLEZE E ADORNAMENTI
DEL CAMPOSANTO DI PISA.
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Michelangnolo di Cristofano da Volterra, come di sé stesso scrisse in un
poemetto fatto a dì 6 di Giugno 1488, al tempo di Pietro di Lutozo Nasi, Ca-
pitano et Commissario dì Pisa,
nacque nel 1464, A dì 8 di febbraio del 1488,
trombetto dello illustrissimo Signore Virginio Orsino, sposò la figlia di Nicolò
di Filisbergo, calzolaio pisano, chiamata Dorotea.
Nel 1487, trombetto del magnifico huomo Piero di Lorenzo de''Letizi, Capitano
di Pisa,
dettò la Storia del conte Ugo d'Avernia della casata di Carlo Vmano,
cioè di quegli di Chiaramonte, finito a dì 15 d'Aprile MCCCCLXXXVIIL
Bakdini.
Biblioteca Leopoldina Laurenziana, voi. Ili, col. 238.
Il presente poemetto, che descrive in ottava rima le mirabili et maldife
belleze del Camposanto di Pisa,
trovasi in una rarissima stampa, forse unica,
della Biblioteca dell' Arsenale a Parigi, ove passò da quella La Vallière.
Ne fu tratta copia dall' illustre C4aston Paris per offrirla al professore Ales-
sandro D'Ancona, il quale ce ne fece dono per questo volume che illustra
le bellezze dell' insigne monumento pisano : di che qui gli rendiamo vivis-
sime grazie.
La stampa originale consta di quattro carte non numerate in 8", a due
colonne, di quattro strofe per colonna. Nessuna nota tipografica.
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LE MIRABILI ET INALDITE BELLEZE E ADORNAMENTI
BEL CAMPOSANTO DI PISA.
lo non invoco el monte di Parnaso,
io non invoco sue nove sorelle,
ma sol ricorro a quella fonte e vaso
quale istà in ciel di sopra a 1' alte istelle,
ciò la madre di Cristo in questo caso
prego m' aiuti a far mie rime belle,
a ciò mia operetta segua intanto
del glorioso e degno Camposanto.
Quale è ritracto in quadro per certezza,
di bianchi marmi è tutto lavorato,
setanta quattro braccia è sua larghezza,
corno per punto è certo misurato;
ducento braccia è poi la sua lunghezza,
con venticinque più quello ò trovato,1
1 11 Totti, loc. cit., scrive : « Dalla sua testa verso ponente all' oriente
qui fuori è braccia 222, dall'un canto all'altro è braccia 75, a tale che la sua
circonferenza è tutta braccia 594.... Dal piano di terra sino al tetto è la sua
altezza braccia 18....» e internamente «da questo capo lino all'altro è brac-
cia 217, ogni sua testa è braccia 72, a tal che questa sua circonferenza qua
dentro verni ad esser braccia 578; e dalle finestre all'altro lato del muro
è braccia 16, il suo chiostro è braccia 88 e l'altre due bande essendo simili;
in tutto largo braccia 72. » Il Roncioni invece : « Trovasi la sua lunghezza,
per di dentro, a misura braccia dugento quindici ; e la sua larghezza, brac-
cia settantadue : e per di fuora, computandovi la grossezza delle muraglie,
braccia dugentoventi ; e per il largo, braccia settantasette. » Vedi Istorie pi-
nane,
voi. II, pag. 588. Le misure del resto più esatte son queste : esterno, lun-
ghezza metri 129,57, larghezza metri 44,36 ; interno, lunghezza metri 126,65f
larghezza metri 42,02.
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302                        LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
con be' modi ordinato quello al tondo,
qual è più bella cosa eh' abbia el mondo.
Dalla sua faccia, eh' è volta a ponente,
v' è duo gran templi, il Duomo e san Giovanni,
ciascun di gran beltade risplendente,
più e' altri che mai fusser senza inganni.
La lor beleza magna alta excelente
darebbe a farla in versi a l'uomo affanni,
però per ora la verrò lassando,
e solo el Camposanto ritrovando.
Duo porte son nella faccia preditta
le qual del Camposancto son intrata ;
l'una istà chiusa, me dice la scritta
qual è di sopra a quella istoriata.
Un crocifisso in tal parte diritta
erto v' è sopra a tal parte adornata
e certe altre figure adorne e belle
......o tal parte istoriate quelle.
La porta po' della intra[ta] bellissima,
qual è adorna, come io dico certo,
in nel vederla par cosa degnissima.
Di sopra una figura con gran merto
v' è molto bella e ben chiara e prontissima :
san Michel angel ben si vede isperto
come caccia il nimico in quella parte
di musaico fatto con grande arte.
E poi di sopra v' è un tabernacolo,
ciò di rilievo lavorato quello :
la Nostra Donna istà in tal oracolo
con angeli da canto, ciascun bello,
•sì pronti eh' al vederli è un miracolo,
e altri santi ancora io vi favello,
con gentil modo in tal luogo adornati,
pur di rilievo tutti lavorati.
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
303
La sua coperta, o voliam dir suo tetto,
di piombo è tutta, corno chiar ragiono,
e lavorato ancor con molto effetto
da un maestro antico e molto buono.
Or racontando dentro con diletto
dove di so' belleze è sì gran suono,
prima come entri sopra della porta
la Nostra Donna v' è con molta iscorta.
Cioè molti angioletti in compagnia,
qual' è molta divota tal figura :
nel mezo istà la vergine Maria,
che viva par di certo creatura.
Cotal maestro ebbe gran fantasia,
qual la dipinse in le presente mura ;
e sopra a questo degno e bel lavoro
v' è un ciborio tutto messo ad oro.l
Da man sinistra la faccia seguendo,
tutta l'istoria v' è di san Raineri,
qual fu pisano, corno certo intendo,
e fu di Cristo quel bon cavalieri.
Come fu amonito chiar comprendo,
ciò dal beato Alberto volentieri
per certo suo stromento che sonava ;
vedesi poi come lo seguitava.
E come poi gli aparve el buon Giesùe
e perdonòli ciascun suo dilitto.
e come prima mercatante fue
e navicò, come si trova iscritto,
1 L'Assunta, dipinta sulla porta principale di dentro del Camposanto,
aveva un cielo di tavole, forse una specie di tabernacolo, come ci dice il
poeta, che fu colorito da maestro Battista di maestro Cerio, pittore pisano ;
per il qual lavoro il 22 gennaio del 1418 confessò di aver ricevuto dal-
l'Operaio del Duomo li fiorini d'oro in pagamento di tale pittura, e dei
colori e d'altre cose da lui comprate per eseguirla e per adornarla. Tanfani,
in Provincia di Pisa, anno 1881. n" 86.
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
304
e come poi Rinier pien di vertue
non fecie già de' poveri resquitto,
ma dette lor ciò eh' avia fatto aquisto,
sol per amor del signor Giesu Cristo.
Come la Nostra Donna gli parloe
dicendo a quel : tu ti reposerai
nel Duomo in Pisa, come chiar lo soe,
e quivi molti ancor trarrà' di guai ;
          *
e come in Terra Sancta capitoe,
e ste' tutti sette anni intenderai,
e corno li animali 1' onoravano
quando Rainer per le selve iscontravano.
Come nel monte Tabor quel saliva
e Christo ancor gli aparve in cotal loco,
e come po' d' un pane in quella riva
saziò molti afamati con gran giuoco ;
e come po' di nuovo gli appariva
Cristo con isplendor che par di foco,
e comandolli che tornasse a Pisa :
quel si partì per mare alla recisa.
E come essendo quel santo al timone
miracolosamente per il mare
da Gaffa a Messina, odi '1 sermone,
in una notte venne a navicare.
E '1 miracol del vin di quel barone,
cioè dell' oste, quel si vede fare,
e come giunse a Pisa quel beato ;
vedesi ancor come fu onorato.
E come poi passò di questa vita,
cioè a San Vito, e quello fu certezza,
e come sua persona transferita
fu quella al Duomo per buona chiarezza ;
essendo sua persona sepelita
fecie molti miracol con dolcezza,
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.                        305
e come le campan' da lor sonareno
quando el suo corpo a sepellir portareno.
E come suscitò un fanciul morto
con altri gran miraculi degnissimi,
qual fé' quel santo in Domo in cotal porto
tutti scolpiti si vegon prontissimi.
Poi più in su segue sancto Efisi ' acorto
come sua madre con atti umanissimi
a Diocletiano imperadore
racomandava el figlio con amore.
E come el fé' capitano, e poi mandollo
incontro a' soi nemici a far la guerra,
e come Cristo quel sancto avisollo
e donolli una croce, el dir non erra;
e come di sua fede fu satollo,
come si convertì in cotal serra ;
e come essendo poi nelle battaglie
un gioveneto armato a piastr' e maglie
venne in suo adiuto con una bandiera ;
poi ruppe e' suo inimici con vettoria ;
come 1' enperador con faccia fiera
avendo avuto d'Elisi memoria
gli fé' molti martiri in tal riviera,
Elisi non curava per sua gloria ;
e come poi irato con tempesta
in nella fin gli fé' tagliar la testa.
Seguendo poi l'imperio d' Antonino
sì come fé' sa' Putito ~ pigliare,
per miracol che fecie nel confino,
fecielo con tormenti assai istraziare ;
1  II testo ha : Ebigi, o Ebbigi.
2  II testo ha : Sa putio.
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO,
306
poi lo dicapitò, dicie el latino.
Da poi si vegon li Pisani andare
in Sardigna pe' corpi che portorno
di questi santi, qual molto onororno.
Di Jobbe segue poi suo storia santa,
qual tante pene nel mondo sostenne,
come la Chiesa aperta de lui canta :
tutta 1' aversità eh' a quello avenne
del bestiame e de' figli e d'ogni pianta
vedesi lì come provar convenne,
e della lebra e d'ongni suo fatica
e tentazion dalla parte nimica.
E come poi, patito ogni tormento
el sopra ditto Jobbe, e tanti afanni,
vedesi come Dio lo fé' contento :
per ristorarlo de' tanti suo danni
sua robba li rendeva e ogni armento
e liberollo dal dimonio e 'nganni,
e ritornò nel mondo in gran richezza,
e doppo a quello la superna altezza.
Poi dalla porta in giù v' è storiato
vita de' santi padri in ditta faccia ;
vedesi molti stare in cotal lato
seguendo po' di Cristo la suo traccia.
E doppo questo è l'Inferno ordinato,
che 1' anime meschine quello allaccia ;
quivi è ritratto ben cotal Inferno
con tutto l'ordin suo, come discerno.
Da poi più basso si vede el Juditio,
sì come Cristo verrà a giudicare ;
quivi si vede adorno in tale ospitio
la gran sentenzia, la qual usa a dare ;
vedesi molti pel passato vizio
dalli demoni a l'inferno portare,
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
307
e coni' e buoni se ne vanno via
dalli angeli portati in conpagnia.
Oltre passando, si vede la Morte
coni' ella seque e gioven volentieri
e' vecchi fuge, che la chiaman forte,
abandonando quelli pel sentieri ;
e molti infermi che vorian tal sorte,
e lei dimostra a lor suo atti fieri ;
li papi [e] imperadori in cotal sito
vedonsi dalla Morte ongnun finito.
Da poi, voltando alla facetta prima,
se ben rimiri col tuo occhio fisso,
monte Calvario vedi e la sua cima
e come Cristo vi fu crocifisso
in mezzo de' ladron, dice la rima,
e come poi nel sipolcro fu misso ;
e la sua madre e 1' altre dolorose
vegonsi tutte insieme lacrimose.
Apresso a questo la Resuretione
si vede in questa parte ben dipinta ;
se ben procuri apunto per ragione
vedi la grolla sua di gaudio cinta,
e storiata ben v'è l'Ascensione,
come sale nel cielo, avendo vinta
la forza del domonio, e '1 peccatore
isciolto e liberato dal dolore.
E queste istorie tutte racontate
Istefano e Taddeo Gaddi e Buonamico
per questi tre fun tutte lavorate,
ciò pel passato tempo e molto antico;
discipuli di Giotto, or be' notate,
questi tre fumo, come chiar ve dico,
ciascun maestro e pittor d' excellenzia,
come si vede lì la sperientia.
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308                      LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
Ora, tornando alla seconda parte,
volendo racontar a punto quella
come eli'è fatta adorna con. grande arte
più e' altra cosa gloriosa e bella,
nel suo principio me dicen le carte
el mondo v' è, come chiar si favella,
ritratto in tondo con modo gentile,
né mai si vidde una cosa simile.
Con tutte le sue belle alte fazzioni
quale a vederle è gran magnificenzia,
e veramente fu pittor de' buoni
quel che '1 dipinse con tanta prudentia,
perchè 1' à tutte quante sue ragioni.
Iddio si vede con sua gran potentia
d' una figura grande in cotal faccia,
come tien questo mondo nelle braccia.
E poi dappiè son duo santi bellissimi,
istoriati quelli con ingegno,
e nel guardarli ben paion prontissimi ;
anticamente ritratto [è] lor segno.
Di questo mondo suo modi ornatissimi
tutti si vedon con uno acto degno :
Asia si vede la parte più grande,
poi Africa e 'Uropia in cotal bande.
Da poi si vedon li quatro elementi,
la terra e '1 fuoco e l'aqua, e '1 quarto l'aria ;
poi sopra all' aria e cieli son presenti,
quel della luna, e niente transvaria,
e quel di Marte puon veder le genti,
quel di Mercurio alla parte contraria,
quel di Venere poi e di Saturno,
e quel del Sol ancor si vede adorno.
L'ultimo è el ciel de' gloriosi santi,
qual è chiamato il ciel inperiale,
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.                      309
dove stanno i beati tutti quanti
e Giesu Cristo re celestiale,
e la sua madre con dolci sembianti
e ciascun santo e santa naturale :
tutti scolpiti son con adorneza,
né mai si vidde simile belezza.
Poi si vedon dipinti per ragione
dodici segni, e son cosa visibile ;
el primo è Sagiptario e po' Scorpione
e Capricorno che pare incredibile,
Aquario, Pesce. Ariete, a tal sermone,
Tauro, Cancer d' ornamento orribile,
Gemini, Virgo, Libra e Leo poi,
ciascun co' segni verisimil suoi.
Celli angeli poi sigue e nove chori
tutti dipinti a ordine asettati :
Angeli, Arcangel vedi a tal lavori,
Troni, Dominationi e Podestati ;
seguendo po' virtute con onori,
appresso questi segue e Principati,
da poi si vede el cor de' Cherubini,
a canto a lui segenclo e Serafini.
Con ordin grande son le ditte cose
nel mur già molte antiche conpilate,
e certamente son meravigliose
tanto son bene aconcie [e] ordinate.
Vedesi Cristo poi che '1 mondo puose
avendo tutte le piante fermate,
e come Adam creò in similitudine
di suo persona con gran dolcitudine.
Questa faccia è del Vecchio Testamento :
segue come Eva ancor creava Iddio,
ancor si vede el lor comandamento,
come tentati dal dimonio rio
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310
LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
pecorno tutti dua in un momento,
poi corno fun cacciati vi trovo io,
e 1' omicidio fatto per Cayno,
poi per Lamec suo morte in tal confino.
Poi comincia a seguir la storia nuova,
la qual Benozzo fiorentin dipinse :
del Testamento Vechio chiar si trova
tutte tal storie, e già mai non se finse •*
di farla sufficiente a tutta pruova,
e tutti colpi e modi costui vinse :
ciò della pittura si può fare
prima d'inponimento singulare.
Quivi si può le figure vedere
per ogni modo e per ogni attitudine
da dare all'ochio certo gran piacere,
tanto son belle di similitudine.
Sonvi ritratti molti, puoi sapere,
che paion vivi con gran dolcitudine ;
ma in fra altri belli adornamenti
quivi vi son mirabil casamenti.
Moderni, antichi e d' ongni altra ragione,
qua' fan maravigliar certo la gente ;
ancor v' è animai d' ogni ragione,
simili ucelli ancora, il dir non mente,
con ciascun atto, parla el mio sermone,
son copiosi alla faccia presente ;
poi mirabil paesi e gran verzure ;
né mai si vidde simil dipinture.
Già sono ucelli vivi lì veduti
sulli arbori volar, credendo sieno,
e molti son eh' a questo vi son suti,
come chiar dice il mie parlar appieno.
Noè si vede, quel con suo aiuti,
quando fé' 1'
          e li animai che gieno
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
tutti in tal loco, e po' si vede il fine,
e del diluvio le sue gran mine.
E la sua vita d'anni novecento
cinquanta ancor, la qual sì lunga fue,
e come vidde chiaro io oldo e sento
venti quatro migliara, in tendi sue,
di lui discese uomin di valimento ;
cotto Noè ripien d' ogni virtue,
per la sua vita lunga vidde quelli
senza que' che morirno tenerelli.
Poi di Nembrot si vede la gran storia,
come fé' far la torre di Babello,
come e' maestri perdèn la memoria,
però non la fornì tal torre quello.
Meser Gioan Francesco con gran gloria
quivi è ritratto e ciascun suo fratello,
che paion vivi, come io dico certo,
qua' furon figli al gran singnor Ruberto.'
Da poi tal storia è una capelletta,
dentrovi molto adorno un certo altare,
con una sepultura bianca e netta,
di marmo tutta, e mirabil me pare ;2
sopra detta capella, in versi detta,
la Nunziata se vede in tale affare,
e poi di sopra, vi reco a memoria,
vedesi poi de' Magi lor istoria.
1 Non dubitiamo di riconoscere in questi personaggi citati dal poeta:
Koberto da Sanseverino, grande capitano, e il figlio Giovan Francesco, che
fu anch'egli al soldo dei Fiorentini; sebbene il Vasari e altri storici vogliano
che nell'affresco della Torre di Babele sian ritratti invece Cosimo de'Me-
dici, Padre della Patria, il figlio Pietro detto il Gottoso, e i nipoti Lorenzo e
Giuliano.
3 È questa la cappella di san Gregorio, e il monumento sepolcrale è del
medico Ligo Amannati, morto nel 1359. La sepoltm-a fu scolpita da Cellino
di Nese. (Archivio storico dell'arte, serie II, anno I, fase. IV.)
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Seguendo poi la faccia, del re Nino
sì come fecie adorare il suo padre,
in Babilonia fu in tal confino,
questo fé' fare a tutte le suo esquadre ;
come e Caldei con falso destino
adoravano il fuoco in tal contrade, ■
e come Abram e '1 fratello in tal loco
insieme funno missi nel gran fuoco.
t
Abram campò, e '1 fratel vi moriva ;
tutta la vita sua v' è storiata,
del dipartirsi quello in cotal riva
tutta simile istoria v' è segnata,
come e re Cananei ciascun giva,
Soddoma avendo quelli sachegiata,
e come Abram, dipoi con molta fretta
fecie contra que' re cruda vendetta.
Tutta v' è storiata tal battaglia,
e la sconfitta che dette a coloro,
come libera Lotto da travaglia,
che quelli re gì' avien dato martoro ;
e della ancilla e le cose di vaglia,
ongni cosa si vede in cotal coro,
del sacrificio il miracol sì forte,
e di tutti e so' fatti in fine a morte.
Poi di Sodoma v' è la distrutione,
come pel gran peccato disonesto
per fuoco fu disfatta tal magione
con altre quattro terre, dice el testo ;
guardisi Italia, e noti el mio sermone,
di tal iuditio che venir può presto,
perchè nel cielo e' mi par già sentire
che Cristo non può più questo patire.
Evvi d'Isache el suo gran parentado,
sì come tolse il giovenetto moglie,
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
313
quale ad Abram fu quello molto a grado ;
istoriato v' è come la toglie.
Ancor la storia v' è, il dir vi squadro,
come Rebecca senza affanno e doglie
partorì duo figliuol d'ogni virtue,
primo Jacobe e '1 segondo Esaue.
Come la madre a Jacob giovinetto
fecie Esaù el fratel ingannare,
con una pelle per cotale effetto,
da poi li fa la benedition dare ;
come servì Jacob con diletto
molti anni per Rachel, dice el cantare ;
vedesi poi Esaù quello aldace
seguir Jacobbe e dapoi far la pacie.
Vedesi d' Emor re, qual volse cedere
per donna certo a Jacob la suo figlia,
e come poi Jacob volendo riedere
quel re Emor storcieva le ciglia,
e perchè al buon consiglio non vuol credere
vedesi morto con la sua famiglia.
Un' altra capelletta adorna e bella
appresso a questa istoria vedi quella.
Sopra la capelletta eh' io vi dissi
v' è come Cristo incorona Maria,
e Angeli che stan con li ochi fissi
a contemplar la dolce melodia.
Poi di Josep segue tal prolissi,
d'ongni sua istoria si vede in tal via,
vedesi Moisè, mio dir rinsuona,
come gittò per terra la corona.
Ciò di Faron, quella chiaro trovo,
essendo picolino in tal magioni ;
ongni sua storia v' è, corno io aprovo,
ciò della maza, dragho e de' carboni.
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
314
Vedesi Faraone al caso nuovo
quando seguì Moysè co' baroni
come somerse con tutta sua gregge,
e come Moysè va per le legge.
Come termini misse quello imprima
ancor tutta sua vita abreviando ;
de l'idolatria ancor dice la rima
quando li suo peccorno, il ver contando ;
e come Moysè ne fecie stima
del ber del fiume ogni cosa ordinando
e come po' li fé' morir con guai :
[che] ancor si dice : alla barba 1' arai.
Vedesi ancor di que' che mormoravano
come la terra vivi gì' inghiottiscie,
ancor de' tribi che maze portavano
e come quella d'Aron sol fiorisele ;
e de' serpenti che color mangiavano
e come Moysè quelli guariscie ;
vedesi la battaglia in cotal siti
che Moisè isconfisse e Medianiti.
La qual è cosa istupenda a vedere,
tanto par pronta, cruda e mortalissima,
rompere e fracasar di molte ischiere
vegonsi alla battaglia profondissima ;
poi come Iosuè con gran piacere,
perchè la sua persona era franchissima,
Moisè lo fé' duca in tal confino
dandoli la bacchetta del domino.
Vedesi poi di Moysè la morte
e poi il suo corpo da Dio nascoso ;
dapoi si vede Gesuè, quel forte,
Gerico quel pigliar volenteroso,
e sachegiollo con tutte sua scorte,
facendo ciascun tristo e doloroso ;
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
315
ma 'nprimamente per divina cura
per terra rovinaroa le suo mura.
E di Saul ancor suo istoria magna
in questa faccia è dipinta e destesa ;
vedesi poi Davit senza magagna
avendo in man la sua frombola presa
trar a Golia, e già non si sparagna,
con una pietra la qual molto pesa,
e nella testa darli : in uno stante
vedesi cader morto el gran gigante.
Da poi si vede tagliarli la testa
dal buon Davit al gigante ferocie,
e la sua storia ben lo manifesta
qual si vede dipinta in cotal focie ;
poi la regina Saba, dopo a questa
quella ne viene, e '1 venir non le nuoce,
partita quella da sue regione
per visitare el gran re Baiamone,
con gente variate e animali,
e veramente adorna è la suo istoria,
con multi giovenitti naturali
quali a vederli danno all' uomo gloria ;
vedonsi giunti insieme quelli equali
e visitarsi lì con molta boria,
carchi di gioie pretiose ed oro,
né mai si vidde il più ricco lavoro.
E dentro al chiostro del bel Camposanto
cinquanta sei finestre v' è certano
di marmo ben tagliato tutto quanto,
con cinque colonnelli, ognun soprano
v' è per ogni finestra, corno io canto.
Odi belleza eh' è questa in tal piano,
e son d'intorno intorno compilate
né mai finestre fur me' lavorate.
.
i
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316                        LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.
Cento quaranse' teste pronte e belle
son di rilievo al Camposanto intorno
ci' itomin famosi, e par non anno quelle
e fanno queste el tempio molto adorno ; '
le lor fatteze non vi paren felle,
comò il ver dico senza altro sogiorno.
Sei porte seguen, po' il tronbeta canta,
quale entran quelle in su la terra santa.
Partendosi de' chiostri 1' adorneza,
come io vi dico in su la santa terra
entran tal porte di gran gentileza,
come io v' ò detto, il mio parlar non erra ;
al tempo de' Pisani e lor grandeza
già fu portata quella in cotal serra,
ciò di Gierusalem e sue contrade,
in cotal loco con gran degnitade.
Trovasi un corpo in tre dì consumato
quando si mette in tal terra presente,
comò di certo e chiaro io ò trovato,
per voluntà di Cristo onnipotente.2
Quaranta quatro teste anco en tal lato
ciò è di fora, e ognun excelente,
con altre cose adorne e suntuose,
che nel vederle son maravigliose.
Questo tal tempio è sì degno e galante
eh' al mondo el pari non credo che sia ;
1  II Totti scrive che i pilastri sono 62 « e le sculture delle teste sopra
di essi, come vedete, tanto dentro come por di fuori sono 132. » Loc. cit., e. 9.
2  L'essere stata questa terra del Camposanto portata un giorno da Geru-
salemme, era cosa che parlava alla fantasia per modo, da non meravigliarsi
se nàscesse e si diffondesse anche la credenza su tale portentosa sua proprietà.
Nel secolo passato invece parve cosa meravigliosa, secondo riferisce il
Manni {Della naturai incorruzione dei cadaveri, in Cologéra, IV), trovare nel
Camposanto pisano alcuni cadaveri intatti anche nelle vesti. Vedi, in proposito,
D'Ancona, Giornale del viaggio di Michele De Montaigne in Italia, Città di Ca-
stello, 1889, pag. 479, nota n° 1.
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LE BELLEZZE DEL CAMPOSANTO.                    317
cercando tutto el ponente e levante
più bella cosa non se troveria,
senza le sepulture che son tante
che 'n molte istanze non le conteria,
maximo cinquanzette sepulture,
le qual vi son ritratte di scolture.
E oltre a questo gran perdono ongn' anno,
sì v' è concesso da' sommi pontifici,
qua' cavan 1' uomo di pene ed affanno
facendoli del cielo esser partitici ;
que' che devoti a visitar lo vanno
cioè co' 1' alma e con lor cuor bonifici,
e quelli son eh' aquistan poi la gloria.
Del Camposancto è finita suo storia.
Composta per Michelangnolo di Cristofano da Volterra,
trombetto in Pisa.
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■'■                                                                                                                         ' "'                                  li- '■•'■ " *
INDICE.
f
Introduzione..................................................Pag.      I
GLI AFFRESCHI.
Buonamico Buffalmacco (?)......................................    45
L'Ascensione.....................................................    50
La Resurrezione..................................................    51
La Crocifissione.......y..........................................    53
Andrea Orcagna (?)...............................................    57
Il Trionfo della Morte............................................    73
Il Giudizio Universale............................................    83
L'Inferno........................................................    87
Pietro Lorenzetti (?).............................................    93
Le Storie degli Anacoreti........................................    98
Simone Martini....................................................   109
L'Assunzione della Vergine......................................    ivi
Andrea da Firenze...............................................   115
Le Storie di san Ranieri.........................................   121
Antonio Veneziano................................................   133
Le Storie di san Ranieri.........................................   136
Spinello Aretino.................................................   151
Le Storie dei santi Efìso e Potito................................   152
Francesco da Volterra..........................................   163
Le Storie di Giobbe..............................................   168
Pietro di Puccio..................................................   179
Le Storie della Genesi...........................................   182
Benozzo Gozzoli..................................................   193
La Vendemmia...................................................   207
La Maledizione, di Cam...........................................   211
La Torre di Babele..............................................   215
L'Adorazione de' Magi..........................................   218
L'Annunziazione.................................................   220
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320                                                INDICE,
Àbramo e gli Adoratori di Belo..............................Pag. 223
Abramo e Lot in Egitto.......................................... 226
Àbramo vittorioso................................................ 231
Partenza di Agar da Abramo..................................... 232
L'Incendio di Sodoma............................................ 236
Il Sacrifizio di Abramo....... ................................... 240
Le Nozze di Rebecea............................................ 244
Nascita di Giacobbe ed Esaù..................................... 250
Le Nozze di Giacobbe........................................... 254
Incontro di Giacobbe con Esaù e Katto di Dina.................. 258
Pietro di Puccio..........................................,........ 261
L'Incoronazione della Vergine................................... ivi
BenOzzo Gozzoli................................................... 2G3
L'Innocenza di Giuseppe......................................... 267
Giuseppe riconosciuto dai fratelli................................. 271
Le Storie di Moisè............................................... 273
Infanzia di Moisè............................................... 274
Il Passaggio del Mar Rosso..................................... 280
Le Tavole della Legge......................................... 285
La Verga d'Aronne e il Serpente di bronzo.................... 289
La Caduta di Gerico e il Gigante Golia.......................... 290
L'Incontro della regina Saba col re Salomone.................... 293
Michelakgnolo di Cristofano da Volterra, trombetto in Pisa.
Le mirabili et illaidite belleze e adornamenti del Camposanto
di Pisa........................................................... 299